untitled Intossicazioni da asfissianti sistemici: anilina tossicologia e NBCR Marta M. Cravino, Davide Lonati, Paola Peretti, Pier Giorgio Raimondo, Carlo Locatelli, Mauro F. Frascisco 36 Ruolo del Pronto Soccorso nell’individuare gli esordi psicotici e gli stati mentali a rischio editoriale Daniele Ebbli, Panfilo Ciancaglini 6 numero 6 - dicembre 2007 La sindrome di Wellens clinica e terapia Franco Lai, Alessio Baldini, Gloria Trombaccia, Marco Becheri 14 Valutazione clinica focalizzata del paziente con alterazioni del comportamento in Pronto Soccorso 9 Daniele Coen Bi m es tra le . A nn o III • P re zz o di c op er tin a D 10 ,3 3 • Po ste It al ia ne . S pe di zi on e in A .P. D .L. 3 53 /2 00 3 (c on v. In L. 2 7/ 02 /2 00 4 n° 4 6) a rt. 1 , c om m a 1, D C B To rin o n. 6 /0 7. In c as o di m an ca to re ca pi to re sti tu ire a : C .M .P. To rin o N or d, p re vio p ag am en ti re si IS SN 1 82 6- 98 26 a 18 La trombolisi nello stroke ischemico acuto: dove e quando? Giuseppe Micieli, Simona Marcheselli, Stefano Ottolini e Salvatore Badalamenti L’etica protestante nella formazione del medico e dell’infermiere di Pronto Soccorso. Alcuni apprendimenti e considerazioni prima e dopo un corso di formazione organizzazione e formazione Massimo Pesenti Campagnoni, Eusebio Balocco 24 Ecografia infermieristica nel cateterismo vescicale assistenza infermieristica Luca Romei, Antonietta Sabatini, Catia Biagioni 30 Dalla letteratura e dal web revisioni dalla letteratura e dal web Christian Bracco, Remo Melchio 42 Ruolo del Pronto Soccorso nell’individuare gli esordi psicotici e gli stati mentali a rischio ........6 Valutazione clinica focalizzata del paziente con alterazioni del comportamento in Pronto Soccorso..................................................9 La sindrome di Wellens ........................................14 La trombolisi nello stroke ischemico acuto: dove e quando? ....................................................18 L’etica protestante nella formazione del medico e dell’infermiere di Pronto Soccorso. Alcuni apprendimenti e considerazioni prima e dopo un corso di formazione ..................24 Ecografia infermieristica nel cateterismo vescicale 30 Intossicazione da asfissianti sistemici: anilina ......36 Dalla letteratura e dal web ....................................42 Indice annata 2007 ..............................................44 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. sommario 3 Sommario emergency care journal DIRETTORE RESPONSABILE: I. Casagranda CO-DIRETTORI: C. Locatelli, B. Tartaglino EDITORE C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l. Via Candido Viberti, 7 - 10141 Torino, Italia Tel. 011.33.85.07 r.a. - Fax 011.385.27.50 E-mail: cgems.redazione1@cgems.it www.cgemsformazione.it Sito Web: www.cgems.it STAMPA: Ages Arti Grafiche s.r.l. - Torino Finito di stampare il 15 gennaio 2008 Vendita esclusiva in abbonamento. 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Per ricevere senza alcun impegno maggiori chiarimenti, è a disposizione il Servizio Assistenza Clienti attivo dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 12,30 e dalle 13,30 alle 17,30 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 4 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Clinica e terapia Bruno Tartaglino • Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda Ospe- daliera S. Croce e Carle, Cuneo Tiziano Lenzi • Dipartimento di Emergenza e Accettazione Ospedale Nuovo, Imola (BO) Giuseppe Re • SOC di Medicina Interna, Presidio Ospedaliero di Lugo (RA) Rodolfo Sbrojavacca • SOC di Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, AO Santa Maria della Misericordia, Udine Nicolò Gentiloni Silveri • UOC di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Ordi- nario di Medicina Interna, Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico A. Gemelli, Roma Organizzazione e formazione Massimo Pesenti Campagnoni • Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda USL Valle d’Aosta, Aosta Franco Tosato • Dipartimento Interaziendale di Pronto Soccorso, Azienda Ospedaliera di Padova Tossicologia e NBCR Carlo Locatelli • Centro Nazionale di Informazione Tossicologica e Centro An- tiveleni di Pavia IRCCS, Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, Pavia Raffaele D’Amelio • Ospedale Sant’Andrea, Unità operativa di allergologia ed immunologia clinica, Roma Giorgio Trenta • Docente di Radioprotezione, Università La Sapienza di Roma Giuseppe Ippolito • Istituto Nazionale per le Malattie Infettive IRCCS L. Spal- lanzani, Roma Architettura, tecnologia impiantistica e progettazione Gabriele Zingaretti • Giunta Esecutiva del CNETO Ricerca Ferdinando Schiraldi • Dipartimento di Medicina d’Urgenza, Ospedale San Paolo, Napoli Achille Guariglia • Dipartimento EAS, Ospedale Maggiore Policlinico Mangia- galli e Regina Elena, Milano Francesco Della Corte • SCDU Anestesia e Rianimazione 1, Ospedale Maggiore della Carità, Università del Piemonte Orientale, Novara Emergenza territoriale e medicina delle grandi emergenze Adelina Ricciardelli • FIMMG-Emergenza sanitaria Antonio Morra • Dipartimento di Anestesiologia e Rianimazione, Ospedale Martini, Torino Adriana Volpini • Servizio Rischio Sanitario, Dipartimento della Protezione Civile, Presidenza del Consiglio, Roma EMERGENCY CARE JOURNAL RESPONSABILI RUBRICHE Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 5 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Assistenza infermieristica Paola Di Giulio • Scuola di Scienze Infermieristiche, Università degli Studi di Torino Diagnostica per immagini, radiologia interventistica e medicina nucleare Libero Barozzi • SOC di Radiologia d’Urgenza, AO Sant’Orsola-Malpighi, Università degli studi, Bologna Gian Alfonso Cibinel • SOC di Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgen- za, Ospedale Edoardo Agnelli, ASL 10, Pinerolo (TO) Medicina di laboratorio e trasfusionale Mario Plebani • Servizio Medicina di Laboratorio, Azienda Ospedaliera, Uni- versità degli Studi, Padova Giorgio Bellomo • Laboratorio di Ricerche Chimico-Cliniche, Ospedale Mag- giore della Carità, Università del Piemonte Orientale, Novara Medicina legale Sergio Fucci • Consigliere Corte di Appello di Milano Paolo Danesino • Dipartimento di Medicina Legale e Sanità pubblica Antonio Fornari, Università di Pavia Vittorio Fineschi • Medicina Legale e Bioetica, Università degli Studi di Foggia Etica e bioetica Maurizio Mori • Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi di Torino Clinical Governance Franco Perraro • Società Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria (SIQuAS/VQR) Carolina Prevaldi • UO Pronto Soccorso-Accettazione, Presidio Ospedaliero di San Donà di Piave/Jesolo (VE) Informatizzazione, telemedicina e nuove tecnologie di comunicazione Cristina Mazzoleni • Istituto scientifico di Pavia, Fondazione S. Maugeri, Cli- nica del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS Revisioni dalla letteratura e dal web Remo Melchio • Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle, Cuneo Ugo Sturlese • Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle, Cuneo Incontro con i Lettori Ivo Casagranda • Dipartimento di Emergenza e Accettazione, ASO Santi An- tonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. editoriale 6 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Da più di 25 anni la Psichiatria è entrata nell’Ospe- dale Generale diventando parte dell’attività dei Ser- vizi di Emergenza e portando con sé una storia seco- lare di segregazione e di istituzionalizzazione. La fiducia nella “terapia” in campo psichiatrico è re- lativamente recente, rispetto alla lunga tradizione di custodia (buona o cattiva che fosse). L’importante scoperta degli psicofarmaci, a cavallo de- gli anni ’50-’60, non modificò nei fatti, almeno nell’am- bito delle psicosi, un approccio sostanzialmente custo- dialistico-riabilitativo rivolto sempre alla cronicità. D’altra parte costituiva fattore di sfiducia terapeutica l’ennesima constatazione, a cavallo degli anni ’60-’70, della grossolanità dei processi diagnostici, della bas- sa attendibilità e validità delle diagnosi, ben eviden- ziata dai risultati di uno studio internazionale sulle divergenze diagnostiche nel mondo anglosassone (Progetto Diagnostico anglo-americano 1971) che eb- be il merito di promuovere i primi sistemi di classifi- cazione “internazionali” (in particolare ICD 10 e DSM III e IV), rivolti alla creazione di un linguaggio co- mune, attraverso il “consenso degli esperti” e non più basati sulle teorie di singoli capiscuola. L’entusiasmo che ha accompagnato il rinnovamento psichiatrico degli anni ’70-’80 in Italia, rivolto a obiettivi di “liberazione” e “terapia”, è stato caratteriz- zato anche da eccessive semplificazioni rispetto alla complessità dell’oggetto di cura. Così l’enfasi sull’im- portanza del cambiamento istituzionale ha portato non poche delusioni nel verificare che esso non era “di per sé” sufficiente per “curare”. Si evidenziava, infatti, la formazione di una nuova cronicità nell’am- bito delle psicosi che non si poteva più attribuire ai meccanismi delle vecchie istituzioni, quanto piutto- sto agli standard di cura dei nuovi servizi. Su questo tema la nostra riflessione era iniziata nei primi anni ’80 con una monografia che commentava i dati del Registro dei Casi del Servizio Psichiatrico di Albenga (Savona)1. Nell’introduzione a quel testo Eugenio Torre e Alessan- dra Marinoni scrivevano sulla necessità di superare la «messianica aspettativa che il solo incremento delle ri- sorse del Servizio serva a risolvere eventuali carenze e contraddizioni dell’attuale sistema di assistenza psichia- trica», e noi stessi annotavamo che nelle innovazioni organizzative «sono particolarmente carenti le iniziati- ve a carattere preventivo» e che «la valutazione dei ser- vizi rivolta a una pianificazione delle attività sembra es- Ruolo del Pronto Soccorso nell’individuare gli esordi psicotici Daniele Ebbli*, Panfilo Ciancaglini** * Medico Psichiatra, già Primario Ospedaliero di Psichiatria Albenga e Tortona. ** Medico Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale ASL 3, Genova. SINTESI I cambiamenti verificatisi in campo psichiatrico a partire da- gli anni ’50 non hanno prodotto consistenti miglioramenti del- l’efficacia della terapia delle psicosi. In tale ambito, viene pro- posto da più parti l’invito a sviluppare un atteggiamento tera- peutico più attivo e attento agli aspetti preventivi. Si sottoli- nea che un quadro di psicosi conclamata giunge al ricovero ospedaliero mediamente con ritardo di 2 mesi , dopo più di un anno di fase pre-psicotica e 3-5 anni di sintomatologia aspe- cifica. Il Pronto Soccorso può essere una struttura valida per intercettare precocemente situazioni patologiche e/o situazio- ni a rischio e indirizzarle verso una adeguata terapia specia- listica. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 7 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it sere un momento indispensabile senza il quale è facile incorrere in una cattiva utilizzazione delle risorse»nota 1. Insieme ad altri2 guardavamo Paesi meno inclini a fa- cili entusiasmi (Paesi anglosassoni, Olanda, Norve- gia, Germania…), con una più solida impostazione metodologica, in particolare più attenti agli aspetti valutativi dell’attività dei servizi, Paesi nei quali, in ef- fetti, dagli anni ’90 si sono sviluppati nuovi indirizzi che meritano di essere presi in considerazione e che già sono entrati nella pratica di alcuni servizi psichia- trici italiani, sia pure in numero molto limitato. Al centro di queste nuove prospettive sta proprio l’os- servazione che di fronte alla sostanziale cronicizzazione del disturbo psicotico è opportuno spostare l’attenzio- ne verso un approccio preventivo (come in altri campi della medicina, ad esempio in campo oncologico). Studi epidemiologici hanno evidenziato che, pur di fron- te al minore stigma che comporta il ricovero psichiatrico in Ospedale Generale, i pazienti con psicosi conclamata giungono ai luoghi di cura mediamente con un ritardo di 2 mesi e rispetto all’evidenza dei sintomi che un ridotto numero di essi resta in contatto con le strutture speciali- stiche a un anno di distanza. Si è anche evidenziato che nell’anno precedente alla comparsa della patologia conclamata sono già presen- ti alcuni dei sintomi patognomici della patologia e che nei 3-5 anni precedenti sono presenti sintomi aspeci- fici, che configurano un malessere, non ancora inqua- drabile in una patologia definita, quanto invece defi- nibile come stato mentale a rischio (Figura 1)4. Poi- ché le psicosi hanno normalmente esordio fra i 15 e i 30 anni, si comprende facilmente che l’attenzione alla salute mentale del giovane dai 14 anni fino ai 30 (dal- la primissima adolescenza alla maturità) sia un fattore di grande rilevanza per tutte le strutture in contatto con tale fascia d’età (famiglia, scuola, mondo del lavo- ro, associazioni e club sportivi, servizi sociali, medici di medicina generale, ospedale). Negli anni caratterizzati dalla presenza dei sintomi aspecifici (quelli che definiscono la DUI - Duration of fase prodromica fase prepsicotica età 24.2 29.0 30.1 30.3 1.1 anni 2 mesi sintomi positivi sintomi negativi 5.0 annitempo primi sintomi (negativi o aspecifici) di disturbo mentale DUI (Duration of Untreated Illness) primi sintomi positivi sintomatologia conclamata ricovero ospedaliero DUP (Duration of Untreated Psychosis) Fig. 1 – Valutazione dei sintomi degli esordi psicotici e dei comportamenti a rischio (tratto e tradotto da Klosterkötter J. Predicting the onset of schizophrenia. In: Risk and Protective Factors in Schizophrenia. Towards a Conceptual Model of the Disease Process, 2002). editoriale Nota 1. Gli ancor rari orientamenti a indirizzo epidemiologico presenti nella psichiatria italiana si coagularono nel 1989 nella costituzione del- la Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (S.I.E.P.) con il prof. Eugenio Torre (ordinario di Igiene Mentale dell’Università di Pavia) fra i primi promotori e primo presidente. Alla sua memoria, dopo la recente prematura scomparsa (giugno 2007), dedichiamo quest’articolo. