27 Clinical Management Issues patologia ipertensiva, tra i quali sovrappeso, abbondante uso di sale nella dieta, scarsa at- tività fisica, inadeguata introduzione di frut- ta, verdura e potassio nel regime alimentare, eccessivo uso di alcolici [1,2]. Al fine di prevenire l’innalzamento dei livelli pressori, è importante introdurre del- le misure di prevenzione primaria per ridur- re o minimizzare questi fattori di rischio nella popolazione, in particolare negli indi- vidui con pre-ipertensione. Un approccio di natura preventiva deve inoltre tenere in de- bita considerazione l’influenza dei fattori psicologici che possono intervenire nell’e- ziologia della sindrome ipertensiva o che possono interferire con un’ottimale gestione clinica dell’IA. Il ruolo degli aspetti psico- logici e di personalità, come l’ansia, la de- pressione, la personalità di tipo A o D e INTRODUZIONE L’ipertensione arteriosa (IA) è considerata secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il principale fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari, in quanto presente in circa il 25% della po- polazione adulta. Si stima che circa 12 mi- lioni di italiani siano affetti da IA, dei quali solo il 30-35% è a conoscenza della condi- zione clinica e segue una terapia (farmaco- logica o non) in modo corretto. L’IA è la più frequente causa di mortalità e morbilità nei Paesi occidentali, risultando più comune dei tumori e delle malattie polmonari. La prevenzione e la gestione dell’IA, per- tanto, rappresentano una delle maggiori sfide della sanità pubblica. Sono stati individuati molti fattori di rischio per l’insorgenza della Corresponding author Dott. Franco Rabbia franco.rabbia@libero.it Gestione clinica Abstract The hypertensive patient is the most stable phenotype in psychosomatic medicine. Hypertensive patients represent a vulnerable population that deserves special attention from health care providers and systems, and psychosomatic medicine may be an important tool in the management of high blood pressure. Depression, anxiety disorders and personality features are often associated with elevated blood pressure (BP) and they may have a role in the development of mild high- renin essential hypertension. Besides, “white coat” hypertension and “masked ” hypertension demonstrate how clinic blood pressure could be strongly related to trait anxiety. Hypertension is largely asymptomatic, and patients often have little understanding of the importance of achieving BP control. Medication adverse effects may become an important factor in poor adherence to the treatment and the antidepressant use increases the risk of hypertension. So, the challenge in the management of hypertensive patients is the adherence to non-pharmacological and behavioural treatments for hypertension. Keywords: Psychological aspects; Essential hypertension; White coat hypertension; Stress; Allostasis Psychological aspects in the management of patients with essential hypertension CMI 2012; 6(1): 27-35 1 Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale, Centro Ipertensione, Università di Torino, Ospedale “San Giovanni Battista”, Torino Maria Luisa Genesia 1, Franco Rabbia 1, Elisa Testa 1, Silvia Totaro 1, Elena Berra 1, Michele Covella 1, Chiara Fulcheri 1, Giulia Bruno 1, Franco Veglio 1 Aspetti psicologici nella gestione dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa essenziale 28 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(1) Aspetti psicologici nella gestione dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa essenziale l’alessitimia è ampiamente supportato dalla letteratura e da studi epidemiologici e il co- strutto di “personalità ipertensiva” è uno dei più stabili nella Medicina Psicosomatica [3] (Tabella I). ASPETTI PSICOLOGICI E PSICOPATOLOGICI DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA Gli aspetti psicopatologici della depressio- ne e dell’ansia sono quelli che caratterizzano la popolazione di pazienti ipertesi, secondo quanto riportato in letteratura [5,6]. Men- tre la depressione pare essere maggiormen- te rappresentativa dei soggetti con scarsa aderenza alle terapie, di tipo farmacologico Raccomandazioni per la gestione dell’ipertensione arteriosa Intervento psicologico Valutazione diagnostica y Misurazione della