©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 2) Clinical Management Issues 3 Fabrizio Pane 1 La leucemia mieloide cronica dopo 10 anni di terapia con inibitori di tirosin chinasi La leucemia mieloide cronica (LMC) ha da sempre costituito un modello nello studio delle malattie neoplastiche per il profondo impatto che le recenti acquisizioni, prima di patogenesi molecolare e poi di terapia mirata a uno specifico bersaglio molecolare, hanno avuto nello sviluppo della moderna oncologia. Sono passati circa 160 anni da quando il termine leucemia fu coniato da John Hughes Bennet (“Case of Hypertro- phy of the Spleen and Liver in which Death Took Place from Suppuration of the Blood”, Edinburgh Medical Journal, 1845) per indi- care questa patologia la cui caratteristica fondamentale emergeva come lo spiccato aumento dei globuli bianchi del sangue e la splenomegalia. La storia moderna di questa malattia comincia però più di 100 anni dopo, con la scoperta del cromosoma Philadelphia (Ph), descritto inizialmente come un piccolo cromosoma 22 da Nowel e Hungerford, a Philadelphia per l’appunto, nel 1960. A quei tempi l’origine genetica dei tumori era per lo più misconosciuta, e la scoperta del cro- mosoma Philadelphia era la prima evidenza della presenza in cellule tumorali umane di una ben caratterizzata anomalia cromoso- mica. Ci vollero poi circa 13 anni per capire che il piccolo cromosoma anomalo, costan- temente presente nelle cellule dei pazienti, derivava da una traslocazione, cioè lo scam- bio reciproco di un pezzo di cromosoma tra i cromosomi 9 e 22, e un’altra decade perché i ricercatori dimostrassero che, per effetto della traslocazione, due geni normalmente posti su cromosomi differenti, il 9 e il 22 per l’appunto, si fondessero sul cromosoma Philadelphia dando origine a un gene ibrido, il gene BCR/ABL. Poco tempo dopo però fu evidenziato il ruolo centrale della tirosin chinasi ABL, costitutivamente attivata per effetto della traslocazione cromosomica, come evento patogenetico fondamentale per la trasformazione cellulare sia in vitro sia in modelli murini. Nel 1990, infatti, Daley e collaboratori generarono un modello di topo transgenico in cui il gene di fusione BCR/ ABL si dimostrava necessario e sufficiente a indurre una malattia neoplastica simile alla LMC. Questi studi fornirono quindi il razionale per l’uso farmacologico di inibi- tori della proteina oncogenica BCR/ABL nel trattamento della LMC e quindi allo sviluppo clinico da parte di Brian Druker di imatinib, il primo farmaco a bersaglio molecolare intracellulare a essere utilizzato nella terapia dei tumori umani. Imatinib ha radicalmente modificato lo scenario terapeutico della LMC. Fino a 10 anni fa c’erano infatti solo poche opzioni terapeutiche: il trapianto allogenico di cel- lule staminali da donatore consanguineo o, sempre più frequentemente, da donatore compatibile non familiare, costituiva l’unica scelta terapeutica curativa, che tuttavia era applicabile solo ai pazienti più giovani, in buone condizioni cliniche e con un donatore compatibile, e cioè in non più del 30% dei casi, mentre gli altri pazienti venivano preva- lentemente trattati con interferone-alfa, nel- la consapevolezza però che solo una mino- ranza di loro avrebbero avuto delle risposte complete durature al trattamento e sarebbero diventati dei lungo-sopravviventi. Al giorno d’oggi i pazienti con LMC sono trattati in tutti i Paesi più sviluppati con ima- Editoriale 1 Direttore A.F. Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, Università di Napoli Federico II Corresponding author Prof. Fabrizio Pane fabpane@unina.it Disclosure Supplemento realizzato con il contributo di Novartis S.p.A. ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 2)4 Editoriale tinib, farmaco somministrato per via orale che si è dimostrato in grado di controllare la malattia inducendo la remissione completa ematologica praticamente in tutti i casi dopo poche settimane di trattamento. Il tratta- mento è efficace nel tempo: nei casi in cui la terapia è iniziata in fase cronica precoce, le risposte citogenetiche complete sono più del 70% dopo un anno di trattamento e la per- centuale continua ad aumentare nel tempo, tanto che dopo 7 anni di trattamento le ri- sposte citogenetiche complete sono superiori all’85%. È inoltre importante notare che le risposte al farmaco sono durature: il 97% dei pazienti che ottiene la risposta citogenetica completa dopo 12 mesi di trattamento rima- ne libero da progressione della malattia dopo altri 6 anni di terapia. Inoltre quasi il 100% dei pazienti in cui il trattamento riduce la massa leucemica residua di più di tre loga- ritmi dopo 18 mesi si mantiene in risposta completa e priva di progressione a un follow- up di 7 anni. Il trattamento con imatinib ha dimostrato inoltre elevata efficacia anche nei pazienti che erano in trattamento con altri farmaci, come interferone-alfa o idrossiurea, e iniziavano la terapia in fase cronica tardi- va. Quasi la metà di questi pazienti ottiene la risposta citogenetica completa dopo un anno di trattamento e la risposta appare, anche in questo caso, duratura nel tempo. Il trattamento è inoltre molto ben tollerato, tuttavia l’assunzione del farmaco è da conti- nuare in modo indefinito anche nei pazienti in remissione citogenetica completa e, sebbe- ne disponiamo in questo momento solo dei dati del monitoraggio a medio termine degli effetti della terapia, solo il 10% dei pazienti deve abbandonare la assunzione del farmaco per