43 Clinical Management Issues è indicativa di una trasformazione più ag- gressiva di una o più aree nel contesto della neoplasia diffusa. La GC è considerata una neoplasia gliale maligna (grado III secondo la classificazione WHO 2007 [1]). Interessa soggetti di entrambi i sessi e prevalentemen- te di età adulta, con un picco di incidenza fra i 40 e i 50 anni. Il ruolo della chirurgia nel trattamento della GC è limitato alla biopsia per la tipiz- zazione istologica (e più recentemente bio- INTRODUZIONE La gliomatosi cerebri (GC) è una neopla- sia gliale diffusa, caratterizzata da un pattern di crescita di tipo infiltrativo con coinvolgi- mento di almeno 3 lobi. Generalmente si estende sino a infiltrare entrambi gli emisferi cerebrali attraverso il corpo calloso, poten- do interessare anche il tronco encefalico, gli emisferi cerebellari e il midollo spinale [1]. La GC più frequentemente deriva da cel- lule di tipo astrocitario, ma può anche avere un’istologia di tipo oligodendrogliale o mi- sta. La GC può presentarsi de novo (glio- matosi primaria) oppure può rappresentare l’evoluzione di un glioma focale (gliomatosi secondaria). Il quadro radiologico sulla ri- sonanza magnetica (RM) è caratterizzato da un’alterazione di segnale sulle sequenze FLAIR-T2 senza evidenti assunzioni di mezzo di contrasto (mdc). L’assunzione di mdc sulle sequenze T1 si osserva più fre- quentemente in fasi avanzate di malattia ed Perché descriviamo questo caso Il caso descritto, pur avendo come oggetto un paziente con tumore cerebrale raro, ha presentato delle complicanze “inter- nistiche” frequenti da trattamento con bevacizumab, un farmaco che sempre più spesso viene impiegato in oncologia generale e in neuro-oncologia Corresponding author Dott.ssa Elisa Trevisan Tel.: 0116334904 Fax 0116335432 Cell. 3406916953 elisa.trevisan73@libero.it Caso clinico Abstract Gliomatosis cerebri is a rare diffuse glioma with a growth pattern consisting of exceptionally extensive infiltration of the CNS with involvement of at least three lobes. It may appear de novo (primary gliomatosis) or result from the spreading of a focal glioma (secondary gliomatosis). Bevacizumab is a monoclonal antibody anti-VEGF active against recurrent high grade gliomas after standard therapy. We report the case of a 41-year-old man with a secondary gliomatosis treated with bevacizumab and temozolomide who responded and the response lasted 17 months. Moreover, we focus on the side effects (hypertension, deep vein thrombosis) induced by bevacizumab and their effective treatments. Keywords: Bevacizumab; Gliomatosis; Rare brain tumors; Hypertension; Deep vein thrombosis Bevacizumab and temozolomide in secondary gliomatosis from gemistocytic astrocytoma: a case report CMI 2012; 6(2): 43-50 1 Unità Operativa di Neuro- Oncologia, Dipartimento di Neuroscienze, Azienda Ospedaliero-Universitaria San Giovanni Battista di Torino Elisa Trevisan 1, Michela Magistrello 1, Roberta Rudà 1, Riccardo Soffietti 1 Un caso di gliomatosi secondaria da astrocitoma gemistocitico responsivo al trattamento combinato con bevacizumab e temozolomide 44 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) Un caso di gliomatosi secondaria da astrocitoma gemistocitico za di una lesione frontale destra dotata di effetto massa, assumente mdc in modo in- tenso e disomogeneo e circondata da edema perilesionale. Il paziente veniva sottoposto a exeresi macroscopicamente radicale di tale lesione. L’esame istologico deponeva per un astrocitoma gemistocitico (grado II, secondo WHO 2007 [1]). Il paziente veniva sottoposto a trattamento radioterapico conformazionale (59,4 Gy in 33 frazioni) con discreta tolleranza clinica (intensa astenia durante il trattamento). Ve- niva impostata una terapia anticomiziale con acido valproico 500 mg × 3 senza recidive di eventi critici. In considerazione del buon controllo di malattia (assenza di residui di malattia alla RM eseguita dopo l’intervento e dopo il trattamento radioterapico) e dell’assenza di sintomi neurologici, si decideva di proseguire con uno stretto follow-up clinico e radiolo- gico (controlli di RM encefalo con mdc e visita neuro-oncologica ogni 3 mesi). Nel 2004, alla luce del buon andamento clinico e dell’assenza di crisi dall’esordio di malattia, si decideva