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. editoriale 8 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Untreated Illness) è possibile che qualcuno si accorga che qualcosa non va per il verso giusto: «era diventa- to trasandato, parlava poco, non studiava più… si chiudeva a lungo nella sua stanza, non frequentava più gli amici, a scuola si era isolato… sembrava un po’ assente, a volte chiedeva cose poco chiare, faceva do- mande in modo ripetitivo», ma che si dia spiegazioni di questo genere: «credevamo avesse i soliti problemi degli adolescenti di oggi… pensavamo a difficoltà sco- lastiche con qualche insegnante, con il gruppo dei compagni… oppure a questioni sentimentali». Sebbene riguardo questo periodo non vi siano anco- ra strategie d’intervento evidence based, pur essendo comunque utile intervenire sia pure con grande cau- tela, il ritardo dell’intervento nel primo episodio psi- cotico non ha alcuna giustificazione. Una DUP (Duration Of Untreated Psychosis) di 12-15 me- si non ha ragion d’essere di fronte a numerosi studi che evidenziano un rapporto tra la durata di questo periodo e la gravità prognostica e di fronte al fatto che essa pro- lunga inutilmente una grave condizione di malessere. Infatti, esistono adeguate indicazioni sul “che fare” al primo impatto con l’esordio psicotico sia riguardo ai trattamenti farmacologici sia a quelli psicosociali co- me ben descritto nelle linee guida inglesi del NICE (National Institute for Clinical Excellence) del 20033, disponibili anche nella traduzione italiana. Stiamo dunque mettendo in evidenza l’importanza degli interventi precoci nelle psicosi. Questa imposta- zione presuppone due snodi fondamentali: l’identi- ficazione dei casi e la strategia terapeutica da appli- care. Riguardo al primo punto si è sottolineata in va- ri paesi l’importanza della sensibilizzazione del me- dico di medicina generale. Nella realtà sanitaria ita- liana occorre ricordare che spesso anche il Pronto Soccorso (PS) funziona come primo livello di ac- cesso di fronte a un malessere, qualunque esso sia. Il PS di piccole e medie città arriva a “filtrare” ogni anno quote elevate di popolazione residente ed è quindi probabile che arrivi per primo in contatto con un paziente con “psicosi non trattata” e a mag- gior ragione con “malattia non trattata”. La consapevolezza di svolgere anche funzioni di “primo livello” ha spinto la segreteria scientifica del IV Congresso Mediterraneo di Medicina di Emer- genza (Sorrento 15-19 settembre 2007) a dedicare un’intera sessione a temi di base della psichiatria in Pronto Soccorso e in particolare di approfondire un argomento “preventivo”. In quella sede abbiamo svolto una relazione che pre- sentava gli aspetti salienti dell’inquadramento degli esordi psicotici e degli stati mentali a rischio e delle modalità d’intervento farmacologico e psicosociale. Abbiamo registrato l’impressione che un PS organiz- zato sia in grado non solo di “rispondere” all’emer- genza e alla cronicità psichiatriche, ma anche di “in- dividuare” patologie meno evidenti e quindi “avvia- re” a percorsi terapeutici appropriati. Perché ciò si realizzi, occorre che si verifichi un cam- biamento di rotta nell’approccio ai disturbi psicotici rispetto alla prassi psichiatrica oggi prevalente. Si tratta cioè di uscire dalla gestione ordinaria della cronicità, da un atteggiamento di attesa, non asserti- vo e ancorato al pessimismo, andando verso interven- ti più attivi e più attenti alle radici del disturbo. Bibliografia 1. Ebbli D, Ciancaglini P. La valutazione dell’attività di un servizio psi- chiatrico. Ed. La Goliardica Pavese, Pavia, 1983. 2. Tansella M. (a cura di) L’approccio epidemiologico in psichia- tria.Torino, Ed. Boringhieri 1985. 3. National Institute for Clinical Excellence (NICE): Schizophrenia. Full national clinical guideline on core interventions in primary and secondary care. 2003 (ed. italiana a cura di Carrà G, Barale F, Marinoni A. Schizofrenia. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2004). 4. Klosterkötter J. Predicting the onset of schizophrenia. In: Risk and Pro- tective Factors in Schizophrenia. Towards a Conceptual Model of the Di- sease Process (ed. Hafner H), Steinkopff Verlag, Darmstadt, 2002. Letture di approfondimento Asioli F, Berardi D (a cura di). Disturbi psichiatrici e cure primarie. Il Pen- siero Scientifico Editore, Roma, 2007 (per un approfondimento teorico e pratico sui Disturbi Psichiatrici in generale, a un primo livello d’intervento). Cocchi A, Meneghelli A. L’intervento precoce tra pratica e ricerca. Ma- nuale per il trattamento delle psicosi all’esordio. Centro Scientifico Edi- tore, Torino, 2004 (per un approfondimento teorico e pratico su- gli “interventi precoci”). ABSTRACT The change happened in psychiatric field from the 50s did not pro- duce a considerable improvement in the effectiveness of psychosis therapy. In this realm, many Authors are suggesting to develop a more ac- tive and careful therapeutic attitude to prevention aspects. They underline that a clinical picture of maximum of positive symptoms arrives at the hospital admission with an average delay of two months, after a year of psychotic prephase and 3-5 years of nega- tive or non specific signs of mental disorder. The emergency depart- ment could be a good structure for the early interception of patho- logical or risk conditions and to direct them towards a proper spe- cialist therapy. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 9 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Il termine valutazione clinica focalizzata (focused me- dical assessment) viene sempre più spesso proposto dalla letteratura anglosassone in luogo del più classi- co termine medical clearance, che definisce in modo forse eccessivamente certificativo l’intervento del me- dico d’urgenza chiamato a definire l’assenza di pro- blemi acuti di natura organica in un paziente con di- sturbi del comportamento. Il richiamo alla focalizzazione della valutazione, in qualche modo in analogia con il termine utilizzato per le indagini ecografiche svolte per dare rapide ri- sposte a precisi quesiti (FAST), centra l’attenzione sul sintomo acuto, chiedendo appunto al medico di escludere una causa organica per l’alterazione del comportamento in atto, o nel caso in cui una causa o una concausa organica non possano essere esclusi, di impostarne la diagnostica e il trattamento prima di ricorrere, quando dovesse essere ancora necessa- rio, alla consulenza dello specialista psichiatra. Una più completa valutazione di tutte le condizioni clini- che eventualmente presenti, ma non responsabili del- la sintomatologia attuale, può ragionevolmente esse- re rinviata a un momento successivo o a un medico non impegnato nella gestione dell’urgenza1,2. Epidemiologia È difficile dire quale percentuale dei pazienti che ac- cedono al Pronto Soccorso presentino problemi di natura comportamentale. Si va infatti da un’inciden- za di circa il 5 % quando si considerino solo sintomi francamente “psichiatrici” quali ansia, agitazione, al- lucinazioni, delirio o franca sintomatologia depressi- va, a valori nettamente più elevati, anche se difficil- mente quantificabili, quando si allarghi in campo ai disturbi della coscienza (sopore, confusione, diso- rientamento) e ai disturbi del comportamento legati all’abuso di sostanze o a preesistenti disturbi cogniti- vi su base organica (deficit intellettivi, demenze, esi- ti di patologie del SNC ecc.). In sintesi si può ritenere che il medico d’urgenza pos- Valutazione clinica focalizzata del paziente con alterazioni del comportamento in Pronto Soccorso Daniele Coen SC Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano SINTESI La letteratura e l’esperienza clinica documentano come i pazien- ti con disturbi del comportamento – tanto nel senso di agitazio- ne-aggressività quanto nel senso di passività-iporeattività – pos- sano essere affetti da malattie primitivamente psichiatriche o da condizioni organiche di varia natura, tra le quali spiccano le ma- lattie del SNC, le malattie metaboliche, le infezioni, le intossica- zioni e le reazioni avverse da farmaci. È dunque importante che l’organizzazione dei Pronto Soccorso e l’atteggiamento dei me- dici che vi operano consentano una valutazione globale di questi pazienti per identificare la presenza di quadri clinici d’urgenza e per indirizzare al percorso più appropriato i malati . Alcune re- centi puntualizzazioni sul tema, proposte da una commissione ad hoc dell’American College of Emergency Physicians (ACEP), for- niscono l’occasione per questa breve revisione. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 10 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it sa trovarsi di volta in volta di fronte a una delle se- guenti presentazioni cliniche: 1. disturbi del comportamento di nuova insorgenza in assenza di malattie organiche note; 2. disturbi del comportamento di nuova insorgenza in presenza di malattie organiche note; 3. recidiva di disturbi del comportamento in presen- za di diagnosi psichiatrica o organica nota; 4. esordio o recidiva di disturbi comportamentali in associazione con abuso o con sospetto abuso di al- colici o di sostanze psicotrope. Disturbi del comportamento di nuova insorgenza La probabilità di trovarsi di fronte a una manifestazio- ne psichiatrica dovuta a una malattia organica o ad una intossicazione varia significativamente col varia- re della storia clinica e della presentazione del pazien- te. Se la presenza di malattie organiche note aumen- ta la probabilità che ci si trovi di fronte a un proble- ma di natura non psichiatrica, è in ogni caso obbli- gatorio considerare come di natura medica ogni alte- razione del comportamento di nuova insorgenza fi- no a prova contraria. La Tabella 1 riporta le condizioni che aumentano il ri- schio di una patologia organica come causa di sinto- mi psichiatrici. Queste condizioni devono essere at- tentamente ricercate in tutti i casi attraverso l’ anam- nesi, raccolta dal paziente o dai suoi accompagnato- ri, e uno scrupoloso esame obiettivo. In uno studio del 1997 Olshaker et al. riferiscono che su 352 pazienti giunti in Pronto Soccorso per sintoma- tologia psichiatrica, 65 (19%) presentavano un proble- ma acuto di interesse medico3. In modo analogo, Pu- ryear et al. documentano la rilevanza delle reazioni av- verse da farmaci come causa dei sintomi nel 20% di 118 pazienti anziani in accesso a un Pronto Soccorso psichiatrico4. La Tabella 2 riassume le più comuni cau- se organiche di alterazione acuta del comportamento, utilizzando l’acronimo FIND ME proposto come ausi- lio mnemonico dagli autori americani. Nell’ambito dei disturbi del comportamento correla- ti con condizioni organiche è di particolare rilievo il delirium, una sindrome caratterizzata dalla veloce in- sorgenza di alterazioni fluttuanti dello stato mentale, in concomitanza con una patologia organica e in as- senza di un noto quadro di demenza5 . Il delirium è una manifestazione comune nei pazienti ospedalizzati con età maggiore di 65 anni ed è stato ri- portato in percentuali variabili tra il 10% e il 30% de- gli anziani ricoverati nei reparti di medicina, chirurgia o terapia intensiva6. La presenza di un delirium è un segno prognosticamente negativo, in quanto correlato con una mortalità ospedaliera del 15-30%7. Oltre agli interventi indirizzati al controllo della sintomatologia comportamentale acuta è dunque importante rivalu- tare in questi casi il quadro clinico sottostante con at- tenzione alla presenza di altri possibili segni di una evoluzione negativa della malattia di base. È infine utile domandarsi se la valutazione di un ma- lato con sintomatologia comportamentale da parte del medico d’urgenza o dell’internista, debba neces- sariamente comprendere anche un accertamento di laboratorio. A questo proposito, pur non essendo di- sponibili in letteratura casistiche di Pronto Soccorso, è possibile trarre qualche indicazione da studi che hanno analizzato l’incidenza di esami di laboratorio utili ai fini diagnostici su coorti di pazienti ricoverati in reparto psichiatrico. Ferguson et al, su 650 nuovi ricoveri in psichiatria hanno rilevato 2.753 esami di laboratorio, dei quali 463 positivi. Solo 2 degli esa- mi alterati non erano prevedibili sulla base della sto- ria clinica8. Dolan et al. hanno svolto una analoga ri- cerca su 250 pazienti ricoverati in psichiatria, docu- mentando che meno di 1 test ogni 50 risultava utile dal punto di vista clinico9. Sulla base di questi e di altri lavori, una commissione dell’ American College of Emergency Physicians (ACEP) ha ragionevolmente concluso che gli esami di labora- torio di routine sono di scarsa utilità nei pazienti con sintomatologia psichiatrica e che ogni esame deve es- sere guidato dall’anamnesi e dall’esame obiettivo2. Recidiva di un disturbo del comportamento I pazienti che presentano episodi recidivanti di mani- festazioni comportamentali o psichiatriche sono in genere di più facile inquadramento. Se l’anamnesi viene raccolta correttamente e le manifestazioni clini- che riproducono con chiarezza un quadro già diagno- sticato, non vi è in molti casi ragione di allargare la diagnosi differenziale. TAB. 1 Condizioni a rischio per una causa organica della sin- tomatologia comportamentale • Insorgenza tardiva (oltre i 40 anni) • Assenza di una storia psichiatrica • Insorgenza improvvisa dei sintomi • Presenza di malattie sistemiche note • Recenti modificazioni della terapia • Rapporto temporale con un quadro di convulsioni • Alterazione dei parametri vitali • Ottundimento del sensorio • Disorientamento • Allucinazioni visive Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 11 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it È però opportuno non ricondurre frettolosamente a quanto già noto ogni e qualsiasi sintomo comporta- mentale, in particolare se la distanza tra le recidive è lunga o se nel frattempo sono intercorsi altri pro- blemi di salute o modificazioni della terapia. Non vi è infatti alcuna documentazione che la malattia psichiatrica sia protettiva nei confronti della altre patologie (al contrario è noto che malattie psichia- triche come la depressione o le psicosi sono cor- relate a un incremento del rischio di malattia car- diovascolare e della mortalità) mentre, come già detto, anche nei pazienti psichiatrici noti le alte- razioni del comportamento possono essere la ma- nifestazione di una patologia organica. Per quanto riguarda per esempio le manifestazio- ni psichiatriche acute in pazienti con demenza, uno studio riporta che su 100 casi in 44 era possi- bile riconoscere un evento scatenante acuto (infe- zioni, disordini idroelettrolitici, intossicazioni)10 . Con riferimento ai quadri di psicosi cronica o alle sue riacutizzazioni che giungono al Pronto Soccor- so, è inoltre importante ricordare che, se il medi- co d’urgenza non riconosce la presenza di un rile- vante problema organico, è improbabile che que- sto venga più tardi riconosciuto dallo psichiatra. In due studi osservazionali (non recentissimi), meno del 20% degli psichiatri eseguiva un esame obiet- tivo dei pazienti ricoverati11,12. L’approccio a pazienti psichiatrici con disturbi re- cidivi del comportamento può prevedere percorsi diagnostico-terapeutici diversi in considerazione della situazione organizzativa locale. Nel caso di molti piccoli e medi ospedali per esem- pio, l’assenza di un reparto di psichiatria o anche solo l’ assenza di uno psichiatra di guardia durante la notte, fanno sì che il medico di Pronto Soccorso deb- ba occuparsi, almeno in un primo momento, tanto dei TAB. 2 Principali cause di agitazione/aggressività secondo l’acronimo FIND ME*. Functional • psichiatriche schizofrenia ideazione paranoide mania eccitazione catatonica disordini di personalità (antisociali, borderline) disturbi post-traumatici • socio-ambientali recente ospedalizzazione recenti cambiamenti delle modalità di vita o ambientali Infectious • infezioni SNC (meningite, encefalite) • sepsi Neurologic • traumi al capo/ematoma subdurale • emorragia/ischemia cerebrale • convulsioni (lobo temporale) • stati post-critici • tumori • vasculiti • demenze (anche AIDS-correlate) Drug • effetti avversi da farmaci (almeno 150 farmaci relativamente comuni, ma pro babilmente molti di più, sono stati messi in relazione con sintomatologia “psichiatrica”)24 • intossicazione/astinenza da alcol • overdose/tossicità da droghe • amfetamine e derivati • cocaina • fenciclidina • LSD • gamma-idrossibutirrato • astinenza da BDZ/narcotici • intossicazione/sospensione da sedativi ipnotici • anticolinergici • idrocarburi aromatici • steroidi anabolizzanti • teofillina • marijuana • caffeina • cortisonici Metabolic • alterazioni elettrolitiche (in particolare iponatriemia) • ipotermia/ipertermia • anemia • deficit vitaminici (B1, B6, B12, folati) • encefalopatia di Wernicke • ipossiemia • ipercapnia • encefalopatia epatica • encefalopatia uremica • encefalopatia ipertensiva • shock • porfiria Endocrine • ipoglicemia • tireotossicosi • morbo di Cushing * modificato da 60 e da Moore GP. The violent patient. In: Rosen P, Bar- kin R, eds. Emergency Medicine: concepts and clinical practice. Inc. Ed. 4, vol. 3 Mosby Year Book, St. Louis, 1998, 2871-79. