51 Clinical Management Issues per una parte variabile della propria vita. È proprio per questo motivo che la comuni- cazione della diagnosi di una malattia come la sclerosi multipla rappresenta un momen- to delicato e cruciale, che, oltre a incidere sullo stato di salute del paziente, influenza profondamente la relazione tra il malato e il medico e costituisce la base per l’alleanza terapeutica, dando un’impronta marcata al grado di collaborazione futura del paziente stesso nell’ambito del “patto terapeutico”. In effetti, sebbene i pazienti riportino spesso modalità e caratteristiche estremamente va- riabili per quanto riguarda il momento stesso della comunicazione, essi sono tutti concordi nell’identificarla come uno dei ricordi più vi- vidi nella propria memoria e come una delle esperienze a più elevata carica emotiva della propria vita [2]. Con il presente articolo ci proponiamo di offrire una panoramica sulle problema- tiche aperte da questo tema così complesso INTRODUZIONE Nonostante i miglioramenti compiu- ti recentemente nell’ambito del rapporto medico-paziente, oltre che di fatto in ogni aspetto della sclerosi multipla (dalle cono- scenze patogenetiche all’aggiornamento delle modalità diagnostiche alle conquiste terapeutiche), purtroppo sono ancora molte le testimonianze di persone che lamentano insoddisfazione a proposito del colloquio con il medico al momento della comunica- zione della diagnosi [1]. In realtà, anche se attualmente i progressi fatti nell’ambito terapeutico hanno radi- calmente mutato le prospettive progno- stiche dei pazienti, è pur vero che ricevere una diagnosi di sclerosi multipla significa tutt’ora doversi confrontare con una pato- logia dal decorso cronico e imprevedibile, che esordisce in giovane età e che quindi può comportare un certo grado di disabilità Corresponding author Dott. Franco Granella franco.granella@unipr.it Gestione clinica Abstract The recent improvements in multiple sclerosis therapy have lead to consequent improvements in its prognosis: however, it still remains a chronic and unpredictable disease. The moment of the diagnosis is the starting point of a durable relationship between the physician and the patient, but, most of all, it is often referred to as the most traumatic experience in patients’ life. Patients’ compliance to prescribed therapies, so important in the course of every chronic condition, particularly hangs on the psychological approach used by the doctor in communicating and explaining the diagnosis for the first time, in addition to the patient’s personality. A brief overview on the main types of physicians’ and patients’ behaviours and communications styles is provided in this article. Keywords: Multiple sclerosis; Communicating diagnosis; Physician’s psychological approach; Obstacles to diagnosis communication The importance of communication in the diagnosis of multiple sclerosis CMI 2012; 6(2): 51-57 1 Dipartimento di Neuroscienze, Università di Parma Elena Tsantes 1, Caterina Senesi 1, Erica Curti 1, Franco Granella 1 L’importanza della comunicazione della diagnosi nella sclerosi multipla 52 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) L’importanza della comunicazione della diagnosi nella sclerosi multipla che tocca trasversalmente diversi aspetti, da quelli professionali e clinici a quelli medico- legali e deontologici a quelli più propria- mente legati all’etica e alla personalità dei soggetti in causa. MODELLI COMUNICATIVI E STILI RELAZIONALI Esistono diversi possibili modelli comuni- cativi che il medico può seguire nell’approc- cio al paziente [3] e che riflettono differenti stili relazionali, legati a due tipi fondamentali di metodo clinico: da un lato un modello biomedico, basato sulla malattia vista come insieme di sintomi, senza lasciare molto spa- zio alla soggettività del paziente, e che porta inevitabilmente verso uno stile paternalistico di relazione. In questo caso l’atto decisionale viene a essere totalmente di competenza del medico, il quale, con l’unico obiettivo di cu- rare la patologia e conoscendo ciò che è me- glio per il malato, può permettersi anche di omettere alcune informazioni nell’interesse e per il bene di