ecj 5 2009:ecj 5 2009 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it 32 Obiettivi Il presente lavoro si propone di: a) fornire una definizione e distinzione dei termi- ni aggressività, rabbia, acting-out aggressivo; b) delineare un sintetico excursus delle 6 teorie at- tualmente più significative relative in particola- re al tema delle matrici e funzioni degli agiti ag- gressivi; c) richiamare l’attenzione ai dati statistici, che ne segnalano una forte crescita negli ultimi anni, sia in Italia che all’estero; d) suggerire un modello interpretativo degli acting- out in Pronto Soccorso, capace di rispettare la natura probabilistica e multifattoriale del feno- meno; e) riprendere l’indicazione della “Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli ope- ratori sanitari”, pubblicate dal Ministero della Salute nel novembre 20071 in risonanza alle li- nee guida del National Institute for Occupa tional Safety and Health2. Gli episodi di aggressione al- l’interno di un Servizio Sanitario – viene specifi- cato in questi documenti – devono essere consi- derati “eventi sentinella”, cioè possibili indicatori di punti critici in cui il sistema può fallire o esse- re “attaccato”. In tal senso, essi devono stimolare una verifica degli aspetti relazionali, organizzati- vi, strutturali e ambientali, incluse le attività di informazione e formazione del personale, la co- struzione di prassi e procedure d’intervento a tu- tela degli operatori, l’attivazione degli strumenti di supporto per le vittime dell’atto violento; f) suggerire accorgimenti utili per la prevenzione. Definizioni L’aggressività L’aggressività è una delle principali forme di ener- gia, motrici del comportamento umano. Tutela, quando indispensabile, l’autoconservazione, la so- pravvivenza psichica (richiesta di rispetto e rico- Riflessioni sulle matrici di “acting-out” aggressivo in PS e possibili interventi di prevenzione Laura Nardi, Roberto Recupero* Psicologa, psicoterapeuta *Responsabile UO Pronto Soccorso PO di Ciriè (To) SINTESI Gli ospedali devono sviluppare un programma di pre- venzione degli eventi aggressivi. È necessario forma- re gruppi di lavoro multidisciplinari per identificare i fattori di rischio ed elaborare strategie per la pre- venzione e la gestione. È indispensabile sensibiliz- zare e formare in modo adeguato Il personale sani- tario relativamente al rischio di subire aggressioni ed alle strategie comportamentali da adottarsi per ridurlo. L’organizzazione ospedaliera deve attivare sulla base di precise e predisposte procedure gli im- mediati supporti fisici, legali e psicologici per la ge- stione del post-evento (argomento specificatamente trattato in un’altra comunicazione da parte degli stessi Autori). clinical governance emergency care journal Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinical governance em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it noscimento per il nucleo del sé, la propria autode- terminazione e libertà personale), il possesso delle proprie risorse e oggetti (pensiamo all’importanza di questo aspetto nella relazione tra classi sociali o tra nazioni), la propria collocazione nella gerarchia relazionale e sociale, il rispetto delle persone care. L’aggressività intersecata con l’istinto di vita, assu- me dunque una importante valenza sia come ener- gia di affermazione positiva, sia come capacità di- fensiva della propria identità fisica, psichica e so- ciale. Quando essa si interseca con l’odio e l’istinto di morte esita invece in distruttività, sopraffazione, desiderio di annientamento psichico o fisico del- l’altro. È dunque qualcosa con cui tutti noi ci con- frontiamo quotidianamente nella realtà relazionale dell’esistenza. È una compagnia consueta anche nel lavoro in Pronto Soccorso, in quanto terminale del- le istituzioni ospedaliere. Infatti, ogni Pronto Soc - corso nella sua dimensione professionale e relazio- nale permeata dalla poliedricità, complessità e tur- bolenza propria dei fenomeni sociali, incontra quo- tidianamente dolore, sofferenza, angoscia di mor- te, bisogni ed aspettative variegate che chiedono di essere soddisfatti, in un contesto segnato da dispa- rità di potere. È inevitabile ricordare che gli opera- tori che svolgono all’interno di questa tipologia di organizzazione compiti, funzioni e ruoli di cura so- no anch’essi portatori di energia, creatività, com- petenza, ma talvolta anche di stanchezza, delusio- ne e rabbia. L’incontro relazionale tra colleghi di la- voro e quello tra operatori e pazienti all’interno del- l’organizzazione si configura dunque come «con- tenitore in cui stanno fisiologicamente e struttural- mente opportunità e rischi per tutti i soggetti coin- volti. Le identità possono essere riconosciute e ar- ricchite o, al contrario, negate e offese»3. Le reazioni aggressive possono celare, come vedre- mo, aspetti difensivi e intimidatori, qualora nell’in- terazione compaiano assenza di riconoscimento e ascolto, oppure intrusioni o abusi di potere (reali o presunti), in particolare quando sussista una com- promissione o alterazione delle capacità critiche o delle possibilità di controllo emozionale. La rabbia Quando la spinta aggressiva e di affermazione di sé non può giungere all’obiettivo, perché frustrata nel- la sua meta o bloccata, può generare rabbia. La rab- bia è un’emozione che sia dal punto di vista fisiolo- gico sia psicologico attiva dei meccanismi che pre- dispongono all’aggressione. Perché questa si realiz- zi all’interno di un contesto pubblico quale un Pronto Soccorso sono necessarie alcune condizioni specifiche, di cui più oltre ampiamente si dirà. Certamente la brutalità dell’impulso deve travalica- re le capacità di controllo ed autocontenimento del soggetto, il comportamento dell’interlocutore fini- sce per essere caricato di plurimi e arcaici significa- ti e l’interlocutore stesso viene per lo più de-uma- nizzato, scindendone gli aspetti positivi da quelli