Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 15 R el a zi o n i Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Laboratory medicine and critical care: need for a closer collaboration M. Plebani Department of Laboratory Medicine, University-Hospital, Padova The clinical needs of the Emergency Departments (ED) in terms of laboratory testing correspond to the availability of three main items: 1) 24-hours access to laboratory testing for a panel of tests which are really necessary for the clinical decision-making process and patient care; 2) response time (TAT) that allows an effective and safe management of critical patients; 3) analytical and process quality assurance appropriate to the specific diagnostic use. Laboratory tests that are useful for the management of critical patients should be grouped into three main categories: a) tests whose results are needed as soon as possible (e.g arterial blood gases analysis, electrolytes ecc); b) tests whose results are needed rapidly that means within 60 minutes (e.g cardiac biomarkers including cardiac troponin, D-dimer ecc); c) tests whose results are still useful if available within an acceptable timeframe (2 hours), including ALT, GGT, bilirubin and toxicological tests. All these tests, namely tests included in the group a, should be measured by a centralised laboratory or by POCT according to some logistic and organizational issues that should be specifically discussed and solved in each institution. Data available in the current literature underline that major criticisms in ED and critical care units (CCU) derive both from analytical problems and by defects in the pre- and post-analytical phases. In particular, the lack of an appropriate test request and an appropriate interpretation of results translate into missed or delayed diagnoses in the ED setting. In papers dealing with missed or delayed diagnosis in EDs, the extent of failure to follow-up diagnostic tests in ED ranged from 1.0% to 75% (radiology from 0% to 5.6%, microbiology from 3% to 75%, and urgent biochemistry 44.7%), stressing the need for corrective actions. The source of these errors relates to a complex mix of human factors, team work, and system breakdowns that lead to communication mistakes and mishandling of critical patient information. This is particularly true for the notification of critical values that remain a fundamental issue for the quality of care and patient safety. References Kachalia A, Gandhi TK, Pupolo AL et al. Missed and delayed diagnoses in the Emergency department: a study of closed malpractice claims from 4 liability insurers. Ann Emerg Med 2007; 49: 196-205. Plebani M. The detection and prevention of errors in laboratory medicine. Ann Clin Biochem. 2010; 47: 101-10. Innovazione tecnologica nell’ambito della medicina d’emergenza-urgenza: workshop. Ecofast e utilizzo del mezzo di contrasto L. Barozzi U.O.C. di Radiologia, Dipartimento di Emergenza/Urgenza, Chirurgia Generale e dei Trapianti Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna L’ecografia è l’indagine più utilizzata nel trauma chiuso dell’addome per rapidità di esecuzione e sensibilità nella ricerca dell’emoperitoneo (84-98%). Può essere impiegata senza interferire con le manovre di rianimazione. La tecnica FAST (Focused Abdominal Sonography for Trauma) consiste nell’esecuzione di 4 scansioni: ipocondrio e fianco destro, epigastrio, ipocondrio e fianco sinistro, scavo pelvico. Nel paziente instabile il riscontro di versamento endope- ritoneale pone indicazione all’intervento chirurgico di laparotomia senza ulteriori accertamenti. Nel paziente stabile con versamento peritoneale acquista notevole importanza l’esatta valutazione delle lesioni presenti, rendendosi quindi neces- sari ulteriori accertamenti. In questo contesto la TC costituisce l’esame gold standard per la sua panoramicità, sensibilità e specificità (98% con VPN 100%). L’ecografia ha elevata sensibilità nella rilevazione dell’emoperitoneo ma scarsa sensibilità nella valutazione delle lesioni degli organi addominali. Inoltre, l’assenza di emoperitoneo non esclude lesioni parenchimali anche di grave entità. Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. R el a zi o n i 16 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. L’implementazione tecnologica delle apparecchiature, con l’introduzione dell’imaging armonico e degli algoritmi a basso indice meccanico, ha migliorato notevolmente le possibilità dell’ecografia. Inoltre l’introduzione del SonoVue, mezzo di contrasto (MdC) di seconda generazione altamente stabile e con scarsi effetti collaterali, ha drasticamente incrementato le possibilità della metodica. Si tratta di una soluzione di microbolle capace di entrare in risonanza con il fascio di ultrasuoni, che consente di ottenere un imaging real time in scala di grigi con una efficace rappresentazione dell’architettura microva- scolare dei parenchimi. Inizialmente testata nelle lesioni focali epatiche, ha dimostrato grandi possibilità anche nella valutazione delle lesioni traumatiche parenchimali. L’esame ecografico con MdC (CEUS) richiede apparecchiature performanti, dotate di softwares dedicati. Il MdC viene iniettato per via endovenosa, a bolo, usualmente alla dose di 2,4 ml. Nella valutazione dell’effetto “contrastografico” è necessario tenere conto della vascolarizzazione dell’organo indagato e delle caratteristiche della lesione da evidenziare. I tempi di rilevazione sono ormai noti e codificati dalla TC, con una tempistica che distingue diverse fasi: arteriosa, venosa e tardiva. Per lo studio del paziente traumatizzato bisogna considerare come i vari organi richiedano tempi diversi. Nel rene le lesio- ni traumatiche sono meglio identificate in fase arteriosa; il fegato è meglio valutabile in fase portale (a 70”); per la milza è necessaria una buona e completa opacizzazione (circa 3’). L’intero studio prevede circa 6 minuti. Le lesioni traumatiche appaiono come aree fortemente ipoecogene nel contesto di un parenchima che incrementa for- temente la sua ecogenicità dopo infusione di MdC. L’ecografia consente una perfetta visualizzazione delle lesioni, con precisa valutazione delle dimensioni e della sede. La CEUS si propone in maniera importante anche nella sorveglianza delle lesioni trattate conservativamente. Rimango- no, però, irrisolti i limiti propri della metodica ecografica, quali l’habitus difficile del paziente, le difficoltà nell’apparato gastro-intestinale, la presenza di ferite aperte e di enfisema. In conclusione è possibile affermare che i MdC di seconda generazione migliorano l’accuratezza diagnostica dell’ecografia nella valutazione delle lesioni degli organi addominali, con risultati sovrapponibili a quelli della TC. La semplicità di esecuzione, anche al letto del malato, la rendono metodica eligibile nella valutazione del trauma chiuso dell’addome, prima della TC che rimane metodica indiscussa nel politrauma e nel trauma maggiore stabilizzato. PCT come strumento di stewardship antimicrobica P. Viale Clinica di Malattie Infettive, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Alma Mater Studiorum Università di Bologna In un momento di significativa contrazione delle risorse farmacologiche nei confronti delle malattie da infezione, corre- lato alla costante e preoccupante espansione delle resistenze microbiche, l’approccio alla terapia antibiotica non può più prescindere da una visione di sistema, dove il prescrittore associ alla gestione del singolo caso anche la valutazione del potenziale impatto ecologico delle sue scelte. Questo “matrimonio” tra l’aspetto clinico e la valenza epidemiologica del management della terapia antimicrobica è il principio su cui su basa la stewardship antimicrobica, che si propone come un insieme di interventi finalizzati a contenere i rischi correlati all’uso degli antimicrobici senza che ciò vada a scapito della qualità assistenziale. Nel corso dell’ultimo decennio la stewardship antimicrobica da un insieme di misure, spesso messe in atto in modo non co- ordinato, è diventata una materia di studio, grazie a numerosi contributi culturali che progressivamente ne hanno spostato le finalità, da strumento di controllo a metodologia di governo clinico, ad approccio scientifico idoneo a definire e mo- nitorizzare non tanto i costi delle prescrizioni quanto l’appropriatezza della gestione globale della terapia antimicrobica. In tale contesto, l’identificazione di ulteriori strumenti capaci di guidare le scelte, quali ad esempio parametri oggettivi espressione di malattia da infezione, ha sicuramente un’importante valore teorico. La determinazione dei livelli plasmatici di procalcitonina può in effetti rappresentare uno strumento utile per aiutare il clinico ad affrontare le numerose “zone grigie” relative alla prescrizione di antibiotici, in particolare in quelle situazioni in cui non vi siano chiare evidenze né di infezione né di localizzazione