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 12 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it problemi organici che dei problemi psichiatrici dei pazienti, ricorrendo alla consulenza specialistica solo in un numero relativamente limitato e motiva- to di casi. Diversa può essere la situazione nel caso di molti grandi ospedali dove la consulenza psichiatrica è disponibile 24 ore al giorno o dove addirittura esi- ste un vero e proprio Pronto Soccorso psichiatri- co. In queste situazioni il medico di urgenza go- de di maggiori opportunità (per esempio quella di vedere i pazienti noti per problemi psichiatrici solo dopo una prima valutazione e dietro richiesta dello psichiatra), anche se in linea teorica potreb- be essere più alto il rischio di non riconoscere pre- cocemente una causa o concausa organica dei sin- tomi. La Tabella 3 riporta a titolo esemplificativo il pro- tocollo di triage dei pazienti con sintomatologia psichiatrica in uso presso l’Ospedale di Niguarda di Milano. La sicurezza di questo comportamento, oltre che dalla vicinanza fisica degli ambulatori e dalla continua collaborazione tra medici d’urgenza e psichiatri, è sostenuta da alcuni studi, come quello di Korn et al13. In questa casistica sono sta- ti seguiti 212 pazienti, vigili, tra i 16 e i 65 anni, per i quali era ipotizzata la necessità di una valu- tazione psichiatrica in Pronto Soccorso. Di questi, 80 (38%) presentavano solo sintomi psichiatrici e una anamnesi positiva solo per disturbi psichia- trici, mentre 142 (62%) presentavano anche sin- tomatologia organica o erano noti anche per pro- blemi non psichiatrici. Dopo esame obiettivo ed esami “di routine”, nessuno dei pazienti del primo gruppo risultava presentare problemi di rilievo di- versi dalla nota condizione psichiatrica. Disturbi comportamentali in pazienti che hanno assunto alcool o sostanze psicotrope Una anamnesi o una chiara evidenza di recente consu- mo di alcol o di sostanze psicotrope non escludono la possibilità che il paziente presenti contemporaneamen- te altri problemi di salute o altri sintomi che al momen- to, in presenza di una alterazione dello stato di coscien- za potrebbe non essere in grado di comunicare. In que- sti casi è particolarmente importante sollecitare attiva- mente il paziente a riferire tutti i sintomi attivi. È inol- tre fondamentale recuperare una eventuale storia di trauma e riscontrarne gli eventuali segni obiettivi. Un problema che viene spesso posto è se sia o meno ne- cessario confermare il quadro clinico con esami tossi- cologici sul sangue o sulle urine. A questo proposito è interessante uno studio già citato3, che dimostra come l’anamnesi abbia una sensibilità > 90% nel prevedere la positività di un test di screening tossicologico sulle urine o di una etanolemia, concludendo che il metodo più economico e vantaggioso per rilevare l’uso di farmaci o di alcol è quello di chiederlo al paziente. Lo stesso stu- dio dimostra che anche l’utilità degli esami tossicologici per una diagnosi eziologica dei sintomi è modesta. L’esa- me tossicologico delle urine aveva infatti una sensibilità < 20% nel determinare una causa organica dei sintomi. Un altro studio, condotto su 392 pazienti visti in un PS psichiatrico e randomizzati a test urine obbliga- torio o solo sulla base di una richiesta motivata, di- mostrava che l’utilizzo di un test di screening non mo- dificava in alcun modo le decisioni dei medici14. La Commissione dell’ACEP già citata2 conclude su questo tema affermando che «lo screening tossicologi- co sulle urine del paziente con sintomi comporta- TAB. 3 Protocollo per l’assegnazione a medico d’urgenza o psichiatra dei pazienti con disturbi comportamentali in uso presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Niguarda, Milano. Richiesta di consulenza psichiatrica diretta L’infermiere di triage è autorizzato a convocare direttamente il consulente psichiatra solo nei seguenti casi: a) paziente inviato da uno psichiatra territoriale con richiesta di ricovero in SPDC; b) paziente già in carico ai Servizi Psichiatrici (SPDC, CPS) con le seguenti caratteristiche: • non accusa sintomatologia organica • non è nota condizione organica cronica di rilievo • presenta disturbi del comportamento in atto o richiede espressamente un colloquio con lo psichiatra • non ha subito traumi recenti In tutti gli altri casi il paziente dovrà essere prima valutato dal medico internista di Pronto Soccorso. Si consiglia particolare attenzione nel caso di pazienti anziani, con prima manifestazione di disturbo comportamentale, con cefalea, con febbre, con uso recente di alcol o sostanze psicotrope. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 13 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it mentali, vigile e collaborante con parametri vitali normali in assenza di una storia o di una obiettività indicativi non influenzano il management del paziente e non devono essere considerati come parte integrante della valutazione di Pronto Soccorso». Si afferma inol- tre che «l’attesa del risultato di un esame tossicologico di screening non dovrebbe ritardare la valutazione o il trasferimento del paziente». La Commissione dell’ACEP risponde infine ad un’ulti- ma domanda, ovvero se un elevato valore di alcolemia debba precludere la valutazione dello psichiatra in un paziente peraltro vigile e collaborante. Pur riconoscen- do che i sintomi psichiatrici (in particolare l’atteggia- mento suicidario e il bisogno di ricovero) siano destina- ti a ridursi con il ridursi della alcolemia, l’ indicazione dell’ACEP, forse fin troppo ovvia , è che la scelta del mo- mento adatto per la valutazione psichiatrica debba es- sere dettato piuttosto dal livello cognitivo raggiunto dal paziente che dal suo tasso alcolemico e che comunque sia opportuno un periodo di osservazione per deter- minare se i sintomi psichiatrici si riducano spontanea- mente con il risolversi dell’intossicazione2. Conclusioni Il malato con sintomi psichiatrici non differisce per il medico di Pronto Soccorso da tutti gli altri malati. Deve essere ascoltato e visitato, deve fare degli esami solo se l’anamnesi o l’obiettività lo indicano, deve essere invia- to a un consulente psichiatra solo se la situazione lo ren- de immediatamente necessario. Una anamnesi e un esa- me obiettivo meticolosi sono sufficienti nella maggior parte dei casi a distinguere i pazienti con disturbi pri- mitivamente psichiatrici da quelli nei quali le alterazio- ni comportamentali sono secondarie a un problema cli- nico di altra natura. Perché queste affermazioni si traducano in una pratica corretta e volta al maggior beneficio del paziente, è im- portante che il medico d’urgenza, in aggiunta alle co- noscenze riassunte in questo articolo, sviluppi anche un atteggiamento basato sulla consapevolezza dei se- guenti punti: clinica e terapia • trattare con un paziente che presenta alterazioni del comportamento è una cosa non sempre facile e richie- de formazione e competenze specifiche che non de- vono essere in alcun modo di esclusiva pertinenza dello specialista psichiatra; • la “psichiatrizzazione” di tutti i disturbi del comporta- mento, oltre ad aumentare il rischio di sottovalutar- ne una possibile causa organica, inserisce il paziente in un circuito assistenziale e di cura che può assume- re valenze emotive e sociali negative; la decisione di avvalersi di una consulenza psichiatrica dovrebbe dunque essere concordata con il paziente ogni volta che ciò sia possibile. Bibliografia 1. Karas S Jr. Behavioral emergencies differentiating medical from psy- chiatric disease. Emerg Med Practice 2002; 4 (3): 1-20. 2. The American College of Emergency Physicians Clinical Policies Subcommittee on Critical Issues in the Diagnosis and Management of the Adult Psychiatric Patient in the Emergency Room. Clinical policy: critical issues in the management of the adult psychiatric patient in the emergency room. Ann Emerg Med 2006; 47: 79-99. 3. Olshaker JS, Browne B, Jerrad DA, et al. Medical clearance and screening of psychiatric patients in the emergency department. Acad Emerg Med 1997; 4: 124-128. 4. Puryear DA, Lovitt R, Miller DA. Characteristics of elderly persons seen in an urban psychiatric emergency room. Hosp Commun Psy- chiatry 1991; 42 (8): 802-807. 5. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 4th ed. Wash- ington, DC: American Psychiatric Association; 1994: 124-133. 6. Beresin EV. Delirium in the elderly. J Geriatric Psychiatry Neurol 1988; 1: 127-143. 7. Taylor D, Lewis S. Delirium. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1993; 56: 742-754. 8. Ferguson B, Dudlestone K. Detection of physical disorder in newly ad- mitted psychiatric patients. Acta Psychiatr Scand 1986; 74: 485-489. 9. Dolan JG, Mushlin AI. Routine laboratory testing for medical disor- ders in psychiatric inpatients. Arch Intern Med 1985; 145: 2085-88. 10. Purdie FR, Honigman B, Rosen P. Acute organic brain syndrome: a review of 100 cases. Ann Emerg Med 1981; 10(9): 455-460. 11. Patterson C. Psychiatrists and physical examinations: a survey. Am J Psych 1978; 135: 967. 12. Riba M, Hale M. Medical clearance: fact or fiction in the hospital emergency room. Psychosomatics 1990; 31 (4): 400-404. 13. Korn CS, Currier GW, Henderson SO. “Medical clearance” of psy- chiatric patients without medical comlplaints in the emergency room. J Emerg Med 2000; 18: 173-76. 14. Schiller MJ, Shumway M, Batki SL. Utility of routine drug screen- ing in a psychiatric emergency setting. Psychiatr Serv 2000; 51: 474-478. ABSTRACT Literature and clinical experience document how patients with be- havioural disorders – including both those with agitation and ag- gression and passivity-hypoactivity conditions – can be primarily affected by psychiatric diseases or organic conditions of various kinds, most notably CNS diseases, metabolic diseases, infections, intoxications and adverse reactions to medication. It is therefore important for the organisation of Accident and Emergency Depart- ments and the approach of the medical staff working there to al- low overall evaluation of these patients to identify the presence of urgent clinical situations and referral of the patients to the most ap- propriate programme. A set of observations on the subject, put for- ward by a dedicated commission of the American College of Emer- gency Physicians (ACEP), provides the opportunity for this brief review. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 14 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it 14 Il caso clinico Riportiamo il caso della signora D.G., bianca, di 70 anni, che si è presentata spontaneamente nel nostro Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) per la comparsa improvvisa di sensazione di oppressio- ne in sede epigastrica, associata a senso di costrizio- ne al giugulo con irradiazione verso il lato ulnare del- l’arto superiore sinistro e sudorazione algida. Tale quadro doloroso è cessato dopo circa dieci minuti, spontaneamente. Tale sintomatologia era comparsa a riposo dopo il risveglio mattutino il giorno del rico- vero in DEA e, a detta della paziente, si era più volte presentata con analoghe caratteristiche cliniche an- che nelle settimane precedenti, per lo più dopo il compimento di sforzi fisici, quali lo svolgimento del- le normali attività domestiche. L’indagine anamnestica eseguita in DEA metteva in evidenza una ipercolesterolemia, peraltro non in trattamento farmacologico, e una sindrome dispep- tica. Per tale motivo, qualche mese prima la pazien- te si era sottoposta a EGDS che aveva evidenziato una “gastrite erosiva”. Nessun’altra patologia era degna di nota, nessun trattamento farmacologico era in atto. Non veniva segnalata abitudine pregressa o attuale al fumo di sigaretta. Era presente familiarità positiva per dislipidemia e cardiopatia ischemica (CAD). Il medico curante (per motivi non meglio specifica- ti) aveva fatto sottoporre la paziente un mese prima a eco color doppler cardiaco, risultato nella norma. L’esame obiettivo eseguito nelle sale di emergenza metteva in evidenza che la paziente era vigile, in lie- ve eccesso ponderale con obesità centrale, eupnoica con una frequenza ventilatoria di 16 atti/min regola- ri, decubito indifferente, cute calda, rosea, normoi- dratata. Al cuore si evidenziavano toni parafonici, rit- mici, normofrequenti e una lieve impurità al centrum cordis. L’obiettività toracica evidenziava un diffusa ri- duzione del murmure vescicolare su tutto l’ambito polmonare. L’addome si presentava globoso per adi- posità, trattabile, con organi ipocondriaci mal valu- tabili, assenza di masse pulsanti e di soffi vascolari autoctoni; non erano presenti edemi improntabili, né turgore delle giugulari1. La pressione arteriosa omerale sinistra era di 135/75 mmHg, la frequenza cardiaca di 85/min, la SpO2 era pari a 97% room air, la temperatura corporea era di 36,4°C. Inoltre, al momento della visita la paziente era asintomatica per angor, dispnea e sudorazione. Un ECG eseguito in DEA aveva mostrato un ritmo sinusale a frequenza di 85 bpm, una conduzione A- V nei limiti, asse elettrico del QRS sul piano frontale di tipo orizzontale, normale depolarizzazione ventri- colare per morfologia e durata, presenza di onde T con aspetto bifasico in V1-V3 con “appiattimento” del- le medesime in V5-V6 (Figura 1). Gli esami bioumorali eseguiti in regime di urgenza si mostravano tutti nel range della norma, compresi gli enzimi di citonecrosi miocardica (TnI: < 0,03 ng/ml e mioglobina 45 UI/ml). Un’EGA evidenziava reperti normali. La radiografia standard del torace rilevava la presenza di minima congestione polmonare del piccolo circolo. La sindrome di Wellens SINTESI Viene presentato un caso di sindrome dolorosa toracica a gene- si poco frequente, diagnosticato in sede del Dipartimento d’Emergenza come secondario a sindrome di Wellens. Tale sin- drome è rappresentata da specifiche modificazioni elettrocardio- grafiche riguardanti l’onda T che si associano a stenosi critica dell’arteria coronaria discendente anteriore. L’incidenza di tale sindrome nei DEA è del 10-15% circa. Il consulto cardiologico attivato in DEA nel nostro caso non risultava essere definitivo Franco Lai, Alessio Baldini, Gloria Trombaccia, Marco Becheri UO Emergenza e Accettazione, Ospedale “Misericordia e Dolce”, USL 4, Prato per sindrome di Wellens e pertanto veniva sovvertito il succes- sivo planning diagnostico e terapeutico. Nel caso riportato, gli Autori intendono porre in risalto l’importanza dell’individuazione precoce in DEA di tale sindrome e la necessità di una valutazione angiografica urgente alla stregua di ogni sindrome coronarica acu- ta. Il riconoscimento già nelle sale del DEA è finalizzato alla dia- gnosi di una lesione severa della discendente anteriore sinistra a po- tenziale evoluzione verso un’infarto esteso della parete anteriore. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 15 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it A fronte di tale quadro il medico di emergenza chie- deva l’intervento di un consulente cardiologo il quale, dopo nuova raccolta anamnestica ed esame clinico, refertava l’ECG con «alterazioni diffuse del- la ripolarizzazione» e consigliava di tenere in re- parto di Osservazione Breve Intensiva (OBI) la pa- ziente per la ripetizione degli enzimi di citonecrosi miocardica secondo i tempi prestabiliti dai proto- colli e di intraprendere terapia medica con enoxa- parina in ragione di 0.3 ml s.c. TID, nitroglicerina per via ev alla velocità di infusione di 5 ml/ora, omeprazolo ev BID. Per tale motivi, veniva trattenuta su letto sub-inten- sivo dell’OBI dove eseguiva protocollo del dolore toracico. Il giorno successivo, dopo un ECG invariato ed en- zimi ancora nella norma, veniva richiesta nuova con- sulenza cardiologica ponendo l’accento nuovamente sulle alterazioni ECG. Il consulente, eseguiva Eco- cuore (nel corso del quale, tra l’altro, la paziente la- mentava dolore al precordio) che metteva in eviden- za lieve ipocinesia setto-apicale. Veniva quindi richie- sto un test da sforzo per il giorno seguente che la pa- ziente non riesce ad eseguire per la comparsa di do- lore retrosternale. Vista la clinica ed il pattern stru- mentale, la paziente veniva trasferita in UTIC in 4a giornata per l’esecuzione di esame angiografico co- ronarico che metteva in evidenza una malattia del tronco comune e della interventricolare anteriore a li- vello prossimale. Successivamente, la paziente veniva trasferita in car- diochirurgia per l’esecuzione di CABG. Discussione L’ECG riportato in Figura 1 presenta le alterazioni ti- piche di una sindrome ECG-grafica altamente predit- tiva di malattia della discendente anteriore sinistra (LAD) a prognosi severa descritta da Wellens nel 1982, definita appunto sindrome di Wellens1. Tale sin- drome ha un’incidenza del 10-15% fra i casi di angi- na instabile che giungono nei DEA. I comuni motori di ricerca medica non offrono molti articoli con que- sto eponimo e i lavori pubblicati sono scarsi. L’Autore ha descritto che alcune tipologie di onde T invertite nelle derivazioni anteriori nel setting clinico di angina instabile possono essere strettamente asso- ciate a un successivo infarto del miocardio esteso a prognosi severa. In modo particolare, ha dimostrato come questi pazienti siano portatori di stenosi di gra- do severo nella porzione prossimale della LAD e che, una volta identificate le alterazioni tipiche all’ECG, necessitino di una valutazione angiografica coronari- ca con successivo trattamento meccanico con PTCA/chirurgico. Studi successivi, inoltre, hanno di- mostrato la specificità di questi segni elettrocardio- 15 Fig. 1 - ECG della paziente eseguito in DEA all’ingresso. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 16 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it 16 grafici e la necessità di un trattamento aggressivo precoce al pari di una comune sindrome coronarica acuta3. I criteri diagnostici della sindrome di Wellens sono il- lustrati in Tabella 11,2. Vengono inoltre descritte due varianti ECG-grafiche della sindrome (Figura 2)1: • la forma più comune presenta la variante più temi- bile in termini prognostici, caratterizzata da onde T profonde che spesso sono rilevabili in V4-V5; • la forma più rara, con onde T ad andamento bifa- sico con tratto discendente rapido, interessa le de- rivazioni V2-V3 e occasionalmente V4. Wellens ha inoltre descritto i più comuni errori ri- scontrati nella gestione di questa tipologia di pa- zienti1,5: • dimissione del paziente dal DEA per eventuale fol- low up; • stazionamento dei pazienti nei reparti di osserva- zione breve; • programmazione di test ergometrico per la valuta- zione della soglia anginosa (controindicazione re- lativa); • prescrizione di terapia medica conservativa (spes- so invece viene richiesto intervento di vascolariz- zazione urgente); • interpretazione ECG-grafica delle onde T come “alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione ven- tricolare”. TAB. 1 Caratteristiche elettocardiografiche della sindrome di Wellens. • Onda T invertita o bifasica in V2-V3 • Modificazioni dell’onda T possono essere presenti anche in V1, V4-V6 • Le modificazioni appaiono nell’intervallo libero dal dolore • Minimi o nessun cambiamento del tratto ST • Non si verifica perdita onda R sulle precordiali • Assenza di onde Q patologiche • Non vi è modificazione degli enzimi di citonecrosi miocardica Fig. 2 - Alterazioni elettrocardiografiche della sindrome di Wellens. Pain Pain Free Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 17 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Conclusioni Vista la relativa frequenza della sindrome di Wellens e la scarsissima conoscenza dell’esistenza di tale sin- drome (anche da parte degli specialisti cardiologi), è importante una diagnosi precoce in DEA5 di tali mo- dificazioni (vista la severità della prognosi6) affinché si possa intraprendere un percorso diagnostico ur- gente per uno studio angiografico delle coronarie che consenta un trattamento precoce adeguato. Bibliografia 1. de Zwaan C, Bar FW, Wellens HJ. Characteristic electrocar- diographic pattern indicating a critical stenosis high in left anterior descending coronary artery in patients admitted be- cause of impending myocardial infarction. Am Heart J 1982; 103: 730-736. 2. Tandy TK, Bottomy DP, Lewis JG. Wellens’ syndrome. Ann Emerg Med 1999; 33: 347-351. 3. de Zwaan C, Bar FW, Jaansen JH, Cheriex EC, Dassen WR, Brugada P, Penn OC, Wellens HJ. Angiographic and clinical characteristics of patients with unstable angina showing an ECG pattern indicating critical narrowing of the proximal LAD coronary artery. Am Heart J 1989; 117: 657-665. 4. Rhinehardt J, Brady WJ, Perron AD, Mattu A. Electrocardio- graphic manifestations of Wellens’ syndrome. Am J Emerg Med 2002; 20(7): 638-643. 5. Wellens HJ, Conover MB. The ECG in emergency decision mak- ing. WB Saunders, Philadelphia, 1992. 6. Conover MB. Wellens’ syndrome identification of critical proximal left anterior descending stenosis. Crit Care Nurse 1990; 10: 30-36. ABSTRACT We report a case of quite rare cause of thoracic pain suspect- ed by emergency physician as Wellens’ syndrome. Wellens’ syndrome is a pattern of electrocardiographic T-wave changes associated with critical, proximal left anterior descending ar- tery (LAD). This syndrome is about 10-15% of all unstable angina in emergency department (ED). The cardiologic con- sult was obtained in ED and it was not conclusive for a Wellens’ syndrome, so that the diagnostistic planning was wrong. The authors point out the importance of this syndrome in ED and the necessity of an urgent angiographic study as every acute coronary syndrome presented in ED. We remark the importance in ED to recognize these changes associated with critical LAD obstruction and the high risk for anterior wall myocardial infarction. Paolo Carraro Dipartimento di Medicina di Laboratorio Policlinico di Padova Ivo Casagranda Dipartimento di Emergenza e Accettazione, ASO Santi Antonio e Biagio e C. Arri- go, Alessandria Mario Plebani Direttore del Dipartimento Interaziendale di Medicina di Laboratorio, Azienda Ospedaliera-Università degli Studi di Padova L’Opera ha lo scopo di rendere più facile l’individuazione e l’uso degli strumenti di diagnosi attraverso l’atti- vazione di un canale di comunicazione fra clinica e laboratorio che tenda a far divenire consuetudine la discussione di p roblemi diagnostici di casi singoli, la segnalazione tempestiva dei risultati inattesi o incon- gruenti, e da parte del laboratorio la specificazione delle caratteristiche di qualità dei vari test, incluse le possibili interferenze e cause d’erro re. La condivisione dei risultati e la disponibilità del laboratorio a controllare e verificare i dati “sospetti” sono sempre più necessarie per ridurre in modo trasparente possibili cause di errore, soprattutto nella medicina d’urgenza, in cui il laboratorio clinico dev’essere uno strumento fondamentale per assumere con maggior obiettività e serenità decisioni rapide per la gestione del paziente. SCHEDA TECNICA Formato 15 x 21 cm • 364 pagine • 36 tabelle • 5 figure • 15 flow-chart DESTINATA R I Medici di Medicina d’Urgenza, Accettazione e Pronto Soccorso, Medici di Laboratorio e Patologia Clinica, Medici ospedalieri PREZZO DI LISTINO € 44,00 Per informazioni e ordini contattare il Servizio Assistenza Clienti al n. 011.37.57.38, oppure inviare una e- mail a cgems.clienti@cgems.it o consultare il catalogo online del sito www.cgems.it Collana Decidere in Medicina Esami di laboratorio in Medicina d’Urgenza novi tà edit oria le Trombolisi sistemica: razionale ed evidenze cliniche Sebbene siano stati fatti notevoli progressi nella pre- venzione primaria e secondaria dello stroke ischemi- co, la sfida maggiore per i clinici è legata alla possi- bilità del trattamento, farmacologico e non, dell’even- to ischemico in fase acuta; tale possibilità è stretta- mente connessa al pronto riconoscimento della sinto- matologia alla velocità della diagnostica strumentale e di conseguenza alla rapidità dell’inizio del tratta- mento farmacologico. Ad oggi l’unica terapia farma- cologica approvata per i pazienti con ischemia cere- brale in fase acuta è rappresentata dal rt-PA (altepla- se) di cui numerosi studi randomizzati hanno dimo- strato l’efficacia e la sicurezza quando somministrato per via endovenosa periferica entro tre ore dall’esor- dio dei sintomi. Questi studi hanno dimostrato che, a tre mesi di distanza dall’evento ictale, nei pazienti sottoposti a terapia trombolitica vi è una riduzione della disabilità pari a circa il 30% rispetto ai pazienti trattati con placebo ed è necessario trattare solo tre pazienti per ottenere un reale beneficio clinico1. Tuttavia, nonostante le numerose evidenze scientifi- che favorevoli all’utilizzo della terapia fibrinolitica, pochi sono ancora i pazienti che beneficiano di tale opportunità terapeutica. La ragione principale è il ri- tardo con cui i pazienti raggiungono l’ospedale, ma anche laddove vi siano le indicazioni al trattamento molti neurologi e medici d’emergenza sono restii a uti- lizzare la fibrinolisi per lo più a causa dei possibili ef- fetti collaterali e per le perplessità legate alla possibi- lità di una reale trasposizione dei risultati degli studi clinici randomizzati nella pratica clinica quotidiana. L’alteplase ha ottenuto l’approvazione per il suo uti- lizzo nell’ischemia cerebrale esordita da meno di tre ore in pazienti selezionati nel 1996 negli Stati Uniti e tre anni più tardi in Canada. Successivamente la Food and Drug Administration ha promosso uno stu- dio prospettico osservazionale di fase IV (STARS)2 per verificare il profilo di sicurezza del rt-PA quando Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 18 emergency care journal La trombolisi nello stroke ischemico acuto: dove e quando? SINTESI La terapia farmacologica e non dello stroke ischemico acuto ri- mane una sfida aperta per i clinici ed è strettamente connessa al pronto riconoscimento della sintomatologia, alla velocità della diagnostica strumentale e – di conseguenza – alla rapidità del trattamento farmacologico. Nonostante numerosi studi abbiano validato l’efficacia e la sicurezza del trattamento fibrinolitico per via sistemica, sono ancora troppi pochi i pazienti che beneficia- no di tale opportunità terapeutica. Questo dato è in parte corre- labile al ritardo con cui i pazienti raggiungono l’ospedale e alle perplessità dei sanitari legate ai possibili effetti collaterali, ma non vanno dimenticate anche le problematiche legate ad aspetti logistici e organizzativo-gestionali del paziente con ictus acuto. Queste ultime derivano in gran parte della carenza sul territo- em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Giuseppe Micieli, Simona Marcheselli, Stefano Ottolini* e Salvatore Badalamenti* Neurologia I e Stroke Unit * EAS - Dipartimento d’Urgenza, IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (Milano) rio nazionale di strutture dedicate (Stroke Unit), dall’assenza di collegamenti operativi tra il servizio 118 e le Stroke Unit, dal ri- tardo nell’attivazione del neurologo nelle strutture di emergen- za/urgenza che non permette un adeguato inquadramento dia- gnostico dell’evento ischemico. La diffusione della fibrinolisi siste- mica deve quindi necessariamente passare attraverso la crea- zione di protocolli di intervento condivisi tra strutture ospeda- liere dotate di Stroke Unit e soccorso primario,e tra dipartimen- to di emergenza/urgenza e personale delle Stroke Unit anche prevedendo la creazione di figure professionali come quelle del neurologo d’urgenza che potrebbe avere la piena titolarietà del- l’intervento in Pronto Soccorso per la gestione e il trattamento delle patologia ischemica/emorragica cerebrale. utilizzato nella normale pratica clinica; lo stesso è av- venuto in Canada nel 1999 con il registro prospetti- co CASES3. Nel 2002 anche l’Unione Europea ha approvato l’uti- lizzo della fibrinolisi ma ha posto due condizioni: l’istituzione di uno studio osservazionale per verifica- re lasicurezza dell’alteplase quando utilizzato al di fuori dei protocolli di ricerca e l’inizio di un nuovo studio randomizzato in cui la finestra terapeutica fos- se ampliata oltre le tre ore (European Cooperative Acu- te Stroke Study – ECASS III). Con lo scopo principale di verificare il profilo di sicu- rezza dell’alteplase nella pratica clinica comune e di metterlo in relazione ai risultati degli studi clinici ran- domizzati condotti precedentemente4, è stato proget- tato lo studio internazionale SITS-MOSTS (Safe Im- plementation of Thrombolysis in Stroke-Monitoring Stu- dy): uno studio prospettico monitorato che ha inclu- so 6483 pazienti trattati in285 centri europei e che rappresenta una coorte del già esistente registro per la trombolisi SITS-IRT (International Stroke Thrombolysis Register). I dati relativi a questo studio sono recente- mente apparsi su Lancet e hanno dimostrato come l’alteplase sia un trattamento sicuro e di grande effi- cacia quando viene utilizzato da medici esperti e al- l’interno di strutture ospedaliere dotate di infrastrut- ture appropriate5. I criteri di inclusione dei pazienti nello studio SITS- MOST erano quelli riportati nell’approvazione condi- zionata del farmaco da parte dell’EMEA in cui si sot- tolineava la possibilità dell’utilizzo dell’alteplase nei pazienti con stroke ischemico esordito da non più di tre ore, con età compresa tra i 18 e gli 80 anni; dal protocollo venivano esclusi i pazienti con stroke se- vero valutato mediante analisi della TC basale e/o con deficit neurologico (valutato attraverso la National In- stitute of Health Stroke Scale – NIHSS) > di 25. Sebbe- ne fosse possibile arruolare nel registro della trom- bolisi tutti i pazienti sottoposti a tale terapia, sono stati oggetto dell’analisi finale solo quelli che soddi- sfacevano tutti i criteri di inclusione precedentemen- te esposti. I