Clinical Management Issues 2007; 1(2) ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 43 Oscar Alabiso 1 L’etica dell’appropriatezza, in oncologia e in medicina L’avvento dei cosiddetti “farmaci biologici” ha ingenerato in molti oncologi l’idea che stia per cominciare una nuova era. Questi farmaci, pochi per ora, ma desti- nati ad aumentare in breve, hanno mutato positivamente in alcune neoplasie solide la sopravvivenza dei pazienti, con tossicità mi- nore rispetto a quella dei comuni antineopla- stici. Sta avvenendo adesso, nel campo delle neoplasie solide, ciò che era già avvenuto in campo ematologico. Questi farmaci però costano e noi tut- ti siamo ormai consapevoli di vivere in un mondo di risorse “non infinite”. L’avvento dei farmaci biologici ha acuito questa con- sapevolezza, ponendo gli oncologi nel mezzo di un dilemma etico alimentato dall’impatto psicologico della malattia oncologica, ampli- ficato dai media e da internet. La tutela della salute è un diritto fonda- mentale della persona ed è interesse della collettività, garantita dalla Costituzione. Oggi però non si può pensare di tradurre tale diritto nella pratica clinica e organiz- zativa consentendo l’accessibilità totale e incondizionata di tutti i cittadini a tutte le possibili cure e a qualsiasi livello di cura. La conseguenza sarebbe di fatto l’impossibilità di fornire cure efficaci a tutti; forse persino l’impossibilità di fornire cure. Da qui la necessità dell’appropriatezza, prescrittiva e organizzativa. L’appropriatezza consiste nell’erogazione di un intervento (terapeutico, diagnostico, riabilitativo, preventivo) solo se esso se è realmente efficace e fornito a persona che davvero ne possa trarre vantaggio, secondo la modalità assistenziale più congrua. Ero- gare un intervento sanitario (prescrivere un farmaco) in modo appropriato significa in- terpretare correttamente il quadro clinico, applicando correttamente le indicazioni per le quali detto intervento (o detto farmaco) si siano dimostrati efficaci, nel momento giusto e secondo un regime organizzativo idoneo. L’appropriatezza è sia clinica sia orga- nizzativa. Nel primo caso si tratta di utiliz- zare un intervento efficace in pazienti che, in rapporto al quadro clinico, realmente ne possano trarre beneficio. L’appropriatezza organizzativa attiene al contesto organizza- tivo, che deve essere adeguato e congruente con le caratteristiche di complessità dell’in- tervento erogato e con il quadro clinico del paziente. Si tratta di un processo che vede (deve vedere) il medico protagonista. Non può il medico delegare questa responsabilità ad altri, in misura più o meno rilevante, sia per l’aspetto più prettamente organizzativo sia per l’aspetto eminentemente clinico. è un richiamo non improprio. Infatti, pur non sottovalutando l’importanza dell’espe- rienza, il medico è eticamente chiamato a compiere le proprie scelte, condivise con il paziente, sulla base dell’evidenza scientifi- ca: è accaduto talvolta che questo principio basilare sia stato ignorato, ma gli operatori devono comprendere che oggi ciò è non più lecito. La responsabilità etica e morale di una equa possibilità di accesso dei cittadini alle cure più adatte nel momento più adat- to e al livello più adatto poggia soprattutto sui medici. In campo oncologico, quanto sopra ri- portato, in rapporto all’impatto psicologico Editoriale 1 Direttore della Cattedra di Oncologia Medica dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Direttore del Dipartimento Oncologico dell’Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità”, Novara Corresponding author Prof. Oscar Alabiso oscar.alabiso@libero.it Clinical Management Issues 2007; 1(2) ©SEEd Tutti i diritti riservati 44 Editoriale e sociale della malattia, rende la questione cogente. Vale la pena ricordare che nella pratica clinica dell’oncologo non è purtroppo in- frequente che la scelta terapeutica possa esitare nella decisione di non procedere a cure specifiche. Diventa essenziale allora non cedere (per tacitare la coscienza o le richieste di quanti siano erroneamente condotti alla falsa con- cezione che una soluzione esista sempre) all’idea di effettuare terapie da cui razional- mente non ci si aspetta nulla, se non disagi e forse sofferenze. Ma la persona non deve essere abbando- nata. Si deve trovare il modo di comunicare con lui, consapevoli che curare non significa “dispensare medicine”. Questi sono forse i momenti più alti della professione medica, quelli in cui la tensione etica si fa più forte e acuta. Ancora: la questione dei farmaci off-label. Questo problema non riguarda solo l’onco- logia, certo, ma in quest’ambito è facile che i farmaci trovino rapidamente un amplia- mento delle proprie indicazioni, non corro- borato dai dati “ufficiali”, ma sostenuto dalle evidenze scientifiche. Anche in questo caso si deve scegliere se- condo etica e non esitare, se il quadro clinico lo consente, a procedere secondo scienza e coscienza, che è poi da sempre l’imperativo del medico.