Clinical Management Issues 2008; 2(3) ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 99 Enzo Ballatori 1 Incertezza in medicina Fu Ippocrate a cogliere per primo l’im- portanza dell’incertezza in medicina [1]. Ma tra l’incertezza della medicina ippocratica e quella della medicina contemporanea passa un abisso di conoscenze. I progressi nel campo delle scienze di base hanno eroso in modo sostanziale il terreno dell’incertezza, senza tuttavia lasciarne pre- supporre la scomparsa. Il guadagno, in termini di minore incertezza, è stato ottenuto soprat- tutto con l’affinamento delle capacità dia- gnostiche che hanno consentito di connotare sempre più esattamente le malattie e, quindi, di predisporre terapie sempre più mirate. L’incertezza accomuna tutti i campi della scienza medica. Infatti, seguendo la storia naturale della malattia [2], si può verifica- re che: tra gli esposti a un fattore di rischio, alcu- ni contraggono la malattia e altri no, e lo stesso avviene tra i non esposti. Anche ri- muovendo il fattore di rischio con un’azio- ne di prevenzione primaria, di norma la malattia non scompare; la diagnosi di malattia, come ogni altra in- ferenza induttiva1, è regolata dal teorema di Bayes, basato sulle probabilità condizio- nate. Le principali conseguenze sono: una diagnosi certa non esiste; l’errore è connaturato al processo dia- gnostico; quando un medico prescrive una terapia non può essere certo che proprio quella sia la migliore terapia per quel paziente. 1 Si compie un’inferenza induttiva (o induzione) quando dal particolare si tenta di risalire al generale, ovvero quando dal- l’effetto si cerca di individuare la causa che lo ha prodotto      Dalla ricerca clinica egli sa solo che quel- la terapia ha ottenuto risultati che pos- sono riprodursi in una vasta popolazione di pazienti. Inoltre, non va dimenticato che nella ricerca clinica la dimostrazione della superiorità di un nuovo trattamento rispetto alla terapia standard è ottenuta sempre su base probabilistica; nell’esperienza clinica c’è la consapevolez- za di quanto incerta sia la prognosi. L’incertezza origina dal fatto che la medi- cina si occupa di fenomeni che presentano variabilità nelle loro manifestazioni indivi- duali. La relazione di causalità tra due fe- nomeni, E (effetto) e C (causa), per cui C è condizione necessaria e sufficiente per E, è pertanto inapplicabile. Ad esempio, se l’esposizione a un fattore di rischio fosse la causa dell’insorgenza di una malattia M, tutti gli esposti – e nessuno dei non esposti – contrarrebbero M, ma dal- l’esperienza è noto che ciò non accade prati- camente mai. Si può comunque attribuire al fattore di rischio una sua capacità di produrre M, ovvero di facilitarne l’insorgenza; in tal caso il fattore è riconosciuto come una delle (cause) determinanti di malattia. Il rapporto tra il rischio di ammalarsi di un soggetto esposto e quello di un non esposto, noto come rischio relativo, valuta l’importanza del fattore nel determinismo della malattia. Esso misura la probabilità di ammalarsi di un esposto, posta uguale a 1 la probabilità di ammalarsi per un non esposto. Ad esempio, il fumatore ha un ri- schio relativo pari a 2 di andare incontro a un evento ischemico di circolo arterioso su base trombotica rispetto al non fumatore:  Editoriale 1 Unità di Statistica Medica, Dipartimento di Medicina Interna e Sanità Pubblica, Università degli Studi, L’Aquila Corresponding author Prof. Enzo Ballatori e.ballatori@alice.it Clinical Management Issues 2008; 2(3) ©SEEd Tutti i diritti riservati 100 Editoriale il fumo di per sé raddoppia la probabilità di contrarre una di tali patologie. Quindi, il fumo non è la causa dell’evento vascolare, ma è certamente importante nel facilitarne l’insorgenza. In sintesi, l’inapplicabilità del paradigma deterministico comporta che, in medicina, ogni forma di conoscenza ha sempre una dimensione statistica e che la pre-visione, ossia la visione anticipata del futuro, è ne- cessariamente su base probabilistica. Rientra nell’esperienza comune la varia- bilità delle osservazioni, siano esse misure o rilevazioni di un attributo. Ad esempio, un farmaco è efficace su alcuni pazienti ma non su altri; uno stesso farmaco è talora efficace su un paziente mentre in altre circostanze non lo è. Ciò che genera la variabilità delle osservazioni – che è alla base dell’incertezza in medicina – è soprattutto il fatto che la ri- sposta a un trattamento dipende non solo dal trattamento, ma anche dal soggetto, dove il termine “trattamento” assume un significato assai ampio non solo di terapia, ma anche di immagine diagnostica, di esposizione a un fattore di rischio, e così via. A scopi operativi, nel processo di acqui- sizione di conoscenze in campo medico si possono individuare almeno due fonti di variabilità: quella legata al caso (cioè all’er- rore accidentale) e quella dovuta a fattori sistematici (errori sistematici o bias). La prima è della stessa natura della va- riabilità delle misure ripetute di una stessa grandezza, comune a tutti i fenomeni fisici: le misure, in quanto esperimenti, non pos- sono essere ripetute nelle stesse condizioni, perché tra una misura e l’altra qualcosa ne- cessariamente muta. Gauss introdusse la curva normale per spiegare la variabilità accidentale. In tale modello, la