pressione arteriosa y Anamnesi familiare e clinica y Esame obiettivo y Analisi genetica y Valutazione del danno d’organo y Cuore y Vasi arteriosi y Rene y Fundus oculi y Encefalo Assessment psicologico di screening y Colloquio psicologico y Somministrazione di scale e/o questionari psicologici e psicopatologici y Valutazione della qualità della vita e dello stato di salute percepito y Batteria neuropsicologica per la valutazione del danno encefalico (screening) Strategie terapeutiche y Modifiche dello stile di vita y Abolizione del fumo y Moderato consumo di bevande alcoliche y Riduzione dell’apporto di sodio con la dieta y Altri interventi dietetici y Calo ponderale y Esercizio fisico y Trattamento farmacologico Strategie terapeutiche y Interventi di tipo psico-educazionale per migliorare l’aderenza ai trattamenti farmacologici e non y Interventi di supporto psicologico e/o psicoterapeutico in pazienti con problematiche di natura psicologica che interferiscono con l’efficacia del trattamento Interventi terapeutici in specifiche condizioni cliniche y Paziente anziano y Diabete mellito y Patologie cerebrovascolari y Malattia coronarica e scompenso cardiaco y Fibrillazione atriale y Nefropatia non diabetica y Ipertensione nella donna y Sindrome metabolica y Ipertensione resistente al trattamento Interventi terapeutici in specifiche condizioni cliniche y Assessment psicodiagnostico di approfondimento y Batteria neuropsicologica estesa per la valutazione del danno encefalico y Interventi di supporto psicologico e/o psicoterapeutico y Intervento riabilitativo (cognitivo e/o comportamentale) Follow up Follow up Tabella I. Raccomandazioni cliniche e psicologiche per la gestione del paziente affetto da ipertensione arteriosa [4] e non [7], l’ansia nei vari studi sembra es- sere maggiormente correlata al concetto di stress [8-10] e sembra costituire un elemento predittore dell’insorgenza di ipertensione ar- teriosa. Nel 1997 Alexopoulos [11] propose che la patologia cerebrovascolare, soprattutto quella cronica, legata ad alterazioni dei pic- coli vasi cerebrali, potesse predisporre, pre- cipitare o perpetuare una specifica forma di depressione a insorgenza nella terza e quarta età e ipotizzò che il meccanismo patogene- tico principale consistesse nel suo impatto sui circuiti fronto-sottocorticali. L’ipotesi di una “depressione vascolare” come sottotipo nosologico autonomo, a 10 anni di distanza dalla sua formulazione, appare supportata da diverse linee guida di evidenza e ha trovato conferma in recenti revisioni sistematiche in termini di validità interna, descrittiva, di costrutto e predittiva [12]. Per quanto riguarda la componente ansio- sa della popolazione, si può far riferimento al concetto di “carico allostatico” introdotto da McEwen [13], che indaga l’effetto a lungo termine della fisiologica risposta allo stress. Attraverso l’allostasi (capacità di raggiungere o conservare stabilità attraverso dei cambia- menti), il sistema nervoso autonomo, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, il sistema cardio- vascolare, metabolico e il sistema immuni- tario proteggono il corpo rispondendo agli stress interni ed esterni. Sia gli stress acuti sia gli stress cronici, cioè l’accumulo di carichi quotidiani di minore intensità, possono avere conseguenze a lungo termine. Soprattutto due fattori determinano la risposta indivi- duale a situazioni potenzialmente stressanti: il modo di percepire una situazione e lo stato generale di salute, determinato non solo da fattori genetici ma anche dalle scelte com- portamentali e dallo stile di vita. La risposta fisica a una variazione, una si- tuazione di pericolo fisico o psicologico, è bi- fasica: inizia con una risposta allostatica che introduce i cambiamenti adattativi e termina eliminando questa risposta quando il peri- colo è cessato. La risposta più comune coin- volge il sistema nervoso simpatico e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con l’attivazione del rilascio delle catecolamine, la secrezione di corticotropina dall’ipofisi e il successivo rilascio di cortisolo. L’inattivazione succes- siva del sistema riporta il tutto ai livelli ba- sali. A volte però l’inattivazione può essere inefficiente, per cui c’è una sovraesposizione agli ormoni dello stress che si mantiene nel tempo per cui si determina un carico allo- statico con conseguenze fisiopatologiche. 