Imp.Bartolini LA MORFOTETTONICA ED I SUOI LIMITI COME STRUMENTO D’INDAGINE NEOTETTONICA Carlo Bartolini Dipartimento di Scienze della Terra – Università di Firenze RIASSUNTO: Bartolini C., La morfotettonica ed i suoi limiti come strumenti d’indagine neotettonica. (IT ISSN 0394-3356, 2004). Brevi riflessioni su come lo strumento Morfotettonica è stato utilizzato nel nostro Paese nell’arco degli ultimi trent’anni. ABSTRACT: Bartolini C., Morphotectonics and its limit as a tool of neotectonic investigation. (IT ISSN 0394-3356, 2004). The author describes the way morphotectonic methods have been applied to the study of recent tectonics in Italy during the last thirty years. Parole chiave: Morfotettonica, neotettonica. Keywords: Morphotectonics, neotectonics. Il Quaternario Italian Journal of Quaternary Sciences 17(2/1), 2004, 251-257 1. INTRODUZIONE In perfetta consonanza con l’etimo, geomorfologi e geologi strutturali hanno fatto ampio ricorso al meto- do soprattutto a partire dagli anni ’60. Raramente le ricerche sono state condotte da gruppi di studio ben bilanciati dal punto di vista disciplinare. Per questo, alcuni oggetti di studio sono stati differentemente inter- pretati da ricercatori diversi e di diversa estrazione. Di qui alcuni interrogativi che la disciplina suscita riguardo alla sua utilità e validità. Un rapido excursus su alcuni significativi contri- buti pubblicati nel corso degli ultimi 40 anni in Italia è il filo conduttore che può essere seguito per valutare come è evoluto l’approccio metodologico nell’ambito della comunità scientifica nazionale. 2. LA FASE GARIBALDINA A parte alcuni lavori pionieristici (Segre, 1950 - “nastri di faglia” - e Biasini, 1966), la morfotettonica come metodo d’indagine è stata sostanzialmente igno- rata fino alla metà degli anni ‘70. Un decisivo impulso è derivato, in quegli anni, dagli studi inerenti la realizza- zione della Carta Neotettonica d’Italia del Progetto Finalizzato “Geodinamica” del CNR. Fu allora evidente, infatti, che solo l’approccio morfotettonico era in grado di fornire elementi di valutazione dell’attività tettonica recente laddove, in assenza di depositi Quaternari, i tra- dizionali metodi propri della geologia non sono applica- bili. Gli studi promossi dal CNR furono in parte antici- pati da analoghe indagini promosse dall’ENEL (1981), nelle quali gli indizi morfotettonici, spesso acriticamente presentati, ebbero un ruolo dominante. A che punto erano, in quel tempo, le conoscenze sul metodo ed i suoi limiti, anche in campo internazio- nale? Preliminari valutazioni morfotettoniche su alcune scarpate di faglia erano state presentate da Wallace (1977), Anderson (1977) e da Bucknam e Anderson (1979). Tali lavori non erano comunque noti alla mag- gioranza dei ricercatori impegnati, più o meno negli stessi anni, nel Sottoprogetto Carta Neotettonica. D’altra parte, i precedenti, importanti contributi di Bull (1964) e di Hack (1973) relativi rispettivamente all’analisi morfotettonica dei depositi di conoide e dei gradienti fluviali erano stati pubblicati in rapporti tecnici di diffici- le reperibilità. Per questo, gran parte dei ricercatori impegnati nel Sottoprogetto Carta Neotettonica utilizzò inizialmente su larga scala uno strumento di indagine di cui nessuno aveva letto (perché non esisteva) il manuale d’impiego. Così, in molti casi, determinate forme venivano interpretate come il possibile risultato dell’attività tetto- nica senza prendere seriamente in esame le cause di tipo morfoselettivo e i processi in grado di dar luogo a forme convergenti. Questo approccio fu oggetto di un’approfondita disamina di Bosi (1978). Nettamente in anticipo sui tempi, apparve, in que- gli anni, il contributo di Sauro (1978) relativo alle “Forme strutturali e neotettoniche nei Monti Lessini”. Laddove erano disponibili anche dati geologici, la disparità delle interpretazioni costituì oggetto di serrati e prolungati dibattiti, non sempre risolti con soddisfa- zione degli interessati. Per questo, nella Carta Neotettonica a scala 1:500.000 sono evidenti le singolari differenze nella den- sità degli elementi lineari in aree contermini, affidate a gruppi diversi di ricercatori che avevano considerato o meno come di interesse neotettonico gli elementi emersi in base soltanto ad evidenze morfologiche. 