di iniziare una graduale riduzio- ne di acido valproico fino a una completa sospensione. A una RM eseguita a ottobre 2005, durante il periodico follow-up, si os- servava la comparsa di un’area di alterato segnale a livello cerebellare sinistro senza evidenza di assunzioni patologiche di mdc, indicativa di una modesta ripresa di malat- tia a distanza. Si proponeva un trattamento chemioterapico che il paziente rifiutava. Ai successivi controlli si osservava un progres- sivo incremento dell’area di alterato segnale nella fossa cranica posteriore con estensione di tale area a livello peritrigonale e paraip- pocampale omolateralmente (senza eviden- za di aree assumenti mdc) configurando un quadro radiologico di gliomatosi secondaria. Il paziente continuava a rifiutare l’inizio di un trattamento chemioterapico fino al dicembre 2008, quando compariva una nuo- va crisi generalizzata. Per tale motivo il pa- ziente eseguiva una RM che documentava un’ulteriore progressione di malattia con comparsa di aree assumenti mdc nel conte- sto del quadro di gliomatosi secondaria. All’esame obiettivo neurologico si osservava la comparsa di un modesto impaccio moto- rio all’arto superiore destro (slivellamento al Mingazzini I, lieve dismetria alla prova in- dice-naso e impaccio nei movimenti fini delle dita della mano). Si dava indicazione a riprendere una terapia anticomiziale (oxcarbazepina 600 mg × 2) e a iniziare un molecolare). La panirradiazione encefalica è stata il trattamento standard nel passato, con percentuali di risposta fino al 50-60% dei pazienti, mentre più recentemente la chemioterapia con agenti alchilanti (te- mozolomide, PCV, regime – quest’ultimo – costituito da procarbazina, CCNU e vin- cristina) è stata impiegata sempre più spesso come trattamento iniziale al fine di ritardare la panirradiazione e il conseguente rischio di danni cognitivi in pazienti potenzialmente lungosopravviventi [2,3]. Negli ultimi anni è stato crescente l’in- teresse circa l’utilizzo dei farmaci antian- giogenetici in generale e in particolare di bevacizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato anti-VEGF (Vascular Endothe- lial Growth Factor) nei gliomi di alto grado recidivi [4-6]. L’impiego di bevacizumab nelle gliomatosi in progressione è limitato dal fatto che studi preclinici hanno segna- lato che bevacizumab favorisce il comporta- mento invasivo dei tumori gliali, attraverso il fenomeno della “cooptazione” vascolare, e quindi una progressione di tipo gliomatosi secondaria [7-9]. La frequenza di progres- sioni con pattern infiltrativo dopo tratta- mento antiangiogenetico è stata riportata intorno al 20-30%. In realtà in lavori più recenti questo feno- meno è stato ridimensionato. In particola- re in un lavoro di un gruppo tedesco viene riportato che il rischio di progressione a distanza o di progressione gliomatosis-like nei pazienti trattati con bevacizumab non è differente rispetto a pazienti trattati con altri farmaci non antiangiogenetici [10]. Tenuto conto della particolare efficacia di beva- cizumab in neoplasie gliali in progressione caratterizzate dalla presenza di importante edema perilesionale e di danno della bar- riera ematoencefalica (assunzione di mdc), sfruttando l’effetto steroid-like dell’antian- giogenetico, abbiamo iniziato a utilizzare tale farmaco anche in casi selezionati di gliomatosi in progressione dopo le terapie standard (radioterapia, almeno una linea di chemioterapia con alchilanti). CASO CLINICO Descriviamo il caso di un uomo di 41 anni con diagnosi di astrocitoma gemistocitico frontale destro nel giugno 2001, in seguito alla comparsa di una crisi comiziale gene- ralizzata. Per tale motivo eseguiva una RM encefalo con mdc che evidenziava la presen- 45 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) E. Trevisan, M. Magistrello, R. Rudà, R. Soffietti tossicità ematologica (leucopenia, linfopenia, piastrinopenia) e intolleranza clinica (nau- sea, astenia importante), per cui sospendeva il trattamento con temozolomide, mante- nendo solo bevacizumab somministrato ogni 2 settimane, per un totale di 10 mesi (fino ad aprile 2010) con risposta completa sulle immagini T1 con mdc e riduzione della aree in FLAIR (Figura 2). Durante il trattamento con bevacizumab si osservava un progressivo