quest’ultimo. Si tratta, infatti, di uno stile anche definito della “non rivela- zione”, dettato da un atteggiamento tenden- zialmente protettivo da parte del medico, il quale ha la convinzione che il paziente non sia in grado di reggere il trauma provocato dalla notizia ma allo stesso tempo si com- porta in modo potenzialmente diseducativo, negando al malato la possibilità di affrontare il dolore e di reagire ad esso. Dall’altro lato abbiamo invece un mo- dello di tipo bio-psico-sociale, focalizzato sul paziente, verso il quale il medico si pone empaticamente, cercando di raccogliere informazioni relative non solo ai suoi sin- tomi, ma anche ai suoi sentimenti, ammet- tendo che una stessa patologia dia luogo a esperienze differenti in soggetti diversi. Da questo modello deriva uno stile relazionale che informa approfonditamente il paziente sulla sua malattia e che può a sua volta evol- vere verso un modello “deliberativo”, tale per cui il medico è un “tecnico” che informa il paziente ma che non entra minimamente nelle decisioni di quest’ultimo, oppure verso un modello “di decisioni condivise”, in cui il malato è coinvolto attivamente nella scelta decisionale, la quale diventa frutto di una collaborazione tra i due. In quest’ultimo pro- totipo di relazione entrambi i soggetti sono degli “esperti”, in grado di insegnare l’uno all’altro che cosa significhi avere la sclerosi multipla: il medico illustra le caratteristiche della patologia in termini di entità clinico- patologica, vista da una prospettiva razionale e scientifica e dotata di specifiche peculiarità eziologiche, sintomatologiche, prognostiche e terapeutiche. Il paziente, invece, è il miglior conoscitore della malattia da un punto di vista emotivo, come esperienza invalidante, a valenza fortemente soggettiva e personale, in grado di mutare profondamente la vita di chi ne è affetto. Si è visto che quest’ultimo modello è quello più spesso auspicato dai malati [4], ma anche quello che offre i migliori risul- tati in termini di qualità e compliance del paziente, comprensione e memorizzazione delle informazioni sulla malattia, oltre che di outcome clinico [5]. Uno studio condotto in Italia [6], volto a comprendere meglio le preferenze dei pa- zienti affetti da sclerosi multipla relativa- mente al tipo di coinvolgimento nelle deci- sioni mediche, ha messo in evidenza come diversi siano i fattori capaci di influenzare questa attitudine soggettiva: differenze cul- turali, livello di istruzione e durata del pe- riodo di follow-up trascorso dalla diagnosi sono tutti in grado di influire sulle rispo- ste date. Quest’indagine è stata condotta mediante la traduzione e l’adattamento in italiano della versione originale in inglese della Control Preference Scale (CPS, una scala progettata per valutare il grado di controllo che i pazienti vorrebbero avere sulle scelte riguardanti la propria salute) e ha dimostrato che la maggioranza dei pazienti preferisce condividere le decisioni con il proprio me- dico, piuttosto che lasciare il compito inte- ramente a lui. POSSIBILI OSTACOLI ALLA COMUNICAZIONE DELLA DIAGNOSI Diversi sono i possibili ostacoli alla co- municazione della diagnosi, che possono incidere negativamente sulla comprensione e sulla collaborazione a lungo termine del pa- ziente: fretta, distrazione, interruzioni, tipo di linguaggio utilizzato, livello culturale del paziente e grado d’informazione dello stesso sulla malattia sono tutti elementi apparen- temente banali, ma che meritano in realtà un’attenzione particolare e che vengono spesso trascurati. Da questo deriva l’impor- tanza del setting, di un luogo adeguato per la comunicazione, di tempo sufficiente per il dialogo, di una preliminare presa di coscien- za su ciò che il paziente sa della propria ma- 53 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) E. Tsantes, C. Senesi, E. Curti, F. Granella lattia e dell’uso di un linguaggio non tecnico e facilmente comprensibile, eventualmente corredato di esempi pratici, semplici, e arric- chito di mezzi d’informazione telematici [7]. Il problema dei massmedia rappresenta sempre più, soprattutto al giorno d’oggi, un aspetto con il quale il medico si trova spes- so a