deviazione standard, stimando quanto variano, in media, le misure per ef- fetto del caso, può essere interpretata come livello di imprecisione dello strumento di misura. Nella ricerca clinica, la risposta (cioè quel- lo che si osserva sul paziente al termine del trattamento) dipende, oltre che dalla terapia, anche dal paziente. La sintesi delle risposte (ad esempio, la percentuale di successi tera- peutici), determinata in un braccio di tratta- mento, dipende quindi dal fatto che ad essere osservati siano stati proprio quei pazienti e non altri. In altre parole, se ripetessimo lo studio con pazienti diversi, avremmo una risposta (media) diversa (una diversa per- centuale di successi). Per semplicità di esposizione, nel seguito si farà riferimento solo al caso di una risposta dicotomica (successo, insuccesso), per cui è la percentuale di successi a sintetizzarla in una pluralità di soggetti. Tuttavia, la logica del procedimento è applicabile ad ogni altra situazione (ad esempio, nel caso di una rispo- sta individuale quantitativa, la cui sintesi nel gruppo di soggetti osservato è la media). Se si riesce a fare in modo che i due gruppi sperimentali si rassomiglino rispetto a tutte le altre caratteristiche ad eccezione del trat- tamento, la differente efficacia delle terapie è riepilogata dalla differenza tra le percentuali di successi nei due bracci. Così, se si ripetes- se lo studio con altri pazienti, tale differenza varierebbe proprio perché diversi sarebbero i pazienti. Si formula allora l’ipotesi nulla di ugua- le efficacia dei trattamenti. Diventa quindi possibile calcolare, sotto l’ipotesi nulla, una misura della variabilità della differenza tra le percentuali di successi nei due gruppi dovuta al solo effetto del caso (cioè, al fatto che sono diversi i pazienti); tale differenza è detta “teorica” o “attesa”. Se la differenza osservata tra le percentuali di successi nei due gruppi (differenza empi- rica) è molto più alta di quella teorica (cioè attesa per il solo effetto del caso), allora, dato che i due gruppi si differenziano solo per il trattamento, tale eccesso può essere imputato alla diversa efficacia delle terapie. Se, viceversa, la differenza empirica è al- l’incirca uguale a quella teorica, non resta che accettare l’ipotesi (nulla) di uguale efficacia dei trattamenti, in quanto lo studio non è riuscito ad accumulare sufficienti evidenze per provare il contrario. La statistica fornisce quindi gli strumenti per il controllo dell’errore accidentale. Nella sperimentazione clinica, la variabili- tà dovuta a fattori sistematici si concretizza nella diversità dei gruppi a confronto, oltre che per il trattamento, anche per altre ca- ratteristiche osservabili (ad esempio, diversa struttura per sesso, età, stadio della malattia, ecc.). In questo caso, la logica del test sta- tistico sopra delineata non porta ad alcuna conclusione, in quanto la significatività del- la differenza tra le percentuali di successi potrebbe essere imputata alle diversità dei gruppi sperimentali e non alla differente ef- ficacia dei trattamenti. Le sperimentazioni cliniche controllate sono quelle in cui è previsto un “controllo” degli errori sistematici, condotto soprat- tutto mediante un opportuno piano degli Clinical Management Issues 2008; 2(3) ©SEEd Tutti i diritti riservati 101 E. Ballatori esperimenti, dettagliato nel disegno dello studio. Nelle sperimentazioni controllate l’opera- zione fondamentale è la randomizzazione, ossia l’allocazione rigorosamente casuale dei pazienti ai trattamenti. Anzitutto, la rando- mizzazione assicura un’ulteriore base logica al test statistico2. Inoltre, consente di forma- 2 Il “classico” test statistico adotta il “modello di popolazione” in quanto assume che i gruppi sperimentali siano campioni casuali estratti a sorte dalle rispettive popolazioni. La rando- mizzazione fornisce un base logica alternativa al “modello di popolazione”, detta appunto “modello di randomizzazione” da cui possono essere derivati test statistici che, nel caso del confronto tra percentuali, sono equivalenti a quelli ottenuti sulla base del modello di popolazione. Ciò è particolarmen- te importante perché difficilmente i gruppi sperimentali possono essere riguardati come campioni casuali e, quindi, la randomizzazione rassicura sulla correttezza del procedi- mento anche contro tale obiezione re, con alta probabilità, gruppi sperimentali simili tra loro rispetto a tutte le caratteristi- che, note o sconosciute, diverse dal tratta- mento; in tal modo, la differenza tra le per- centuali di successi, riscontrata significativa al test statistico, non può che essere attribuita alla diversa efficacia dei trattamenti. L’incertezza crea nella medicina scienti- fica una dimensione di complessità in più, ma non va ignorata né rifiutata: si tratta di ridurne i margini migliorando diagnostica e terapia nella consapevolezza che, per quanto possenti possano diventare le conoscenze di base, un residuo resterà sempre, o perché imperfetta è la mente dell’uomo nell’inve- stigazione dei fenomeni naturali, o perché la variabilità dei fenomeni è intrinseca alla natura stessa. BIBlIografIa 1. Di Benedetto V. Il medico e la malattia. Torino: Einaudi, 1986 2. Ballatori E. I fondamenti della medicina scientifica. Perugia: Galeno-Margiacchi Editore, 2006