incremento dei valori pressori con comparsa di cefalea in- gravescente. Inizialmente il paziente veniva trattato con valsartan 80 mg/die, con progressivi incrementi della posologia fino a 160 mg × 2/die, poi passava a un’associazione di val- sartan 160 mg/idroclorotiazide 25 mg × 2/ die, senza ottimale controllo dei valori pres- sori e dell’associata cefalea, per cui, alla luce dello scarso controllo pressorio e della buona risposta radiologica, in assenza di sintomi, trattamento con temozolomide a dose in- tensificata (schedula 1 week ON-1 week OFF: 150 mg/m2/die a settimane alterne) [11,12]. Dopo 6 cicli di trattamento (cioè 6 mesi) il paziente presentava una sola stabi- lizzazione del quadro radiologico e la com- parsa di una severa linfopenia che controin- dicava la prosecuzione del trattamento con schedula intensificata. Pertanto, alla luce della giovane età, dell’estensione radiologica di malattia (a livello sovra e sotto-tentoriale) con estese aree assumenti mdc (Figura 1), della persistenza di crisi comiziali parziali all’arto superiore destro e del deficit brachia- le destro si decideva di passare alla schedula standard con dose ridotta (per la persistente linfopenia) di temozolomide (150 mg/m2/ die per 5 giorni ogni 28), e di inserire un trattamento antiangiogenetico con bevacizu- mab (10 mg/kg ogni 2 settimane). Il paziente completava 4 cicli di temozo- lomide standard, con persistenza di modesta Figura 1. Immagini di RM encefalo prima di iniziare il trattamento con bevacizumab. Nella prima riga sono riportate le immagini trasverse T1 pesate con mdc. Nella seconda riga sono riportate le immagini trasverse FLAIR-T2 pesate Domande che il medico deve porsi o deve porre al paziente in trattamento con antiangiogenetici y È un paziente a rischio di eventi trombotici (familiarità, malattia oncologica, deficit motori, portatore di catetere venoso centrale, sovrappeso, precedenti eventi trombotici in anamnesi)? y Vi sono segni/sintomi indicativi di eventi trombotici? y È ben controllata la pressione arteriosa (anche in un paziente precedentemente normoteso)? y Vi sono segni/sintomi suggestivi di un sanguinamento (SNC: cefalea improvvisa mai av- vertita prima, peggioramento clinico improvviso, epistassi, sanguinamento emorroidario)? N.B. È essenziale programmare eventuali interventi chirurgici, anche banali come l ’estrazione di un dente, il posizionamento di un catetere venoso centrale sottocutaneo come il Port, in accordo con l ’oncologo, per definire le tempistiche in relazione alle somministrazioni di bevacizumab 46 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) Un caso di gliomatosi secondaria da astrocitoma gemistocitico di emosiderina), un microsanguinamento intralesionale verosimilmente correlato al trattamento anticoagulante. Dopo la sospensione di bevacizumab la pressione arteriosa è progressivamente rientrata con la possibilità di ridurre gra- dualmente la terapia (ora assume valsartan 40 mg/die). I periodici controlli di ecodoppler venoso (ogni 4-6 mesi) dimostrano la persistenza di grossolani residui trombotici a livello della poplitea destra, per cui su consiglio dei con- sulenti ematologi il paziente prosegue un trattamento con nadroparina calcica a dosi scoagulanti. DISCUSSIONE La GC secondaria è una possibile modali- tà di progressione di un glioma inizialmente focale. Il trattamento non è di facile gestio- ne, poiché, trattandosi di un glioma diffu- so, difficilmente vi è ancora spazio per un reintervento, la radioterapia generalmente è già stata praticata e alcune linee di chemio- terapia possono essere già state impiegate. In casi selezionati, con quadri di malattia particolarmente aggressivi e in particolare con evidenza alla RM di focolai di malattia con caratteristiche di alta malignità (focolai necrotici, assumenti mdc, edema), è ipotiz- zabile l’impiego di bevacizumab da solo o in associazione a un chemioterapico per meglio controllare la malattia. Nel caso specifico l’utilizzo di un farmaco antiangiogenetico ha permesso un buon controllo della malattia, che si è mantenuto si decideva di sospendere temporaneamente bevacizumab. Nelle settimane successive alla sospensio- ne di bevacizumab (3-4 settimane dopo l’ultima somministrazione) comparivano dolore e gonfiore all’arto