Clinical Management Issues 2010; 4(1) ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 3 Stefano Ciatto 1 Sovradiagnosi e sovratrattamento nello screening oncologico Indubbiamente la sovradiagnosi (diagnosi di carcinomi indolenti, spontaneamente non destinati a divenire sintomatici) è inevitabile nello screening oncologico. La sua rilevanza dipende da diverse condizioni: la prevalenza di cancri indolenti, l’anticipazione diagno- stica (lead time) e l’aggressività dello scree- ning, l’aspettativa di vita in funzione della fascia di età. Il sovratrattamento (trattamento delle le- sioni sovradiagnosticate) accompagna quasi sempre la sovradiagnosi, sia per l’impossibi- lità di identificare i singoli casi di carcinoma indolente da sottoporre a sola sorveglianza (lo stadio iniziale e un pattern non aggressivo possono suggerire l’indolenza ma sono anche marker di diagnosi precoce, atta a ridurre la mortalità), sia per la limitata aggressività delle terapie, accettabile in funzione del be- neficio dello screening. Sovradiagnosi e sovratrattamento assu- mono importanza diversa in funzione della neoplasia oggetto di screening e questo me- rita una breve riflessione, anche alla luce di opinioni allarmistiche o trionfalistiche che di tanto in tanto fanno capolino creando solamente confusione. Che la sovradiagnosi e il sovratrattamento sarebbero stati un grave problema era preve- dibile per il carcinoma prostatico, per le mol- te condizioni favorenti. Studi autoptici mo- stravano elevata prevalenza di carcinoma la- tente (30-80% in soggetti deceduti per altra causa [1]). Il lead time è stimato nell’ordine di 10-12 anni [2]. Il PSA, test di screening, alterato nel 12-15% degli esaminati, indica la biopsia multipla della prostata, ideale per la diagnosi casuale di neoplasie latenti [3]. L’età media di screening (65 anni) è associata a un’aspettativa di vita di 15 anni (dati ita- liani), simile al lead time. La sovradiagnosi è stimata almeno al 50% o superiore, a se- conda dell’aggressività dello screening [2,4]. In assenza di screening organizzato il poco efficiente screening spontaneo ha causato una vera “epidemia” di carcinoma in tutto il mondo occidentale. Negli USA l’inciden- za è più che raddoppiata, con un picco nel 1992 e trend analoghi sono stati osservati in molti Paesi (Australia, Svezia) e anche in Italia. Ad esempio a Firenze, dove lo scree- ning spontaneo non esisteva prima del 1990 e la biopsia si è limitata al 15-20% dei casi con indicazione [5], l’incidenza nei maschi di ≥ 55 anni è passata dal 97,9 (x 100.000) nel 1985 al 297,9 nel 2005 (+ 204%), con un chiaro trend dal 1990 [6]. L’aumento di incidenza è stato tale da far percepire su- bito il rischio di sovratrattamento. Si sono sperimentate alternative attendistiche (ad esempio watchful waiting) e attualmente la sorveglianza attiva (active surveillance) è co- munemente adottata nei CP a presentazione più favorevole (tipicamente nei casi T1-2; Gleason < 7; PSA < 10). Tale atteggiamen- to conservativo è purtroppo poco impiega- to nell’Europa del Sud (Italia compresa) e dell’Est e il sovratrattamento è ancora un enorme ostacolo alla raccomandazione dello screening di popolazione: pur nella eviden- za di efficacia (studio ERSPC = riduzione di mortalità del 20% [3]), gli effetti negativi della sovradiagnosi e soprattutto del sovra- trattamento comportano un bilancio sfavo- revole in termini di qualità di vita. Il carcinoma mammario è un’altra storia. Studi autoptici [7] hanno dimostrato preva- lenza assai inferiore di carcinoma invasivo e Editoriale 1 Consulente Screening Mammografico ASL 20 Verona, P.O. Marzana Corresponding author Dott. Stefano Ciatto. ASL 20 Verona, P.O. Marzana. Piazza R. Lambranzi 1, 37142 Marzana (VR) stefano.ciatto@gmail.com Clinical Management Issues 2010; 4(1) ©SEEd Tutti i diritti riservati 4 Editoriale in situ (rispettivamente 1,3% e 8,9%). L’anti- cipazione diagnostica della mammografia è stimata intorno a 2-3 anni [8,9]. Il tasso di biopsie (percutanee o chirurgiche) in scree- ning è al massimo del 2-3% [9]. L’età media di screening è 60 anni e l’aspettativa di vita mediamente di 20 anni (dati italiani). Le stime di sovradiagnosi, in base ai trial rando- mizzati (Gothenburg e Two Counties = 1% [10]; NBSS I (Canada) = 14% [11]; NBSS II = 11% [11]; Edinburgh = 13% [11]) e a screening “di servizio” (Firenze = 0-13% [12- 13]) sono abbastanza rassicuranti e non si è mai sostenuto che la sovradiagnosi potesse compensare negativamente i benefici dello screening, che infatti viene comunemente raccomandato dalla CE [14]. Con lo scre- ening non si è verificata alcuna “epidemia” di carcinoma mammario: ad esempio in Firenze, con copertura totale dal 1990, l’in- cidenza (50-69enni) è salita da 178,2 nel 1985 a 279,0 nel 2005 (+ 56%, assai meno del + 204% osservato per il carcinoma pro- statico), con un trend sostanzialmente stabile [6]. Trend analogo è stato osservato in molti altri