doversi confrontare, trattandosi di una fonte d’informazioni facilmente accessibile e scritta in un gergo semplice, ma poten- zialmente pericolosa perché non sempre imparziale e completa e perché a elevato ri- schio di generare false speranze e perdita di fiducia nei confronti del medico (che spesso appare paradossalmente meno aggiornato sul tipo di articoli consultati dal paziente). Si tratta di un tipo d’informazione, inoltre, che spesso enfatizza soprattutto gli aspetti più drammatici e gravi della malattia, magari con lo scopo lodevole di raccogliere fondi per la ricerca, ma che in ogni caso non fornisce una visione del tutto realistica delle cose e che spesso contribuisce a generare ancora più ansia e preoccupazione. Nonostante questo, i soggetti che fanno ricorso a mezzi d’in- formazione alternativi e aggiuntivi rispetto a quelli forniti dal neurologo sono sempre più numerosi e solo una minoranza di essi considera il contenuto del colloquio come il maggiore aiuto fornito nella comprensione della malattia [1,8]. Un altro elemento potenzialmente in gra- do di inficiare l’esito del colloquio è rappre- sentato dai disturbi cognitivi, solo di recente emersi chiaramente come parte integrante dello spettro clinico della sclerosi multipla e che impongono a maggior ragione un lin- guaggio semplice, il ricorso al feedback e la conoscenza del pattern del disturbo del pa- ziente stesso. È importante tuttavia precisare come lo studio di questo tipo di disturbi sia tutt’altro che semplice: notevoli possono ri- sultare le difficoltà nel proporre l’esecuzione di test cognitivi, quali la “Batteria di Rao”, a questi pazienti, che spesso non ammettono di avere deficit attentivi, di concentrazione, di memoria, di comprensione, ma che, allo stesso tempo, si imbarazzano a chiedere spiegazioni e informazioni al medico che hanno di fronte, fingendo di aver capito il linguaggio dell’interlocutore. Nonostante si sia tradizionalmente pre- stata una maggiore attenzione alle disabilità fisiche del paziente, i deficit cognitivi rap- presentano in realtà un fattore in grado di influire in misura considerevole sulla quali- tà di vita dei pazienti, oltre che un disturbo frequente nei pazienti con sclerosi multi- pla (coinvolgendo una percentuale di essi variabile tra il 40% e il 65%), anche nelle fasi più precoci della patologia, nelle forme “benigne” di malattia e addirittura nelle for- me di sindrome clinicamente isolata (CIS), indipendentemente dal grado di disabilità fisica [9,10]. Si è osservato [11] come questi disturbi cognitivi, pur contraddistinti da un’estrema variabilità interindividuale, interessino però preferenzialmente alcuni ambiti neuropsico- logici ben precisi: la velocità di processazio- ne delle informazioni, la memoria a lungo termine (in particolare quella episodica), e la cosiddetta working-memory a breve termine, ma anche l’attenzione, le capacità di ragiona- mento astratto e di risoluzione dei problemi, la fluenza verbale e le abilità visuo-spaziali. Si tratta peraltro di deficit che, laddove presenti nelle fasi iniziali della malattia, ten- dono a progredire sia per numero di domini cognitivi coinvolti, sia per entità e che costi- tuiscono un fattore prognostico sfavorevole in termini di conversione da CIS a sclerosi multipla clinicamente definita. Appare fondamentale, quindi, che il medi- co tenga conto di questi aspetti al momento della comunicazione della diagnosi e che cerchi di comprendere le possibili difficoltà avvertite dal paziente, non solo in termini di accettazione emotiva, ma anche di concreta comprensione delle informazioni fornite. DALLA PARTE DEL PAZIENTE La comunicazione della diagnosi di scle- rosi multipla, ma anche di altre patologie croniche, innesca nel paziente una serie di reazioni, nel loro insieme identificabili come coping, differenti in relazione al tipo di personalità del paziente stesso, alle sue aspettative per il futuro e al momento del ciclo di vita in cui egli si trova. Tale risposta, che rispecchia spesso i diversi stili caratte- riali degli individui, può essere adattativa o meno nei confronti della situazione da affrontare, influenzando, di conseguenza, anche l’aderenza alla terapia nel