252 C. Bartolini 3. LA PREDILEZIONE PER LE INTERPRETAZIONI IN CHIAVE TETTONICA E SISMOTETTONICA La preferenza che dai ricercatori è stata sempre accor- data - in buonissima fede - alle interpretazioni in chiave tettoni- ca piuttosto che morfoselettiva o imputabile a particolari processi (si pensi al negletto ruolo della gravità) delle evidenze morfolo- giche, ha una motivazione abba- stanza ovvia: l’accertare che una certa forma è espressiva di tet- tonica recente rappresenta, per il ricercatore, un risultato, mentre non lo è se la forma è riconduci- bile a cause diverse. Citiamo, come esempio fra i tanti, le evidenze morfostruttu- rali segnalate da A. Carton, R. Iacuzzi, M. Panizza & F. Vaia, 1978, a proposito della faglia di Nimis (Fig. 1): se riconosciute come forme di erosione passiva, esse non avrebbero avuto alcun interesse ai fini della redazione della Carta Neotettonica. Come esempio di eccessi- vo “peso” attribuito a possibili cause tettoniche senza un’ade- guata valutazione del ruolo dei processi, possiamo riferirci al margine sud-orientale delle col- line de Le Cerbaie, interpretato da Bartolini e Pranzini (1979) come scarpata di faglia (Fig. 2). Fig. 1 - Evidenze di tettonica recente lungo la faglia di Nimis. Tutte le forme segnalate in legen- da sono interpretabili anche come forme di erosione selettiva (controllo passivo della struttura sulla morfologia). Da Carton, Iacuzzi, Panizza e Vaia (1978). Evidences of recent tectonic activity along the Nimis fault. All features may be also interpreted as due to differential erosion (i.e. passive control exerted by the geologic structure on surface morphology). From Carton Iacuzzi, Panizza and Vaia (1978). Fig. 2 - a, b - Il margine sud-orientale delle colline de Le Cerbaie, interpre- tato da Bartolini e Pranzini (1979) come scarpata di faglia. In assenza di prove geologiche di un solleva- mento differenziale che abbia inte- ressato i depositi “villafranchaini” sui due lati del corso dell’Arno, sarebbe stato più prudente imputare la scar- pata ad erosione laterale di questo fiume e del suo affluente di destra, il Pescia. The southeastern margin of Le Cerbaie, interpreted by Bartolini and Pranzini (1979) as a fault scarp. Due to the lack of geological evidences of any differential uplift affecting the so called “Villafranchian” deposits on the two sides of the Arno River, it would have been safer to interpret the scarp as due to the lateral erosion of this River and of his tributary, the Pescia River, which flow alongside the scarps. In assenza di prove geologiche di un sollevamento dif- ferenziale che abbia interessato i depositi “villafranchia- ni” sui due lati del corso dell’Arno, sarebbe stato prefe- ribile imputare la scarpata ad erosione laterale di que- sto fiume e del suo affluente di destra, il Pescia, che scorrono rispettivamente a SE ed Est delle faglie che delimitano verso oriente Le Cerbaie. Il ruolo morfogenetico dell’Arno è stato invece riconosciuto, da parte degli stessi autori, a proposito delle faccette triangolari, scolpite in calcari, che orlano questo fiume a monte di Firenze (Fig. 3). Dal momento che le faccette si trovano sul lato ribassato della faglia 253La morfotettonica ed i suoi limiti ... che mette a contatto i calcari alberesi, al tetto, con la Formazione di Sillano (Fig. 4), non sarebbero forme tet- toniche ma piuttosto imputabili all’erosione al piede esercitata dal fiume. Presumibilmente modellate nel corso del Pleistocene sup., esse hanno mantenuto una buona evidenza morfologica grazie all’elevata conser- vatività dei calcari della Formazione di M. Morello (vulgo alberese). L’interpretazione non è condivisa da Boccaletti et alii (2001), che segnalano, al piede di que- ste faccette, una “Major active fault”. La pubblicazione