©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 5) Clinical Management Issues 3 Antonella Gozzini 1 Uno sguardo al paziente sub-ottimale nell’era dei TKI Nel mondo della leucemia mieloide croni- ca (LMC) imatinib continua pienamente a rinnovare l’entusiasmo di 10 anni fa: infatti, i risultati dello studio IRIS aggiornati ad 8 anni [1] riportano una sopravvivenza globale (OS) dell’85% e una sopravvivenza libera da progressione (PFS) del 92%, confermando anche per l’ottavo anno di osservazione una percentuale di evoluzione in FA/CB estre- mamente bassa (0,4%). Dopo l’iniziale stupore dei dati di efficacia di imatinib gli sforzi si sono concentrati per individuare i pazienti resistenti e per otti- mizzare le strategie terapeutiche. Sappiamo dallo studio IRIS che una percentuale dal 15 al 25% dei casi mostrava una resistenza cito- genetica primaria a 18 mesi di terapia, con una percentuale di resistenza secondaria dal 7 al 15%. Una recente analisi pubblicata da Lavallade e coll. [2] stima che la possibilità di un individuo in trattamento con imatinib da 5 anni dalla diagnosi di mantenere la ri- sposta citogenetica completa sia del 63%, anche se tale valore può essere sottostimato da un certo numero di pazienti che hanno interrotto la terapia nonostante avessero ot- tenuto una risposta. Sappiamo bene che la ragione del succes- so terapeutico nella LMC risiede nel “target molecolare” e nella possibilità di utilizzare terapie “selettive”. La disponibilità di nuove molecole che riescano a bersagliare anche i meccanismi di resistenza sono in continua espansione. Si conoscono dei meccanismi di resisten- za che sono dipendenti da BCR-ABL stes- so come l’amplificazione oncogenica delle proteine e l’insorgenza di mutazioni del sito di legame con imatinib. Nonostante il nu- mero di mutazioni puntiformi individuate continui a crescere, il loro impatto clinico è estremamente variabile tra i singoli pazienti e raramente vi è una correlazione con la so- pravvivenza.  Nicolini [3] ha dimostrato una diminuzione della PFS e OS per solo quei pazienti con mutazioni del p-loop e per quelli con alterazioni T315I. Chu e coll. [4] hanno invece identificato mutazioni nei progeni- tori LMC in 7 su 8 pazienti in fase cronica con incremento del trascritto, dimostrando soltanto in 2 pazienti una progressione di malattia confermando che non tutte le mu- tazioni sono clinicamente significative (dati presentati all’ASH 2009, New Orleans). Tra i meccanismi di resistenza BCR- ABL indipendenti esistono numerosi studi volti all’analisi dei fenomeni che regolano l’efflusso di farmaco, l’uptake intracellulare, il legame e la concentrazione plasmatica del farmaco. Mahon e coll. [5] hanno di- mostrato un incremento nell’espressione delle P-glicoproteine (Pgp) della pompa di efflusso in cellule di pazienti in crisi blasti- ca che avevano incrementato il dosaggio di imatinib. Questi fenomeni sono ancora og- getto di studio e ci sono pareri discordan- ti sull’attribuire loro una rilevanza clinica. Anche studi sul polimorfismo multi-drug resistance sono molto attivi per individuare caratteristiche biologiche che possano indi- viduare i pazienti rispondenti da quelli non rispondenti a imatinib. Per capire invece se la concentrazione plasmatica di imatinib correli con la rispo- sta sono necessarie ancora validazioni; al momento non esistono dati prospettici sul- Editoriale 1 Divisione di Ematologia, AUO Careggi, Firenze Corresponding author Dott.ssa Antonella Gozzini antonella.gozzini@unifi.it Disclosure Supplemento realizzato con il contributo di Novartis S.p.A. ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 5)4 Editoriale la intensificazione di dose di imatinib per i pazienti con livello sub-ottimale plasmatico di farmaco. I pazienti che falliscono imatinib dovreb- bero essere analizzati sia per la compliance sia per l’eventuale presenza di mutazioni pun- tiformi ed essere considerati per un cambio di atteggiamento terapeutico. Le opzioni a nostra disposizione sono l’incremento di dose, il cambio di inibitore o un trapianto allogenico. Se siamo di f ronte ad una resistenza, magari dovuta ad una esposizione sub te- rapeutica di imatinib, potremmo tentare di “bypassare” la resistenza con un incremento del dosaggio di farmaco. Ci sono almeno 4 studi clinici [6-9] che valutano l’efficacia di alte dosi di imatinib (600-800 mg/die) in pa- zienti non trattati in fase cronica, ma soltan- to uno [7] ha dimostrato un miglioramento sulla sopravvivenza libera da trasformazione