Clinical Management Issues 2008; 2(2) ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 51 Ivana Nannini 1 La relazione medico di base-paziente migrato L’importanza di una comunicazione com- plessivamente “efficace” tra medico e pazien- te è un fatto che tutti considerano “evidente”. La capacità di relazionarsi in modo adeguato con il proprio assistito non include soltanto una comunicazione chiara, né unicamente l’ascolto delle esigenze specifiche espresse dal malato, né solo la raccolta anamnestica, essenziale per indirizzare il percorso dia- gnostico e terapeutico, ma implica anche la consapevolezza del fatto che si tratta di una relazione, appunto, non esente da dinamiche di potere, da aspettative reciproche, e che coinvolge due soggettività, due soggetti, di cui uno è portatore di una domanda di cura non sempre così chiaramente espressa. Questa relazione è cruciale per garantire quella che viene definita la compliance del paziente. La problematicità della relazione con il paziente diviene tanto più marcata nel momento in cui il medico si trova di fronte a cittadini provenienti da paesi extracomu- nitari, migrati, rifugiati, ecc, soggetti sempre più presenti nelle grandi città così come nei piccoli centri. La presenza dei migrati fa emergere nu- merose problematiche, non soltanto dal pun- to di vista sociale, ma anche in una prospet- tiva assistenziale, in ambito socio-sanitario; certamente, infatti, essi sono portatori di un disagio reale e psicologico, che non è ricon- ducibile solamente alla “nostalgia”. Alcuni dei problemi che il medico in- contra nella risposta al paziente migrato (o rifugiato, ecc) possono derivare dalla diffi- coltà complessiva di comunicazione con il paziente, intendendo con questo non soltan- to quelle dovute alla scarsa conoscenza della nostra lingua (che sovente questi pazienti, al contrario, padroneggiano piuttosto bene), ma anche quelle scaturite dai differenti co- dici espressivi e dalle diverse concezioni di salute e malattia. Può inoltre accadere che il medico si “av- vicini troppo” al paziente o che lo assecondi totalmente, cercando di soddisfare alla let- Editoriale 1 Psichiatra, ASL3, Torino Corresponding author Dott.ssa Ivana Nannini nannini.to@libero.it Alcuni fattori che influenzano la salute dei pazienti immigrati Problema della lingua Diverse abitudini alimentari Assenza di supporto familiare allargato, separazione dai figli, frammentazione del nucleo famigliare Clima diverso Degrado abitativo Difficoltà dell ’accesso ai servizi sanitari, specie nei centri non metropolitani Mancanza di lavoro e di reddito o sottoccupazione in lavori rischiosi e non tutelati Grande investimento emotivo nel progetto migratorio che si scontra con le difficoltà reali Aspettative economiche dei famigliari rimasti nel paese d ’origine Assimilazione massiva della cultura ospitante o atteggiamento troppo difensivo           Clinical Management Issues 2008; 2(2) ©SEEd Tutti i diritti riservati 52 Editoriale tera tutte le esigenze espresse, o immagina- te, del paziente, senza riuscire a conservare quella giusta distanza che consente una cor- retta relazione di cura. Così facendo, potreb- be anche accadere di trascurare alcune pa- tologie, poco comuni in Italia, ma frequenti nei paesi di origine. La complessità della relazione con que- sto paziente “altro”, diverso, può condurre, come risultato, a una scarsa compliance del malato ai trattamenti: infatti talvolta i sog- getti migrati “rispondono” non recandosi agli appuntamenti successivi alla prima visita o non eseguendo alcuni esami prescritti, in modo apparentemente incomprensibile per il medico italiano, il quale si trova spesso impreparato, o perplesso, con il dubbio di non avere gestito questi malati nel modo più adeguato. La descrizione di un caso esemplificativo può essere utile per chiarire questa com- plessità. La ConsuLtazIonE dI una sIgnora MaroCChIna prEsso IL proprIo MEdICo dI basE La signora A.F., 38 anni, di origine ma- rocchina, si reca presso il proprio medico di base (presso cui risulta regolarmente iscritta) a causa di gastropatie, coliche, dolori addo- minali e