3 Clinical Management Issues tazioni ha determinato il fallimento della terapia nei trials di seconda linea, ma fortu- natamente la resistenza non è overlapping, tranne che per la T315I. Infatti è noto che le mutazioni V299L, T315A e F3177L/V/I/C sono sensibili a nilotinib, mentre la Y253H, E255K/V e F359V/C/I sono sensibili a da- satinib [3]. Ad esempio, tra i contributi pubblicati sul presente supplemento, il caso della dottores- sa Iovine evidenzia l’ottima efficacia terapeu- tica di nilotinib con ottenimento di rispo- sta ottimale in una paziente con mutazione F317L. È quindi opportuno, in presenza di mutazioni, adottare la giusta terapia, anche perché non dobbiamo dimenticare che le mutazioni sono segno di instabilità gene- tica del clone che rappresenta la base della progressione della malattia. È possibile inoltre che le mutazioni, oltre ad essere “drivers resistance”, possano coo- perare con altri meccanismi o essere, come dicevamo, delle “innocent bystanders” [3]. Per questo motivo è importante conoscere il tipo di mutazione per adottare la terapia migliore. Luigia Luciano 1 Resistenza e/o intolleranza: ancora una chance! Editoriale 1 U.O. Ematologia, Università degli Studi di Napoli Federico II Corresponding author lulucian@unina.it Gli inibitori di seconda generazione rap- presentano un ulteriore passo avanti nella terapia della leucemia mieloide cronica. Essi infatti hanno mostrato una notevole efficacia anche nei pazienti resistenti o intolleranti a imatinib, oltre che in prima linea. Le linee guida del ELN [1], aggiornate nel 2009, hanno ulteriormente affinato i criteri di risposta alla terapia con imatinib dei pa- zienti affetti da leucemia mieloide cronica (LMC) in modo da poter determinare pre- cocemente la risposta ottimale, garanzia del migliore outcome possibile. La resistenza a imatinib però rappresenta, a tutt’oggi, ancora un problema per i pazien- ti affetti da LMC [2]. Come sappiamo, i meccanismi di resistenza sono molteplici (Tabella I), ma di sicuro il più studiato è quello legato alla presenza di mutazioni di BCR/ABL. In genere le mutazioni non sono indotte, bensì selezionate dagli inibitori di tirosin chinasi (TKI). Attualmente sono co- nosciute più di 90 mutazioni, alcune più frequenti di altre, che spaziano fra i vari do- mini di BCR/ABL e che conferiscono gra- di variabili di resistenza a imatinib. È im- portante quindi rispettare i timing delle raccomandazioni ELN proprio per cogliere in tempo l’eventuale presenza di mutazioni e trattare quindi opportunamente i pazien- ti [3]. Ricordiamo che la ricerca delle muta- zioni deve essere effettuata ogni qualvolta ci si trovi in presenza di perdita di risposta sia ematologica sia citogenetica sia molecolare, oltre che in tutti i casi di fallimento della terapia [3]. Anche per gli inibitori di seconda gene- razione la presenza o l’emergenza di mu- Biodisponibilità del farmaco Interazione con il target y Mutazioni di BCR/ABL y Gene amplification Imatinib transporters (OCT1, ABCB1, ABCG2) Attivazioni oncogeniche addizionali o alternative (SRC, LYN, HCK, ACA…) “Compliance” alla terapia Combinazioni dei vari meccanismi Tabella I. Cause di resistenza a imatinib Disclosure Supplemento realizzato con il contributo di Novartis S.p.A. 4 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 5) Editoriale Le mutazioni però non rappresentano l’unico meccanismo di resistenza Come riportato nella Tabella I, le cause di resistenza sono molteplici e rendono ragione di quei casi in cui vi è il fallimento della te- rapia senza presenza di mutazioni, come nel caso della dottoressa Russo in cui il paziente perde l’iniziale risposta ottimale, con addirit- tura fallimento del trattamento con imatinib, senza però evidenza di mutazioni. Come sottolineato, uno degli aspetti cru- ciali è rappresentato dalla biodisponibilità del farmaco che, nel caso di imatinib, può essere documentato attraverso il Blood Le- vel Test che misura la quantità di imatinib disponibile. Sempre nel caso della dottoressa Russo vediamo come il dosaggio appare ai limiti bassi della