29 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(1) M. L. Genesia, F. Rabbia, E. Testa, S. Totaro, E. Berra, M. Covella, et al Diverse situazioni si accompagnano al carico allostatico, ma la più frequente è costituita dagli stress frequenti: ripetuti aumenti dei valori pressori accelerano il processo atero- sclerotico aumentando il rischio cardiova- scolare. I sistemi allostatici più studiati sono quelli del sistema cardiovascolare con le sue connessioni con il sovrappeso e l’ipertensio- ne [14]. Anche il sistema nervoso centrale, soprattutto le strutture dell’ippocampo, che hanno un’alta concentrazione di recettori per il cortisolo, risulta danneggiato dallo stress, sia per l’aumento della secrezione di cortisolo nello stress acuto, con soppressio- ne dei meccanismi che nell’ippocampo e nel lobo temporale regolano la memoria a breve termine, sia per l’atrofia dei neuroni pirami- dali a causa di un meccanismo coinvolgente i glucocorticoidi e i neurotrasmettitori ec- citatori rilasciati durante e dopo lo stress; questa atrofia è reversibile se lo stress è di breve durata, ma stress prolungati nel tempo possono uccidere le cellule dell’ippocampo [15]. La RMN ha dimostrato che situazioni stressanti, quali ad esempio episodi depres- sivi ricorrenti e patologie post-traumatiche, possono essere associate ad atrofia dell’ip- pocampo [16]. Occorre tuttavia sottolineare che, nei vari studi relativi all’associazione tra pressione arteriosa e aspetti psicopatologici, i risultati ottenuti non sempre sono concordanti, in particolare per quanto concerne i disturbi dell’umore e quelli depressivi. La maggior parte della letteratura evidenzia una cor- relazione tra ipertensione e disturbi dell’u- more, depressione e ansia e, in particolare, si rilevano elevate percentuali di pazienti che manifestano aspetti di natura ansiosa [17,18] e frequentemente tali aspetti sono maggior- mente associati a uno scarso controllo della pressione arteriosa [19]. Un esiguo nume- ro di studi, tuttavia, ha rilevato l’assenza di correlazione significativa tra i livelli di valori pressori e disturbi dell’umore e d’ansia nei soggetti ipertesi [20]. Uno studio recente ha confrontato i valori di pressione arteriosa in soggetti con distur- bi d’ansia e di depressione con un gruppo di soggetti di controllo. Licht e collaboratori [21] hanno rilevato una più alta pressione arteriosa diastolica in soggetti con disturbi d’ansia, sebbene il grado di ansia non rag- giungesse un livello tale da essere considera- to un fattore di rischio per l’insorgenza della IA. I soggetti, invece, con tono dell’umore depresso (in corso o in fase di remissione) manifestavano una più bassa pressione ar- teriosa diastolica e sviluppavano con mino- re probabilità una pressione sistolica isolata rispetto ai soggetti di controllo. In partico- lare, gli Autori hanno osservato che l’uso di antidepressivi triciclici era maggiormente associato a valori medi pressori più elevati e con maggiore probabilità i soggetti in tratta- mento con tali farmaci avevano un grado di IA in stadio 1 o 2. I pazienti in terapia con farmaci antidepressivi di tipo noradrener- gico o serotoninergico, invece, avevano una maggiore probabilità di sviluppare una IA di grado 1. Pertanto, gli aspetti depressivi, se- condo quanto rilevato dagli Autori, sembre- rebbero associati a valori pressori più bassi, mentre l’uso di alcuni farmaci antidepressivi sembrerebbe associato ad aumentati livelli di pressione sanguigna sistolica e diastolica. Un altro aspetto da considerare e che può essere presente nella popolazione di pazienti ipertesi è il cosiddetto fenomeno “etichetta- mento”: in altre parole, il fatto di conoscere la diagnosi di IA influenza la prevalenza di sintomi riportati, di assenteismo sul lavoro e di benessere generale. Dopo avere ricevuto la diagnosi, quindi, il paziente può sviluppare una sorta di “sindrome funzionale somati- ca” caratterizzata dalla forte convinzione di avere una grave malattia, dall’aspettativa che la propria condizione possa probabilmente peggiorare, per cui si configura una condizio- ne catastrofica e disabilitante, che influenza in modo negativo la qualità della vita legata alla salute