citata riguarda la zonazione sismica dell’area fiorentina. La tettonica recente quale indicatore di sismicità è stru- mento troppo attraente per non essere coltivato anche con qualche inconsapevole for- zatura. Come esempio di quanto la p r o s p e t t i v a s i s m o t e t t o n i c a possa condizionare l’interpreta- zione morfotettonica, citiamo il caso classico del M. Parasano, in Abruzzo. Uno specchio di faglia affiora sul margine sud- occidentale. Il piano appare e s p o s t o p e r e r o s i o n e d e l l a c o p e r t u r a d e t r i t i c a e n o n a seguito di una recente riattiva- zione della faglia. L’entità del- l’esposizione varia infatti lateral- mente fino ad annullarsi. Serva et al. (1986), Serva (1990) e Blumetti et alii (1993) hanno incluso la faglia fra quelle riatti- vate nel corso del terremoto del Fucino (1915) mentre Bosi et al. (1993) ritengono che la faglia, benché attiva nel Pleistocene superiore (la copertura detritica è infatti fagliata), non abbia rigiocato in occasione del terre- moto. L’interpretazione in chiave morfoselettiva della faglia del M. Parasano non è certo così scon- tata quanto può esserlo, ad esempio, quella della faglia di Plakias, a Creta (Fig. 5 a,b), dovuta al grande divario litologi- co che caratterizza muro e tetto. Le vistose variazioni laterali di esposizione del piano di faglia indicano che si tratta di una scarpata erosiva e non tettonica. Non è comunque mai facile distinguere le cause morfoseletti- ve da quelle tettoniche: alcune delle forme che Keller (1986) nel suo notissimo schema (Fig. 6) imputa ad attività recente di una faglia trascorrente possono pari- menti prodursi per erosione selet- tiva. E’ specificamente il caso del piccolo corso d’acqua che attra- versa la faglia di San Andreas nella Carrizo Plain (Fig. 7). Fig. 3 - Faccette triangolari, scolpite in calcari, sul versante sinistro della valle dell’Arno a monte di Firenze. Triangular facets carved in limestone on the left hand slope of the Arno Valley, upstream to Florence. Fig. 4 - Le evidenze geologiche fanno ritenere che le faccette si trovino sul lato ribassato della faglia (a sin. nella sezione). Pertanto non sarebbero forme tettoniche ma piuttosto imputabili all’erosione al piede esercitata dal fiume. Presumibilmente modellate nel corso del Pleistocene sup., esse hanno mantenuto una buona evidenza morfologica grazie all’elevata conservatività dei calcari della Formazione di M. Morello (vulgo alberese). Da Bartolini e Peccerillo (2002). The geological evidences show that the facets lay on the downthrown side of the fault (on the left in the geological section). Therefore they appear to be originated by the lateral erosion of the river rather than being segments of a fault scarp. Although apparently carved during the Upper Pleistocene, they maintained their shape due to highly conservatory attitude of the lime- stone relief. 254 4. LA FASE RIFLESSIVA Esauriti i lavori inerenti la Carta Neotettonica d’Italia, alcuni (solo alcuni) dei ricercatori che vi aveva- no contribuito si dedicarono ad approfondire le temati- che che in precedenza avevano utilizzato senza avere la possibilità materiale di effettuarne una ponderata valu- tazione. Sono stati in particolare presi in esame, da parte di molti, i rapporti che intercorrono fra attività tet- tonica recente e processi erosivi e sedimentari che inte- ragiscono con essa, consentendone un’accurata scan- sione temporale. Fig. 5a, b - Scarpata di linea di faglia di Plakias (Isola di Creta) dovuta al grande divario litologico che caratterizza muro e tetto. Le vistose variazioni laterali di esposizione del piano di faglia indicano che si tratta di una scarpata erosiva e non tet- tonica. The Plakias fault line scarp (Crete) is due to the large lithologic difference between the hanging and footwall. The sizable late- ral variations of the fault plane exposure point to an erosional rather than tectonic origin of the scarp. a) b) C. Bartolini 255 La casistica è assai vasta e non sintetizzabile in questa sede. Ci limitiamo