occasionale vomito mattutino, tutti sintomi di cui soffre da qualche tempo. Si prepara per questa visita fin dal mattino e si veste in modo tradizionale, cosa che di solito non fa quando svolge il suo lavoro di badante. Appena entrata in studio, la donna dice subito al medico di avere pochissimo tempo, perché deve tornare subito al lavoro. Riferisce al medico, in un discreto italiano parlato velocissimo, tutti i sintomi gastroin- testinali (vomito, coliche, ecc) e anche di aver dormito molto poco ultimamente, con un sonno disturbato da incubi, e di sentir- si molto stressata e stanca. Il medico asse- conda la fretta della malata, concludendo rapidamente la visita e prescrivendo analisi di routine, gastroscopia e un blando ipnoin- duttore in gocce. Invita quindi la paziente a ripresentarsi la settimana successiva. Dopo due mesi A.F. ritorna presso lo studio del suo medico di base, accompa- gnata però da una volontaria, membro di un gruppo di sostegno per donne migranti: consegnano gli esiti degli esami prescritti a suo tempo dal medico. Gli esami stupiscono sfavorevolmente il medico, che domanda alla paziente come mai abbia atteso tanti giorni a ripresentarsi. La volontaria riferisce che A.F. vive in con- dizioni terribili e che lavora moltissime ore al giorno senza sosta e alla sera è distrutta; quando l’hanno incontrata, non solo le con- dizioni fisiche della paziente erano scadenti, ma la donna viveva in un’abitazione in de- grado, quasi in uno stato di abbandono, e la sua alimentazione era quasi interamente composta da cibi in scatola. Dagli esami emerge infatti che la donna è affetta da anemia e da una gastrite grave. Inoltre, sempre dal racconto della volontaria, il medico apprende la difficile situazione fa- migliare in cui si trova A.F.: i figli vivono in Marocco e il marito vuole divorziare. La donna, con scolarità media, lavora come badante in una grande città del nord in cui risiede ormai da diversi anni con re- golare permesso di soggiorno. La sua at- tività consiste nell’assistenza a un malato terminale anziano, lavoro molto faticoso sia dal punto di vista fisico che emotivo e che spesso finisce per prolungarsi ben oltre l’orario concordato inizialmente. La signo- ra si trova inoltre in una difficile situazione economica, poiché invia regolarmente dena- ro ai figli, ma deve anche sostenere pesanti condizioni locative. A.F. è pertanto provata dal punto di vista psicologico, così come da quello economi- co, e si è progressivamente isolata: all’ansia derivante dal trovarsi in una situazione di lavoro faticosa e al contempo precaria, si assomma la difficoltà reale in cui vive, in un paese straniero, lontana dai propri famigliari e in una cultura così differente dalla propria, dovendo comunque garantire un aiuto eco- nomico ai figli. Il medico, rendendosi conto, grazie ai rac- conti della volontaria, dei problemi psicolo- gici e della necessità di sostegno di A.F., la indirizza a un servizio territoriale, dove una psicologa l’ascolterà per aiutarla. La donna non troverà però gratificante il rapporto con la psicoterapeuta che, a suo dire, “non la ca- pisce”, così preferirà orientarsi verso un’altra associazione che le è stata segnalata dalla pri- ma, in cui può incontrare anche altre donne del suo stesso paese, sede in cui stabilisce del- le relazioni positive e progressivamente mi- gliora (riesce a dormire e ad avere cura della casa). La prima associazione l’aiuta inoltre a risolvere i problemi burocratici legati alla sua situazione (il rinnovo del permesso di soggiorno, la ricerca di un nuovo lavoro in Clinical Management Issues 2008; 2(2) ©SEEd Tutti i diritti riservati 53 I. Nannini seguito al decesso del primo anziano da lei assistito, la stipulazione di un contratto di lavoro regolare, ecc.) e l’accompagna anche dal medico di base per proseguire la cura della gastrite e dell’anemia. ossErvazIonI Il caso descritto consente di evidenziare i molteplici problemi che si possono cela- re dietro alla richiesta di visita medica da parte un immigrato, e in particolare di una donna migrata. La visita medica si rivela cruciale, sia come momento di segnalazione