effetti collaterali gravi. Questi dati indicano che è possibile cu- rare, anche se probabilmente non guarire, con una terapia orale basata su un singolo farmaco, imatinib, una elevata percentuale di pazienti affetti da LMC, una malattia che fino al decennio scorso si concludeva ine- vitabilmente con la trasformazione in crisi blastica. Pertanto, la maggior parte dei me- dici che curano la LMC è passato dall’idea di una malattia la cui gravità giustificava il rischio di un trapianto di cellule staminali allogeniche a quello di una malattia cronica che può essere controllata per lunghi periodi con una terapia orale che provoca in genere effetti collaterali di scarso rilievo rispetto a quelli che ogni ematologo che tratta pato- logie neoplastiche è abituato a fronteggiare. Tuttavia bisogna sottolineare che la gestione del paziente con LMC è in realtà complessa e solo la attenta valutazione e monitoraggio dell’efficacia e degli effetti del trattamento garantisce un risultato ottimale della terapia. Una frazione non piccola dei pazienti può mostrare una resistenza primaria o seconda- ria al trattamento con imatinib, e anche gli effetti collaterali vanno prontamente ricono- sciuti e affrontati. I dati del monitoraggio a lungo termine dello studio IRIS indicano infatti che solo il 60% circa dei pazienti con LMC che hanno iniziato il trattamento della malattia con imatinib è in risposta citoge- netica completa continuando il trattamento con questo farmaco. Alcuni dei meccanismi legati all’insorgen- za della resistenza al trattamento sono stati identificati e descritti in dettaglio negli ul- timi anni. Particolare interesse ha destato la possibilità di identificare mutazioni a livello del sito catalitico dell’oncoproteina BCR/ ABL nelle cellule leucemiche dei pazienti resistenti al trattamento. In questi pazienti la presenza della mutazione determina una modificazione sterica del sito catalitico ti- rosin chinasi che previene la possibilità di legame di imatinib al sito catalitico stesso. In tal modo la terapia perde del tutto o quasi del tutto la sua efficacia. Sono state descritte almeno 60 mutazioni differenti di ABL che modificano in modo differente la sensibilità della malattia alla terapia con imatinib. In tal senso, la recente introduzione in speri- mentazione clinica e poi in commercio di inibitori di tirosin chinasi di seconda gene- razione, come nilotinib o dasatinib, ha una grande rilevanza clinica. Questi inibitori, infatti, sono stati disegnati e sviluppati in modo da potersi adattare al legame con il sito catalitico di ABL mutato e sono inoltre dotati di potenza verso il bersaglio biologi- co molto maggiore di imatinib. Anche nel caso dei nuovi inibitori, il disegno razionale della molecola basato sui dati della patoge- nesi molecolare e sulla conoscenza dei nuovi meccanismi di resistenza descritti per imati- nib, si è tradotto in una elevatissima efficacia clinica. Nilotinib ha dimostrato, in studi di fase II, di essere in grado di indurre una ri- sposta citogenetica completa in circa la metà dei pazienti resistenti al trattamento con imatinib, e che la risposta viene mantenuta nel tempo dalla maggior parte dei pazienti. Ulteriori studi, ancor più recenti, hanno poi dimostrato che i nuovi inibitori potranno aver un ancor maggiore potenziale terapeu- tico se utilizzati in prima linea nei pazienti in fase cronica precoce. ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 2) 5 F. Pane Parallelamente all’evoluzione del tratta- mento sono stati progressivamente intro- dotti nella pratica clinica nuovi sofisticati strumenti di indagine che consentono di valutare in modo estremamente preciso gli effetti del trattamento, come ad esempio tracciare le variazioni quantitative della massa leucemica con grande sensibilità o identificare la presenza delle mutazioni del sito catalitico; pertanto, all’analisi citogene- tica, che conserva ancor oggi un indubbio valore come marcatore surrogato di soprav- vivenza, si possono associare oggi tecniche che offrono possibili vantaggi aggiuntivi come la FISH, la RQ-PCR, una tecnica molecolare, basata sulla reazione di PCR, che consente di misurare la riduzione del- le cellule leucemiche fino a 4-5 logaritmi, l’analisi delle mutazioni del sito catalitico di ABL e anche il dosaggio dei livelli pla- smatici dei farmaci ad azione inibitoria delle tirosin chinasi impiegati nel trattamento della LMC. L’appropriato utilizzo di que- ste tecnologie e la corretta interpretazione della risposta clinica al trattamento sono quindi di importanza cruciale per valutare appieno l’effetto della terapia e riconoscere i pazienti in cui il trattamento non ha un’ef- ficacia ottimale e che sono quindi candida- ti ad alternative terapeutiche attualmente possibili per la già ricordata possibilità di adottare, in seconda linea terapeutica, far- maci di grande efficacia come gli inibitori della tirosin chinasi di seconda generazio- ne. Pertanto, questa raccolta di casi clinici rappresenta uno strumento di approfondi- mento professionale dedicato a tutti i me- dici e gli operatori del settore ematologico che si trovano impegnati o si avvicinano al trattamento dei pazienti con LMC. Attra- verso lo strumento del caso clinico, infatti, ematologi con consolidata esperienza nel trattamento della LMC illustrano e discu- tono alcune delle problematiche con cui è possibile doversi confrontare nel trattamen- to di questa malattia e le strategie diagno- stiche e terapeutiche più idonee per gestire tali problematiche.