inferiore destro, in associazione a un rialzo del D-dimero, per cui il paziente veniva sottoposto a un eco- doppler venoso degli arti inferiori con ri- scontro di una trombosi venosa profonda (TVP) coinvolgente le vene della gamba e della coscia con apice non flottante nella femorale superficiale alla confluenza con la profonda. Si impostava quindi un trattamen- to anticoagulante con nadroparina calcica 15200 UI Axa/0,8 ml 1 fl sc/die. Alla luce dei due effetti collaterali presentati dal pa- ziente (ipertensione arteriosa difficilmente controllabile con la terapia farmacologica e TVP), si decideva di non riprendere il trat- tamento con bevacizumab, ma di proseguire con solo follow-up clinico e radiologico. Da aprile 2010 il paziente esegue periodici controlli, che ad oggi non hanno evidenziato segni di recidiva di malattia. Clinicamente è stabile: non ha più presentato crisi da dicem- bre 2008 (assume regolarmente oxcarbaze- pina 600 mg × 2), lamenta la persistenza di episodi di cefalea con caratteristiche tensive che rispondono al trattamento con paraceta- molo al bisogno. La RM encefalo con mdc rimane stabile, senza assunzioni patologiche di mdc. Alla RM eseguita a settembre 2011 si osservava, come reperto di occasionale ri- scontro, la comparsa di una piccola lesione emorragica nel contesto del residuo di ma- lattia, con caratteristiche croniche (depositi Figura 2. Immagini di RM encefalo dopo il trattamento con bevacizumab. Nella prima riga sono riportate le immagini trasverse T1 pesate con mdc (scomparsa delle aree assumenti mdc). Nella seconda riga sono riportate le immagini trasverse FLAIR-T2 pesate (netta riduzione delle aree di alterato segnale) 47 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) E. Trevisan, M. Magistrello, R. Rudà, R. Soffietti anche dopo la sospensione del trattamento, senza evidente progressione di tipo infiltra- tivo, come ipotizzato dai primi lavori pub- blicati sull’impiego di bevacizumab nei glio- mi di alto grado. Innanzitutto è importante sottolineare che attualmente bevacizumab è registrato negli USA e in Svizzera come trattamento delle recidive dei gliomi di alto grado, mentre in Italia il suo impiego nei tumori cerebrali è off-label. Bevacizumab è un farmaco potenzialmen- te dotato di numerosi effetti collaterali, per cui i pazienti in trattamento devono essere attentamente monitorati. Effetti collaterali Frequenza dei controlli Gestione Ipertensione arteriosa Controlli pressori quotidiani al domicilio (diario pressorio) e poi prima e dopo ogni somministrazione di bev In caso di rialzo pressorio prima di iniziare l’infusione: riposo a letto e nuovo controllo dopo 20-30 min. Se persistono valori pressori elevati rimandare l’infusione Grado 1 Diastolica > 20 mmHg o PAO > 150/100 mmHg (pz asintomatico, precedentemente normoteso; episodio di durata < 24 ore) Prosegue con le infusioni di bev. Prosegue il monitoraggio con il diario pressorio al domicilio Grado 2 Diastolica > 20 mmHg o PAO > 150/100 mmHg ricorrente o persistente > 24 ore e/o pz sintomatico Inizio terapia antipertensiva (calcioantagonisti, diuretici, ACE inibitori). Riprende la terapia con bev quando PAO < 150/100 mmHg Grado 3 Necessità di utilizzare più di un antipertensivo o una maggiore terapia rispetto a prima Rimandare il trattamento con bev fino ad adeguato controllo della PAO Grado 4 Crisi ipertensive o encefalopatia ipertensiva Sospensione del trattamento con bev Proteinuria Monitoraggio: basale (pre-terapia), poi ogni 2-4 settimane di proteinuria e creatinina Proteinuria Gr 3 (> 3,5 g/24 ore): sospendere la terapia fino al miglioramento della proteinuria a un Gr ≤ 2. Proteinuria Gr 4 (sindrome nefrosica): stop bev Difficoltà di cicatrizzazione delle ferite Valutazione clinica della corretta guarigione della ferita chirurgica Programmare eventuali interventi chirurgici dopo almeno 3 settimane dall’ultima infusione di bev per la piccola chirurgia (posizionamento di Port, estrazioni dentali), dopo 4-6 settimane per interventi chirurgici maggiori. Non riprendere bev prima di una corretta guarigione delle ferite chirurgiche (almeno 4 settimane dopo reintervento neurochirurgico) Eventi trombotici Valutazione clinica (presenza di edemi, dolore agli arti, turbe del respiro) PROFILASSI Uso di calze elastiche