d’organo, quali ad esempio i pazienti con febbre senza fattori di rischio specifici e/o segni e sintomi evocativi per una peculiare condizione di malattia correlata ad infezio- ne oppure i pazienti affetti da broncopatia cronica ostruttiva che presentino riacutizzazione della tosse, variazioni delle caratteristiche dell’escreato senza altre manifestazioni di super-infezione batterica. Non è casuale che le esperienze più favorevoli relative all’utilizzo di procalcitonina come strumento decisionale verso la prescrizione o la non prescrizione di antibiotici, siano state condotte soprattutto nel setting delle infezioni delle vie aeree inferiori e non necessariamente in pazienti critici, dove i segni e sintomi della condizione di sepsi grave fossero eclatanti. Molto significativi in tal senso sono i dati dello studio Pro-HOSP dove in una coorte prospettica di pazienti con infezioni Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 17 R el a zi o n i delle vie aeree inferiori, randomizzati a terapia secondo linee guida vs terapia basata su valori di procalcitonina, si eviden- ziava un chiaro vantaggio in termini di esposizione ad antibiotici sia globalmente su tutti i 1359 soggetti arruolati, sia dopo stratificazione per soggetti con polmonite di comunità o broncopatia cronica ostruttiva riacutizzata. Più conflittuali sono invece i dati acquisiti nel setting della terapia intensiva. Esaustivi sono i dati di un recente studio condotto prospetticamente su oltre 1200 pazienti ricoverati in terapia intensiva, randomizzati a ricevere o implementare la terapia antimicrobica secondo lo standard of care o in base al valore di PCT, dove una concentrazione superiore a 1 ng/ ml era considerato il parametro di alert. Con riferimento all’end point primario, sopravvivenza a 28 giorni, non si sono registrate differenze significative; tuttavia il braccio PCT-driven risultava significativamente peggiore in termini di giorni spesi in terapia intensiva (6 vs 5 p = .005), giorni di ventilazione meccanica (3.59 vs 2.81 p = .001), numero di giorni di ricovero occupati da terapia con almeno tre farmaci (65 vs 75% p = .002), tempo medio di terapia antimicrobica corretta (0.1 vs 0.8 giorni p =.02). All’opposto, altri autori, valutando una popolazione di 119 soggetti con cause variabili di immunodepressione ricoverati in terapia intensiva con condizione di sospetta sepsi, hanno verificato livelli di PCT all’ingresso più elevati nei soggetti con successiva dimostrazione di infezione batterica rispetto a coloro in cui la stessa era stata esclusa (4.42 [1.60-22.14] vs 0.26 [0.09-1.26] ng/ml P < 0.0001). Valori di PCT inferiori al classico cut off di 0.5 ng/ml si rivelavano massimalmente sensibili (100%) sebbene poco specifici (63%) per la diagnosi di infezione batterica. In ogni caso all’analisi multivariata valori > 0.5 ng/ml erano indipendentemente predittivi per sepsi ad eziologia batterica (Odds Ratio, 8.6; intervallo di confidenza 95% 2.53-29.3; P = 0.0006), mentre non vi era alcuna predittività riguardo la mortalità. Questi risultati devono ovviamente essere letti con attenzione prima di giungere ad una conclusione definitiva circa l’uti- lità di PCT nel guidare le scelte terapeutiche in terapia intensiva, perché gli stessi disegni degli studi possono contribuire alla variabilità dei risultati, ma certamente concorrono a mantenere ancora un certo livello di incertezza riguardo il suo ruolo in questo ambito clinico, dove l’unico dato verosimilmente assodato è che la concentrazione di PCT non è di per sé predittiva di mortalità. Al di fuori dell’ambito intensivistico, dove il clinico ha normalmente a disposizione molti altri elementi per porre dia- gnosi di malattia da infezione grave, il ricorso alla determinazione routinaria di PCT sembra avere invece un ruolo più importante nel definire linee comportamentali di prescrizione, specie in quelle nelle condizioni borderline dove gli ele- menti per porre diagnosi di infezione non sono decisivi. Due recenti esperienze sono il linea con questa affermazione: la prima concerne il management della febbre del paziente neutropenico, contesto clinico dove tradizionalmente vengono prescritte grandi quantità di antibiotici spesso in modo acritico, semplicemente a fronte dell’insorgenza di febbre. In 194 episodi febbrili occorsi in 90 pazienti neutropenici è stata studiata prospetticamente la cinetica di PCT, che è risultata aspecificamente e mediamente elevata (valore medio 1.9 