norma per cui, giustamen- te, il dosaggio di imatinib viene aumentato. La difficoltà però della terapia con alte dosi di imatinib risiede nella tollerabilità a lun- go termine, per cui, spesso, il beneficio viene perso per la necessità di ridurre o sospende- re il trattamento. Il paziente infatti, dopo la buona risposta iniziale alle alte dosi, spesso è costretto a sospendere il trattamento per tos- sicità. A questo punto quindi il paziente può passare a nilotinib, che in genere determina la risposta ottimale in pochi mesi, senza mo- strare tossicità crociata con imatinib Un altro aspetto particolare è rappresenta- to dai pazienti in risposta sub-ottimale che costituiscono la cosiddetta “zona grigia” del trattamento con TKI [4]. Dai dati di lettera- tura si evince che le risposte ottimali precoci correlano con una più alta Progression-Free Survival (PFS) e, dal punto di vista mole- colare, con un precoce raggiungimento della risposta molecolare cosiddetta completa, che rappresenta un passo importante probabil- mente verso la guarigione [5]. Il caso della dottoressa Sassolini documenta come un paziente in risposta sub-ottimale migliora la risposta molecolare sino a raggiungere la risposta molecolare completa dopo lo switch a nilotinib. Di nuovo quindi si ripropone la risposta sub-ottimale. Questo è un subset di pazienti che, come suggerito dalle raccoman- dazioni ELN, rappresentano, come abbiamo già detto, la “zona grigia” tra il fallimento e la risposta ottimale. Questa condizione è transitoria, potendo quindi evolvere in ma- niera differente. Anche in questi pazienti comunque è opportuno valutare la presen- za di mutazioni, in particolare nelle risposte sub-ottimali citogenetiche, per evidenziare eventuali cloni emergenti. L’analisi dei pazienti in risposta sub-otti- male ha documentato come essi rappresen- tino nel tempo dei potenziali fallimenti al trattamento. Infatti, nell’analisi di Cortes e il suo gruppo [4], i pazienti in risposta sub- ottimale a 6 mesi avevano una significativa minore possibilità di ottenere la risposta ci- togenetica completa rispetto ai pazienti in ri- sposta ottimale, con una Event-Free Survival (EFS) e una Transformation-Free Survival (TFS) simile ai pazienti in fallimento. A 12 mesi la TFS era simile a quella dei pazienti in risposta ottimale, ma con peggiore EFS. A 18 mesi invece l’outcome di questi pazienti era sovrapponibile a quello dei pazienti in risposta ottimale. Il gruppo GIMEMA ha presentato all’ASH del 2009 [6] i dati dei pazienti sub-ottimali degli studi italiani. In questa analisi i pazienti in risposta sub-ottimale a 6 e 12 mesi presentano una probabilità di ottenere una risposta completa citogenetica e molecolare maggiore significativamente inferiore ai pazienti in risposta ottimale, con significativa minore EFS, dato che conferma i risultati del protocollo IRIS nello stesso subset di pazienti [5]. È noto infatti che il tempo di raggiungi- mento della risposta citogenetica completa influenza significativamente il rischio di pro- gressione di malattia [7]. Di qui la necessità di cambiare inibitore, adoperando quindi un inibitore di seconda generazione che ha la capacità di ottenere risposte rapide e profon- de anche in questo tipo di pazienti [8]. Nello studio ENACT, che valutava l’efficacia e la tollerabilità di nilotinib nei pazienti affetti da LMC resistenti e/o intolleranti a imati- nib, il subset di pazienti in risposta citoge- netica sub-ottimale arruolati ha mostrato il raggiungimento della risposta ottimale dopo circa 4 mesi [9]. Fra le varie cause di resistenza è da sotto- lineare anche la compliance del paziente al trattamento, che rappresenta conseguenza diretta della tollerabilità. Come sappiamo, gli effetti collaterali dei TKI sono legati prevalentemente ai loro ef- fetti off target [10]. Infatti la tossicità ema- tologica sarebbe legata all’inibizione di c-Kit che sappiamo intervenire lungo tutta la linea maturativa ematopoietica. Ancora, l’edema periorbitario legato a imatinib è stato impu- tato all’inibizione del PDGF beta con conse- guente alterata