antitrombo. Uso di eparina a basso peso molecolare a dose profilattica nei pazienti ad alto rischio TRATTAMENTO In caso di sospetto clinico o laboratoristico di TVP effettuare un ecodoppler. Se evidente TV: sospendere bev e iniziare terapia con eparina a basso peso molecolare a dosi scoagulanti Eventi emorragici Valutazione clinica e colloquio con il pz prima di ogni somministrazione In caso di sanguinamenti minori (Gr < 2): provare a ridurre la frequenza delle somministrazioni di bev (ogni 3 settimane anziché ogni 2). In caso di emorragie del SNC o polmonari di Gr > 2 o di emorragie di qualunque tipo di Gr > 3: stop bev Tabella I. Principali effetti collaterali da bevacizumab nel paziente neuro- oncologico: monitoraggio e gestione bev = bevacizumab; Gr = grado; PAO = pressione arteriosa omerale; TVP = trombosi venosa profonda Uno degli effetti collaterali più frequenti conseguente all’utilizzo degli inibitori del VEGF è l’ipertensione arteriosa. Il rischio di ipertensione è dose-correlato. Non è ancora chiaro il meccanismo patogenetico responsabile di questo effetto collatera- le. Al momento le ipotesi più accreditate sono tre: 1. riduzione di fattori vasodilatanti (ossido nitrico, prostacicline, endotelina-1), per un blocco diretto o indiretto del VEGFR, con conseguente aumento delle resistenze periferiche; 2. danno glomerulare; 48 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) Un caso di gliomatosi secondaria da astrocitoma gemistocitico rischio di sviluppare una patologia corona- rica è consigliabile l’utilizzo dei calcioanta- gonisti [22]. Un altro potenziale importante effetto collaterale nei pazienti in trattamento an- tiangiogenetico è l’evento trombotico. È noto che i pazienti oncologici in generale e i pazienti con neoplasia cerebrale in partico- lare sono ad alto rischio di sviluppare eventi trombotici [23-25]. Di fondamentale impor- tanza è la profilassi nei pazienti considerati a maggior rischio (periodo perioperatorio, deficit di mobilizzazione/emiparesi, con- comitante trattamento con steroidi ad alte dosi, terapia antiangiogenetica). Nel pa- ziente con tumore cerebrale c’è sempre stato ed è tuttora presente il timore di favorire i sanguinamenti a livello encefalico, per cui sia i trattamenti a dosaggio profilattico sia i trattamenti a dose scoagulante sono spesso omessi o utilizzati a dosi non efficaci, e an- cor di più se in concomitanza con un trat- tamento antiangiogenetico. È infatti noto che la terapia antiangiogenetica può favorire gli eventi trombotici, ma può anche favorire eventi emorragici, talora anche fatali [26]. In generale, nei pazienti neuro-oncologici che sviluppano un evento trombotico è consi- gliabile l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare a dosi scoagulanti, che risulta più facilmente maneggiabile e che presenta un minor rischio di sanguinamento rispetto al trattamento anticoagulante orale. Non vi sono ancora dati di sicurezza circa l’impie- go di anticoagulanti orali a bassi dosaggi. Nei pazienti neuro-oncologici ad alto ri- schio di sanguinamento che sviluppano una trombosi venosa profonda agli arti inferiori, soprattutto quando questa è prossimale ed estesa, è consigliabile il posizionamento di un filtro cavale. Un altro effetto collaterale da non sot- tovalutare sono i difetti di cicatrizzazione conseguenti al blocco dell’angiogenesi [27]. Pertanto, in questi pazienti anche piccoli interventi, come l’estrazione di un dente o l’asportazione di un nevo, devo- no essere attentamente programmati, in modo che l’angiogenesi indispensabile per la corretta guarigione delle ferite non sia ostacolata da una recente somministra- zione del farmaco, e prima di riprendere il trattamento occorre valutare che la ferita sia ben rimarginata. La proteinuria di grado lieve è relativa- mente frequente e tende a comparire dopo alcuni mesi di trattamento, ma difficilmen- te diventa grave, tale da compromettere la 3. riduzione del numero di vasi sanguigni (fenomeno della rarefazione vascolare). In teoria, se la comparsa dell’ipertensione è conseguente a un’efficace inibizione della via VEGF-VEGFR, i pazienti che svilup- pano ipertensione in corso di trattamento con bevacizumab dovrebbero essere anche quelli che beneficiano maggiormente della terapia. Numerosi