rispetto ad un gruppo di controllo. Jabbour [10] riporta a 3 anni una Event Free Survival (EFS) del 47% e una OS del 76% in 84 pazienti resistenti a imatinib trat- tati con dosi elevate di imatinib con un 40% di CCyR e un 30% di pazienti che mante- neva una CCyR a 5 anni di follow-up. A oggi, avendo a disposizione TKI di seconda generazione che mostrano dati più che in- coraggianti, la strada della dose escalation è da ritenersi destinata per specifici setting di pazienti, ricordando che la decisione tera- peutica ottimale deve basarsi su un accurato studio del fenomeno di resistenza. In particolare nilotinib appare colpire se- lettivamente la conformazione inattiva di Abl e con un’attività più alta. L’aggiorna- mento dei dati a 24 mesi di trattamento con nilotinib in pazienti resistenti a imatinib su 226 pazienti presentato all’ASH 2009 da Kantarjan [11] dell’MD Anderson Cancer Center di Houston riporta un 41% di rispo- ste citogenetiche complete. Questo dato sale al 58% se vengono considerati i pazienti che avevano già una risposta ematologica com- pleta prima di cominciare il trattamento con nilotinib in seconda linea. Un ulteriore dato è il raggiungimento della risposta molecolare maggiore nel 58% dei pazienti che avevano una risposta citogenetica completa e una ematologica. L’OS a 24 mesi è del 87%. Risultati simili sono stati presentati anche sulla vasta popolazione dello studio ENACT [12], 1.793 pazienti resistenti (tutte le fasi) e intolleranti trattati con nilotinib in II linea. Interessanti sono stati i dati presentati sugli anziani > 65 anni, che non mostrano alcuna differenza per quanto riguarda l’outcome o la safety rispetto alla popolazione giovane in corso di trattamento con nilotinib. Nel nostro supplemento troviamo la de- scrizione di quattro casi clinici di pazienti affetti da LMC che abbiano poi sviluppato resistenza a imatinib. La dottoressa Luciano, dell’Ematologia dell’Università Federico II di Napoli, ripor- ta un caso di un giovane paziente affetto da LMC in Early Chronic Phase con basso ri- schio Sokal trattato con imatinib dose stan- dard, in risposta sub-ottimale a 18 mesi per non raggiungimento della Major Molecular Response (MMolR) secondo le linee guida ELN 2006, pur essendo in risposta citogene- tica completa (CCyR) dal sesto mese di tera- pia. Dopo un’analisi mutazionale che rivela la presenza della mutazione L248V, il paziente inizia il trattamento con nilotinib 400 mg/ bid ottenendo a 3 mesi di terapia una risposta molecolare maggiore (ratio 0,1%). Anche il caso descritto dal dottor Breccia del Policlinico Umberto I, Università la Sa- pienza di Roma, riporta il caso di un giovane paziente affetto da LMC in fase cronica trat- tato con imatinib a dose standard in risposta sub-ottimale a 6 mesi e diventato successiva- mente resistente a 12 mesi per non raggiun- gimento della risposta citogenetica parziale (< PCyR secondo le linee guida ELN). Due consecutive analisi mutazionali del dominio chinasico di BCR-ABL non hanno eviden- ziato la presenza di mutazioni puntiformi e ripetuti dosaggi plasmatici di imatinib non hanno documentato una “concentrazione inadeguata” di farmaco sebbene non vi sia ad oggi alcuna evidenza clinica che una bassa concentrazione plasmatica di imatinib possa correlare con una inefficacia terapeutica. Questi due casi clinici ci introducono nella “zona grigia” dei pazienti sub-ottimali, per i quali la decisione terapeutica non ha specifi- che linee guida da seguire. Di questi pazienti sappiamo che devono essere strettamente sorvegliati perché il loro destino potrebbe essere quello di essere slow-responders e di diventare ottimali oppure quello di diven- tare resistenti. Dopo 10 anni di imatinib sappiamo che la risposta molecolare ha avuto negli anni momenti molto contraddittori ma che rap- presenta comunque un end-point importan- tissimo nella storia della malattia impattando sull’outcome a lungo termine. È stato am- piamente descritto come il raggiungimen- to della MMolR si associ ad una EFS a 12 mesi del 90% rispetto ad un rate del 60% per ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 5) 5 A. Gozzini coloro che non la raggiungono. Tale dato è confermato a 18 mesi con EFS del 95% per i pazienti in risposta ottimale secondo le li- nee guida ELN rispetto al 60% dei pazienti sub-ottimali [13]. Sappiamo anche dai dati generati in questi 10 anni come il raggiun- gimento di una MMolR si associ ad una più lunga durata di una CCyR e a una maggiore PFS [14]. In questi due casi descritti