lungo ter- mine. Quanto più il soggetto presenta una struttura personologica flessibile e dispo- nibile al cambiamento e quindi più fun- zionale alla gestione di momenti di crisi e di frattura, tanto più egli sarà in grado di mettere in atto processi adattativi nei con- fronti della patologia stessa. Viceversa, per quei pazienti che possiedono un’organizza- zione caratteriale rigida e inflessibile, sarà 54 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) L’importanza della comunicazione della diagnosi nella sclerosi multipla più difficile accettare la malattia: questo li espone, al momento della comunicazione, a fratture nette rispetto al passato, insanabili nella propria mente e talvolta a vere e pro- prie manifestazioni disfunzionali. Possiamo schematicamente individuare quattro principali categorie di pazienti: in- nanzitutto quelli che si pongono nei con- f ronti della malattia con atteggiamento combattivo, convinti della possibilità di un controllo su di essa e per questo spesso ade- renti alle cure e fiduciosi nei confronti del medico. In secondo luogo ricordiamo quei malati, peraltro numerosi, che affrontano la diagnosi con totale sfiducia, con la sensa- zione che le cose andranno male nonostante le terapie e che quindi non mettono in atto alcuna strategia cognitiva volta all’accetta- zione e all’adattamento. Dobbiamo inoltre menzionare quei pazienti che sostanzial- mente non reagiscono, rispondendo con una condotta di negazione-evitamento, per cui tendono a minimizzare i propri sintomi e sono anche poco propensi a cercare infor- mazioni sulla loro patologia, e infine quei casi in cui si osserva più che altro una stoica accettazione della malattia, vista come un evento fatalistico occorso, e difficilmente controvertibile. Pur tenendo conto delle differenze in- terindividuali che caratterizzano i singoli pazienti, è spesso possibile considerare in- dicativamente una comune reazione im- mediata, presente nella maggioranza dei soggetti subito dopo la comunicazione della diagnosi: una sorta di processo emotivo, che trascina il paziente in un susseguirsi com- plesso di stati d’animo anche contrastanti tra loro. Inizialmente la notizia scatena nel paziente un vero e proprio shock acuto, una reazione per cui si avverte un senso di frattura rispetto al passato e si ha il presen- timento che niente sarà più come prima: la nuova diagnosi è vista come un dramma che causa paura, rabbia, angoscia. In un secon- do tempo il soggetto spesso tende invece a mettere in atto un meccanismo difensivo di negazione-evitamento nei confronti della notizia stessa, come una sorta di distacco, di rifiuto, che porta il paziente a ritardare e allontanare il confronto con la realtà. Dopo i primi momenti, egli cerca di rielaborare e di dare un senso a quello che gli è successo, riconsiderando tutte le sue scelte e la pro- pria vita in base a questo evento, per arrivare quindi a una fase finale di accomodamento/ patteggiamento, che si impone attraverso le terapie mediche. DALLA PARTE DEL MEDICO È evidente come la diagnosi di questo tipo di malattia determini un cambiamento notevole nel paziente che la riceve, e come sia la sua sfera di esperienze personali quella più direttamente sconvolta dalla notizia, tut- tavia non bisogna dimenticare gli effetti di un tale evento anche sulla figura del medico. Quest’ultimo è comunque un essere umano e, in quanto tale, esposto a sentimenti di so- lidarietà verso il paziente stesso, ma anche di senso di colpa, in quanto messaggero di sofferenza, e di frustrazione in caso di falli- mento delle terapie. Alcune ricerche fatte in questo ambi- to hanno messo in evidenza come molti clinici trovino piuttosto difficile, oltre che emotivamente impegnativa, la comunica- zione di “cattive notizie” [12]; non bisogna inoltre dimenticare che il fatto di essere un ottimo clinico non necessariamente implica la capacità di comunicare in modo chiaro, comprensivo e sensibile [13]. Pur essendo fondamentale approcciarsi al paziente con disponibilità, empatia e solidarietà, è tutta- via necessario che il medico sia in grado di mantenere un atteggiamento il più possibi- le professionale, guidando il malato verso scelte che