negativi, così da potersi scagliare contro questi ulti- mi con tutta la violenza possibile. L’ira, come da sempre si dice, è cieca, e sin dai tempi del Pelide Achille e dell’Orlando Furioso, fa uscire di senno. L’acting-out aggressivo Il National Institute of Occupational Safety and Health definisce come acting-out aggressivo «ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica sul posto di lavoro» e ne sottolinea i possibili gravi esiti2. Essi possono andare dal trauma psicologico, che – se non tratta- to – può esitare in una sindrome post-traumatica da stress, all’induzione di burn-out, a ferite corpo- ree più o meno gravi sino ad invalidità temporanea o permanente ed alla morte. La gravità della rea- zione psicologica non è sempre correlata alla gra- vità oggettiva dell’evento e questo è un dato impor- tante da conoscere, poiché rispetto alle possibilità di rielaborazione dell’accaduto possono entrare in campo molteplici variabili personali. Inoltre, le conseguenze possono interessare non solo le per- sone direttamente coinvolte, ma anche chi si trova esclusivamente ad assistere. Infine non vanno sot- tovalutate le possibili ricadute sul gruppo di lavo- ro e sull’organizzazione, come l’introversione del- l’aggressività tra colleghi di lavoro con acuirsi del- le conflittualità relazionali interne o con la direzio- ne, un aumento generale dello stress, il rifugio in atteggiamenti burocratizzati e difensivi, il diffon- dersi di burn-out, la crescita del turn-over ecc. Fortunatamente però il vero e proprio agito violen- to, il passaggio all’atto, è di pochi. I Contributi della teoria Le teorie che spiegano perché certe persone agisco- no o perché in certe circostanze più facilmente che in altre accadono agiti violenti sono di varia matri- ce e natura. Le raccoglieremo qui in questa sintetica classifica- zione: • teorie organiciste; • teorie etologiche; 33 • teorie frustrazione/aggressività; • teorie dell’apprendimento sociale; • teorie sociologico-ambientali; • teorie ad orientamento psicoanalitico; • teorie specificatamente attente alle persone por- tatrici di “stati limite”o border-line. Ciascuna fornisce importanti contributi per la com- prensione degli agiti violenti4 anche se oggi, in re- altà, si tende a dare di questi ultimi una lettura multifattoriale, che vede in causa tutti i differenti aspetti illuminati da vari approcci, mentre ciò che varia è il peso che viene attribuito ora agli uni, ora agli altri. Le teorie organicistiche da sempre evidenziano la presenza di tratti costituzionali. Oggi, attraverso i contributi delle neuroscienze sappiamo in real- tà che: • l’aggressività è un’emozione che vede attivarsi il sistema limbico e l’ipotalamo; • la maggior o minor assenza di alcuni neurotra- smettitori od ormoni modifica la reattività dei soggetti; • l’agire l’aggressività è connesso ad un venir me- no della regolazione emozionale causato da un non adeguato sviluppo o dalla compromissione del funzionamento delle aree pre-frontali e fron- tali, adibite appunto alla regolazione affettiva ed al controllo. Come a tutti noto, inoltre, le sostanze psicotrope sono in grado di modificare la percezione e la reat- tività e l’alcool di inibire il funzionamento delle aree che presiedono al controllo dell’aggressività. Infine non mancano i collegamenti agli studi gene- tici che registrano tra le persone drammaticamente aggressive (criminali ecc.) la presenza di un dop- pio cromosoma Y con frequenza maggiore rispetto alla popolazione di controllo. Tutte queste teorie tracciano dunque basi organi- che e costituzionali della maggior o minor tenden- za al passaggio all’atto5 e spiegano perché l’assun- zione di sostanze e di alcolici possa favorirle, come è esperienza ben nota a tutti gli operatori di Pronto Soccorso. Le teorie etologiche sottolineano le similitudini tra il comportamento animale e quello acquisito su base filogenetica dall’uomo. Quest’ultimo pas- serebbe all’atto in situazioni dove viene minac- ciata la sopravvivenza fisica, lesa la posizione nel branco (assimilabile al gruppo sociale di appar- tenenza), calpestato il riconoscimento di sé. Se ci riflettiamo sopra, la persona che entra in un Pronto Soccorso rischia di essere trasformato in paziente (nel senso etimologico del termine, che è participio presente del latino patior = “che pa- tisce”, “che tollera pazientemente”), con un’e- sperienza così repentina come in poche altre cir- costanze di vita. Gli etologi e gli studiosi del comportamento uma- no ci ricordano che esistono alcune reazioni adat- tive, istintive e innate, intrinseche alla natura del- l’essere umano6. Il dolore e la sofferenza fisica e psichica stimolano queste risposte innate, tra cui sono contemplate: • l’esigenza della fuga, come forte risposta motoria istintiva per allontanarsi, almeno con la speranza e per quanto possibile fare, dalla fonte e origine del dolore; • l’immediata eliminazione della fonte del dolore stesso, laddove immediata significa che non tol- lera attesa, né lista di attesa; • la percezione della propria fragilità e l’attivazio- ne di conseguenti meccanismi difensivi, che spa- ziano dal rifugio nella negazione e nell’onnipo- tenza alla regressione nella totale dipendenza; • il bisogno di contenimento; • il bisogno di avere vicino le proprie figure di at- taccamento; • il bisogno di percepire il rispetto della propria di- gnità fisica e psichica. In Pronto Soccorso il paziente diviene tale con gran- de velocità, appena varcato l’ingresso. Deve con- trollare le risposte motorie, confinate in uno spa- zio limitato, quando nei pochi metri quadri di una barella, gli viene chiesto di porre a tacere l’egocen- trismo (“è il mio il problema più grande”) per ca- pire il civile e altruistico linguaggio di codici verdi gialli e rossi; deve spesso tollerare ulteriore dolore per rimuovere il dolore. Deve consegnare il “con- trollo della situazione” nelle mani di personale me- dico che spesso non ha mai