Paesi occidentali dopo l’implementa- zione di un programma nazionale. In realtà c’è qualche voce contraria, in particolare di alcuni Autori scandinavi che sostengono una sovradiagnosi molto più elevata, fino al 30-40% [15] e che lo screening possa fare “più male che bene”. Questi studi sono stati fortemente criticati dalla comunità scientifi- ca per l’inadeguatezza del disegno statistico (ad esempio mancato aggiustamento per lead time e dubbia comparabilità delle aree geografiche a confronto) e non sono risul- tati convincenti. Il sovratrattamento è la regola nei casi di carcinoma mammario sovradiagnosticati: nessuno propone la sorveglianza dei carci- nomi iniziali o in situ perché non si dispone di indicatori affidabili per l’identificazione delle neoplasie indolenti, perché il deciso shift verso stadi iniziali alla diagnosi è alla base della efficacia dello screening, e infine perché il trattamento sempre più conserva- tivo adottato riduce l’impatto negativo del sovratrattamento. Consapevoli però dell’esi- stenza di un certo grado di sovradiagnosi e sovratrattamento, monitoriamo la terapia adottata [16] per identificare procedure troppo aggressive (ad esempio mastectomia vs chirurgia conservativa, chirurgia ascellare nei carcinomi in situ). La sovradiagnosi di carcinoma invasivi è teoricamente possibile nello screening del carcinoma della cervice uterina (ad esempio è sostenibile che un carcinoma cervicale sta- dio Ia in una donna di 65 anni al suo primo Pap test sia sovradiagnosticato), ma di fatto ogni eccesso da sovradiagnosi viene cancel- lato dalla grossolana riduzione di incidenza dovuta alla bonifica delle displasie cervica- li, il reale meccanismo per cui lo screening è efficace, ben evidente i tutti i Paesi dove lo screening è adottato da oltre 30 anni. La facile comunicazione alla donna della in- nocuità di queste lesioni una volta trattate rende minimo l’impatto psicologico della consapevolezza di malattia, comune invece in caso di carcinoma invasivo. Il sovratrattamento invece è realtà impor- tante, anche se riguarda lesioni precancerose (carcinoma in situ e displasie gravi). Nono- stante poche di queste lesioni siano desti- nate a evolvere in carcinoma, l’impossibilità di identificarle e la limitata invasività della terapia (conizzazione, resezione con ansa, spesso ambulatoriali o in day hospital e con restitutio ad integrum dell’anatomia) rendono accettabile una quota di sovratrattamento probabilmente attorno al 70-80%. Caso abbastanza analogo è quello dello screening del carcinoma colorettale. Anche qui non si può escludere la sovradiagnosi di forme indolenti, ma anche questo è cancel- lato dalla diminuzione di incidenza conse- guente alla bonifica delle lesioni precance- rose (adenomi). Tale bonifica è importante sia per lo screening endoscopico, anch’esso raccomandato ma di limitata diffusione [17] per la bassa rispondenza della popolazio- ne, sia per il test del sangue occulto fecale (SOF), comunemente adottato: questo, ri- petuto ogni 2 anni, consente la diagnosi di un numero di adenomi avanzati addirittura superiore all’endoscopia. Poca sovradiagnosi, quindi, ma certamen- te sovratrattamento, anche in questo caso di lesioni precancerose di cui poche sarebbero progredite fino a carcinoma ma che vengono trattate sia per la limitatezza delle terapie che per la notevole efficacia dello screening: la bonifica degli adenomi è spesso eseguita per via endoscopica ambulatoriale e i pochi casi di resezione limitata intestinale non hanno in genere sequele rilevanti. Riassumendo, sovradiagnosi e sovratrat- tamento, sia pure presenti in misura non trascurabile, non giustificano dubbi sulla convenienza dei tre screening attualmente in atto nella CE e in Italia. I benefici dal- lo screening con mammografia, Pap test e SOF superano di gran lunga gli effetti ne- gativi di sovradiagnosi e sovratrattamento, Clinical Management Issues 2010; 4(1) ©SEEd Tutti i diritti riservati 5 S. Ciatto al momento inevitabili. Il fenomeno deve però essere monitorato per verificare ecces- si, legati per lo più a protocolli di screening e trattamento inadeguati. Sovradiagnosi e sovratrattamento, invece, sono importanti al punto di controindicare lo screening di popolazione per il carcinoma prostatico. Nonostante l’evidenza di efficacia [3], il ca- rico in casi sovradiagnosticati e sovratrattati (48 per ogni vita salvata nello studio ER- SPC) è inaccettabile. È peraltro possibile che il monitoraggio dello studio ERSPC (nel tempo il succitato rapporto 48:1 do- vrebbe calare perché i carcinomi clinica- mente significativi diagnosticati precoce- mente nel braccio di screening compaiono successivamente nel braccio di controllo) e la diffusione di scelte di sorveglianza attiva possano modificare il bilancio costi/bene- fici nei prossimi anni. BIBlIografIa Holund B. Latent prostatic cancer in a consecutive autopsy series. 1. 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