del paziente [22,23]. CARATTERISTICHE DI PERSONALITÀ DEL PAZIENTE IPERTESO Sin dagli esordi della medicina psicoso- matica, è stata studiata l’associazione tra ipertensione arteriosa e aspetti emozionali. Alexander fu uno dei primi a definire l’IA come uno dei disturbi psicosomatici [24], differente dal concetto di disturbo conver- sivo o di nevrosi e la mise in relazione con la presenza di alcuni profili di personalità e fattori di regolazione delle emozioni, so- stenendo la necessità di valutare l’individuo nella sua globalità senza separare le funzioni psicologiche da quelle somatiche. Secondo l’Autore, l’IA, così come altre forme di di- sturbo cardiovascolare, può essere spiegata sulla base di un meccanismo di attivazione neurovegetativa che viene mantenuto poi- ché le emozioni profonde vengono inibite e non si esauriscono in un’azione efficace. 30 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(1) Aspetti psicologici nella gestione dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa essenziale L’organismo, pertanto, rimane in uno sta- to di preparazione alla lotta o fuga, dove la costante attivazione del sistema simpatico sollecita le reazioni fisiologiche necessarie in uno stato di emergenza, quali, appunto, aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, e nel soggetto che ini- bisce l’espressione della propria aggressività tali risposte psicofisiologiche si cronicizzano. Dunbar [25] propose invece un profilo di personalità caratteristico del soggetto iperte- so, definito dalla studiosa stessa “personalità cardiopatica” e caratterizzato da ambizione, dedizione al lavoro, determinato nel raggiun- gimento degli obiettivi, con elevata imma- gine di sé e con tendenza alla soppressione delle emozioni. Secondo l’Autrice, la struttu- ra di personalità si sviluppa nell’infanzia e si consolida condizionando le difese corporee, predisponendo così l’individuo allo sviluppo di determinate patologie. L’obiezione principale alla teoria formula- ta dalla Dunbar risiede nel fatto che le sue osservazioni corrispondono a correlazioni secondarie, poiché si potrebbe presupporre che alcuni individui più che altri tendano ad assumere ruoli di responsabilità e adottare pertanto stili di vita che comportano rispo- ste corporee che predispongono a danno progressivo del sistema cardiocircolatorio. Sulla linea di questo filone di ricerca, i due cardiologi statunitensi Meyer Friedman e Ray Rosenman, alla fine degli anni ’50 [26], hanno identificato un tipo di perso- nalità definito di tipo A (simile al profilo di personalità coronaropatica della Dunbar) come fattore predisponente a disturbi di tipo cardiovascolare, avanzando l’ipotesi che tale stile comportamentale sia maggiormente as- sociato a un aumento della colesterolemia, del tempo di coagulazione e a un rischio elevato di sviluppo di malattia coronarica. Secondo gli Autori, il tipo A non va inteso come tratto di personalità che si costitui- sce sulla base di conflitti inconsci (in senso psicoanalitico), ma come risposta compor- tamentale del soggetto in risposta a eventi esterni di natura stressante. Il tipo A viene così descritto dagli Autori sulla base delle seguenti caratteristiche: y intensa e prolungata spinta a raggiungere gli obiettivi; y profonda inclinazione e brama di com- petere; y persistente desiderio di riconoscimento e avanzamento di ruolo; y esagerata ambizione, precisione, puntua- lità e aggressività; y costante paura di non avere abbastanza tempo a disposizione. La correlazione tra il pattern comporta- mentale di tipo A e il rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari è stata confermata da numerosi studi negli anni ’70, cosicché il National Heart, Lung and Blood Institute ha riconosciuto ufficialmente il tipo A come un fattore di rischio indipendente nelle patolo- gie coronariche [27]. Uno studio condotto su pazienti con infarto miocardico [28] ha dimostrato che il pattern di tipo A è un importante predittore di rischio a sei mesi dall’evento acuto tra i pazienti con le miglio- ri condizioni cliniche. Fava e Rafanelli [29] hanno inserito i criteri diagnostici per il pat- tern comportamentale di tipo A all’interno dei Diagnostic Criteria for use in Psychosomatic Research (DCPR), che comprendono pe- raltro demoralizzazione, ansia per