visto, obbedire alle in- dicazioni, sopportare di frequente la messa in gio- co della sua intimità psicologica, fisica e talvolta sociale. Mediare con i bisogni di contenimento, at- taccamento (poiché non sempre può risultare pre- sente un care-giver), ascolto e riconoscimento. In queste condizioni egli deve poter disporre di un Io funzionante, sufficientemente maturo, capace di controllare le proprie reazioni emotive e gli inevi- tabili livelli di espressione della risposta aggressi- va, esito qui – dunque – di un istinto vitale e di au- to-protezione. Talvolta, come tutti sappiamo, que- sta richiesta è umanamente inconciliabile con il li- vello di agitazione e sofferenza sperimentato dal pa- ziente, soprattutto se nel luogo dell’attesa egli vie- em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 34 clinical governance em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinical governance 35 ne lasciato solo a fronteggiare la situazione. La teoria Frustrazione/Aggressività esamina i rap- porti tra livelli di sollecitazione dei bisogni, delle aspettative, delle attese e successiva frustrazione7. Nella realtà di Pronto Soccorso essa invita alla co- erenza di comportamenti e norme, (non scevra pe- rò della capacità di un’umana flessibilità quando quest’ultima è resa indispensabile da circostanze di particolare gravità). Inoltre segnala come fonda- mentale l’attenzione a non indurre aspettative non realmente soddisfabili e quella ai tempi e alle con- dizioni dell’attesa. Le teorie dell’apprendimento sociale sottolineano che il comportamento aggressivo può essere un modo appreso nel proprio contesto di vita per controllare il comportamento degli altri attraverso l’induzione di paura8. La spiacevolezza dell’incontro con l’ag- gressività sollecita la tendenza innata dell’interlo- cutore ad allontanarla ed evitarla. L’aver ottenuto buoni risultati nell’utilizzare queste strategie com- portamentali fa si che possiamo definire queste “ar- rabbiature di successo”, cioè comportamenti ag- gressivi con cui si ottengono gli scopi più facil- mente che con la tolleranza, la perseveranza ed il ragionamento e che quindi tendono ad essere riat- tivate. Attengono a questa categoria i comporta- menti intimidatori e le minacce, finalizzate a dimo- strare il proprio potere e a spaventare.. Le teorie sociologico-ambientali pongono l’attenzio- ne sui temi delle disparità sociali e della distribu- zione del potere e sugli effetti dei mass media e la variabile imitativa (certe visioni in TV aprono pos- sibilità di identificazioni o mostrano modelli non conosciuti che, anche perché possono prendere di sorpresa ed esporre a visioni traumatizzanti, pos- sono restare impresse, allargare il repertorio dei comportamenti aggressivi, favorire aspetti di imi- tazione, assuefazione e deumanizzazione). Occorre poi sottolineare il variopinto intreccio di culture, tradizioni e significati che va colorando la realtà ormai multietnica dei nostri Pronto Soc - corso, rendendo più ardue ad esempio tutte le operazioni di decodifica dei messaggi non verbali e di sintonizzazione. Vi sono degli antecedenti emozionali, cioè degli eventi in grado di scatena- re la rabbia per non riconoscimento di sé, lesione reale o percepita di diritti ecc. Occorre però, ge- neralmente, che l’evento o l’intervento sgradito siano percepiti a) come non necessari ed evitabi- li, b) come intenzionali ed arbitrari. In un conte- sto interculturale e multietnico i processi di attri- buzione di significato possono essere anche mol- to differenti tra persona e persona. Parte allora l’escalation della rabbia: azioni ostili, a volte inconsce, che possono rimbalzare, amplificar- si, subire drastici cambiamenti nel vissuto e nei si- gnificati attribuiti dall’uno e dagli altri. Come ap- profondito dagli studi di prossemica, attenti alla co- municazione non verbale, esiste una progressione nell’espressione della rabbia secondo l’indicazione “dal viso alla mano”, che nella nostra cultura è ti- pica ed è così declinabile: • toni alti, insulti, grida intimidatorie; • sporgersi in avanti; • spingere, spintonare; • aggredire gli oggetti; • aggredire con le mani; • aggredire usando oggetti contundenti. Sebbene le ricerche transculturali evidenziano che il volto dell’ira è universale, è noto che fattori cul- turali possono ampiamente sovrapporsi provocan- done delle “mitigazioni” o causando modifiche nel- la progressione dell’escalation di cui sopra. In ge- nerale sappiamo che al salire dell’ira: • i denti si vedono più del solito o la bocca viene fortemente serrata nei tentativi simulati di tratte- nersi; • la voce aumenta di volume e intensità, spesso in modo irregolare anche nel fluire (eloquio torren- ziale o trattenuto). Possono venire borbottate tra sé e sé frasi sconnesse o con contenuti polemici ed aggressivi, indicatore da non sottovalutare mai; • si verifica un arrossamento, spesso a macchie sul viso; • possono comparire arrossamenti associati alla di- latazione delle piccole vene della sclera; • gli occhi protrudono, lo sguardo diventa intenso e centrato sulla persona; in altri casi invece esso viene distolto per cercare l’evitamento e l’attacco di sorpresa; • le sopracciglia si aggrottano e si avvicinano ten- dendo ad unirsi al centro e nella fronte compare una ruga orizzontale. Tuttavia i giapponesi man- tengono il sorriso spesso fino al momento di mas- sima ostilità, mentre nel mondo arabo così come in altri contesti culturali possono maggiormente comparire come precursori privilegiati di un ac- ting-out strategie di evitamento, quali il distoglie- re lo sguardo, un mutismo ostinato, un incon- gruo e profondo silenzio ecc. In realtà è bene per tutti noi ricordare che siamo atavicamente allenati a decodificare il salire dell’ira e della rabbia nella nostra cultura, ma assai meno in altre. Può anche essere importante ricordare9 che alcuni aspetti sono meno soggetti a modificazione cultu- rale. Essi riguardano: • la tensione muscolare; • il torcere le mani o i vestiti; • movimenti continui poco coordinati o finalizzati (camminare avanti-indietro, girare intorno al let- to o a qualche oggetto); • agitarsi sulla sedia e chiari segni corporei di non riuscire a trattenere l’emotività; • sporgersi con il corpo in avanti ravvicinando pro- gressivamente la distanza corporea con l’interlo- cutore. L’operatore può ovviamente contribuire a fomenta- re l’interazione disfunzionale e l’escalation agendo a sua volta, anche in modo del tutto inconsapevole, le medesime modalità comunicative non verbali. Le teorie psicoanalitiche, il cui affascinante e pro- fondo contributo è qui impossibile sintetizzare (ve- di: Freu, Klein, Kout, e molti altri) sottolineano la forza dell’aggressività come energia di vita, se miti- gata e integrata con Eros, cioè con le forze dell’a- more, e parlano dei rischi che emergono quando, anche per caratteristiche legate alla struttura di per- sonalità, si perde questa integrazione e si fanno spa- zio nell’emotività frammentazione e scissioni, do- ve viene persa la capacità di contenere l’ambivalen- za e l’altro diviene il nemico e il male. Recentemente grande attenzione viene riservata al- le teorie che sottolineano la fragilità di un sé ripie- gato narcisisticamente su se stesso, per eccesso di privazione o di intrusione o, viceversa, per carenza di consuetudine con la frustrazione. Si tratta di un sé incapace di tollerare qualsiasi ferita narcisistica. L’altro non è vissuto come persona individuata e se- parata, interlocutore di una relazione interperso- nale, perché il soggetto non ha potuto raggiungere la capacità emotiva di stabilire relazioni in cui l’al- tro è riconosciuto come interlocutore importante e diverso da sé, ma percepisce l’altro come parte di sé anche o soprattutto quando esso non soddisfa le proprie esigenze egocentrate e narcisiste. Da qui il diritto di annientarlo, spogliandolo della sua alte- rità ed esistenza umana, se si “rifiuta” di assolvere ai suoi fantasticati obblighi di accudimento e cura immediata, prioritaria, esclusiva e totale. Queste ultime riflessioni ci introducono alla consa- pevolezza che, come è esperienza condivisa dal per- sonale medico e infermieristico, l’agito aggressivo in Pronto Soccorso è assai frequentemente realizzato da personalità border-line. Ciò giustifica l’importanza di qualche approfondimento su questo specifico tema. Le teorie relative agli “stati limite”. Border-line, come noto, significa “stato-limite” tra le nevrosi e le psi- cosi. Sono, per capirci, quelle situazioni in cui il me- dico di Pronto Soccorso dice: “è un paziente psi- chiatrico”e lo psichiatra dice: “ma non è mica psi- cotico!”. Sono dunque spesso “situazioni limite” an- che nelle particolaristiche logiche e dinamiche tra reparti e servizi e ciò talvolta significa che nessuno in realtà si fa carico di prendere seriamente in cura queste persone, che sono peraltro, per lo più,“pa- zienti difficili”. Portatori di bisogni arcaici, intensi e profondi che ledono l’integrità della loro struttura psichica e del- la loro autosufficienza fisica ed emotiva, spesso questi pazienti cercano all’interno del Pronto Soc - corso un contenitore del corpo e della mente, un luogo dove sempre e a tutte le ore è reperibile calo- re fisico e spesso calore umano. Sono i così detti “frequent users”. L’angoscia, in certi momenti o pe- riodi, consente loro discreti stati di aggregazione intorno al nucleo del sé, con percezione della real- tà sufficientemente congrua, ma in altri momenti essa sale a livelli tali da essere percepita come in- contenibile e può determinare una minaccia al nu- cleo del sé tale che esso si frammenta. È allora che il Pronto Soccorso può essere fantasticato come un contenitore noto e ricercato. Nei confronti di questi pazienti, a causa delle diffe- renti identificazioni sollecitate nei diversi operato- ri di Pronto Soccorso da aspetti non integrati del sé, la struttura agisce spesso comportamenti incon- grui, che vanno dall’amicale accoglienza di alcuni (associata magari all’offerta di caffè e alla tolleran- za all’inutile stazionare per ore nei locali), alla rigi- da intransigenza di altri. Sono queste le situazioni in cui assistiamo a progressive escalation di un preannunciato comportamento aggressivo quando si cade in: • ravvicinamento non gestibile delle distanze (trop- po vicino, tacito e implicito consenso ai cartoni per permanere e dormire in sala d’attesa, all’uti- lizzo del “tu” o simili, per compassione o per te- nere a bada l’aggressività che si percepisce come latente ecc.); • incoerenza nelle linee di gestione (eccesso di con- trollo seguito da concessioni, oppure interventi differenti tra un operatore e l’altro). Una delle caratteristiche specifiche di questo tipo di pazienti, è anche che essi colgono con particola- re sensibilità e perspicacia i punti di conflitto pre- senti nell’organizzazione e tra operatori e in essi si em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 36 clinical governance em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinical governance 37 insinuano potendosi trasformare anche involonta- riamente in schegge lanciate inconsciamente tra collega e collega (“È sempre a prendere il caffè…”). Per le persone border-line l’acting-out o passaggio all’atto aggressivo risulta spesso l’unico modo di controllare il troppo alto livello di angoscia, attra- verso una scarica motoria10. Ciò frequentemente può accadere in un momento inaspettato, perché uno stimolo, per l’operatore ap- parentemente neutro o scarsamente significativo, può richiamare alla mente del paziente border aspetti del passato vissuti come fortemente trau- matici, ai quali egli reagisce attivando violenza. E l’assenza di una chiara decodifica del bisogno sotteso al tornare e tornare in Pronto Soccorso, la mancanza di coordinamento con servizi territo- riali del settore sanitario e sociale che a questi bi- sogni