ng/ml) indipendentemente dalla presenza o meno di dimostra- zione microbiologica di malattia; tuttavia valutando il valore di PCT a 48 ore dall’insorgenza della sintomatologia febbrile, vi erano significative differenze in termini di concentrazione plasmatica in rapporto alla presenza o meno di infezione microbiologicamente dimostrata ed altresì in rapporto al tipo di isolato: nelle infezioni documentate, causate da patogeni diversi da Stafilococchi coagulasi negativi (spesso espressione di contaminazione durante la fase pre-analitica) il valore a 48 ore era significativamente superiore rispetto ai pazienti con FUO senza diagnosi microbiologica (6.56 vs 2.05 ng/ ml p < .001); in più un livello superiore a 5 ng/ml in terza giornata occorreva in 17 su 21 infezioni fungine invasive, con sensibilità e specificità diagnostica rispetto ai criteri EORTC-MSG pari rispettivamente ad 81 e 57%. Ancora, nei pazienti con infezione fungina invasiva e risposta clinica si apprezzava una riduzione del valore plasmatico significativamente più consistente e rapida. Pertanto pare ragionevole affermare che la determinazione di PCT in questo contesto, sebbene non utile per l’impostazione terapeutica iniziale potrebbe invece essere uno strumento idoneo a guidare regimi di semplifica- zione terapeutica. La seconda esperienza, riferita da un gruppo cinese, concerne ancora pazienti con polmonite di comunità, gestiti in regime ambulatoriale: un piccolo gruppo di 172 soggetti è stato randomizzato per terapia in base al valore basale e/o al trend di PCT secondo l’algoritmo proposto da Shueltz e collaboratori (che prevede un’indicazione a trattamento per valori > 0.25 ng/ml) ovvero secondo giudizio medico. In assenza di casi mortali in entrambi i gruppi, la percentuale di prescrizione di antibiotici, il rischio relativo di esposizione e la durata totale del trattamento sono sempre risultati nettamente minori dove la decisione è stata guidata dal valore di PCT. Entrambi gli studi, oltre a ribadire il possibile ruolo di procalcitonina come strumento idoneo a guidare la decisone se porre o meno in terapia un paziente, ne identificano ulteriori settori di utilizzo, sia nella semplificazione dei regimi tera- peutici sia nell’accorciamento del tempo di trattamento. Questi aspetti sono di notevole importanza, in quanto all’interno delle misure di stewardship antimicrobica trovano posto non solo criteri inerenti la decisionalità circa l’inizio della terapia antibiotica, ma altresì quelli concernenti le modalità di sospensione. Quello dei criteri idonei a guidare la sospensione della terapia antimicrobica è certamente uno dei campi di ricerca clinica meno esplorati. Molte linee guida di prestigiose società scientifiche indicano ancora tempi di trattamento predefiniti per molteplici patologie, senza che vi siano evidenze che sostengano tali affermazioni, e ciò dà adito a tempi di terapia spesso estremamente prolungati, dove il confine tra una medicina basata sull’evidenza ed una medicina difensiva diventa estremamente sottile. In un contesto ancora nebuloso, PCT potrebbe avere un ruolo estremamente importante, e già alcune evidenze portano a sostenerne il valore. Nel corso dell’ultimo quinquennio sono stati infatti pubblicati i dati di almeno 6 trials randomizzati finalizzati a verificarne l’utilità come strumento per guidare la interruzione terapeutica. Tutti sono stati condotti in terapia Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. C o n gr es so N a zi o n a le I n te rd is ci p lin a re 18 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. R el a zi o n i Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 18 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it intensiva e si sono proposti di confrontare protocolli di sospensione terapeutica basati sull’andamento di procalcitonina verso lo standard of care, impiegando variamente come end points l’intensità dell’esposizione antibiotica, il tempo di rico- vero in terapia intensiva, i tasso di recidiva di malattia da infezione, la mortalità. La durata della terapia antimicrobica risultava significativamente ridotta nei soggetti dove la stessa era interrotta la terapia in base al valore di PCT in 5 studi su 6. I pazienti nel braccio PCT-driven presentavano un incremento globale di giornate di degenza prive di antibiotici che variava da 23 a 37%, una riduzione dal 21 al 38% della durata del primo ciclo di terapia antibiotica ed una contrazione dal 20 a 23% dei giorni di