©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 2) 59 Clinical Management Issues agli arti inferiori, dolore dorso-lombare più accentuato nonostante la terapia medica e la febbre persistente. A marzo veniva rico- verata in neurochirurgia, dopo accesso in DEA per evoluzione verso paraplegia flac- cida degli arti inferiori con livello di ane- stesia tattile/dolorifica in sede D6; non era evidente rigor o confusione, e non lamentava dolore addominale di tipo colico. Agli esami ematici si evidenziavano: leuco- citosi neutrofila (globuli bianchi = 14.980/μl di cui 74% neutrofili), lieve anemia microcitica (Hb = 10,6 g/dl; MVC o volume corpusco- lare medio dei globuli rossi = 75 fl) e aumen- to netto degli indici infiammatori aspecifici (PCR o proteina C reattiva = 37,54 mg/dl; VES o velocità di eritrosedimentazione = 72 mm/ora). Il compenso glicemico era discreto ma non ottimale (glicemia = 225 mg/dl); gli ormoni tiroidei erano normali con il tratta- mento sostitutivo. In urgenza si eseguiva riso- nanza magnetica nucleare (RMN) con mezzo di contrasto [1] della colonna dorsale, che Caso ClInICo La paziente, cinquantacinquenne, da anni era in terapia insulinica per diabete mellito di tipo 2; all’anamnesi risultavano esiti di tiroidectomia per struma, pregresse coliche renali in nota calcolosi, anemia ipocromi- ca microcitica mai indagata, obesità e, nel 2006, diagnosi di tromboembolismo venoso dell’asse femoro-popliteo destro. In tale oc- casione lo screening trombofilico eseguito era risultato negativo, come quello tumo- rale. Al momento del ricovero la paziente non era in terapia anticoagulante orale o in terapia antiaggregante. Circa 2 mesi prima del ricovero, la donna lamentava febbricola e dolore dorsale ingravescente, ma sottosti- mato dalla stessa, che si automedicava con utilizzo di antinfiammatori non steroidei e steroidi (fino a 25 mg di prednisone al giorno). A febbraio 2010 la paziente av- vertiva la comparsa di netti segni e sintomi neurologici: ipostenia-ipoestesia progressive Corresponding author Dott.ssa Elisabetta Zoppis elisabettazoppis@tiscali.it Caso clinico abstract A woman suffering from type 2 diabetes mellitus was admitted, in April 2010, to the Internal Medicine Department for hyperpyrexia: then a diagnosis for spondylodiscitis D3- D4 (Staphylococcus aureus) was made. During these last months, we diagnosed sepsis due to Staphylococcus epidermidis and Escherichia coli, lung consolidation and critical respiratory failure of the 1st type, pulmonary infection due to Candida albicans, and anaemia of multifactorial origin. During PET examination the tracer was initially fixed on the dorsal side, after an antibiotic treatment just at the level of the large intestine’s walls. The diagnosis that explained the chronic anaemia, the spondylodiscitis and the recurring sepsis with pneumonia was made thanks to the colonscopy and the calprotectin increase: Crohn disease in relative activity. Keywords: spondylodiscitis, Crohn disease, sepsis A hidden pathology: Crohn disease CMI 2011; 5(Suppl 2): 59-64 1 S.C. Medicina Interna II, Ospedale Maggiore della Carità, Novara Elisabetta Zoppis 1 Una patologia nascosta: il morbo di Crohn ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 2)60 Una patologia nascosta: il morbo di Crohn estendeva a sinistra verso lo spazio pleurico, espressione di un’ampia formazione similci- stica (Figure 1 e 2). La RMN permetteva di porre diagnosi di focolaio spondilodiscitico D3-D4 con asces- so esteso a manicotto perivertebrale, epi- durale e pleurico. La biopsia TAC-guidata (Figura 3) venne effettuata sia come atto te- rapeutico (detensione della raccolta purulen- ta) sia diagnostico, con prelievo di materiale paravertebrale e pleurico a sinistra. La coltura dell’essudato risultava positi- va per Staphylococcus aureus, il batterio più comunemente implicato nella genesi della spondilodiscite in almeno il 35-40% dei