non siano dettate da sentimenti del momento, ma piuttosto da conoscenze scientifiche accertate e da un’esperienza e una pratica clinica consolidate. È importan- te quindi che egli sia in grado di conciliare capacità relazionali personali e competenze scientifiche professionali. MODALITÀ E TEMPISTICA DELLA COMUNICAZIONE  Nel colloquio è fondamentale instaurare un rapporto costruttivo col paziente, gra- zie al dialogo e all’interazione, ma anche a elementi di comunicazione non verbale, preoccupandosi che aspetti come la posi- zione del proprio corpo, il tono della voce e lo sguardo siano sempre coerenti con le proprie parole. È possibile affermare che la modalità con cui avviene la comunicazione si rivela d’importanza quasi comparabile al contenuto stesso del colloquio. Alcune norme comportamentali e orga- nizzative basilari osservate dal medico pos- sono aiutare a rendere, per quanto possibile, meno traumatica la ricezione della notizia e questo rende ragione del fatto che solo spe- cialisti esperti siano in grado di affrontare 55 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) E. Tsantes, C. Senesi, E. Curti, F. Granella questo momento nel modo migliore. All’ini- zio del colloquio è sempre importante avere in mente un’idea precisa di come procedere, non dando mai al paziente l’impressione d’insicurezza, ma allo stesso tempo dimo- strandosi sempre disponibile empaticamente ad accogliere i suoi dubbi e le sue emozioni. Bisogna esplorare a fondo il problema, con onestà e sincerità per evitare aspettative il- lusorie, ma cercando di offrire contempora- neamente speranze realistiche, ricapitolando le possibilità terapeutiche concrete e piani- ficando insieme futuri obiettivi e azioni. Il paziente deve essere messo a proprio agio, incoraggiato a parlare e a esprimere i propri dubbi e sentimenti, deve essere ascoltato attivamente e facilitato nella comprensione grazie a ripetuti riepiloghi e riformulazioni. Queste indicazioni generali non devono co- munque mai condurre a un eccessivo sche- matismo, che rischia di scontrarsi con un principio estremamente importante, ossia quello della personalizzazione della diagno- si, nella convinzione che il colloquio debba comunque essere adattato alle caratteristiche dell’individuo che si ha di fronte [2]. Uno degli aspetti sul quale esistono ancora oggi opinioni largamente contrastanti non solo tra medici e pazienti, ma anche all’in- terno degli stessi neurologi è rappresentato dal grado di completezza e chiarezza delle informazioni da fornire ai malati: mentre in alcuni studi [1,2] buona parte degli specia- listi (anche oltre il 70%) concorda nel voler utilizzare direttamente il termine “sclerosi multipla”, in un recente studio greco [14], solo una minoranza (42%) dei neurologi di- chiarava di utilizzare la denominazione pre- cisa della malattia, mentre gli altri parlavano genericamente di “malattia demielinizzante” o di “infiammazione” del sistema nervoso. Anche il timing della comunicazione della diagnosi è dibattuto: in uno studio di He- esen e collaboratori di alcuni anni fa [1], la maggioranza dei pazienti ma solo il 24% dei neurologi riteneva doveroso comunicare la diagnosi anche quando questa non fosse certa durante l’iter diagnostico. Le principa- li motivazioni del desiderio dei pazienti di essere informati il più presto possibile van- no ricercate nella situazione d’incertezza e quindi di ansia legata alla diagnosi non tem- pestiva, nella mancanza di comprensione da parte della famiglia (che, in mancanza di una diagnosi di malattia organica può scambiare alcuni sintomi denunciati dal paziente per manifestazioni d’ipocondria) e nella perduta occasione di trattamento precoce. Si è inoltre rilevata l’utilità di fissare ul- teriori appuntamenti tra medico e pazien- te dopo il primo colloquio, per discutere nuovamente della patologia [2]: questo aiuta il paziente a raccogliere e memoriz- zare più informazioni sulla malattia (so- prattutto se si considera che, a causa del trauma provocato dalla comunicazione della diagnosi, molti pazienti riferiscono di aver dimenticato gran parte delle notizie date dal medico dopo quel momento) e a sviluppare quesiti che verranno poi soddi- sfatti