affettivi, emotivi e sociali possono tentare una risposta, la disarticolazione degli interventi da punti rete di organizzazioni di volontariato (centri di incontro, centri di accoglienza a bassa soglia, idonei luoghi di ascolto), che determina il cronicizzarsi della presentazione di un bisogno in un contesto che, per definizione, non può sod- disfarlo se non per un tempo limitato ed in appa- renza, generando infine l’acting-out aggressivo nei confronti di chi delude ed aggiunge a tutto ciò un incongruo pur se a volte solo accennato atto di non riconoscimento del sé. Ben conosciamo le drammatiche conseguenze che tutto ciò può avere sugli operatori, ma occorre ri- cordare anche quelle sui pazienti. Gli effetti della percezione della potenziale o agita distruttività, i più ampi processi di stigmatizzazione ed emargi- nazione che coinvolgono successivamente all’ac- ting-out l’identità sociale (dall’eventuale arresto da parte delle forze dell’ordine all’acuirsi dei percorsi di psichiatrizzazione) innescano importanti aggra- vamenti del loro stato. I dati statistici I dati statistici segnalano un forte incremento ne- gli ultimi 10 anni degli acting-out contro il perso- nale medico e paramedico dei servizi sanitari ed in particolare, per quanto riguarda l’ospedale, nei reparti di psichiatria, geriatria ed in Pronto Soccorso. Una stima del Bureau of Labor Statistics statuniten- se indica per gli operatori ospedalieri un tasso di incidenza di aggressione non mortale pari a 9,3 per 10.000 contro un valore di 2 per 10.000 nei lavo- ratori delle industrie del settore privato11. La Joint Commission riporta, da Gennaio 1995 a Dicembre 2006, in USA un numero complessivo di 141 even- ti sentinella legati ad aggressione, violenza, omici- dio in contesti sanitari12. In Italia, da un’indagine svolta da ANIARTI su un campione di 300 infermieri di 15 Pronto Soccorso di differenti Regioni, è risultato che il 35% dichia- rava di essere stato aggredito fisicamente almeno una volta ed il 90% era stato soggetto ad aggressio- ne verbale13. Il modello interpretativo Nell’esaminare il fenomeno degli acting-out in Pronto Soccorso, cercavamo un modello concet- tuale che ci consentisse di rispettare e contempo- raneamente sottoporre ad analisi le sue principali caratteristiche ed in particolare quella di evento complesso e plurideterminato. Ponevamo dunque al modello alcune importanti ri- chieste: a) rispettare inevitabilmente un approccio proba- bilistico: la complessità dei processi in atto con- sente solo modalità di indagine scientifica basa- te sui criteri di probabilità (date certe condizio- ni se ne deduce che l’evento X può verificarsi con Y probabilità). Anche sulla base di precisi dati raccolti, infatti, un acting-out aggressivo in Pron - to Soccorso potrà essere previsto in termini di probabilità, ma mai con assoluta certezza esclu- so o atteso. b) L’acting-out aggressivo è un evento pluridetermi- nato, nell’analisi del quale non è possibile sepa- rare la parte dal tutto. Da qualsiasi aspetto si cer- chi di iniziare l’analisi del problema, ci troviamo rinviati ad altre complessità interagenti. L’indi - viduo vive all’interno di un ambiente ecologico prossimale (interazioni dirette) e dell’ambiente ecologico distale (ambiente sociale, economico, culturale, politico…), in un contesto dove si rea- lizzano costanti e reciproche influenze14. Aveva - mo dunque bisogno di un modello capace di uti- lizzare un approccio olistico. Occorre inoltre tenere conto che la relazione tra persona/e operatore e persona/e utente è un siste- ma interattivo che si sviluppa all’interno del più ampio sistema dell’organizzazione, di quello del- l’interazione tra Servizi, di una comunità e di un territorio, influenzato dalla più ampia realtà socia- le e culturale di appartenenza. Questo più ampio ed integrato sistema dinamico è formato dunque da elementi interagenti e attribuzioni di causa se- condo una semplicistica modalità lineare (“è il pa- ziente l’unico responsabile”), costituiscono una let- tura riduttiva e inadeguata. Risulta invece indi- spensabile utilizzare un approccio interazionista. Infine, ci premeva segnalare che l’ambiente rilevan- te è quello significativamente percepito dalla per- sona (vale per tutte le persone coinvolte), poiché sono le rappresentazioni e le costruzioni mentali dell’individuo (ambiente percepito), le sue letture ed attribuzioni di significato che guidano la sua azione. È importante tenere presente l’individuo (operatore o paziente) come agente attivo ed atto- re in prima persona nell’interazione con i suoi si- stemi di appartenenza che, se sono in grado di mo- dificarlo possono altresì essere da lui continua- mente modificati (approccio costruttivista). Abbiamo dunque individuato come supporto teo- rico di riferimento la teoria dei sistemi ecologici di Bronfenbrenner14. Questo autore, che si situa nella tradizione della psicologia sociale di Kurt Lewin e di alcuni suoi sviluppi successivi nella Teoria ge- nerale dei sistemi di Von Bertalanffy15, indicava l’as- soluta necessità di non studiare l’individuo in mo- do isolato, ma di considerare il comportamento co- me funzione di tutte le forze in campo in un certo momento, che si influenzano in un gioco recipro- co di interazioni. Il modello teorico di Bronfenbrenner fotografa quat- tro ambiti interagenti e reciprocamente influenzato- si nella determinazione di un fenomeno sociale com- plesso quale si configura un’escalation aggressiva nel contesto ospedaliero di Pronto Soc corso. Se non ci lasciamo spaventare dalla complessità dei termini vi proponiamo di accompagnarci in questo breve affondo teorico, che vi apparirà subito meno complesso e sicuramente assai più chiaro quando riusciremo a mostrarvi come esso possa trasfor- marsi in una sorta di macchina fotografica, che con- sente di fermare sulla carta in modo leggermente più sistematizzato le possibili matrici di acting-out e quindi anche individuare