di un malessere (che, benché fisico, è in realtà dovuto a mol- teplici motivazioni), sia come inserimento del soggetto dentro a una “rete di senso” che riconferisce valore alla sua persona, alla sua identità, anche come donna, pur se come portatrice di sofferenza, cioè “al negativo”. Pertanto, il fatto che il primo consulto si sia concluso in modo così veloce, con una quasi automatica richiesta di esami da parte del me- dico di base, è indicativo della difficoltà che i medici incontrano ad affrontare situazioni di questo tipo in modo non medicalizzante. Sarebbe certamente stato più utile invitare la donna a dedicare a se stessa più tempo, alme- no quello di una visita medica. Il desiderio di assecondarla, nella sua fretta, ha impedito al professionista di conoscere la situazione com- plessiva della paziente che avrebbe rivelato, forse, quali fossero le sue reali condizioni di vita, consentendo al medico di valutare in modo più opportuno le fonti di ansia e di de- pressione che potevano aver innescato anche le manifestazioni fisiche di malattia. Molti immigrati, infatti, si trovano in situazioni di abbandono, di isolamento, di lavoro precario, ma anche in condizioni di sfruttamento o di forte soggezione, che possono essere indagate dal medico se egli si pone in una condizione di “giusta distanza” dal paziente. In pratica è utile dedicare più tempo e attenzione al racconto del malato, non solo per raccogliere le informazioni anamnestiche in modo “scientifico”, ma anche per racco- gliere elementi sulla condizione complessiva (famiglia, ambiente lavorativo e sociale, ecc) oltre che sul vissuto dell’individuo in merito al proprio progetto migratorio. Da non sottovalutare, inoltre, altri aspet- ti: accade spesso che il malato stesso non conosca i propri diritti nei confronti delle prestazioni erogate dal Sistema Sanitario Nazionale e che quindi abbia difficoltà a eseguire gli esami prescritti dal medico o ad acquistare i farmaci poiché non sa se deve pagarli o meno. Il medico, pertanto, potrebbe essere un punto di riferimento anche per fornire un supporto in tal senso. Peraltro alcuni pazienti hanno resistenza verso certi esami, per fattori da indagare volta per volta, correlati a elementi cultu- rali o di genere. Il caso descritto evidenzia un altro ele- mento importante: per molti di questi pa- zienti si rivela cruciale l’aiuto offerto dalle associazioni. È quindi essenziale sottolineare l’importanza di un lavoro comune, di una rete integrata tra associazioni di volonta- riato, mediatori culturali, servizi sociali e medici di base. Dal canto loro i medici di famiglia, come emerge da numerosi interventi sull’argo- mento e dall’attenzione che vi è dedicata anche all’interno di congressi, desiderano una maggiore informazione e formazione che consenta loro di far fronte alle proble- matiche legate ai pazienti immigrati. Inoltre sarebbe utile dotare i medici di una serie di informazioni sulle associazioni e sulle strutture esistenti sul territorio (ad esempio tramite la distribuzione di opportu- ni opuscoli informativi, da fornire ai migrati stessi al momento della visita). Certamente la rete dei servizi in risposta ai soggetti migrati, rifugiati, richiedenti asilo, minori migrati soli, ecc, comprendenti i cen- tri d’accoglienza e informazione (non quelli di accoglienza temporanea!), di ascolto e di orientamento, è in gran parte ancora da co- struire e si presenta frammentata, anche se molto si sta facendo. Nella prospettiva transculturale, che è quella che ci troviamo a vivere quotidiana- mente, è perciò auspicabile che il medico di base, punto di riferimento eletto, scelto dal paziente, divenga sempre più capace di co- gliere nel proprio assistito migrato quei segni di difficoltà, oggetto della domanda d’aiuto e di cura, ascoltandolo in modo adeguato, alla dovuta distanza. Il ruolo del medico di base, nella piena consapevolezza della complessità dei pro- blemi della migrazione, è innegabilmente cruciale e va dunque anche ben oltre una funzione squisitamente “scientifica”, poiché la medicalizzazione dei bisogni non è la mi- gliore risposta alla domanda di cura.