permeabilità vascolare. È noto anche come la presenza di effetti collaterali possa condizionare l’efficacia dei TKI [11]. In particolare, sappiamo come eventi avversi, anche se di basso grado, ma ricorrenti o persistenti, possono indurre il paziente a sospendere o ridurre la dose di 5 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2011; 5(Suppl 5) L. Luciano farmaco arbitrariamente, soprattutto quando questi interferiscono con la vita quotidiana, compromettendone quindi l’efficacia. Vari reports hanno sottolineato nel tempo questi aspetti [12,13], tanto che Jabbour nel 2010 [14] suggerisce di considerare l’intolleranza come una vera e propria diagnosi definita come la presenza di effetti collaterali che persistono, nonostante la terapia di suppor- to, e che, secondo il parere del medico e del paziente, compromettono la qualità di vita in misura tale da giustificare il cambio di inibitore.. È importante sottolineare che la quali- tà di vita del paziente rappresenta oggi un argomento molto importante. Infatti, una volta che abbiamo ottenuto una sopravvi- venza globale nei pazienti affetti da LMC del 90%, come documentato dagli ultimi ag- giornamenti dello studio IRIS, è opportuno assicurare ad essi anche una buona qualità di vita. Nello studio italiano coordinato dal GIMEMA, è stato interessante notare come per i pazienti sia importante la loro percezio- ne di stato di salute, oltre che la limitazione al loro quotidiano inteso come percezione di stato di salute e stato emozionale. Le catego- rie che più risentono di questo aspetto sono i pazienti giovani e le donne [15]. Gli aspetti relativi alla qualità di vita si riflettono soprattutto nella compliance al trattamento e influiscono quindi sull’effica- cia tessa del trattamento. Infatti Marin [16] ha sottolineato come, nei pazienti affetti da LMC, un’aderenza al trattamento inferiore al 90% (che significa la mancata assunzione di circa 4 giorni di terapia al mese) correli con una minore significativa efficacia del trattamento, intesa come minore MMR (risposta molecolare maggiore) a 6 anni. Anche in questo studio, i pazienti giovani e con effetti collaterali si sono mostrati meno aderenti al trattamento. L’attenzione al follow-up dei pazienti af- fetti da LMC deve essere quindi costante e continua, attenta sia agli aspetti stretta- mente clinici, con il monitoraggio preciso secondo le raccomandazioni ELN, sia agli aspetti di qualità di vita, valutando corret- tamente gli effetti collaterali per garantire una buona compliance al trattamento. Tutti i nostri sforzi devono pertanto essere rivolti a ottenere e mantenere la risposta migliore possibile. Gli inibitori di seconda generazione, gra- zie alla loro capacità di determinare risposte rapide e profonde, rappresentano di conse- guenza un supporto valido anche in seconda linea di trattamento nei pazienti resistenti e/o intolleranti a imatinib, favorendo un ottimo outcome a lungo termine anche in questo tipo di pazienti. BIBLIOGRAFIA 1. Baccarani M, Cortes J, Pane F, Niederwieser D, Saglio G, Apperley J, et al. Chronic myeloid leukemia : an update of concepts and management recommendations of European Leukemia Net. 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Luigia Luciano 1 Efficacia di nilotinib in un giovane paziente affetto da LMC ad alto rischio Sokal in fallimento terapeutico dopo imatinib ad alte dosi Sabina Russo 1, Giuseppa Penna 1, Arianna D’Angelo 1, Alessandro Allegra 1, Andrea Alonci 1, Caterina Musolino 1 Caso clinico Efficacia di nilotinib in un paziente in risposta non ottimale dopo terapia con imatinib a fronte di una ridotta compliance al nuovo farmaco Francesca Sassolini 1 Caso clinico Risposta molecolare completa indotta da nilotinib come terza linea di terapia in paziente affetta da leucemia mieloide cronica con mutazione F317L del dominio chinasico di bcr/abl Maria Iovine 1, Mario Troiano 1, Giuseppe Monaco 1, Antonio Abbadessa 1 Caso clinico Efficacia di nilotinib nel trattamento della LMC in fase cronica tardiva intollerante a imatinib e resistente a dasatinib Emilio Usala 1