le variabili su cui ope- rare per prevenirlo. Bronfenbrenner stesso definisce il suo modello teo- rico come “a bamboline russe”, poiché l’ambiente ecologico è concepito come un insieme di struttu- re incluse l’una nell’altra, le quali vanno considera- te non solo come tutte interagenti con l’individuo, ma anche nell’insieme delle relazioni e dei rappor- ti che sussistono tra loro e che sono comunque in grado di esercitare grande influenza sulla realtà del- l’individuo e delle relazioni diadiche e non in cui egli si coinvolge14. Al livello più interno delle bamboline Brofenbren - ner colloca il microsistema, come l’insieme delle ca- ratteristiche specifiche della persona e delle rela- zioni con cui la persona è in contatto diretto e del contesto organizzativo e strutturale in cui esse av- vengono. Allargando il campo di osservazione incontriamo gli effetti sulle relazioni di cui sopra agiti dal meso- sistema (sistema di microsistemi che include le re- lazioni tra due o più microsistemi di cui ad almeno uno la persona partecipa. Per esempio l’interazio- ne con i parenti, quella anche indiretta e mediata dall’utente con il medico di famiglia ecc.) e dall’e- sosistema. Esso comprende la relazione tra due o più contesti ambientali ad almeno uno dei quali la persona non partecipa. Ne è un esempio l’intera- zione tra reparti ospedalieri, tra questi ed i servizi sociali e sanitari territoriali, tra il Pronto Soccorso e la Direzione, ecc. infine non è possibile scordare le influenze del macrosistema, inteso come il con- testo sovrastrutturale che condiziona tutti i sistemi precedentemente citati (sistema delle politiche so- ciali, culturali, economiche ecc.). Infine, ricordiamo che in alcune ricerche in cui so- no state intervistate più persone in relazione a qual è l’emozione che ricordavano aver fatto loro salire di recente la rabbia all’interno di un servizio pub- blico, le risposte hanno potuto sostanzialmente es- sere ricondotte alle 4 seguenti categorie: a) percezione di attacco alla propria integrità fisica o all’integrità di proprie cose; b) impedimenti a conseguire gli scopi: eccesso di attesa, sollecitazione e poi frustrazione di aspet- tative, utilizzo del potere in modo percepito co- me discrezionale o di blocco al conseguire gli obiettivi; c) frustrazioni psicologiche: non riconoscimento di sé, dei propri bisogni, della propria situazio- ne e/o dei livelli di sofferenza e dolore, lesioni alla stima ed autostima, alla propria immagine pubblica ecc. (attacco più o meno narcisistico); d) ingiustizie subite o prospettate per sé e per gli altri. Percezione di diritti lesi. Interventi preventivi Ed ora, onde evitare che la durata di questo scritto finisca per elicitare pure nel lettore una risposta ag- gressiva, sintetizziamo le possibili misure preven- tive degli acting-out in Pronto Soccorso. Area del microsistema: 1. La gestione della relazione. L’attenzione al rico- noscimento del paziente come persona e dei suoi bisogni restano in questo ambito il nodo centra- em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 38 clinical governance em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinical governance 39 le. È l’assenza di riconoscimento del proprio sé, della propria condizione, del livello di dolore sperimentato o la rigida riduzione in senso eti- mologico dell’individuo a mero paziente, inteso come “colui che deve pazientare e tollerare”, che sollecita spesso l’aggressività della persona o dei parenti. Tutto ciò è fortemente acuito nella per- sona e nei suoi congiunti dalla sensazione di sen- tirsi abbandonati. Nonostante le complesse con- dizioni di lavoro in emergenza, fare lo sforzo di dimostrare loro che pur mentre attendono, “so- no presi in carico” e che la loro condizione di sa- lute viene realmente periodicamente verificata, può essere sufficiente per ridurre la loro frustra- zione ed aggressività. 2. La gestione dell’informazione. Dare da subito e sempre informazioni chiare evitando punti di ambiguità ed accertandosi che la persona abbia compreso la comunicazione e che questa sia con- grua alle sue condizioni e tollerabile in relazio- ne al suo stato di bisogno è molto importante. Quando il paziente è in attesa di una visita, un esame, un letto libero, tenerlo informato di co- me stanno andando le cose, ascoltare le sue do- mande e fornire delle risposte è un modo assai efficace per impedire che la relazione si deterio- ri. Il Pronto Soccorso dovrebbe inoltre essere for- nito di depliant e cartelloni informativi. In par- ticolare il senso dell’intervento di triage deve es- sere reso noto sia, come vedremo, in modo più allargato alla cittadinanza, sia in modo chiaro ai parenti e pazienti in Pronto Soccorso. È neces- sario verificare che il messaggio li abbia real- mente raggiunti e consenta effettivamente l’in- dispensabile sintonizzazione e riposizionamen- to reciproco. Solo in questo caso le caratteristi- che della sofferenza e del dolore del paziente ver- ranno ulteriormente correttamente segnalate, da un lato, e raccolte e recepite dall’altro e la perso- na potrà entrare in una dimensione di compren- sione dei meccanismi che necessariamente gui- dano i criteri di priorità negli interventi in emer- genza. 