la salute, umore irritabile, comportamento di tipo A e negazione di malattia. In uno studio condotto da Rafanelli e col- leghi [30] su un campione di 61 pazienti che hanno avuto un recente infarto del miocar- dio, è stato osservato che circa il 30% di essi presentava un pattern di tipo A. Una recente metanalisi [31] riguardante i trattamenti psicologici nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari ha sottolineato che il fatto di porre come scopo dell’intervento stesso il trattamento del pattern di tipo A si rivela più efficace rispetto ad altri tipi di trattamento con obiettivi diversi. Recentemente è stato proposto un nuo- vo costrutto di personalità, definito tipo D (distressed personality), ed è stata osservata una prevalenza di soggetti con tale pattern comportamentale pari a circa il 53% [32]. Il soggetto con personalità di tipo D è caratte- rizzato da una tendenza a esperire emozioni negative e a inibire le emozioni evitando il contatto sociale con gli altri. La frequente comorbilità tra pazienti con questo tipo di personalità e l’aumentato fattore di rischio cardiovascolare sottolinea l’importanza di esaminare sia gli stati psicopatologici acu- ti (per esempio la presenza di depressione maggiore) sia quelli cronici (per esempio la presenza di determinate caratteristiche di personalità) nei pazienti particolarmente a rischio di eventi vascolari. Entrambe le di- mensioni che caratterizzano la personalità di tipo D (affettività negativa e inibizione sociale) sono associate a un più elevato livel- lo di cortisolo, che potrebbe altresì spiegare l’associazione tra questo tipo di costrutto e il rischio cardiovascolare [33,34]. 31 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(1) M. L. Genesia, F. Rabbia, E. Testa, S. Totaro, E. Berra, M. Covella, et al Recentemente Hausteiner e collaboratori (2010) [35] hanno indagato la presenza dei tratti caratteristici della personalità di tipo D nella popolazione generale e le relazio- ni con i fattori di rischio cardiovascolari, compresi quelli di natura psicopatologica, e hanno identificato il tipo D come un fattore di rischio prognostico in diverse condizioni cardiovascolari. Gli Autori hanno osservato una prevalenza del 23,4% di pattern D nelle donne e del 26,9% negli uomini. Un pattern di personalità di tipo D è quindi presente in circa un quarto della popolazione generale, dato comparabile con i classici fattori di ri- schio cardiovascolari e rappresenta, secon- do gli Autori, un rilevante e indipendente marker di rischio nella comunità, ragion per cui dovrebbe ricevere la giusta attenzione da parte dei clinici. Numerose evidenze indicano che i pa- zienti affetti da patologie cardiovascolari con personalità di tipo D hanno un maggiore ri- schio di morbilità e mortalità legata a eventi vascolari. I pazienti con questo stile compor- tamentale presentano inoltre una maggiore vulnerabilità psicologica, caratterizzata da un aumento dei rischi psicosociali e ridotta qualità della vita e sembrano beneficiare in maniera ridotta dei trattamenti medici [36]. Jula e colleghi [37] hanno preso in con- siderazione vari aspetti psicologici al fine di valutare l’eventuale associazione con l’i- pertensione. Nello studio venivano valutati vari aspetti, quali l’espressione della collera, l’ansia, l’ostilità, la depressione e l’alessiti- mia, e si è visto che solo quest’ultima con- dizione sembrava correlata all’ipertensione e poteva differenziare il gruppo di osserva- zione rispetto ai controlli. In realtà gli altri sintomi di disturbo psichico possono flut- tuare con il tempo e le circostanze, mentre l’alessitimia, cioè la difficoltà nell’esprimere e identificare le emozioni e nel distinguere gli affetti dalle sensazioni corporee [38], è generalmente considerata una caratteristica stabile della personalità, spesso associata al sesso maschile, al basso livello culturale, al basso livello socio-economico, e debolmente associata all’avanzare dell’età. Diverse sono le teorie psicologiche al riguardo, e vi sono an- che teorie neurobiologiche che suggeriscono che questa condizione possa essere correlata all’interruzione della comunicazione limbi- ca-neocorticale, o che possa risultare da un deficit nella comunicazione interemisferica o da una disfunzione dell’emisfero destro. Recenti