di volta in volta, oltre che a garantire da subito quella continuità assistenziale di cui un malato con sclerosi multipla ha senz’altro bisogno. CONCLUSIONI La scelta di affrontare questo argomento è derivata dall’evidenza di come la comuni- cazione della diagnosi rappresenti il punto di partenza di un lungo percorso di colla- borazione tra medico e paziente e possieda una notevole influenza sulla compliance dei pazienti, sulla loro conoscenza della propria condizione e sulla fiducia verso il medico. Si tratta di una tematica estremamente at- tuale, nei confronti della quale l’attenzione è cresciuta molto, soprattutto di recente, conducendo a studi qualitativi volti a valu- tare il grado di soddisfazione dei pazienti per quanto riguarda le modalità di comuni- cazione [7] e a individuare strumenti atti a migliorare la loro comprensione della pro- pria patologia [8]. L’importanza della tematica è inoltre an- data crescendo negli anni parallelamente ai progressi compiuti in ambito diagnostico e terapeutico. Da un lato, infatti, l’approvazio- ne di nuovi criteri diagnostici [15] ha reso possibile una diagnosi certa di sclerosi mul- tipla più precocemente rispetto al passato, evento che ha radicalmente mutato le carat- teristiche del rapporto tra medico e paziente al momento dell’insorgenza di un episodio iniziale di disfunzione neurologica. Dall’al- tro lato abbiamo l’acquisizione di maggiori dati circa l’utilità di iniziare precocemente una terapia, in modo tale da ridurre il pro- cesso di disseminazione spaziale e temporale della malattia [16-19]. Si tratta di elementi che pongono ancor di più l’accento sull’importanza della co- municazione della diagnosi e quindi sulla necessità che essa sia affrontata esclusiva- mente da parte di neurologi esperti nella 56 ©SEEd Tutti i diritti riservati Clinical Management Issues 2012; 6(2) L’importanza della comunicazione della diagnosi nella sclerosi multipla materia, consapevoli dell’impatto che tale momento provoca sui pazienti e quindi dei requisiti professionali e umani indispensabili per affrontarlo. Fortunatamente, proprio i progressi in ambito terapeutico hanno notevolmente migliorato le prospettive prognostiche dei pazienti con sclerosi multipla: i farmaci di più recente approvazione, come natalizumab e fingolimod, utilizzati in Italia come tera- pie di seconda linea, hanno mostrato profili di efficacia elevati e superiori a quelli delle tradizionali terapie di primo livello, come interferone β e glatiramer acetato. In uno studio randomizzato in doppio cieco vs pla- cebo (studio AFFIRM) [20], natalizumab si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di progressione sostenuta della disabilità del 42% in due anni e ha ridotto l’incidenza di recidive cliniche a un anno del 68%, con una diminuzione dell’83% per quanto riguar- da l’accumulo di nuove o più estese lesioni iperintense alle immagini pesate in T2 alla risonanza magnetica. Per quanto riguarda fingolimod, primo farmaco orale per il trattamento della SM, i risultati degli studi clinici hanno messo in evidenza una riduzione del tasso annuale di ricadute del 54% e una significativa riduzio- ne della progressione della disabilità (studio FREEDOMS) [21] rispetto al placebo. Il farmaco ha inoltre dimostrato un’efficacia maggiore rispetto a interferone β1a per quanto riguarda il tasso annuale di ricadute (0,16 per fingolimod contro 0,33 per inter- ferone β1a; p < 0,001) e la progressione della malattia alla risonanza magnetica (studio TRANSFORMS) [22]. La disponibilità di farmaci altamente effi- caci, che hanno veramente cambiato la storia naturale della malattia, assieme alle molte altre molecole che si renderanno presto fru- ibili, ci offre fortunatamente la possibilità di temperare con elementi di ottimismo e di speranza un momento, quello della co- municazione della diagnosi di sclerosi mul- tipla, che rimane pur sempre drammatico e che segna una frattura netta nella vita di chi ne è colpito. DISCLOSURE Gli Autori dichiarano di non avere conflit- ti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo. BIBLIOGRAFIA 1. Heesen C, Kolbeck J, Gold SM, et al. 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