terapia antimicrobica per 1000 giornate di degenza in terapia intensiva. In due studi si registrava anche una riduzione dei giorni di degenza, mentre mai si documentavano differenze significative in termini di mortalità. Mediamente, infine, il costo della terapia antimicrobica per paziente risultava pari a 2597.94 dollari per i soggetti gestiti in base all’andamento di PCT versus 3068.56 in quelli riferiti ad un management basato sullo standard of care. Questi dati, unitamente a quelli prima riportati sono globalmente convincenti riguardo questa possibilità di impiego della determinazione di procalcitonina, sebbene siano stati tutti prodotti in ospedali universitari nord europei, si riferiscano solo alla terapia intensiva e manchino analisi farmaco economiche puntuali. Non è detto dunque che questi riscontri siano del tutto esportabili fuori dalla terapia intensiva e/o in ospedali diversi da quelli universitari, e/o in contesti diversi da quelli nord europei. In più al di fuori dell’ambito intensivistico è ancora da verificare se il concetto della stabilizzazio- ne clinica, da tempo strumento condiviso per la semplificazione e la riduzione dei tempi di trattamento, sia più o meno efficace rispetto a procalcitonina. È verosimile che l’uso combinato di entrambi, un parametro clinico ed uno bioumorale, possa rappresentare la strada del futuro per razionalizzare un aspetto della terapia antimicrobica ancora dominato dall’em- pirismo. Ed è pertanto auspicabile che su di essi vengano costruiti i prossimi trials. References Dellit TH, Owens RC, McGowan JE Jr et al. Infectious Diseases Society of America and the Society for Healthcare Epidemio- logy of America guidelines for developing an institutional program to enhance antimicrobial stewardship. Clin Infect Dis 2007; 44: 159-77. Schuetz P, Christ-Crain M, Thomann R et al. Effect of procalcitonin-based guidelines vs standard guidelines on antibiotic use in lower respiratory tract infections: the ProHOSP randomized controlled trial. JAMA 2009; 302: 1059-66. Jensen JU, Hein L, Lundgren B et al. Procalcitonin-guided interventions against infections to increase early appropriate antibio- tics and improve survival in the intensive care unit: a randomized trial. Crit Care Med 2011; 39: 2048-58. Bele N, Darmon M, Coquet I et al. Diagnostic accuracy of procalcitonin in critically ill immunocompromised patients. BMC Infect Dis 2011; 24, 11: 224. Robinson JO, Lamoth F, Bally F et al. Monitoring procalcitonin in febrile neutropenia: what is its utility for initial diagnosis of infection and reassessment in persistent fever? PLoS One 2011; 6: e18886. Long W, Deng X, Zhang Y, Lu G, Xie J, Tang J. Procalcitonin guidance for reduction of antibiotic use in low-risk outpatients with community-acquired pneumonia. Respirology 2011; 16: 819-24. Nobre V, Harbarth S, Graf JD, Rohner P, Pugin J. Use of procalcitonin to shorten antibiotic treatment duration in septic patients: a randomized trial. Am J Respir Crit Care Med 2008; 177: 498-505. Stolz D, Smyrnios N, Eggimann P et al. Procalcitonin for reduced antibiotic exposure in ventilator-associated pneumonia: a randomised study. Eur Respir J 2009; 34: 1364-75. Hochreiter M, Kohler T, Schweiger AM et al. Procalcitonin to guide duration of antibiotic therapy in intensive care patients: a randomized prospective controlled trial. Crit Care 2009; 13: R83. Layios N, Lambermont B, Ledoux D et al. Usefulness of procalcitonin for the decision of antibiotic treatment in ICU patients. Intensive Care Med 2009; 35: S82. Schroeder S, Hochreiter M, Koehler T et al. Procalcitonin (PCT)- guided algorithm reduces length of antibiotic treatment in surgical intensive care patients with severe sepsis: results of a prospective randomized study. Langenbecks Arch Surg 2009; 394: 221-6. Bouadma L, Luyt CE, Tubach F et al. Use of procalcitonin to reduce patients’ exposure to antibiotics in intensive care units (PRORATA trial): a multicentre randomised controlled trial. Lancet 2010; 375: 463-74. Agarwal R, Schwartz DN. Procalcitonin to Guide Duration of Antimicrobial Therapy in Intensive Care Units: A Systematic Review. Clin Infect Dis 2011; 53: 379-387. Heyland DK, Johnson AP, Reynolds SC, Muscedere J. Procalcitonin for reduced antibiotic exposure in the critical care set- ting: a systematic review and an economic evaluation. Crit Care Med 2011; 39: 1792-1799. Hayashi Y, Paterson David L. Strategies for Reduction in Duration of Antibiotic Use in Hospitalized Patients. Clin Infect Dis 2011; 52: 1232-1240. Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 19 R el a zi o n i The role of a general medical ward F. Lari UO Medicina Interna, Dipartimento Medico AUSL Bologna, Ospedale di San Giovanni in Persiceto In the last years Non-Invasive Ventilation (NIV) reached an important role in the treatment of Acute Respiratory Failure (ARF). Prospective randomised controlled trials show improvement in clinical features (Respiratory Rate, Neurological Score), pH and arterial blood gases and in particular clinical conditions (Acute Cardiogenic Pulmonary Edema, ACPE, and acute exacerbation of Chronic Obstructive Pulmonary Disease, COPD), systematic reviews and metha-analysis confirm reductions in the need for intubation and in-hospital mortality compared to standard medical treatment. Early application and staff’s training seems to be determinant on NIV’s success. Even if the first important data on NIV come to studies performed in Intensive Care Units (ICU), subsequently these methodologies of ventilation have been used with increasing frequency in Emergency Departments (ED), respiratory wards and general medical wards. This for several reasons: • increase of Elderly patients with various chronic diseases; • increase of complicated clinical conditions in which endo tracheal intubation (ETI) and invasive ventilation lead to poor outcomes (immunodeficiency, neoplasm ecc.); • lack of bed places in ICU. However, the use of NIV in general medical wards is largely incomplete, and is more significant in small and middle size Hospitals where the absence of ICU forces the management of ARF with NIV in general wards for the first hours of treatment. Aetiology remains one of the most important factors determining prognosis: different pathological mechanisms sustain different clinical conditions and not in all cases the application of positive pressures to the airways is useful. ARF due to acute exacerbation of COPD and ACPE is associated with a better outcome and stronger evidences in literature: the addition of NIV significantly lead to lower “need for intubation” and lower mortality rate compared to standard medical therapy alone. In ACPE Pts CPAP and bi-level ventilation seems to be similar in effectiveness: high positive pressure inside the chest produces ventilatory and hemodynamic useful effects such as alveolar recruitment, increase of functional residual capacity (FRC), decrease of pre- and after-load. The choice to use CPAP rather than bi-level ventilation depends on the local experience and organisation. In COPD Pts bi-level ventilation is effective because: 1. external expiratory positive pressure (EPAP or PEEP) contrasts the intrinsic end expiratory positive pressure (iPEEP) of these patients; 2. an higher inspiratory positive pressure (IPAP or Pressure Support) decreases the work of breathing (WOB), reducing Airway Resistance, improving Tidal Volume and alveolar ventilation. Hypoxemic ARF related to ALI/ARDS and severe pneumonia show a worst outcome and controversial data in literature: for this reason it is not advisable to manage these conditions with NIV outside the ICU and further studies are needed to support real advantages of NIV. NIV in addition to standard medical therapy for the treatment of ARF due to COPD exacerbation and ACPE is feasible, safe and effective also in a general medical ward if, after a correct selection of patients, staff’s training and a simple monitoring, it results appropriate: its early application improve clinical parameters, arterial blood gases values and can prevent ETI, ICU transfer and invasive ventilation, events related to high mortality rate, complications, longer hospitalisation. This should encourage the diffusion of this type of ventilation in this specific setting. According to strong evidences in literature, NIV should be considered a first line and standard treatment in these clinical conditions irrespective of the setting. References Plant PK, Owen JL, Eilliott MW. Early use of Non-invasive ventilation (NIV) in acute exacerbations of COPD on general respiratory ward: a multicentre randomised controlled trial. Lancet 2000; 355: 1931-1935. Bardi G, Pierotello R, Desideri M, Valdisserri L, Bottai M, Palla A. Nasal ventilation in COPD exacerbations: early and late results of a prospective, controlled study. Europ Resp J 2000; 15: 98-104. Bott J, Carroll MP, Conway JH, Keilty SE, Ward EM, Brown AM, Paul