3. La formazione del personale. Essa deve necessa- riamente coinvolgere i seguenti ambiti: – capacità di individuare precocemente le situa- zioni più a rischio (pazienti border-line e fre- quent-users, pazienti che abusano di alcool o al- tre sostanze, pazienti che già hanno agito di re- cente aggressioni, soli o disperati che “non han- no nulla da perdere”, stati fisicamente dolorosi che riducono le capacità di controllo ecc.); – capacità di percepire tempestivamente i se- gnali precursori dell’acting-out; – strategie comunicative per la risoluzione dei conflitti e circa le modalità di accogliere la ten- sione, l’ansia e gestirle. Occorre ricordare che in Pronto Soccorso. transitano costantemente emozioni come la paura, il dolore, la rabbia, l’angoscia di morte. Il paziente percepisce ciò che sente avvenire dentro di sé come scono- sciuto e ingovernabile, il dolore come inalie- nabile e sollecitatore di ansia e rabbia. La ca- pacità critica risulta compromessa. Il bisogno di essere ascoltati, compresi e di ricevere cura e contenimento è talvolta di intensità estrema e incrina ogni capacità di attesa, tolleranza, ri- conoscimento del dolore dell’altro9. Per l’ope- ratore sanitario coniugare l’ascolto empatico, il contenimento e gestione di tutto questo con i compiti di efficace ed efficiente lettura dei sintomi, decodifica della loro gravità, attiva- zione dell’intervento diagnostico e curativo non può essere lasciato alla sola capacità o esperienza personale, ma richiede inderoga- bilmente da parte dell’organizzazione la pre- disposizione di appositi training e sostegni formativi. Risulta anche importante formarsi sulle capacità di evitare l’eccessiva personaliz- zazione del proprio intervenire tanto quanto l’eccessivo distanziamento. Agiamo come per- sonale di una struttura sanitaria: personaliz- zare eccessivamente da parte dell’operatore la definizione di sé nell’intervento in Pronto Soccorso, può accentuare la percezione di ar- bitrarietà o discrezionalità dello stesso. Infine è indispensabile venire formati ed aiutati al “mantenersi in sicurezza”. Anche se siamo ca- paci di prevedere l’esplosione di aggressività, spesso è impossibile immaginare come questa si manifesterà. È importante non correre rischi ed anche evitare che il paziente violento si frapponga tra noi e la nostra via di fuga. Deve essere chiaro che non c’è tolleranza rispetto al- la violenza. Mantenere un atteggiamento cal- mo, dare informazioni in modo chiaro e non ambiguo. Tentare di osservare la scena “dall’e- sterno”, come se non ci appartenesse, di non farsi coinvolgere in un’escalation emotiva. Tutta quella rabbia non è nostra a meno che noi non decidiamo di reagire ad essa. 4. Infine, è bene ricordare che l’assistere al dolore e sofferenza di una persona cara attiva i neuroni a specchio, determinando a sua volta nell’osser- vatore, tanto più se persona legata affettivamen- te a chi soffre, un’esperienza interna di dolore ed angoscia. Ben sanno questo i medici e gli infer- mieri, che realizzano un lungo training, a volte inconsapevole, per imparare a controllare que- sto meccanismo. Come noto, è un training inde- rogabile, che può prendere la via dell’ascolto, dell’essere umano a fianco dell’umana sofferen- za o quella della burocratizazione, del distacco emotivo, fino allo scivolare nel vissuto persecu- torio di un paziente in qualche modo da evitare perché ripropone incessantemente il confronto con il malessere, la malattia, la sofferenza. Per quanto riguarda i parenti occorre saper va- lutare anche il livello della loro sofferenza e la capacità di contenere l’ansia e le angosce proprie e del loro caro. Rivolgere a persone che non han- no la capacità o possibilità di rispondervi, una domanda implicita inadeguata nei suoi livelli di richiesta di collaborazione e capacità di conteni- mento, può trasformare i “care-giver” in ulterio- ri portatori di rabbia ed aggressività. 5. E quando si percepisce che l’atto violento sta per scattare? Non dire mai: “non si arrabbi…”, fati- dica frase che tende semplicemente a far cresce- re l’aggressività. Tenere conto che essa sale se la persona non ottiene il riconoscimento circa l’in- tenzione aggressiva, se l’operatore (anche per l’attivarsi di meccanismi di negazione e difensi- vi), finge di non vedere. È più utile esplicitare: “vedo e capisco che tutto questo le provoca mol- ta rabbia” (ovviamente se ci sono le condizioni per tentare un colloquio). Ma se lei mi aggredi- sce, ovviamente non possiamo parlare né io pos- so lenire il suo dolore, mentre parlando forse possiamo capire”. Attenti però ai falsi buonismi, che sono ovviamente fuori luogo. La pronta pre- senza a fianco di un collega (meglio – inutile ne- garlo – se figura anche maschile), può essere in questi casi utile. Ricordare che mantenere la cal- ma e la fermezza è di estrema importanza, ma è pur vero che qualsiasi operatore potrà essere fer- mo e calmo solo se sa di non essere solo e che il contesto in cui lavora è realmente attrezzato e predisposto ad intervenire a suo supporto. Per questo devono essere chiaramente esplicitate e condivise, meglio se declinandole in forma scrit- ta, le procedure ed i comportamenti immediati da attivare da parte di tutto il personale nell’im- minenza e dopo un acting-out. Infine, non paia banale ricordarlo, se la persona si presenta con oggetti contundenti in mano, dare immediato al- larme e spiegare che con l’oggetto non è possibi- le accedere all’interno del servizio. In parallelo, riguardano sempre l’area del micro- sistema alcuni indispensabili interventi struttu- rali sul luogo di lavoro: – evitare il sovraffollamento, i locali angusti, il troppo freddo ed il troppo caldo, la carenza di illuminazione; – migliorare le condizioni di confort dei pazien- ti in attesa e dei loro parenti; – nelle postazioni di triage e nelle sale di visita disporre l’arredo in modo tale che il personale possa sempre accedere ad un’uscita di emer- genza presente e disponibile; la scelta dei ma- teriali per l’arredamento deve essere fatta cer- cando di evitare oggetti che possano essere uti- lizzati per colpire o ferire; può essere necessa- rio utilizzare vetri rinforzati e porte di sicurez- za; – deve esistere un sistema di segnalazione di al- larme ed una modalità concordata di allerta- mento veloce e non appariscente della stazione di polizia locale oppure della sicurezza interna. – va eliminata la possibilità di accesso non con- trollato da parte del pubblico Attengono invece all’area del mesosistema: a) promuovere la consapevolezza che l’aggressività dell’utente può incunearsi e potenziarsi laddove siano presenti conflittualità tra gli operatori, re- ciproche