casi [1] e veniva avviata antibiotico-terapia con teicoplanina 600 mg/die, poi rifampicina 600 mg/die + levofloxacina 500 mg, secon- do l’antibiogramma disponibile e conside- rando anche le linee guida del trattamento delle spondilodisciti [1] che prediligono questa scelta di farmaci. A completamento diagnostico e per la sua successiva utilità nel follow-up terapeutico, venne richiesta FDG PET (tomografia a emissione di positroni con 2-fluoro-2-desossi-D-glucosio) [2], che offre il vantaggio di verificare l’efficacia della terapia stessa. La PET confermava la presenza di un’area infiammatoria a livello di D3-D4 e di aree di accumulo aspecifico meno intenso nella regione sigma/ano-retto. I neurochirurghi non ponevano indicazione alla stabilizzazione chirurgica della lesione, per deficit neurologico consolidato da tempo e per la presenza di paziente clinicamente compromessa: allettamento, obesità, posi- zionamento di catetere venoso centrale per nutrizione parenterale, dovuta anche al ri- fiuto della paziente all’alimentazione e per la terapia cronica con oppioidi, atta a limitare il dolore neuropatico toraco-addominale. In aprile la paziente veniva trasferita in Medicina Interna per iperpiressia: la ra- diografia del torace, l’ecografia dell’addome superiore/inferiore e l’urinocoltura erano negativi per la determinazione di sedi di infiammazione. Per la ricerca di focolai in- fettivi oltre a quello vertebrale, consideran- do le pluripatologie della paziente, si ese- guiva un’ecocardiografia, risultata negativa per vegetazioni valvolari, e tre emocolture con rimozione del catetere venoso centra- le (CVC), normofunzionante ma con cute sovrastante lievemente arrossata. Si eviden- ziava positività per Staphylococcus epidermi- dis ed Escherichia coli, produttore esteso di beta-lattamasi.Veniva perciò modificata la terapia antibiotica sempre secondo l’antibio- dimostrava assenza del disco intervertebrale con lesione osteolitica dei somi di D3 e D4, (ipodensità del corpo vertebrale in T1 (tempo di rilassamento della magnetizzazione che ri- torna sul piano longitudinale), iperdensità T2 (tempo di rilassamento della magnetizzazione che ritorna sul piano trasversale), STIR TSE Figura 1 Risonanza magnetica nucleare (RMN) della colonna dorsale con mezzo di contrasto: è possibile notare l ’ipodensità del corpo vertebrale in T1 Figura 2 La risonanza magnetica nucleare (RMN) con mezzo di contrasto consentiva di evidenziare l ’iperdensità in T2 (Short-Tau Inversion Recovery Turbo Spin Echo) espressione di elevato contenuto liquido come nelle sedi flogistiche, alterazione del segnale midollare e cancellazione degli spazi subarac- noidei perimidollari. Si associava manicotto di tessuto paravertebrale iperdenso, che si ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 2) 61 E. Zoppis cola. L’anemia era talmente marcata da ri- chiedere emotrasfusioni, ma si collocava in un contesto clinico silente dal punto di vista del dolore addominale (sezione midollare D3-D4) o dell’emorragia acuta. Il profilo marziale evidenziava anemia microcitica sideropenica con una relativa riduzione delle riserve marziali: Hb = 7,7 g/dl; MCV = 70 fl; PCR = 15 mg/dl; WBC = 13.800/μl; sideremia = 13 μg/dl; ferritina non drasticamente ridotta (200 ng/ml), che abbiamo considerato frutto di un probabile disturbo infiammatorio associato a carenza marziale, anche per la presenza di sangue occulto in tre campioni di feci. Alla PET (in programma come controllo a sei mesi dal- la diagnosi) il tracciante veniva fissato non più in sede dorsale, ma solo a livello delle pareti dell’intestino crasso, che appariva al- lungato oltre la norma. In base a questi dati emato-strumentali, venivano richiesti esami endoscopici (gastroscopia e colonscopia) e la determinazione di calprotectina (risultata positiva con un valore di 72 g/kg). Le lesioni tipiche riscontrate alla colonscopia prima e all’istologia della