EA, Elliott MW, Godfrey RC, Wedzicha JA. Randomized controlled trial of nasal ventilation in acute ventilatory failure due to chronic obstructive airways disease. Lancet 1993; 341: 1555-1557. Barbe F, Togores B, Rubi M, Pons S, Maimo A, Augusti AG. Noninvasive ventilatory support does not facilitate recovery from acute respiratory failure in chronic obstructive pulmonary disease. Eur Respir J 1996; 9: 1240-1245. Lari F, Scandellari N, DeMaria F, Zecchi V, Bragagni G, Giostra F, DiBattista N. La ventilazione meccanica non invasiva nel trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta: efficacia ed applicabilità in reparto medico. Emergency Care Journal 2009; V, 5: 8-20. Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. R el a zi o n i Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 20 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Acute medical unit or rapid intensive observation of patients with intermediate risk of acute critical illness G. Realdi, S. Giannini, P. Fioretto, F. Fabris, F. Simoni, G. Vettore, F. Tosato Department of Medical and Surgical Sciences and Department of Emergency Care and Pronto Soccorso, Policlinico Universitario and Azienda Ospedaliera of Padova In acute care hospitals of these last decades it has been observed a great increase of emergency presentations, with overcrowding of Emergency Departments and access to the wards, increased waiting times and length of stay, difficult discharge, increased readmission rate and finally increased mortality. Breaking the steps of the patients pathways allows to simplify the problems and to face the individual aspects of the complexity related to the management of patients in the hospital. A variable percentage of patients indeed has to be considered at intermediate risk of acute conditions and needs more care than that provided on a general ward. One solution proposed in the Anglo-Saxon world is the institution of Acute Medical Units, otherwise defined with different terminology, being in Unites States called Adult Intermediate Care Unit. The concept is a rapid intensive observation of the patients in acute hospital setting within Internal Medicine wards. Acute Medical Unit has been designated as hospital wards specifically staffed and equipped to receive medical inpatients presented with acute medical illness, from Emergency Department or from the Community services, for expedited general internal medicine assessment, care and treatment, to discharge or transfer patients within 24-72 hours. We describe the model of AMU experience in Internal medicine departments as proposed and adopted in Anglo-Saxon countries, the methods of clinical approach and the practical organisation of the units in close collaboration with the ED ward of our Hospital. Finally we report our experience at an Internal Medicine Department in Padova and the initial results obtained during the first four months of the project. Our approach of intensive rapid observation of intermediate risk patients admitted from the ED led to a significant reduction in the duration of hospitalization, without increasing readmission rate after discharge and fatality rate. Factors significantly associated to a short hospital stay were a preserved function and a lower number of previous admissions to the hospital. Several gray zones in the realisation and management of the project were identified and the possible solutions are still matter of discussion and debate. Clinical Policy: indicazioni e risultati del monitoraggio ECG prolungato F. Ammirati Direttore UOC Cardiologia, Ospedale G.B. Grassi, ASL RMD ILR is implanted subcutaneously under local anaesthesia and have a battery life of up to 36 months. This device has a solid-state loop memory that stores retrospective ECG recordings, when activated either by the patient or a bystander, usually after a syncopal episodeor automatically activated in the case of occurrence of predefined arrhythmias. Some of these devices have the capability of transmitting the signals transtelephonically. ILR is used for: • Patients at high risk after a conventional inconclusive diagnostic work-up; • Patients at low risk at the beginning of the work-up or at the end of a complete clinical evaluation; • Patients who have suspected recurrent neurally mediated syncope when the understanding of the mechanism of spontaneous syncope may alter the therapeutic approach; • Patients with bundle branch block (BBB) in whom paroxysmal