l’applicazione dei criteri ELN (European LeukemiaNet) riesce ad evidenziare categorie di pazienti distinte per le quali un cambio della strate- gia ha prodotto un successo terapeutico. In uno dei due casi descritti l’incremento del dosaggio di imatinib non ha prodotto alcu- na modifica della risposta. I dati presenti in letteratura su questo specifico atteggiamen- to terapeutico sono scarsi e in particolare vi sono segnalazioni su casistiche esigue di nes- sun vantaggio in termini di raggiungimento della MMolR per pazienti in risposta sub- ottimale molecolare con la dose escalation di imatinib [15-16]. Un lavoro pubblicato da Quintas-Car- dama su Blood nel 2009 [17], citato nel dettaglio nella discussione del caso clinico del dottor Breccia, dimostra come su una casistica di 258 pazienti non in risposta ci- togenetica la probabilità di raggiungimento della CCyR decresce, mentre aumenta la probabilità di progredire ad ogni singolo time-point di 3, 6 e 12 mesi. È interessante notare come i pazienti che a 12 mesi non hanno raggiunto una CCyR abbiano un alto rischio di progressione e come tali pos- sono essere buoni candidati per uno switch terapeutico pur essendo di fatto considerati sub-ottimali per le linee guida ELN. A que- sto proposito il gruppo del dottor Alvarado del MDACC di Houston ha recentemente pubblicato (Cancer, 2009) come i pazienti in risposta sub-ottimale a 6 mesi abbiano un EFS e un TFS (Transforming Free Survival) simili ai failure, mentre a 12 e 18 mesi la TFS dei pazienti sub-ottimali è sovrapponibile a quella degli ottimali [18]. I dati prodotti dal gruppo GIMEMA su una ampia casistica di 423 pazienti individua nei pazienti sub- ottimali una significativa riduzione del rate di EFS e FFS (Failure Free Survival) sia a 6 che a 12 mesi rispetto ai pazienti in risposta ottimale [19]. Nel caso descritto dalla dottoressa Russo Rossi di Bari viene riportata la storia di una giovane donna di 30 anni affetta da LMC- CP, trattata con imatinib a dose standard in risposta sub-ottimale a 16 mesi per non raggiungimento di una MMolR e ricorrenza di tossicità ematologica con la comparsa di una anomalia citogenetica aggiuntiva (+8) nel clone Ph- in assenza di mutazioni pun- tiformi del dominio chinasico BCR-ABL. Alla paziente viene consigliato lo switch a TKI di seconda generazione, precocemente rispetto alle raccomandazioni ELN, con ot- tenimento dopo 3 mesi di terapia con niloti- nib 400 mg/bid, della MMolR e della CCyR con scomparsa della trisomia 8 precedente- mente riscontrata. È interessante segnalare come il trattamento con nilotinib in questo specifico caso clinico non abbia provocato una tossicità midollare come quella osservata durante il trattamento con imatinib e abbia rapidamente realizzato una clearance delle alterazioni cromosomiche aggiuntive come ad indicare una efficacia profonda a livello della cellula staminale. La relazione della dottoressa Tomaselli di Palermo ci illustra invece il particolare caso di un giovane paziente diabetico affetto da LMC-CP che, a causa di un raro effetto collaterale (emorragia vitrea) di grado 3 do- vuto al trattamento con imatinib, sospende la terapia e perde la risposta citogenetica ot- tenuta a 6 mesi. L’introduzione di nilotinib 400 mg/bid riporta il paziente in CCyR e rapidamente in MMolR. A 18 mesi dall’ini- zio del trattamento con nilotinib il paziente è in risposta ottimale con un buon compenso della glicemia e senza particolare variazione della terapia antidiabetica in atto. Nuovi e stimolanti dati dell’utilizzo di TKI di seconda generazione in prima linea dimostrano una velocità di raggiungimento della risposta molecolare sorprendente che ci spinge a pensare che nel prossimo futuro il raggiungimento della risposta moleco- lare sarà l ’end-point primario della terapia con TKI. A più di 10 anni dall’introduzione di ima- tinib nello scenario della LMC abbiamo as- sistito a una vera e propria rivoluzione tera- peutica. In particolare gli sforzi sono rivolti nella identificazione dei pazienti a rischio di progressione alla diagnosi, nella scelta della migliore terapia front-line per questi e nella identificazione di strategie terapeutiche della leucemia mieloide. Il mondo della mieloide cronica è cam- biato radicalmente negli ultimi 10 anni e continuerà a farlo con la speranza di otte- nere la terapia adeguata per la totalità dei pazienti. ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2010; 4(Suppl. 5)6 Editoriale BIBLIOGRAFIA 1. 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