biopsia della mucosa co- lica poi, hanno permesso di diagnosticare morbo di Crohn in fase di moderata attività. L’attività della malattia cronica intestinale è stata valutata da quadro endoscopico sta- dio 2 con edema della mucosa, perdita del pattern vascolare, erosioni e fragilità e da quadro clinico (febbre, calo ponderale) e di laboratorio (anemia e flogosi). DIsCUssIone Nella paziente in esame le lesioni coli- che determinate dalla malattia cronica in- gramma, avviando piperacillina-tazobactam 4,5 g × 3/die e mantenendo teicoplanina 600 mg/die come prosieguo della terapia della spondilodiscite (indicazione secondo linee guida a un trattamento ev per almeno 6-9 settimane) [3]. A un mese della diagnosi di spondilodi- scite e per la presenza della nuova sepsi, gli indici di flogosi, monitorizzati, rimanevano elevati. Dopo un relativo miglioramento del- le condizioni cliniche, a maggio compariva improvvisamente un episodio di insufficien- za respiratoria acuta di tipo I: per l’alletta- mento protratto, la paraplegia, le pregresse infezioni e la pregressa trombosi venosa profonda (TEV ), inizialmente ci si orientava per un episodio di tromboembolismo acuto e veniva eseguito ecocolordoppler venoso degli arti inferiori, con evidenza di parziale trombosi della femorale destra (ma non era dirimente circa un recente evento e l’esito della pregressa TEV ) e si eseguiva angio- TAC del torace, che escludeva tromboem- bolia polmonare acuta (TEPA), ma mostrava un addensamento polmonare paracardiaco destro. Le emocolture effettuate in seguito erano positive per Proteus mirabilis, mentre la coltura dell’escreato risultava negativa. Si decideva di effettuare un controllo con RMN della colonna dorsale, sia per valutare l’efficacia dell’antibioticoterapia sulla spon- dilodiscite, sia come follow-up terapeutico a tre mesi dalla diagnosi e dall’avvio delle terapia antibiotica [4,5]. L’esame strumen- tale non mostrava infezione in atto ma la scomparsa del soma di D3, senza alterazio- ni di segnale, compatibile con risoluzione dell’infezione localizzata al rachide. Oltre ad antibioticoterapia mirata verso Proteus mirabilis (amikacina 1 g/die), si sostituiva enoxaparina, somministrata come profilassi medica della TEV/TEPA, con fondaparinux 7,5 mg/die sc per il trattamento della TEV, e si posizionavano calze a compressione di 18 mmHg. L’anticoagulante orale non era considerato indicato per la politerapia anti- biotica e la verosimile difficoltà a mantenere l’INR nel range terapeutico. Nuovamente, dopo un periodo di relativo benessere, a luglio 2010 assistevamo a un’altra infezione con comparsa di polmonite lobare basale destra. Le emocolture, l’escreato delle colture e la coltura CVC erano compatibili con la diagnosi di sepsi da Candida albicans, trattata con fluconazolo (400 mg/die ev) per 14 giorni. A settembre 2010, dopo guarigione dall’infezione fungina, ricompariva febbri- Figura 3 La biopsia TAC- guidata: è possibile notare il tragitto dell ’ago bioptico che penetra nell ’ascesso paravertebrale e pleurico sinistro ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 2)62 Una patologia nascosta: il morbo di Crohn Sono inderogabili e di aiuto per l’antibioti- coterapia mirata le emocolture e la coltura di materiale bioptico/chirurgico. Il microbo maggiormente implicato nell’infezione è lo Staphylococcus aureus; nell’elenco sottostante sono indicati i patogeni causanti le spondi- lodisciti e la loro percentuale di riscontro. y Staphylococcus aureus meticillino-resistente 35-40%; y Escherichia coli 23%; y Pseudomonas aeruginosa 5%; y Proteus mirabilis 3%; y Streptococcus sanguis 8%; y Streptococcus agalactiae 5%; y Candida; y Mycobacterium tuberculosis; y Brucella. L’infezione ha origine da cute e tessuti molli (12%), dispositivi intravascolari (3%), infezioni con diffusione ematogena (15%), ferite infette (12%), artrite settica (12%) e causa ignota (48%) [6]. Gli esami