centri partecipanti sono stati classificati sulla base della loro pregressa esperienza nell’utilizzo della tera- pia trombolitica nell’ischemia cerebrale. Gli end point primari dello studio erano rappresenta- ti dalla mortalità a tre mesi e dalla percentuale di emorragie cerebrali sintomatiche. Queste ultime so- no state definite come ematomi intraparenchimali di tipo 2 visibili alla TC encefalo di controllo eseguita a distanza di 22-36 ore dall’inizio del trattamento, as- sociate a un peggioramento neurologico definito da un incremento di 4 o più punti alla NIH Stroke Scale, rispetto alla valutazione basale o al più basso valore di NIHSS raggiunto nelle prime 24 ore6. Utilizzando questa definizione la percentuale di emorragie cere- brali sintomatiche è risultata essere dell’1,7% (CI 95%: 1,4-2,0%); la percentuale incrementa al 7,3% (CI 95%: 6,7-7,9%) quando la valutazione delle emorragie sintomatiche viene effettuata secondo i cri- teri dello studio NINDS (qualsiasi sanguinamento vi- sibile alla TC associata a peggioramento clinico, quantificabile anche solo di un punto sulla NIHSS). Quest’ultimo dato è in linea con i risultati degli altri studi randomizzati così come sono sovrapponibili i dati relativi alla mortalità generale. Un aspetto peculiare dello studio SITS-MOST è rap- presentato dall’utilizzo di un algoritmo che esclude- va automaticamente dall’analisi i pazienti che non soddisfacevano gli specifici criteri di inclusione. A differenza di quanto si è verificato nello studio ame- ricano e in quello canadese in cui tutti i pazienti trat- tati con alteplase sono stati oggetto dell’analisi stati- stica finale, lo studio europeo ha sistematicamente escluso i pazienti che venivano trattati in violazione ai criteri previsti dall’EMEA nell’approvazione alla messa in commercio del farmaco. In particolare so- no stati esclusi dallo studio i pazienti di età > 80 an- ni, quelli con punteggio NIHSS > 25 o con valori di pressione > 180/105 e quelli in cui il trattamento fi- brinolitico è stato iniziato dopo 3 ore dall’esordio dei sintomi. Questi criteri di esclusione rendono ragione delle differenze che esistono in termini di età media e di valori di NIHSS tra lo studio SITS-MOST e gli altri studi condotti precedentemente, studi in cui la percentuale di pazienti trattati in violazione al proto- collo varia tra il 15 e il 25%2,3. I dati degli altri studi dimostrano come la percentua- le di emorragie intraparenchimali sintomatiche e l’outcome peggiore sia significativamente correlato al- l’utilizzo della terapia trombolitica nei pazienti che non soddisfano integralmente i criteri di inclusione al trattamento7,8.Si può quindi ipotizzare che, quando il trattamento fibrinolitico venga effettuato senza aderi- re in modo puntuale ai criteri sopradescritti vi sia un incremento di emorragie sintomatiche e di mortalità rispetto ai dati riportati dallo studio SITS-MOST. Circa la metà dei centri che hanno partecipato al pro- tocollo avevano una esperienza limitata nell’utilizzo della terapia trombolitica, anche se per poter aderire allo studio dovevano dimostrare di essere dotati di medici esperti nella gestione dei pazienti con ische- mia cerebrale e di poter assicurare ai pazienti il mo- nitoraggio clinico e dei parametri vitali indispensa- bile nelle ore immediatamente successive alla sommi- nistrazione della terapia trombolitica. La percentuale di emorragie cerebrali sintomatiche e l’indipendenza funzionale a tre mesi è risultata simi- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 19 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it le in tutti i centri, ma nei centri meno “esperti” vi è un incremento della mortalità (13,3% CI: 11,6%-15,1%) rispetto ai centri con maggiore esperienza nell’utiliz- zo del trombolitico (10,6% CI: 9,8%-11,6%). Si ritie- ne che questo dato sia in parte correlabile a un livel- lo di assistenza medica più elevato e alla presenza del- le Stroke Unit. La bassa percentuale di emorragie è verosimilmente correlata alla stretta definizione di emorragia utilizza- ta nello studio: per ematoma di secondo tipo si inten- de uno stravaso ematico che coinvolge un territorio superiore al 30% dell’area infartuata con significati- vo effetto-massa6. Questa definizione è sicuramente in grado di identificare tutti i sanguinamenti maggio- ri ma può non tenere conto di altri sanguinamenti in- traparenchimali rilevanti dal punto di vista clinico. I ricercatori del CASES hanno infatti recentemente di- mostrato come anche sanguinamenti intracerebrali di dimensioni minori (ematomi intraparenchimali di grado I e trasformazioni emorragiche) rappresentino un fattore prognostico negativo sull’outcome9. Il protocollo SITS-MOST risulta essere maggiormen- te restrittivo rispetto agli studi precedentemente con- dotti; in particolare un’analisi ad hoc condotta su pa- zienti arruolati nello studio CASES con età > 80 anni non ha fatto rilevare un incremento di emorragie in- traparenchimali in quel sottogruppo di pazienti10-13. Inoltre l’analisi statistica dello studio NINDS non è stata in grado di dimostrare un valore soglia per età e/o valori di NIHSS all’ingresso al di sopra dei quali la trombolisi endovenosa risulta essere priva di benefi- ci14. In particolare, sebbene per i pazienti anziani con danno neurologico maggiore non ci si possa aspetta- re un completo recupero, si può prevedere che il trat- tamento possa determinare una minor disabilità ri- spetto a quella osservabile nei pazienti non trattati (o trattati con placebo)14. Lo studio europeo recentemente pubblicato rafforza ulteriormente le evidenze di efficacia e sicurezza del- la terapia fibrinolitica nell’ischemia cerebrale ed è in grado di fornire le prove necessarie ai clinici per su- perare le perplessità relative all’utilizzo di tale tratta- mento nella comune pratica clinica. È chiaro che il punto cruciale della fibrinolisi rimane la ridotta finestra terapeutica e quindi la valutazione precoce del paziente con ictus. Questo processo pre- vede uno sforzo coordinato da parte dei servizi di emergenza/urgenza del territorio, del personale dei dipartimenti di emergenza, dei neuroradiologi e dei neurologi che devono essere in grado di effettuare ta- le trattamento secondo le linee guida e devono esse- re formati nella gestione dell’ictus cerebrale. Tale trat- tamento dovrebbe inoltre essere effettuato in struttu- re sanitarie dotate di Stroke Unit (SU). Contesto e modelli di intervento Se l’efficacia e la tollerabilità del trattamento fibrino- litico nell’ictus ischemico sembra definitivamente va- lidata sia sul piano teorico che clinico-pratico, pro- blematiche interessanti si aprono quando si conside- rino alcuni aspetti logistici ed organizzativo-gestiona- li che nell’ambito della sanità del nostro Paese, ma non solo, possono avere un peso importante. Va indubbiamente fatta, innanzitutto, una premessa relativa alla scarsa organizzazione sul territorio na- zionale delle strutture dedicate al trattamento del- l’ictus cerebrale, ormai sempre più spesso identifi- cate con il termine di Stroke Unit. Una recente sur- vey effettuata dal gruppo PROSIT ha potuto identi- ficare solo 68 SU a fronte dei 678 servizi cosiddetti misti (assenza di personale dedicato e/o di letti de- dicati) in tutta Italia. Il totale dei pazienti dimessi da queste strutture nel corso degli anni del rilevamen- to (2000-2003) era pari al 10% circa dei soggetti colpiti da ictus, ciò che fa pensare a un deciso sot- todimensionamento (anche con connotazioni stori- che interessanti) del fenomeno ictus e del suo im- patto socio-economico nella cultura oltre che nel- l’organizzazione sanitaria italiana15, 16. A ridurre ulteriormente le possibilità che chi è stato colpito da ictus venga curato in modo appropriato nella nostra realtà, vi è anche l’assenza di collegamen- ti operativi codificati (a loro volta dipendenti dalla scarsa “connotabilità” delle stesse SU) tra il servizio di 118 e gli ospedali dotati di Stroke Unit. È soprattutto grazie, come si è visto, all’attivazione di sinergie tra la conoscenza/adeguata percezione dei sintomi, al rapi- do trasporto in ospedali con SU e alla precoce attiva- zione dei protocolli assistenziali che caratterizzano questi ultimi, che risiede la possibilità, altrimenti re- mota, che il paziente possa accedere al trattamento trombolitico. Laddove uno qualsiasi di questi elemen- ti che caratterizzano la catena di “sopravvivenza” (sen- za disabilità) sia carente, il meccanismo “virtuoso” as- sistenziale si inceppa e la storia dello stroke torna a modalità assistenziali di basso profilo e scarso impat- to sugli elementi di outcome sopra considerati. Data la frequenza con la quale tale condizione sem- bra destinata a verificarsi, è evidente come modelli di intervento differenti si siano sviluppati in questi anni per sopperire alle carenze di sistema prima rimarcate. In particolare il trattamento fibrinolitico appare evi- dentemente effettuabile, ed effettuato, nelle sedi più disparate: presso il Pronto Soccorso, presso la Stroke Unit, presso il reparto “misto” (medicina interna, neurologia, terapia intensiva, ecc.) ovvero nei settori presso i quali si è potuto sviluppare un insieme di competenza, professionalità, expertise nel campo del- le malattie cerebrovascolari. Analogamente molto di- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 20 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it verse appaiono, nelle varie regioni e città italiane, le figure professionali coinvolte nel processo decisio- nale, nella esecuzione materiale del trattamento e nel monitoraggio del quadro clinico, oltre che nella ge- stione delle complicanze possibili. In generale, tutta- via, è opportuno sottolineare come la cultura stessa della fibrinolisi sistemica nel trattamento dell’ictus ischemico ha trovato terreno fertile soprattutto in campo neurologico, anche in quelle realtà presso le quali la Neurologia tradizionalmente non aveva (co- me in molte Regioni italiane) l’appannaggio del trat- tamento della patologia cerebrovascolare. Sono neu- rologiche il 75% delle Stroke Unit identificate da PROSIT, a dimostrazione che la maggiore spinta cul- turale e il maggiore interesse di settore è nato pro- prio dalla Neurologia15, 16. Tuttavia, in condizioni par- ticolari, e spesso con eccellenti risultati, anche la me- dicina interna ha potuto annoverare strutture dedica- te di grande interesse, specie in assenza di significa- tive e incidenti realtà specialistiche. Se da una parte rimangono ancora da definire le carat- teristiche strutturali delle Stroke Unit, dall’altra il so- stanziale interregno legislativo (oppure la vaghezza delle indicazioni fornite dal legislatore) ha consentito la realizzazione di forme prototipali di organizzazio- ne ospedaliera rivolte specificamente al trattamento dello stroke nella fase acuta. In particolare, soprattut- to interessanti sono gli approcci realizzati o in corso di realizzazione in alcune realtà ospedaliere riguardanti i rapporti con l’emergenza/urgenza (e quindi in pri- mo luogo con l’organizzazione del 118). È ben noto come i collegamenti con questo servizio, fondamenta- li per l’approccio tempestivo alla patologia in partico- lare ischemica (trombolisi ev), sono grandemente con- dizionati dalla mancanza, anche laddove le Stroke Unit sono presenti, di protocolli di intervento che, dopo aver identificato le caratteristiche specifiche dei vari Centri, ne consentano la selezione da parte del 118 in funzione della tipologia del paziente soccorso. L’in- tervento in questo campo, necessariamente condivi- so da tutte le strutture operanti sul territorio, è stato in parte realizzato in piccole aree provinciali nelle quali è stato possibile creare una gerarchia di intervento sul paziente con ictus acuto in funzione dell’eleggibilità dello stesso al trattamento trombolitico, alle caratteri- stiche organizzative e logistiche oltre che delle dota- zioni strumentali dei vari ospedali operanti nell’area specificata (per esempio in quella di Reggio Emilia). La gerarchizzazione del sistema ospedaliero in funzio- ne delle caratteristiche sopra descritte è relativamente semplice, ma è sostanzialmente resa molto complessa da tutta una serie di problematiche spesso a carattere localistico che non contribuiscono alla buona riuscita dei vari modelli di intervento. Quando poi si passa alla fase strettamente ospeda- liera, appare evidente come un’organizzazione effi- ciente rappresenti un elemento fondamentale per l’assistenza ottimale al paziente con ictus.Soprattut- to realistico è che un’adeguata équipe dedicata alla diagnosi e al trattamento in fase acuta possa inter- venire nell’area dell’urgenza (e quindi in Pronto Soc- corso), qui espletando tutte le procedure diagnosti- che (non invasive) che permettono, al di là della TC ce- rebrale per la diagnosi differenziale ischemia/emorra- gia, di definire il sottotipo eziopatogenetico di ictus e quindi di programmare adeguatamente e tempesti- vamente le ulteriori indagini e un trattamento di pre- venzione secondaria precoce. Un simile approccio è stato auspicato dalla stessa Associazione Malattie Ce- rebrovascolari nella sua formulazione degli insegna- menti del Master in Patologia Cerebrovascolare, dal momento che l’apprendimento di tecniche come la diagnostica neurosonologica (ecocolordoppler TSA o anche doppler transcranico) fornisce, al momento, una possibilità concreta di individuare (o escludere) condizioni critiche (stenosi serrate intra- o extra-cra- niche) in funzione delle quali si può programmare l’iter verso la trombolisi sistemica o verso, ad esem- pio, trattamenti di bridging tra endovenosa e intrar- teriosa (allorché la trombosi sia a carico di tronchi arteriosi maggiori e quindi se ne possa predire una scarsa responsività al trattamento per via sistemica). Al tempo stesso, un’adeguata e completa (quanto possibile in urgenza) definizione diagnostica può permettere di individuare i casi che possono benefi- ciare di trattamenti intrarteriosi (trombolisi o trom- bectomia meccanica), o chirurgici di fase acuta al- trimenti rimandabili a tempi successivi ormai al di fuori della area di penombra “biologica”. La figura del neurologo “vascolare”, descritta a livello anglo- sassone, forse in Italia potrebbe trovare una giusta coniugazione in quella del neurologo d’urgenza, spe- cialista dotato, cioè, della titolarità dell’intervento specialistico in Pronto Soccorso e quindi assimilato al medico d’urgenza per la diagnosi e il trattamento delle condizioni neurologiche (per lo più vascolari, ma non solo) della fase acuta. La definizione presso l’Istituto Humanitas di una Neurologia d’Urgenza ha queste premesse e rappresenta un modello di inter- vento specializzato propedeutico all’invio rapido e tecnicamente adeguato del paziente con ictus alla struttura di degenza dedicata (Stroke Unit) immedia- tamente dopo aver effettuato le indagini diagnosti- che urgenti (ed eventualmente anche il trattamento trombolitico se il posto letto in SU non è disponibi- le) o dopo un più o meno breve periodo di gestione in Pronto Soccorso prima del trasferimento in Stro- ke Unit. Una figura professionalmente preparata in Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 21 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it questo senso può essere di grande aiuto nella ge- stione dei TIA, delle sincopi, delle