AV block is likely despite negative complete electrophysiological evaluation; • Patients with definite structural heart disease and/or nonsustained ventricular tachyarrhythmia in whom a ventricular tachyarrhythmia is likely despite a negative complete electrophysiological study (EPS); • Patients with unexplained falls. In a small series of highly selected patients, symptom-ECG correlation was achieved in 88% of patients within a mean of 5 months of implantation. Pooled data from nine studies, including 506 patients with unexplained syncope at the end of a complete conventional investigation, show that a correlation between syncope and ECG was found in 176 patients (35%); of these, 56% had asystole (or bradycardia in a few cases) at the time of the recorded event, 11% had tachycardia and 33% had no arrhythmia. Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell’EU - Roma, 2-4 novembre 2011 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne , c lin ic a, r ic er ca • A nn o V III n um er o 1 • M ar zo 2 01 2 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 21 R el a zi o n i Most recently, external and implantable device systems that are able to provide continuous ECG recording or 24 h loop memory, with wireless transmission (real time) to a service centre, have been developed. Daily and warning reports for predefined events are sent from the centre to the physician. Initial data showed that a mobile cardiac outpatient telemetry system had a higher diagnostic yield than a patient-activated external looping event monitor in patients with syncope or pre-syncope. The potential role of these systems in the diagnostic work-up of patients with syncope needs to be further evaluated. Algorithm for treatment of hand wounds in the emergency department F. Brunato Hand Surgery Department, AzULSS 15 Alta Padovana, Camposampiero, Padova Traumatic lesions of the hand represent a disease frequently encountered in emergency departments. Statistics show that about 10% of all emergency accesses are trauma of the hand and almost half of these injuries are hand wounds. The most affected are males in the workplace, while female subjects suffer of superficial wounds made at home. The latest INAIL data show that injuries to the hand, alone, account for about 30-40% of all accidents and this data rises as high as 50% if we consider the accidents in the woodworking industry. Given their frequency and impact on the population, it is essential that they are properly addressed. Faced with a wound of the hand, it is necessary to understand the mode and mechanics of the trauma, to know the hand position at the time of injury, perform a physical examination, assess an accurate active and passive motility, assess the sensitivity of the affected area and compare it with the contralateral hand, for not being misled by false responses of the patient or their hawksbill innervations. An initial diagnostic hypothesis on whether deep lesions is now possible. Only when a nerve injury is excluded is possible to perform anesthesia to clean and/or irrigate the wound, to do deep tissue debridement and to inspect in order to assess the true extent of the lesion. The emergency room doctor at each step has to decide whether to deal definitively with the possible immobilization and tight follow-up, or temporarily by sending the patient to a specialist. The experience of the physician, logistical and overcrowding situations, will be the basis of the decision, knowing that the definitive treatment can be deferred even 24-72 hours, with the exception of vascular emergency. The complexity of the hand lesions, the diagnostic difficulties due to the complexity of the anatomy depending on the affected area, the appearance of a sometimes banal wound, often associated with inadequate knowledge of its structure, can lead to frequent non-recognition or underestimation even of important diseases. Not suitable treatment can result with disabling, severe and prolonged sequelae, which may have medico-legal implications, given the high functional value of this organ. Only a precise timing of conduct in the performance of this urgency, allows an accurate diagnostic evaluation and a correct therapeutic approach. The “early” recognition or the doubt of a possible lesion with referral to a specialist, are the essential and decisive moments, in order to avoid or minimize damage due to post-traumatic stress and improve the prognosis quoad valetudinem.