a citare qualche esempio. Ancora quando i lavori della Carta Neotettonica erano ancora in corso, Brancaccio et al. (1979) analiz- zarono l’applicazione del modello di Lehmann ai ver- santi di faglia dell’Appennino meridionale, concludendo che è “molto difficile valutare la velocità di arretramento di un versante e risalire all’età della faglia che lo ha determinato sulla base di criteri esclusivamente geo- morfologici”. Relativamente alla cosiddetta “età della faglia”, pervenne invece a risultati inco- raggianti qualche anno dopo Nash (1986) che tuttavia opera- va in un contesto assai più favo- revole: l’evoluzione erosiva delle scarpate di faglia che interessa- no le superfici di conoidi alluvio- nali. Venne pubblicato alcuni anni dopo il fondamentale contributo di Brancaccio et al. (1986) relati- vo agli “Elementi morfostruttura- li ereditati nel paesaggio dell’Appennino Centro-meridio- nale”, nel quale si afferma la possibilità che “elementi morfo- strutturali ascrivibili al periodo della tettogenesi si trasmettano al paesaggio odierno senza subire dei modellamenti erosio- nali tali ”da conferir loro “una maturità che ne denunci l’età”. Più recentemente, anche Ascione e Cinque (1995) hanno potuto accertare che gran parte delle morfostrutture associate a faglie sono dovute ad erosione selettiva. A scala di catena, invece, il condizionamento geodinamico del rilievo appenninico è stato recentemente messo in eviden- za da Salustri Galli et al. (2001). La non coincidenza fra cime più alte e spartiacque appenninico ha trovato una convincente risposta, almeno nei suoi termini generali, 75 anni dopo che era stato evidenziato da Marinelli. Nel 1993 Carraro ha sintetiz- zato la sua ventennale esperien- za in materia delineando i criteri utilizzabili per evidenziare l’evo- luzione recente di faglie. Negli esempi presentati da questo autore, lo strumento ”morfotet- tonica” appare in molti casi inu- tilizzabile se non in stretta siner- gia con valutazioni geologico- strutturali. Di fatto, a partire dagli anni ’90, l’attività recente delle faglie viene principalmente valutata sulla base delle defor- mazioni indotte nei depositi ad esse associati. Studi di dettaglio condotti su trincee in Appennino meridiona- Fig. 7 - La deflessione del corso d’acqua può essere dovuta sia a cause tettoniche (il corso d’acqua subisce la trascorrenza della Faglia di San Andreas) che morfoselettive (utilizza la traccia della faglia per superare l’ostacolo e riprendere la direzione originaria del delusso) oppure ad una combinazione di cause. Foto C. Bosi. .The dextral deflection of the stream may be due to tectonics (the stream is deflected by the dextral slip of the San Andreas Fault), to differential erosion (the stream follows the fault line in order to be able to overcome the obstacle and then resume its former trend downhill) or to a concurrence of the two causes. Fig. 6 -Alcune delle forme ritenute indicative di attività recente della faglia (es.: scarpate e ano- malie del reticolo) possono prodursi anche per erosione selettiva. Da Keller, 1986. A few features reported as indicative of recent fault activity (e.g. scarps and drainage anoma- lies) can be produced also by differential erosion. From Keller (1986). La morfotettonica ed i suoi limiti ... 256 le hanno rivelato tassi di attività generalmente maggiori di quanto l’analisi morfologica di superficie avrebbe potuto evidenziare (es. Ascione e Cinque, 1997). Se in alcuni casi tale discrepanza può essere imputata al diverso ambito cronologico cui i due metodi di indagine fanno riferimento, e al fatto che i ritmi del- l’attività tettonica non sono costanti, più in generale il divario dovrebbe ricordarci che le evidenze morfologi- che dell’attività tettonica recente sono condizionate, in misura diversa e solo parzialmente quantificabile, dal- l’intensità dei processi erosivi. Questi dipendono da fattori climatici, che cono- sciamo sommariamente nelle loro caratteristiche medie ma rispetto ai quali ignoriamo la dimensione e la caden- za degli eventi estremi - così importanti nella morfoge- nesi - e da fattori litologici che crediamo di conoscere ma di cui, per lo più, ignoriamo perfino i termini del pro- blema. Prova ne siano le affermazioni del tipo “…si esclude che si tratti di erosione selettiva, dato che l’ele- mento morfotettonico in discussione è situato nella zona di affioramento di un’unica formazione” che non di rado compaiono sulle riviste specialistiche. 