studi hanno effettiva- mente dimostrato come lo sviluppo di iper- tensione possa essere un indice di risposta al trattamento, del tempo alla progressione e di sopravvivenza in pazienti con neoplasia del polmone (NSCLC), della mammella, del colon, del pancreas e del rene [13-17]. Vi sono alcune iniziali segnalazioni (dati non ancora pubblicati) che confermerebbero il valore predittivo di risposta dell’ipertensione anche nei tumori cerebrali (ASCO, Padova AINO) [18,19]. Ad oggi non esistono linee guida che in- dichino quale sia il farmaco antipertensivo più adatto per il trattamento dell’iperten- sione secondaria alla terapia antiangioge- netica, ma le evidenze cliniche dimostrano che l’importante è controllare l’ipertensione, indipendentemente dal farmaco utilizzato [20]. L’ideale sarebbe mantenere un valo- re pressorio < 140/90 mm/Hg (< 130/80 mmHg nei pazienti con altre comorbilità quali diabete mellito, proteinuria, coronaro- patia, cardiomiopatia, patologia renale croni- ca). In relazione al grado di ipertensione vi sono specifiche indicazioni sul monitoraggio pressorio e sulla prosecuzione o sospensione del trattamento con bevacizumab (Tabella I). Un recente lavoro propone un algoritmo di trattamento [21] in relazione alla gravità dell’ipertensione e alla presenza o meno di comorbilità. In linea generale rimangono valide le indicazioni della Joint National Committee ( JNC7) sull’utilizzo di un basso dosaggio di un diuretico tiazidico in associa- zione a un altro antipertensivo (ACE-inibi- tori, bloccanti dei recettori dell’angiotensina, beta-bloccanti, calcioantagonisti) nei pa- zienti privi di comorbilità. Nel caso di una controindicazione all’utilizzo del diuretico o di una sua scarsa efficacia è consigliabile iniziare un trattamento con ACE-inibitori o con i calcioantagonisti diidropiridinici. Nei pazienti con proteinuria, diabete melli- to e/o patologia renale cronica è preferibile utilizzare gli ACE-inibitori o in alternativa inibitori del recettore dell’angiotensina; nei pazienti con coronaropatia è preferibile uti- lizzare i beta-bloccanti o i diuretici tiazidici; nei pazienti con diagnosi di diabete e alto 49 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) E. Trevisan, M. Magistrello, R. Rudà, R. Soffietti DISCLOSURE Gli Autori dichiarano di non avere conflit- ti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo. funzionalità renale e quindi da determinare la sospensione del trattamento [28,29]. Si- curamente la funzionalità renale e la protei- nuria sono esami da monitorare in corso di trattamento con bevacizumab. 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Studio retrospettivo. 50 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) Un caso di gliomatosi secondaria da astrocitoma gemistocitico Presentazione orale, XVI Congresso Nazionale e Corso Residenziale dell’Associazione Italiana di Neuro-Oncologia 2011 20. Syrigos KN, Karapanagiotou E, Boura P, et al. Bevacizumab-induced hypertension: pathogenesis and management. Bio Drug 2011; 25: 159-69 21. Copur MS, Obermiller A. An algorithm for the management of hypertension in the setting of vascular endothelial growth factor signaling inhibition. Clin Colorectal Cancer 2011; 10: 151-6 22. Chobanian AV, Bakris GL, Black HR, et al. Seventh report of the Joint National Committee on prevention, detection, evaluation, and treatment of high blood pressure. Hypertension 2003; 42: 1206-52 23. Khorana AA. Venous thromboembolism and prognosis in cancer. Thromb Res 2010; 125: 490-3 24. Marras LC, Geerts WH, Perry JR. 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Case Rep Oncol 2010; 3: 368-71 Ruolo del MMG nella diagnosi e nel trattamento delle cefalee Linda Iurato 1 Un caso di gliomatosi secondaria da astrocitoma gemistocitico responsivo al trattamento combinato con bevacizumab e temozolomide Elisa Trevisan 1, Michela Magistrello 1, Roberta Rudà 1, Riccardo Soffietti 1 L’importanza della comunicazione della diagnosi nella sclerosi multipla Elena Tsantes 1, Caterina Senesi 1, Erica Curti 1, Franco Granella 1 Evoluzione della vaccinazione antimeningococco Gianni Bona 1, Carla Guidi 1 Riabilitazione cognitiva in pazienti neuro-oncologici: tre casi clinici Chiara Zucchella 1, Andrea Pace 2, Francesco Pierelli 1,3, Michelangelo Bartolo 1