indagini di imaging funziona- le hanno confermato che le strutture della corteccia cingolata mediofrontale e anteriore erano meno attivate da stimoli intensi negli individui alessitimici rispetto a quelli non alessitimici, particolarmente quando veni- vano impiegati stimoli sperimentali nega- tivi [39,40]. Indipendentemente dalle cause, l’alessiti- mia riflette un deficit nel processo cognitivo e nella regolazione delle emozioni, ragion per cui la scarsa capacità di prendere con- sapevolezza delle emozioni e di farvi fronte renderebbe gli individui alessitimici vulne- rabili agli stress continui. Studi recenti hanno evidenziato un’elevata frequenza di alessitimia in soggetti con nuo- va diagnosi di IA [41]. Todarello e collabo- ratori [42] nel loro studio hanno trovato una percentuale pari a circa il 55,3% di soggetti ipertesi (n = 114) alessitimici, contro il 16,3% dei pazienti non ipertesi (n = 130). I risulta- ti ottenuti dallo studio supportano l’ipotesi che si possa riscontrare una prevalenza di alessitimia in pazienti con patologie che un tempo venivano caratterizzate come disturbi “psicosomatici classici”. Gli Autori, inoltre, ipotizzano che il deficit di processamento cognitivo e di modulazione dell’affettività sia caratteristico del paziente alessitimico e predisponga il soggetto a una maggiore at- tivazione simpatica, che condurrebbe a sua volta allo sviluppo di IA. IPERTENSIONE DA “CAMICE BIANCO”: IL RUOLO DELLA COMPONENTE PSICOLOGICA La white-coat hypertension (ipertensione da camice bianco) fornisce un’ulteriore prova di come la pressione arteriosa possa essere legata agli aspetti psicologici. Si definisce white coat hypertension o “ipertensione cli- nica isolata” la presenza di valori pressori persistentemente elevati nell’ambulatorio medico, ma normali in altre occasioni [4,43]. Ogedegbe e colleghi hanno descritto il processo di condizionamento ipotizzato che potrebbe condurre all’innalzamento dei livelli pressori nell’ambito della situa- zione clinica [44]. Le teorie psicologiche che spiegano il fenomeno dell’ipertensione da camice bianco sono principalmente due. La prima, la teoria dell’ansia generaliz- zata, afferma che un individuo che presen- ta un’ansia di tratto (ansia come elemento stabile della personalità) ha la tendenza con maggiore probabilità a ricevere una diagnosi di ipertensione da camice bianco. Parecchi 32 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(1) Aspetti psicologici nella gestione dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa essenziale studi, tuttavia, hanno fallito nel trovare delle correlazioni tra la misura dell’ansia di tratto e il valore della pressione arteriosa ambula- toriale [45]. La seconda teoria, riconducibile al mo- dello del condizionamento classico, fornisce un’utile alternativa alla comprensione della causa dell’innalzamento dei valori pressori e del possibile rischio di una diagnosi erra- ta. Tale teoria suggerisce che i soggetti con ipertensione da camice bianco sono stati precedentemente esposti a stimoli spiacevoli, come una diagnosi medica indesiderata e/o procedure mediche dolorose (stimoli incon- dizionati), in una o più situazioni mediche, che possono aver condotto a un’ansia transi- toria e a un innalzamento della pressione ar- teriosa (risposta incondizionata). In seguito a ripetute esposizioni, i segnali associati allo stimolo incondizionato, per esempio il cami- ce bianco del clinico o la struttura della sala medica, sono potenziali stimoli condizionati che hanno il potere loro stessi di suscitare risposte di ansia e di elevazione dei livelli pressori [46]. Tale teoria permette anche di spiegare meglio il fatto che i valori pressori tendano a modificarsi rapidamente in rela- zione al cambiamento dello stimolo, mentre la teoria relativa all’ansia generalizzata non permette di spiegare questo aspetto [47]. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE I pazienti ipertesi rappresentano una po- polazione vulnerabile, che merita un’atten- zione speciale da parte della sanità pubblica e la medicina psicosomatica potrebbe rivestire un ruolo importante nella gestione clinica di questi pazienti. L’IA è spesso asintomatica e i pazienti hanno scarsa consapevolezza ri- spetto all’importanza dell’ottimale controllo dei valori pressori, data la possibile presenza di spiacevoli effetti collaterali dei farmaci ipertensivi, con conseguente ricaduta sull’a- derenza ai trattamenti proposti. I fattori psicologici e di personalità gioca- no un ruolo chiave nella presa in carico del paziente, poiché attraverso la comprensione di tali aspetti il clinico può instaurare con il paziente l’alleanza terapeutica necessaria per un’adeguata gestione della patologia. Sa- rebbe pertanto importante una valutazione degli aspetti psicologici e di personalità dei pazienti, condotta da specialisti nel settore, attraverso colloqui clinici, interviste, scale di valutazione e tecniche di osservazione [48,49]. Attraverso un’accurata valutazione del paziente iperteso è possibile eventual- mente impostare dei percorsi di cura e di trattamento individualizzato che tengano in considerazione le caratteristiche specifiche del paziente stesso. La sfida nella gestione del paziente iper- teso e nella prevenzione del danno cardiova- scolare consiste proprio nel miglioramento dell’aderenza ai trattamenti farmacologici e non farmacologici e, allo stesso tempo, nell’ottica della salutogenesi, nell’identifica- zione e potenziamento dei fattori protettivi a livello individuale, sociale ed economico per prevenire il disagio psicologico determinato da una condizione di malattia cronica. Secondo la classificazione di Meichenbaum e Turk [50], le variabili associate alla minor aderenza terapeutica sono molteplici: varia- bili relative al paziente, alla malattia, al trat- tamento, all’interazione medico-paziente. In particolar modo, soffermandoci sulla prima classe di variabili, quelle cioè relative alla per- sona, si osserva una maggiore vulnerabilità nei pazienti con IA che presentano proble- matiche relative a scarso supporto sociale, disturbi psichiatrici, depressione e ansia e in quelli che presentano maggiori difficoltà nel riconoscimento della condizione di malato o nella necessità di trattamento (evidente so- prattutto nei soggetti ipertesi ma asintoma- tici) [51]. Numerosi studi hanno dimostrato che il trattamento psicologico determina un aumento del 50% dell’aderenza dei pazienti alla terapia [52]. La visione di malattia proposta, pertan- to, è volta a superare il dualismo tra psiche e soma e, secondo il modello biopsicoso- zazione di sé ed esplorazione del nuovo [53] (Figura 1). DISCLOSURE Gli Autori dichiarano di non avere conflit- ti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo. Fattori sociali e ambientali • Fumo/alcol • Stress • Comportamento alimentare alterato (quantitativamente e /o qualitativamente) • Stile di vita sedentario Fattori psicologici • Ansia • Depressione • Rabbia • Alessitimia • Pattern comportamentale di tipo A • Pattern comportamentale di tipo D Fattori biomedici • Danno vascolare • Aumento del tono simpatico • Sensibilità dei barocettori • Variabilità pressoria Innalzamento della pressione arteriosa Figura 1. L’ipertensione arteriosa nel modello biopsicosociale. Modificata da [54] 33 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(1) M. L. Genesia, F. Rabbia, E. Testa, S. Totaro, E. Berra, M. Covella, et al ciale, la malattia è intesa come interazione dinamica di fattori multipli (biologici, psi- cologici e sociali) che devono essere tenu- ti in considerazione nel processo di dia- gnosi medica. Si tratta pertanto di un modello integrativo che si orienta verso la salute globale della persona nel suo am- biente, con un’enfasi particolare sulla pro- mozione della salute, intesa come realiz- zazione di sé ed esplorazione del nuovo [53] (Figura 1). DISCLOSURE Gli Autori dichiarano di non avere conflit- ti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo. Fattori sociali e ambientali • Fumo/alcol • Stress • Comportamento alimentare alterato (quantitativamente e /o qualitativamente) • Stile di vita sedentario Fattori psicologici • Ansia • Depressione • Rabbia • Alessitimia • Pattern comportamentale di tipo A • Pattern comportamentale di tipo D Fattori biomedici • Danno vascolare • Aumento del tono simpatico • Sensibilità dei barocettori • Variabilità pressoria Innalzamento della pressione arteriosa Figura 1. L’ipertensione arteriosa nel modello biopsicosociale. Modificata da [54] BIBLIOGRAFIA 1. 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