strumentali per la diagnosi di spondilodiscite con più elevata specificità e sensibilità sono la risonanza magnetica con mezzo di contrasto e la FDG PET. Il gold standard per l’imaging rimane la RMN con gadolinio per le sue elevate sensibilità (96%) e specificità (94%), per la capacità di rilevare le alterazioni di segnale sia a livello midol- lare sia osseo, e anche quelle delle strutture adiacenti. Risulta poi l’esame principe per il follow-up terapeutico, che dalla letteratura viene modulato con la tempistica a tempo 0 (alla diagnosi), dopo tre e sei mesi di terapia antibiotica (M0-3-6) [4]. Esistono alcuni studi clinici che confutano tale utilizzo, sostenendo che le anomalie radiologiche spesso persistono anche nei pazienti in cui si osservano ottimo andamento clinico e risposta biologica all’antibiotico-terapia [7]. La FDG PET sta diventando l’esame radiologico in sostituzione della RMN con mdc per alcune caratteristiche radiologiche e cliniche non riscontrabili nel precedente: bassa esposizione alle radiazioni, più ele- vata sensibilità (100%) e capacità della va- lutazione dell’attività infiammatoria nella sede della lesione. Quest’ultimo dato può essere utile nella valutazione dell’efficacia della terapia. È invece di scarsa utilità per la diagnosi differenziale tra le infezioni e le neoplasie. Anche la PET è indicata da alcuni Autori come esame per il follow-up terapeutico (M0-6-12) [2]. La radiografia della colonna e la scintigrafia con leucoci- testinale possono essere la sede dei focolai emboligeni settici determinanti le sepsi recidivanti, come i numerosi episodi di polmoniti, e giustifica l’origine della stessa spondilodiscite. Infatti con l’avvio di me- tilprednisolone 1 mg/kg/die, budesonide 9 mg/die, mesalazina 4,5 g/die [4] dopo poche settimane abbiamo riscontrato la risoluzione clinica della febbre e la nor- malizzazione degli esami di laboratorio. A ottobre 2010 i risultati degli esami ematolo- gici erano: WBC = 6.480/μl; neutrofili (N) = 41%; Hb = 13 g/dl; MCV = 86 fl; PCR = 0,44 mg/dl; VES = 10 mm/ora. La spondilodiscite è l’infezione primaria del disco intervertebrale con interessamen- to osseo (95% nel corpo vertebrale; 5% nei processi trasversi) e viene considerata una patologia rara. È sottostimata: a volte viene diagnosticata con un ritardo anche di 2-4 mesi dall’esordio subacuto, con possibili se- quele invalidanti e gravi. Negli anni ’80 l’incidenza era decisamen- te inferiore (5 casi/1.000.000 di abitanti all’anno), mentre attualmente si aggira in- torno a 2-20/1.000.000 abitanti all’anno. Il rapporto di incidenza tra i sessi è M : F = 3 : 1 ed esistono due picchi di età: nell’infanzia (in cui è maggiormente coinvolto il disco intervertebrale) e nella VI/VII decade. La mortalità è del 2% nei pazienti immu- nocompromessi. La recidiva è dello 0,7% a 5 anni. I fattori di rischio sono: l’età avanzata, la malnutrizione e l’obesità, gli immunode- ficit (congeniti/acquisiti), il diabete melli- to, lo stato settico, la presenza di cateteri vascolari e urinari, la terapia cronica con steroidi, l’artrite reumatoide, l’insufficien- za renale cronica, le epatopatie croniche, la recente chirurgia viscerale o vertebrale (discectomia), i politraumi e le malattie cardiovascolari croniche. La distribuzione anatomica vede alcune sedi maggiormente interessate: colonna lombare 60%, colonna dorsale 20%, colonna cervicale 15%, sede multifocale 5%. Per indirizzare la diagnosi, i segni più evidenti sono: deficit neurologici (radico- lopatie fino para/tetraplegia), ipoestesia- anestesia e vescica neurologica. I sintomi sono aspecifici e non sempre evidenziabili: febbre a 38 °C (25%), rigidità del rachide, dolore irradiato, anoressia, astenia, calo ponderale. Anche le alterazioni degli esami ematici sono molto poco patognomoniche e prevedono leucocitosi neutrofila, aumento della proteina C reattiva, della VES e del fibrinogeno anche in modo considerevole. ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 2) 63 E. Zoppis ConClUsIonI Il presente caso clinico è volto a illustra- re come spesso la diagnosi definitiva si ot- tenga dopo un lungo periodo costellato da complicanze, che possono essere fuorvianti. In questa paziente la causa dell’origine delle numerose infezioni, dell’anemia microcitica e sideropenica, della spondilodiscite e delle numerose polmoniti, viene in definitiva at- tribuita a una malattia infiammatoria cro- nica, il morbo di Crohn: le lesioni ulcerose coliche sono la sede dell’origine dei focolai emboligeni settici. Nell’ambito della flogosi sistemica, abbiamo approfondito l’argomento inerente alle spondilodisciti, in quanto ma- lattia rara, spesso sottostimata, sia per i segni e i sintomi inizialmente aspecifici, sia per il ritardo nell’esecuzione degli esami strumen- tali principi per la diagnosi finale: la RMN con mdc e la FDG PET. Tali sono gli esami di riferimento per porre diagnosi e secondo alcuni Autori, ma in modo discordante, anche per il follow-up terapeutico e la conseguente scelta della risoluzione o continuazione della terapia antibiotica. La stessa terapia antibio- tica, scelta empiricamente o con le indicazioni dettate dall’antibiogramma della coltura della lesione biopsiata, è volta alla risoluzione e alla guarigione o alla limitazione del danno neuro- logico, qualora coesistessero spondilodiscite e interessamento e sezione midollare. La terapia chirurgica è utilizzata per il debridement o se comparissero deficit neurologici acuti o defor- mazioni, nonostante la terapia medica. DIsClosUre L’Autrice dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo. ti marcati o anticorpi marcati sono ormai esami strumentali in disuso come primo approccio diagnostico, a causa della bassa specificità (Rx = 57% e in aumento solo dopo due settimane dall’esordio clinico; scintigrafia = 91%), e bassa sensibilità (Rx = 82%; scintigrafia = 87%) rispetto ai prece- denti esami. Inoltre la radiografia standard della colonna non è in grado di differenziare l’iniziale lesione flogistica con la spondilo- artrosi. L’utilizzo della scintigrafia rimane una valida alternativa nei pazienti che non possono essere sottoposti a RMN (porta- tori di pacemaker o di defibrillatori cardiaci impiantabili) [1]. La terapia delle spondilodisciti può es- sere di tipo conservativo-medico o di tipo chirurgico. La terapia conservativa pre- vede l’utilizzo di antibiotici secondo le indicazioni dell’antibiogramma ottenuto dalla coltura della lesione oppure antibio- tici somministrati con metodo empirico e secondo la letteratura [1] utilizzando le- vofloxacina 500 mg/die + rifampicina 600 mg/die, oppure teicoplanina 600 mg/die in associazione con rifampicina 600 mg/die, e anche vancomicina 500 mg per 4 volte/die + rifampicina. La somministrazione sarà endovenosa per le prime 4-8 settimane, se- guite poi da un trattamento per os per altre 6 settimane [1]. La terapia chirurgica, qualora non vi siano danni midollari irreversibili, prevede la stabilizzazione vertebrale con placche di titanio [8] nei casi selezionati di defi- cit neurologici acuti (radiculopatia, cauda equina, para/tetraplegia) e nel trattamento delle conseguenti deformazioni, se si veri- fica il fallimento della terapia conservativa. Inoltre la chirurgia interviene per il debri- dement della sede di infezione. 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Follow-up MR imaging in patients with pyogenic spine infections: lack of 6. correlation with clinical features. Am J Neuroradiol 2007; 28: 693-9 Zarrouk V, Feydy A, Sallès F, Dufour V, Guigui P, Redondo A et al. Imaging does not predict 7. the clinical outcome of bacterial vertebral osteomyelitis. Rheumatology 2007; 46: 292-5 Robinson Y, Tschoeke SK, Finke T, Kayser R, Ertel W, Heyde CE. Successful treatment of 8. spondylodiscitis using titanium Cages. Acta Orthopaedica 2008; 79: 660-4