squalifiche verbali o non verbali sui li- velli di competenza professionale e umana, dis- accordi nelle procedure e nelle linee di interven- to non solo clinico, ma anche relazionale, espli- citazione aggressiva degli eventuali errori com- messi da un collega ecc. Si tratta qui di dedicare un tempo strutturato, che non risulterà in alcun modo tempo perso, alla cura delle équipe e dei gruppi di lavoro; b) preparare l’organizzazione a gestire le conse- guenze degli acting-out, poichè essi possono av- venire in ospedale nonostante adeguate misure di prevenzione, offrendo alle vittime un ambien- te che promuova la comunicazione e la com- prensione necessarie, preveda procedure scritte di segnalazione e denuncia delle aggressioni sub- ite, attivi immediato sostegno materiale e psico- logico agli operatori coinvolti16. Area dell’esosistema. È importante ricordare di non offrirsi come contenitori di aspetti che non si pos- sono contenere in un Pronto Soccorso, per esem- pio la solitudine o l’angoscia drammatica di certe persone, come appunto quelle con caratteristiche em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinical governance 40 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, c lin ic a, r ic er ca • A nn o V n um er o V • O tt o br e 20 09 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinical governance 41 border-line. Essa non può trovare in Pronto Soccorso. una risposta effettiva, bensì un impor- tante tramite accogliente e competente che, deco- dificando correttamente il problema e condividen- do le scelte di un percorso, sappia essere e porre l’utente in relazione con le opportune risorse dei servizi sociali e sanitari territoriali, e, per loro tra- mite, con i centri di accoglienza a bassa soglia, i centri d’incontro, le disponibilità di specifiche as- sociazioni di volontariato. Infine, è utile mantenere la consapevolezza che an- che l’area dell’interazione tra il Pronto Soccorso e i laboratori, i servizi di radiologia, i reparti non è estranea, come ben sappiamo, alle componenti che possono elicitare aggressività in Pronto Soccorso. Oltre ad aspetti già più sopra ricordati è inderoga- bile segnalare che difficili o non idonee condizioni di lavoro del personale (turni troppo frequenti o troppo stressanti, ma soprattutto strutture ospeda- liere dove è assente per gli operatori qualsiasi for- ma di riconoscimento se non vogliamo dire di gra- tificazione ecc.) favoriscono il burn-out e il ricade- re purtroppo a cascata della tendenza al non ascol- to e al non riconoscimento dell’altro. Questi aspet- ti organizzativi e di gestione del personale costitui- scono un importante fattore di rischio su cui trop- po spesso l’organizzazione intende tacere. Area del macrosistema. In relazione a questo vasto ambito di intervento, tra i molti aspetti risulta im- portante curare la diffusione nel nostro contesto socio-culturale di corrette informazioni su: fun- zioni, compiti, problematiche dei Pronto Soc corso, funzionamento e ragioni del triage, sulla forma- zione e qualità professionale del personale operan- te. È infatti importante contrastare l’induzione di aspettative onnipotenti e irrealistiche sollecitate talvolta dai massmedia e parimenti le valenze tal- volta meramente distruttive delle campagne con- tro la malasanità. Bibliografia 1. Ministero della Salute. “Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”, novembre 2007. 2. National Institute for Occupational Safety and Health. “Violence in the workplace; risk factors and prevention strategies in Current intelligence bulletin 57”. Publication No. 96-100, 1996. 3. Ferrario F. Per una relazione sicura. In Atti del Convegno “Sicurezza nel Servizio Sociale, un approccio globale al proble- ma”, Torino 9 novembre 1999. 4. Fornaro M. Aggressività. Centro Scientifico Editore, Torino, 2004. 5. Valzelli L. Psicobiologia dell’aggressione e della violenza. Faenza Editrice, Faenza, 1989. 6. Lorenz K. Il cosiddetto male. Per una storia naturale dell’aggres- sione. Il Saggiatore, Milano,1969. 7. Dollar J et al. Frustrazione e aggressività. Giunti-Barbera, Firenze, 1967. 8. Bandura A. Aggression. A social learning analysis. Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1973. 9. Zoncheddu P., Spada MS. La gestione dell’ansia e dell’aggressività in Pronto Soccorso. Triage, a cura di G. Trabucco e F. Buono core. Cortina, Verona, 2007. 10. Bateman A, Fonagy P. Il trattamento basato sulla mentalizzazio- ne: Psicoterapia con il paziente borderline. Cortina Editore, Milano, 2006. 11. U.S. Department of Labor, Bureau of Labor Statistics., Survey of Occupational Injuries and Illnesses, 2000. DOL, Washington, 2001. 12. The Joint Commission. Sentinel Event Statistics: December 31, 2006 - Type of Sentinel Event. http://www.jointcommission.org/ SentinelEvents/Statistics/ 13. Beccatini G et al. Il fenomeno delle aggressioni agli operatori di pronto soccorso:la prospettiva italiana. Relazione dal XXVI Congresso Nazionale ANIARTI, Rimini, 24-26 Ottobre 2007. 14. Bronfenbrenner U. Ecologia dello sviluppo umano. Il Mulino, Bologna, 1979. 15. Von Bertalanffy L. Teoria Generale dei Sistemi. Mondatori, Milano, 2004. 16. Recupero R, Nardi L. Acting-out aggressivo in P.S. E dopo l’e- vento? Indicazioni per la prevenzione dei rischi di stress post- traumatico e di burn-out per il personale. In Atti del VI Congresso Nazionale Simeu, Rimini, 12-16 Novembre 2008. ABSTRACT Hospitals must develop programs to prevent aggressive events on work. It is necessary to create multidisciplinary work teams to identify risk factors and to elaborate stra- tegies for prevention and management. It is essential to make health workers aware and adequately trained to fa- ce the risk to be victim of violence. They should know stra- tegies to reduce the risk too. Hospital organisations must activate precise procedures to assure sanitary, psycholo- gical and legal support for whom has suffered violence at work.