5. CONCLUSIONE RETROSPETTIVA Gli approfondimenti metodologici e quindi cono- scitivi cui si è pervenuti in questi ultimi anni portano a ritenere che una Carta Neotettonica d’Italia realizzata adesso avrebbe un aspetto assai diverso da quella pubblicata nel 1984 anche, ma non solo, per la matura- zione di idee che ha riguardato i metodi della morfotet- tonica. Non è il caso, però, di rinnegare il passato: è stata proprio l’esperienza scaturita da quel Progetto a stimolare una maturazione di idee che è oggi in buona parte compiuta. Almeno così a noi sembra. 6. PROSPETTIVE Vi sono alcuni metodi propri della morfotettonica che sono stati assai poco utilizzati nel nostro Paese. Pensiamo per esempio allo studio delle “unpaired strath terraces” in grado di fornire una prova dell’ec- cesso di capacità erosiva del corso d’acqua in rapporto al tasso di sollevamento regionale, che si traduce in erosione laterale (Merritts et al., 1994). Il riconoscimen- to di questo tipo di terrazzi fluviali consente anche una “salutare” riflessione sul fatto che, essendo asimmetri- camente posizionati (“unpaired”) sui due lati della valle, i terrazzi fluviali non corrispondono a fasi differenziate nel tempo, come generalmente ci accontentiamo di credere, sono invece il risultato di un processo relativa- mente continuo di incisione ed erosione laterale (cfr. Fig. 1 in Santangelo, 2003). In questo ambito, la crono- logia radiometrica dei terrazzi costituisce un indispen- sabile strumento di indagine. L’impiego degli isotopi radiogenici ha aperto, da questo punto di vista, nuove interessanti prospettive. Anche lo studio dei dislivelli fra sistemi carsici ipo- gei e livello di base attuale (Piccini et al., 2001 e Piccini e Drysdale, 2003) attende di essere applicato in nume- rosi massicci calcarei del nostro Paese. Lo stesso vale per la possibilità di riconoscere situazioni di sollevamento differenziale in base all’analisi dell’evoluzione del pattern idrografico (Bartolini e Fazzuoli, 1997, Bartolini e Peccerillo, 2002, Figg. 6.1.4 – 6.1.7). In termini generali, i modelli di evoluzione del rilie- vo basati sull’integrazione di dati geodinamici, morfo- tettonici e morfoclimatici sono l’obiettivo più alto cui la nostra disciplina può contribuire. Si tratta di avere l’u- miltà e la pazienza di mettere in discussione le proprie idee con colleghi di diversa formazione, uscendo dalla autoreferenzialità che ancora caratterizza molti studi di morfotettonica. Lo schema pubblicato da Santangelo (2003) costituisce un esauriente ed aggiornato pro-memoria. Attenzione, però. Quasi tutti gli indicatori geomorfologi- ci elencati possono avere anche una causa non tettoni- ca, generalmente di tipo morfoselettivo. Ma forse è proprio questa sua intrinseca ambi- guità a rendere il metodo intrigante. LAVORI CITATI Anderson T.C. (1977) - Compound faceted spurs and recurrent movement in the Wasatch Fault zone, north central Utah. Brigham Young Univ. Geol. Stud., 24, 83-101. Ascione A. & Cinque A. (1995) - L’età della tettonica tra- scorrente nell’Appennino campano: il contributo dell’analisi geomorfologica. St. Geol. Camerti, Vol. Sp., 1995/2. Bartolini C. & Fazzuoli M. (1997) - Ruolo della tettonica e della morfoselezione nell'evoluzione dell'idrogra- fia nel Bacino del F. Serchio. Il Quaternario, 10, 415 - 424. Bartolini C. e Peccerillo A. (2002) - I fattori geologici dell- e forme del rilievo. Lezioni di geomorfologia strut- turale. II Ed. Pitagora Editrice Bologna, 216 pp. Bartolini C. & Pranzini G. (1979) - Dati preliminari sulla neotettonica dei fogli 97 (S. 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