crisi parziali e, in genere, di quelle patologie che con i disturbi cere- brovascolari condividono dubbi diagnostici consi- stenti. Indubbiamente il protocollo di intervento basato sul- lo Stroke Team del grande Ospedale presso il quale non sarebbe possibile altrimenti garantire la coper- tura degli aspetti specialistici di cui sopra, è stato e ri- mane di grande interesse e rilevanza organizzativa. Esso tuttavia tende a essere in parte superato dallo sviluppo di sempre maggiori competenze specialisti- che al suo interno. È percezione diffusa, ad esempio, che anche lo specialista neurologo possa rappresen- tare un attore indiscutibilmente interessato al trat- tamento invasivo (interventistica endovascolare) della patologia cerebrovascolare. Una simile possi- bilità, dettata dal numero relativamente scarso del- le neuroradiologie interventistiche, si prospetta co- me assolutamente interessante per la diffusione di tecniche che hanno rappresentato e ancora rappre- sentano il punto di forza del trattamento della co- ronaropatia ischemica. Note conclusive Come già accaduto per altri “trattamenti pilota” de- stinati a modificare – si spera radicalmente – l’approc- cio a patologie di grande rilevanza, come ad esempio l’infarto del miocardio, l’introduzione (graduale e con maggiore cautela) della trombolisi sistemica nel tratta- mento dell’ictus ischemico sta aprendo scenari assi- stenziali e organizzativi di grande interesse, anche per- ché destinati a modificare modelli stereotipati e poco funzionali finora esistenti. Lo si comprende proprio dalle difficoltà che la stessa procedura incontra nella pratica clinica anche di quei Centri che hanno da sem- pre effettuato questo tipo di trattamento. E tuttavia appare evidente come solo un cambiamento deciso di direzione, una piena consapevolezza che scaturi- sce solo da una collaborazione reale tra figure profes- sionali diverse, e un sostanziale cambiamento nella progettazione degli interventi di emergenza-urgenza nel capitolo della malattia cerebrovascolare, potran- no determinare il definitivo adeguamento delle strut- ture sanitarie al reale bisogno della popolazione. Non va dimenticato come si stia parlando di intervenire in Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 22 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Fig. 1 - Possibile modello organizzativo della Neurologia d’Urgenza (Istituto Clinico Humanitas). Neurosonologia Ecocolordoppler TSA,TCD,TCCD Neurofisiologia OBI Neurologia d’urgenza DEA Neuroradiologia TC,Angio TC, pTC RMN, MRA, DWI-PWI STROKE UNIT Terapia endovascolare Trombolisi i.a., Embolectomia Stenting extra/intra-cranico Domicilio Riabilitazione neurologica Neurochirurgia Chirurgia Vascolare RSA una patologia che, prima causa di disabilità e secon- da di morte, rappresenta un autentico flagello sotto in- numerevoli punti di vista e che, tuttavia, per lo scar- so interesse suscitato, potrebbe anche essere conside- rata “orfana” e priva di una sua piena identità. Dati an- che i costi esorbitanti della disabilità che dall’ictus – e in particolare da quello non adeguatamente e preco- cemente trattato – deriva, appare logico pensare che il sistema ospedaliero e quello territoriale si coordini- no anche in funzione di questa priorità per il sistema sanitario, divenuta tale anche nel nostro Paese. Bibliografia 1. 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Although several studies have validated the effec- tiveness and the safety profileof the intravenous fibrinolytic treat- ment,the number of patients who benefit of such therapeutic op- portunity is still too little. This data is partially due to the delay within patients arrive to the hospital and to the doubts of the physicians on the possible collateral effects, but it is also related to logistic and organizational-managerial problematic of the pa- tient with acute stroke.These last ones mainly derive from the de- ficiency on the national territory of dedicated structures (Stroke Unit), from the absence of operative connections between the 118-service and the Stroke Unit, from the delay of the neurolo- gist calling in the emergency room that does not allow an adapt- ed diagnostic evaluation of the ischemic event. The spread of the intravenous fibrinolysis must therefore necessarily pass through the creation of participation protocols between hospitals with stroke unit and primary aid, and between department of emer- gency/urgency and staff of the stroke unit also previewing the cre- ation of professional figures like those of the urgency neurologist that could have the full right of the management and the treat- ment of cerebral ischemic pathology. Premessa Il titolo del presente contributo rinvia in modo inten- zionalmente provocatorio, a un’attività di formazione pianificata e svolta nel corso del 2007, presso il DEA dell’ASL di Aosta. L’obiettivo dichiarato era quello di offrire uno spazio per costruire risposte più appropria- te ad alcune esigenze inderogabili, ma spesso poco focalizzate nella loro rilevanza strategica, che riguar- dano il Pronto Soccorso. Prima di affrontare il tema del presente contributo, desideriamo evidenziare la forte implicazione perso- nale – etica, professionale e metodologica allo stesso tempo – che ha attraversato la progettazione prima, lo svolgimento poi e la presente trascrizione del per- corso svolto. L’etica protestante3 intesa nel senso più propriamente weberiano del termine, è sempre un’etica della responsabilità. Noi siamo stati e ci sen- tiamo responsabili – pur nella differenza dei rispetti- vi ruoli istituzionali – anche dei limiti e degli errori Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. organizzazione e formazione 24 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it L’etica protestante nella formazione del medico e dell’infermiere di Pronto Soccorso. Alcuni apprendimenti e considerazioni prima e dopo un corso di formazione SINTESI Il presente contributo esplora alcune motivazioni preliminari ed effetti di un corso di formazione su “Processi di identificazione istituzionale, organizzativa, professionale”, svolto presso il DEA dell’USL di Aosta. L’articolo parte dall’analisi di alcuni nodi cri- tici emersi: ex ante, in itinere ed ex post, nei confronti di una tematica complessa e poco trattata; focalizza come la formazio- ne permetta di esplorare alcuni aspetti latenti dell’organizza- zione. L’utilizzo di una metodologia appropriata ha fatto emer- Massimo Pesenti Campagnoni*, Eusebio Balocco** *Direttore DEA – USL della Valle d’Aosta, Aosta **Consulente di Organizzazione e Formatore di orientamento psico-socio-analitico1,2. gere richieste esplicite di una maggiore attenzione alle dimen- sioni tipicamente organizzative, spesso trascurate nei Servizi Pubblici. L’ipotesi che si avanza è che le stesse dimensioni possa- no essere oggetto di ricerca e d’applicazione produttive. Si so- stiene infine che metodologie e strumenti messi a punto nel set- tore privato abbiano raggiunto un sufficiente grado di consape- volezza gestionale, per potere essere “tradotti” all’interno di un DEA del Servizio Sanitario Nazionale. che hanno accompagnato la gestione del percorso formativo. L’intervento di formazione, il cui programma detta- gliato era stato inoltrato per l’approvazione ECM da parte del Comitato Tecnico Scientifico, era così inti- tolato: “Processi d’identificazione istituzionale, organiz- zativa e professionale, finalizzati allo sviluppo di compor- tamenti lavorativi più coerenti e produttivi, rivolti agli operatori del Pronto Soccorso dell’USL di Aosta”. Il corso aveva lo scopo di avviare, tra il Personale del DEA, una riflessione anche provocatoria, orientata a focalizzare alcune criticità che durante l’analisi della domanda4 erano state in parte previste e che possono essere sintetizzate così: Il punto d’attacco: rendere palesi le numerose “prati- che” correnti indotte da “norme” o consuetudini del quieto vivere dell’ospedale che, scotomizzando le “buone ragioni” fondanti il servizio a favore di prati- che non coerenti con la missione, diventano lesive al contempo per i clienti esterni e il personale del Pron- to Soccorso (ad esempio, l’uso di posti letto di fortu- na). In altre parole, per contrastare la tendenza a pro- cessare la domanda esplicita e implicita del paziente con logiche burocratiche è necessario far riemergere l’etica implicita nel servizio di Pronto Soccorso (PS), per definizione “protestante” per il rigore metodolo- gico nell’accettare e far accettare compiti e limiti del mandato professionale: mandato che vuole, in pri- mis, che ogni paziente che giunge in Pronto Soccor- so trovi la presenza clinica nel suo etimo greco, cioè di chi è pronto a “chinarsi verso” chi ha bisogno, tu- telandolo, se necessario, da spinte contrarie. Presidiare la cultura e i “confini” del Servizio di Pronto Soccorso: andare oltre la protesta significa impegnarsi a rinegoziare ogni giorno la specificità del Pronto Soc- corso, a fronte di una tendenza, sia latente sia mani- festa, a non riconoscerne lo specifico clinico e scien- tifico. L’operazione è molto complessa: infatti, essa ri- chiederebbe interventi coordinati a livello culturale, strategico, organizzativo e gestionale, in grado di le- gittimare il ruolo del Servizio e di promuovere in tut- ti gli operatori del Pronto Soccorso processi consisten- ti d’identificazione istituzionale, organizzativa, professio- nale, sia individuale sia di gruppo, cosicché la “buo- na organizzazione” possa essere interiorizzata ed messa in atto concretamente. Sviluppare conoscenze specifiche: per realizzare la mis- sione del Pronto Soccorso occorre infine attrezzarsi in modo da attivare una molla gestionale molto efficace che consiste nell’investire sulle routine quotidiane, orientandole affinché diventino modalità di produzio- ne di conoscenza professionale, etica e sociale. Il corso di formazione: finanziato dall’Azienda USL, era rivolto potenzialmente a tutto il personale del DEA e fu effettuato in orario di lavoro. Erano previste circa 15 ore di lezioni frontali e 25 di laboratorio di “ricer- ca/intervento” (action research)5,6. L’approccio metodo- logico condiviso orientava quindi a sviluppare subito una maggiore consapevolezza organizzativa e gestio- nale (mindfulness)7 attraverso processi di apprendi- mento, costantemente collegati all’attività concreta del PS (workplace learning)8. Alcuni aspetti operativi dello svolgimento concreto dell’intervento L’intervento formativo era stato pensato e strutturato in cinque laboratori di mezza giornata ognuno, con la seguente scansione: 1. Workplace learning. Il primo laboratorio, nella pro- gettazione e nello svolgimento effettivo, è stato de- dicato a conoscere i singoli partecipanti e a svilup- pare alcune negoziazioni preliminari, che come sa- rà ampiamente accennato più avanti, mancavano quasi completamente. Le presentazioni iniziali da parte di ognuno contenevano già rappresentazio- ni implicite del DEA e di alcune sue logiche. Que- sto lavoro preliminare di “allineamento” delle menti è ritenuto fondamentale per aiutare i parte- cipanti a sviluppare ipotesi sulla propria percezione soggettiva, organizzativa e professionale del “com- pito primario” (primary task)9,10. Con tale costrut- to, si intende “ciò che deve essere assolutamente fatto” per garantire la sopravvivenza del servizio. Utilizzato come “analizzatore” delle coerenze inter- ne ai compiti assegnati al servizio di appartenenza, tale lavoro preliminare ha permesso di connettere l’etica al qui e ora del lavoro svolto. Un secondo fo- cus riguardava come tradurre operativamente il co- strutto di workplace learning, cioè come mantene- re viva e costante l’attenzione per l’apprendimen- to dall’esperienza. Tema complesso e già approfon- dito in due interventi pubblicati su questa stessa rivista, da uno degli autori di questo articolo11,12. 2. Il riconoscimento. Il tema del riconoscimento13 è sta- to inteso a diversi livelli. Il primo, nonché fonda- mentale: quello dell’autoriconoscimento in quan- to persone dotate di una professionalità. Il secon- do: quello del riconoscimento della specificità del servizio, dotato di logiche proprie, nonché i suoi sistemi motivazionali impliciti ed espliciti, presen- ti nella struttura, che producono riconoscimento professionale e attivano circuiti virtuosi di rinforzo. Riguardo questo ambito delicato, poco trattato, e forse anche poco praticato nel Servizio Sanitario Nazionale, sono state ascoltate storie di normale disinteresse rispetto al “riconoscere”, che sembra- no specifiche del contesto locale. Alcune ipotesi su Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. organizzazione e formazione 25 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it questo disinteresse saranno esplorate più avanti a proposito dell’assenza di un linguaggio organizzati- vo adeguato per nominare e tradurre il “riconosci- mento”. La prima giornata terminava con un’eser- citazione centrata sulla percezione del proprio ruo- lo professionale, come progettato, gestito e perce- pito dagli altri. 3. L’unicità. Enfatizzare il riconoscimento della pro- pria unicità nel contesto lavorativo e nell’approccio alla conoscenza permetteva di evidenziare una ca- renza “epistemologica” che attraversa il sapere me- dico, e non solo, come premessa per riconoscere aspetti unici, soprattutto in emergenza. In concre- to: meno si riconoscono le unicità, accanto alle ri- correnze generali, più aumenta il rischio di errore clinico sul piano professionale e meno l’utente/pa- ziente si sento accolto. Il linguaggio dell’appren- dimento rischia di imprigionare nel “generale”, di- ventando spesso generico. 4. La cura di sé e degli altri14. All’interno del Servizio, è intesa come premessa indispensabile per poter prendersi cura degli utenti/pazienti che ricorrono al DEA. I racconti e i flash portati in aula, esprimo- no percezioni soggettive e di gruppo che rinvia- no a situazioni lavorative spesso poco strutturate e poco sostenute da leadership adeguate. Inoltre sembra che lo stress15,16 e il burn out17-19 siano spesso percepiti dall’Organizzazione come “ogget- ti” alieni, prodotti inevitabili del lavoro quotidia- no. Si tratta invece di processi patologici che nasco- no da relazioni concrete con “oggetti lavorativi” spesso poco elaborati come il tempo, il dolore e la morte; oppure su di un altro versante: una scar- sa definizione dei processi organizzativi e dei con- fini di ruolo influenza negativamente i vissuti de- gli operatori. L’esplorazione condivisa dell’assen- za di tempi e spazi dedicati alla cura della propria “mente d’opera” sembra indicare come l’organiz- zazione tenda a evitare di “pensare” come essa stessa possa essere anche patogena nel suo funzio- namento quotidiano. Solo dopo, ci si sofferma – se lo si fa – quando il livello di stress raggiunge livelli intollerabili. Un’esercitazione concreta è sta- ta finalizzata a individuare il proprio stile di pro- pensione allo stress. Inoltre in uno dei due grup- pi è scattata un’intensa solidarietà organizzativa nel “prendersi cura” del servizio del 118, attraversato da specifiche criticità. 5. La valutazione “riconoscente”. Durante il quinto e conclusivo laboratorio, sulla base del linguaggio e della metodologia condivisi, tutti i partecipanti so- no stati invitati a utilizzare l’opportunità costituita dalla compilazione del questionario ECM, molto personalizzato, per problematizzare individual- mente l’approccio, gli eventi, i linguaggi e gli stru- menti utilizzati durante l’intervento formativo. In- tendendolo come un evento dotato di caratteristi- che emergenti, ancora aperte per arrivare a una più compiuta “valutazione riconoscente”20. Alcune caratteristiche dei partecipanti I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi mi- sti, medici e infermieri, con una netta prevalenza di infermieri. Ogni gruppo era composto da 16-17 per- sone. Sono stati denominati gruppo A e gruppo B. I medici provenivano da Rianimazione, Pronto Soccor- so e 118. Il miscuglio casuale di provenienze ha pro- dotto nel gruppo B una solidarietà particolare intor- no a medici e infermieri del 118, che ha permesso allo stesso gruppo di attraversare il percorso formati- vo, senza defezioni. Il gruppo A, per ragioni comples- se che saranno in parte esplorate più avanti, è arriva- to alla conclusione con 7 partecipanti in meno. Ecco alcune criticità riscontrate e che possono esse- re intese come possibili risorse conoscitive per l’at- tivazione di processi d’”identificazione istituziona- le, organizzativa e professionale”. Partiamo da alcu- ne sorprese iniziali, che indicano uno scarto fra il “di- chiarato” e l’effettivo. Nel contesto del DEA di Ao- sta fornito all’avvio concreto del Corso, nonostante la buona volontà di singoli Primari, i processi di identificazione istituzionale, organizzativa e profes- sionale, riferiti nel titolo, e preliminari per invoglia- re a riflettere su di un’etica condivisa, si presentaro- no così: 1. Una partecipazione poco libera al corso: la parte- cipazione così connotata è emersa, con qualche ra- ra eccezione, come un tratto distintivo del proces- so di apprendimento pensato dall’Istituzione. È stata trattata come un vincolo da non sottovaluta- re e ha avuto nello stesso tempo anche effetti po- sitivi sull’andamento del percorso. L’esplorazione di questo livello, ha permesso, senza colludere, di fare emergere criticità consistenti nel qui e ora. Non desideriamo essere fraintesi: in ogni organizzazio- ne ci sono vincoli; però può essere utile ricordare che le Human Relations21 – intese come gestione consapevole delle persone – nella versione prima americana e poi internazionale, stanno compiendo quest’anno ottanta anni. Come mai nei Servizi Pubblici non ci si interroga quasi mai su alcune condizioni preliminari per avere una formazione consistente ed efficace? 2. Una comunicazione istituzionale e organizzativa ca- rente, imprecisa e frammentata: siamo consapevoli del significato di ogni aggettivo utilizzato. Propo- niamo alcuni fatti e alcune ipotesi: Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. organizzazione e formazione 26 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it • Le comunicazioni preliminari. Le comunicazioni preliminari di questo corso hanno in parte in- fluenzato negativamente le rappresentazioni pre- ventive, indotte nei partecipanti. Ciò è avvenu- to in relazione ai “contenuti” e ai “processi di ap- prendimento” specifici attesi. In sostanza, i par- tecipanti si sono presentati in aula demotivati, con pregiudizi e resistenze specifiche. Una pre- messa: a nostro avviso il processo di apprendi- mento inizia sempre prima dell’arrivo in aula; l’attività preliminare ha l’obiettivo di contribui- re a creare attese coerenti con il processo forma- tivo intenzionato. Il testo contenente i dati es- senziali fu trasmesso solo ad alcuni dei parteci- panti: quella versione prodotta appositamente per loro risultò incomprensibile a tutti, con una sola eccezione. • Il “coinvolgimento” assente. I racconti ascoltati in aula parlano di messaggi trasmessi in fretta; di coordinatori infermieristici troppo lontani dal te- ma che “impongono/propongono” ai loro colle- ghi; esiste la “traduzione istituzionale” che sin- tetizza troppo genericamente, in una mail di sol- lecito, il corso sulla “comunicazione”; infine vie- ne proposto a un’infermiera un corso di “comu- nicazione corporea” (sic!). È evidente che se si vogliono ottenere cambiamenti negli atteggia- menti e nei comportamenti delle persone, oc- corre toccare anche i loro livelli emotivi. Come? Sarà oggetto di un ulteriore contributo che pre- senteremo in un prossimo numero della rivista e riguarderà “Processi di apprendimento consi- stente in Pronto Soccorso”. 3. Prevale una rappresentazione burocratica della for- mazione e dei processi di apprendimento: i medici e gli infermieri di ogni età hanno interiorizzato co- me unico modello culturale e comportamentale di riferimento quello “scolastico”, con alcuni suoi “ri- ti” burocratici, come la firma, il voto, la dipenden- za passiva, ecc. Questi rituali rischiano di blocca- re un aspetto centrale e cruciale nell’apprendimen- to: la curiosità e l’esplorazione di ciò che è emer- gente e non ancora definito. Quanto i meccanismi istituzionali burocratici bloccano preliminarmente la conoscenza e quanto scotomizzano un “pensie- ro” personale? L’ipotesi è che sia necessario supe- rare in concreto quella che sembra una separazio- ne troppo netta fra i processi di attivazione tecnica e il supporto amministrativo che la precede, la ac- compagna e la segue. 4. Una mancanza quasi completa di rappresentazioni, linguaggio e strumenti “organizzativi”. Sottolineiamo come questa sia un’evidenza piuttosto frequente in diversi contesti del Servizio Sanitario Nazionale. Noi riteniamo che rappresentazioni, linguaggi e strumenti organizzativi siano invece indispensabi- li per poter prima “vedere” con lenti meglio fo- calizzanti quanto avviene “in diretta” nel DEA e nel Pronto Soccorso, intese come organizzazioni che producono un servizio distintivo; per potere poi riflettere criticamente. È pure evidente che queste “lenti” debbano essere fornite agli operatori, nel momento in cui ci si aspetta che “producano”, non in solitudine, ma in un contesto complesso e caotico, dove i confini sono costantemente sot- toposti a tensioni e variabili endogene ed esoge- ne. Il lessico esplorato durante il corso, compitan- do alla lettera il titolo del corso, ha portato a con- dividere alcuni concetti basilari: • L’istituzione. Per istituzione22,23 s’intende ciò che fonda la Visione, la Missione e un’apparte- nenza. In questo caso l’istituzione è l’ASL di Aosta con i suoi Organismi Dirigenti, che fan- no riferimento al Ministero della Salute, all’As- sessorato regionale, alle logiche implicite che l’azione politica sviluppa e induce nelle rap- presentazioni collettive, sostenute anche dagli organi di stampa. Nel personale sono emersi vissuti di lontananza, di anonimato, di scarsa incidenza o rilievo, salvo poi percepirli come molto “collusi” e per lo più al ribasso. • L’organizzazione: è qui intesa come l’insieme dei processi che strutturano la gestione e la produzione (Organization); è anche l’azione or- ganizzativa in atto (Organizing)24. 25. Il proces- so organizzativo ne è la traduzione quotidiana: per esempio, il “Profilo di Posto”, le procedu- re, se esistono, e i protocolli operativi. Gli ope- ratori del DEA e del PS vedono poco l’organiz- zazione così intesa. Per essi sembra non pro- durre appigli visibili o percepibili, intesi come “pause di pensiero” attivo che conferiscano senso ai processi e ai “prodotti” realizzati26. • La professione: la professione medica e infer- mieristica è qui analizzata solo ai fini del pro- cesso di apprendimento. L’enfasi della scuola tradizionale su un modello d’apprendimento individuale, produce effetti “perversi” nel mo- mento in cui si passa poi, nel corso della pro- pria esperienza lavorativa, la maggior parte del tempo in gruppo, in istituzioni, e organizza- zioni. Il ruolo inteso qui come l’interfaccia tra soggetto e organizzazione, assume una centra- lità decisiva; e si trova coinvolto in logiche che non rispondono solo al giuramento di Ippo- crate o al codice deontologico. Si sono così po- tute analizzare insieme alcune conseguenze del- l’assenza di una preliminare alfabetizzazione or- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. organizzazione e formazione 27 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it ganizzativa, come un non detto e un non pen- sato che sbilancia troppo l’autopercezione di ruolo sui contenuti tecnici. • Un esempio concreto: attrezzi per una gestione più consapevole ed efficace del ruolo di Dirigen- te Medico. Il titolo positivo non intende na- scondere una constatazione critica e doloro- sa. I partecipanti Medici, Dirigenti di primo livello, hanno riconosciuto durante il lavoro di laboratorio, che il termine “Dirigente”, nel- la prassi quotidiana dell’USL di Aosta e nel lo- ro modo concreto di assumere e gestire tale ruolo, rischia di non significare quasi nulla. O meglio significa un “dover essere”, che risul- ta poi sterile, in assenza di un lavoro specifi- co sulle competenze manageriali che ne deriva- no. Le testimonianze, piuttosto sofferte, di medici, giovani e meno giovani, hanno ripor- tato in termini auto critici che durante il loro percorso formativo per diventare medici (6 anni) prima e specialisti poi (4 anni), non si sono quasi masi confrontati con problemi ge- stionali richiesti da processi organizzativi complessi; né quasi mai la frammentazione disciplinare li ha aiutati a stabilire connessio- ni unificanti e utili. Come se la formazione medica standard fosse quasi esclusivamente orientata alla libera professione27. Per concludere: alcune prospettive per un pensiero “costruttivo” Gli obiettivi dichiarati nel programma del corso sono stati perseguiti con strumenti ritenuti ap- propriati a stimolare le meta-competenze indivi- duate come output del percorso stesso. Il lavoro sviluppato si è dovuto confrontare con tenaci re- sistenze al cambiamento28. L’apprendimento con- creto, orientato al cambiamento, passa necessa- riamente attraverso il superamento di difese isti- tuzionali, organizzative, professionali che si sommano a quelle individuali e di gruppo. La te- si richiederebbe un’argomentazione molto più articolata. Il corso ha permesso però di dimostra- re che in gruppi costituiti casualmente e in con- dizioni “precarie” di partenza, è stato possibile iniziare a elaborare e superare alcune difese pre- liminari molto strutturate. Bibliografia 1. Le fonti dell’approccio psico-socio-analitico al quale si fa qui riferimen- to, e al quale uno degli autori di questo articolo deve spunti importan- ti per la sua pratica professionale, sono due: lo Studio di Analisi Psi- co-sociologica di Milano (APS): www.studioaps.it; la psico-socio-ana- lisi propriamente detta, che trova una sua espressione in ARIELE: ww.psicosocioanalisi.it. Nei rispettivi siti si trovano riferimenti teorici e indicazioni bibliografiche utili per approfondire tale approccio. 2. Barus-Michel J, Enriquez E, Levy A (a cura di). Dizionario di psico- sociologia. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005. 3. Weber M. L’etica potestante e lo spirito del capitalismo. Sansoni Edi- tore, Firenze, 1983. 4. Carli R, Paniccia Mr. L’analisi della domanda - Teoria e tecnica dell’in- tervento in psicologia clinica. Il Mulino, Bologna, 2003. 5. AA.VV. Ricerca-azione in Italia. Risorsa uomo 2006; XII (2-3): 128- 272. 6. Di Gregorio R. La formazione-intervento nelle organizzazioni. Espe- rienze e strumenti. Guerini e Associati, Milano, 1998. 7. Weick K, Sutcliffe M. Managing the Unespected – Assuring High Per- formance in Age of Complexity. CA, John WILEY, & Son, San Fran- cisco, 2001. 8. Porzio G. Workpalce learning: concezioni, condizioni, implicazio- ni. Professionalità aprile-giugno 2006; 92: 14-21. 9. Bruno A. 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Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. organizzazione e formazione 29 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it ABSTRACT The article explores some of the preliminary reasons for and effects of a training course on “Institutional, organisational and professio- nal identification processes”, carried out at Aosta local Health Authority Accident and Emergency Dept. The article is based on the analysis of a number of critical points that emerged ex ante, in itinere ed ex post regarding a complex and rarely examined to- pic, focusing on how training makes it possible to explore latent aspects of the organisation. The use of an appropriate methodolo- gy has revealed explicit requests for greater attention to typically organisational aspects, which are typically neglected in the Public Services. The hypothesis put forward is that the same dimensions could provide a focus for research and productive application. The article suggests that methodologies and instruments developed in the public sector achieved an adequate degree of managerial kno- wledge to be “translated” into a National Health Service Accident and Emergency Department setting. L’impiego degli ultrasuoni (US) da parte di Infer- mieri, come supporto al cateterismo della vescica, non è molto descritto in letteratura1,2,3. Tuttavia la conoscenza dell’anatomia ecografica della vescica, la misura strumentale dei suoi volu- mi, il riconoscimento real time della situazione e, in casi particolari, della progressione di un cate- tere in cavità, possono migliorare le indicazioni alla procedura, facilitarla e diminuirne le com- plicanze3. In ambienti vari (Dipartimenti di Emergenza e Ur- genza, Corsia o Terapia Intensiva), è frequente che l’Infermiere si trovi in condizione di dover posizio- nare e controllare cateteri vescicali. Generalmente l’applicazione e il monitoraggio del- la funzione del catetere sono attuati senza un sup- porto strumentale. Vi è un’iniziale evidenza che l’impiego infermieristico dell’ecografia possa far stimare la necessità di uno svuotamento della ve- scica, agevolare le manovre di applicazione del CV e mostrare eventuali complicanze. Definizione L’ecografia infermieristica pelvica è un metodo di va- lutazione non invasiva del volume della vescica, del suo contenuto, della salienza intravescicale della re- gione prostatico-trigonale e della determinazione in tempo reale del posizionamento del catetere vescica- le. Non ha finalità diagnostiche, ma di supporto a procedure operative. Scopi L’ecografia infermieristica della pelvi, tramite scansio- ni effettuate con la sonda convex (3,5-5 MHz) orien- tate sulla vescica, permette all’operatore opportuna- mente formato di ottenere informazioni utili per l’uso e la gestione del catetere vescicale4. Agevole è la stima del volume vescicale. Attraverso sezioni trasversali e longitudinali mirate alla vescica con adeguate manovre di freezing si ottengono le mi- sure centimetriche delle sue tre dimensioni. Si con- sidera che il loro prodotto moltiplicato per 0,52 rap- presenti una realistica approssimazione della quanti- tà in ml del contenuto vescicale (Figura 1). Questa misura permette con semplicità e rapidità di ricono- scere l’indicazione al cateterismo vescicale, anche lad- dove il globo vescicale non sia palpabile (pazienti obesi) e nelle ritenzioni d’urina nel post-operatorio. In modo analogo, con la misura del residuo post- minzionale5, vengono acquisite informazioni sulla necessità di posizionare un catetere o, nei casi dove questo è già presente, sul suo malfunzionamento (Figura 2). Altre applicazioni si hanno nei pazienti con vescica neurologica, dove l’impiego degli ultrasuoni versus cateterizzazione intermittente, può ridurre il rischio di infezioni del tratto urinario6. Dopo un breve training su modelli umani (volontari), in cui viene acquisita teoricamente e praticamente la consapevolezza di “ecogenicità” e “transonicità”, è pos- sibile inoltre graduare il contenuto vescicale in rappor- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. assistenza infermieristica 30 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Ecografia infermieristica nel cateterismo Luca Romei, Antonietta Sabatini, Catia Biagioni Infermieri Professionali, UO Pronto Soccorso, Medicina e Chirurgia d’Urgenza. ASL 2 Lucca, Ospedale di Castelnuovo Garfagnana SINTESI La valutazione ecografica della vescica può far stimare con accu- ratezza il volume vescicale pre- e post-minzionale. L’impiego de- gli ultrasuoni è pertanto raccomandato come alternativa al cate- terismo vescicale diagnostico di ritenzione di urina. Inoltre, l’eco- grafia rappresenta un metodo non invasivo per predire l’effica- cia dell’applicazione di un catetere, sia in relazione al contenuto vescicale che alla protrusione, nell’uomo, della regione prostati- ca. In questo articolo gli Autori mostrano lo sviluppo e i risulta- ti di un programma addestrativo e applicativo di ecografia in- fermieristica della vescica in Pronto Soccorso. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. assistenza infermieristica 31 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Fig. 1 – Misu- ra delle tre di- mensioni del- la vescica. Fig. 2 – Resi- duo di urina in paziente cateterizzato. Si noti il pal- loncino del CV presente in vescica. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. assistenza infermieristica 32 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Fig. 3 – Vescica con sedimento c o r p u s c o l a t o declive Fig. 4 – Evidenza della punta del catetere che sta entrando in ve- scica, superando la salienza prosta- tica. to a una sua corpuscolarità (sepsi) (Figura 3), a una componente ematica (ematuria) o a franchi coaguli che assumono un aspetto di materiale intraviscerale strut- turato. Nel nostro metodo, il primo grado corrispon- de a un contenuto transonico (completamente liqui- do), il secondo a uno corpuscolato e il terzo ad un con- tenuto complesso (coaguli, masse). Ciò implica infatti che l’infermiere possa prevedere il calibro e il tipo di catetere che andrà ad inserire (Tabella 1). Un impiego pratico nella tecnica di cateterizzazione risiede anche nella stima semiquantitativa del grado di salienza in vescica della regione prostatico-trigona- le nella proiezione vescicale sagittale. Allo scopo di semplificare il più possibile la procedura, abbiamo previsto per questo parametro solamente due classi: la prima (1), nella quale la prostata non è saliente o è saliente fino a 1,5 cm e la classe 2, con prostata sa- liente oltre 1,5 cm (Tabella 1). Anche in questo caso si ottiene infatti una previsione del tipo di catetere da usare. Infine, con guida ecografica real time, l’infermiere ha una visione in tempo reale (Figura 4) della progres- sione di un catetere vescicale potendo così visualiz- zarne, nei casi complessi, la posizione e il livello di eventuali ostacoli. Materiali e metodi Nell’ambito di un progetto formativo finalizzato del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Castelnuovo di Garfagnana (ASL 2 di Lucca), tre infermieri (due del- la UO Pronto Soccorso e uno della UO Chirurgia) so- no hanno partecipato a un training teorico e pratico per l’acquisizione di competenze di tecnica ecografi- ca, anatomia ecografica della pelvi maschile e fem- minile e di ecografia operativa in real time applicata al cateterismo vescicale. L’addestramento su modelli inanimati e su paziente con supervisione, ha comportato un impegno com- plessivo di 5 ore. Lo scopo era di far acquisire auto- nomia completa per la visualizzazione della vescica, per stimare i volumi vescicali totali e residui (in ml), riconoscere un corretto posizionamento di CV in ve- scica ed eventuali ostacoli all’inserimento dovuto a cause prostatiche o intraluminali. Al termine della fase di formazione, 30 pazienti (22 uomini e 8 donne) con problemi vescicali (8 obesi con sintomi da possibile ritenzione urinaria con glo- bo vescicale non palpabile, 9 ritenzioni d’urina nel postoperatorio, 6 inserimenti difficoltosi di CV, 7 ostruzioni di CV) sono stati valutati con ecografia in- fermieristica e, immediatamente dopo, da un medi- co ecografista esperto. Sono stati quantizzati i volu- mi vescicali ed i residui post-minzionali e sono state attribuite le classi (grading) del contenuto urinario e della morfologia prostatico-trigonale nel maschio. È stato adoperato un ecografo Toshiba Aplio XV con transduttore convex multifrequenza 3,5-5 MHz. Risultati I tempi medi di esecuzione dell’indagine si sono mantenuti sui tre minuti (2,7 +/– 0,7). I globi vesci- cali non palpabili sono stati tutti riconosciuti con eco Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. assistenza infermieristica 33 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it TAB. 1 Valutazione Stima Strumento Implicazione Azione Verifica Volumetria della Quantitativa Calcolo Necessità di Applicazione di Corretta vescica dell’ellissoide cateterismo catetere applicazione Residuo vescicale Quantitativa Calcolo Necessità di Applicazione di Corretta dell’ellissoide cateterismo catetere applicazione Malfunzionamento Revisione del e funzione di catetere catetere Contenuto vescicale Qualitativa 3 gradi* Previsione Applicazione di Corretta del calibro e del un catetere applicazione tipo di catetere idoneo e funzione Prostata Qualitativa 2 gradi** Previsione di Catetere idoneo Funzione ottimale complicanze e azioni e assenza di appropriate complicanze Passaggio Qualitativa Eyeball Livello Catetere idoneo Funzione ottimale real time dell’eventuale e azioni e assenza di del catetere ostacolo appropriate complicanze *Grado 1: Contenuto Transonico. Grado 2: Corpuscolato. Grado 3: Complesso; **Grado 1: Non saliente in vescica o salienza fino a 1,5 cm simme- trica. Grado 2: Asimmetrica con terzo lobo, o salienza > 1,5 cm infermieristica e i relativi volumi, misurati con la for- mula dell’ellissoide prolato, sono risultati statistica- mente non dissimili da quelli quantizzati con eco me- dica. Analoghi risultati sono stati ottenuti sui sogget- ti con ritenzione di urina nel post-operatorio. I volu- mi residui nei soggetti con ostruzione del CV sono ri- sultati quantitativamente non dissimili (test t) e con correlazione significativa (Pearson) rispetto alla stima medica. Una prostata anormale è stata sempre rico- nosciuta e classificata correttamente nei casi (6) di difficoltà di inserzione del CV. La presenza di ano- malie luminali (coaguli) è stata riconosciuta e classi- ficata in 4 casi su 5. Discussione La letteratura disponibile sull’ecografia e sulle stime volumetriche pre- e post-minzionali vescicali è am- pia. Tuttavia, la grande maggioranza dei lavori nel- l’adulto e nel paziente pediatrico riguarda contesti medici, confermando un impiego degli ultrasuoni fi- nora quasi esclusivo da parte del medico. L’uso da noi proposto è quindi certamente nuovo e prescinde da un utilizzo della tecnologia a scopo diagnostico. In realtà esso si propone di facilitare azioni tipica- mente infermieristiche, che l’Infermiere cioè giornal- mente pone in atto in assenza di controlli di imaging, aprendo di fatto un campo esplorato poco e solo di recente. Chan7 nel 1993 mostrò per la prima volta che la va- lutazione ecografica della vescica era attuabile da nur- ses e utile nella gestione di soggetti in stroke unit. Suc- cessivamente (1995), una review8 indicò la possibili- tà di implementare un programma di ecografia infer- mieristica utilizzabile in ambienti di Riabilitazione Geriatrica. Nel 2000 Fredrikson9 mostrò che l’eco- grafia della vescica nel post operatorio era accurata, efficace per ridurre il numero dei cateterismi e grati- ficante sia per il paziente che per l’operatore, riprodu- cendo un analogo risultato su pazienti cardiologici10. Dopo queste pionieristiche osservazioni, a tutt’oggi vanno segnalati solamente sporadici studi presenti sull’Index Medicus di Medline11 e pubblicati su rivi- ste infermieristiche internazionali. Si tratta di studi clinici (e reviews) non italiani, che confermano in so- stanza i risultati precedenti su pazienti con patologie disparate, comprendenti impieghi in neurochirurgia e medicina d’urgenza1,2,3,4,12-15. La nostra esperienza formativa e clinica, sebbene ini- ziale, conferma i risultati degli studi finora effettuati. Abbastanza univocamente i vari Autori hanno de- scritto la facilità e riproducibilità della tecnica, la sua sicurezza, l’efficacia e la soddisfazione finale di pa- zienti e operatori. In aggiunta a quanto acquisibile in letteratura, anche una quantizzazione in gradi dei differenti aspetti eco- grafici del contenuto vescicale e della regione prosta- tica e trigonale nell’uomo (Tabella 1), come da noi proposta in modo originale, può aggiungere impor- tanti informazioni per l’applicazione di cateteri e per la scelta della loro tipologia. È infatti prevedibile, e da noi verificato nei casi di pa- tologia prostatica, che una elongazione dell’uretra prostatica, evidente in caso di salienza di un “terzo lo- bo”, e una sua marcata concavità anteriore provochi un “impingment” del catetere in sede bulbare o a li- vello dell’apice della prostata, che è la premessa per la creazione di false strade. È altrettanto verificabile che in questi casi l’impiego di un catetere con punta an- golata (Tiemann), invece dell’usuale Foley, possa con- sentire il superamento dell’ostacolo, peraltro visualiz- zabile in tempo reale. A nostro avviso la scelta del catetere viene condizio- nata anche dal tipo di contenuto vescicale. Ciò in re- lazione al calibro del catetere che viene impiegato (14-16 per urine chiare, 16-18 per urine torbide e 18-20 per urine ematiche) e al numero di vie dispo- nibili nel device (due o tre) per eventuali lavaggi con- tinui. Conclusioni Riteniamo che dopo un training relativamente conte- nuto, l’infermiere possa utilizzare con profitto l’eco- grafia per il posizionamento maggiormente mirato e sicuro del CV. In particolare può essere valutata l’indicazione alla procedura, la stima del volume vescicale totale e dei residui. Può inoltre essere prevista una difficoltà og- gettiva al cateterismo (ad esempio per ostacolo pro- statico), visualizzato il posizionamento corretto della punta/palloncino in real time, monitorato il funziona- mento e riconosciute eventuali cause di malfunziona- mento del CV. Queste conoscenze sono divenute infine parte inte- grante di nozioni e competenze offerte in un corso fi- nalizzato all’addestramento di altri professionisti di cui ha avuto luogo la prima edizione presso la nostra ASL. Si ringrazia la AFD Romei Olivetta, Capo Sala della UO PS Medi- cina e Chirurgia di Accettazione e d’Urgenza dell’Ospedale di Ca- stelnuovo Garfagnana, per l’assistenza e per i preziosi consigli for- niti nella realizzazione e stesura del presente lavoro. Bibliografia 1. Stevens E. Bladder ultrasound: avoiding unnecessary catheteriza- tions. Medsurg Nurs. 2005; 14: 249-53. 2. Sparks A, Boyer D, Gambrel A et al. The clinical benefits of the bladder scanner: a research synthesis. J Nurs Care Qual. 2004; 19: 188-92. 3. Frederickson M, Neitzel JJ, Miller EH et al. The implementation of bedside bladder ultrasound technology: effects on patient and Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. assistenza infermieristica 34 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it cost postoperative outcomes in tertiary care Orthop Nurs 2000; 19: 79-87. 4. Altschuler V, Diaz L. Bladder ultrasound. Medsurg Nurs 2006; 15: 317-318. 5. Teng CH, Huang YH, Kuo BJ et al. Application of portable ultra- sound scanners in the measurement of post-void residual urine. J Nurs Res 2005; 13: 216-224. 6. Moore DA, Edwards K. Using a portable bladder scan to reduce the incidence of nosocomial urinary tract infections. Medsurg Nurs 1997; 6: 39-43. 7. Chan H. Noninvasive bladder volume measurement. J Neurosci Nurs 1993; 25: 309-312. 8. Resnick B. A bladder scan trial in geriatric rehabilitation. Rehabil Nurs 1995; 20: 194-196, 203. 9. Frederickson M, Neitzel JJ, Miller et al. The implementation of bedside bladder ultrasound technology: effects on patient and cost postoperative outcomes in tertiary care. Orthop Nurs 2000; 19: 79-87. 10. Sulzbach-Hoke LM, Schanne LC. Using a portable ultrasound blad- der scanner in the cardiac care unit. Crit Care Nurse 1999; 19: 35-39. 11. PubMed Home, http//www.ncbi.nlm.nih.gov/sites/entrez (aggior- nato al 20/11/2007). 12. Borrie MJ, Campbell K, Arcese ZA et al. Urinary retention in patients in a geriatric rehabilitation unit: prevalence, risk factors, and validity of bladder scan evaluation. Rehabil Nurs 2001; 26: 187-191. 13. Patraca K. Measure bladder volume without catheterization. Nurs- ing 2005; 35: 4 14. Williamson J. Management of postoperative urinary retention. Nurs Times 2005; 25; 101: 53-54. 15. Lee YY, Tsay WL, Lou MF et al. The effectiveness of implementing a bladder ultrasound programme in neurosurgical units. J Adv Nurs 2007; 57: 192-200. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. assistenza infermieristica 35 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it ABSTRACT Ultrasound (US) examination of the bladder can precisely deter- mine the bladder volume and is a useful tool in estimating the residual urine volume. Its application is consequently recommend- ed as an alternative to catheterization for the determination of residual urine. Moreover it represents a simple, noninvasive method to predict the outcome of a voiding trial following acute urine retention based on intravesical prostatic protrusion and on the US pattern of the bladder content. In this article, the Authors review the implementation and results of a bladder US program devel- oped for non-medical caregivers at one Emergency Department. Ricerca Clinica Dalla Good Clinical Practice alla buona assistenza novi tà edit oria le Paola Culotta Infermiere di ricerca IRCC - Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, Candiolo, Torino. Docente CLI-Uni- versità degli Studi di Torino. Facoltà di Medicina e Chirurgia Irene Feroce Infermiera di ricerca Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica IRCCS - Istituto Europeo di Onco- logia, Milano Luciano Callegaro Infermiere IRCCS Fondazione Centro “S. Raffaele del Monte Tabor”, Milano. Presidente dell’AIEOP - As- sociazione Infermieri di Ematologia e Oncologia Pediatrica L’Opera ha lo scopo di rendere più facile l’individuazione e l’uso degli strumenti di diagnosi. In questo manuale abbiamo l’obiettivo di offrire: – suggerimenti concreti a coloro che si occupano dell’assistenza di soggetti che partecipano a sperimentazioni cliniche; – spunto di riflessione sulle tematiche organizzative e assistenziali legate alla partecipazione a studi sperimentali; – stimolo all’approfondimento di particolari aspetti legati alla ricerca clinica. Abbiamo pensato di offrire uno strumento il più possibile scevro da commenti e considerazioni personali per evitare con- testualizzazioni relative all’ambito assistenziale di provenienza. La realtà in Italia rispetto alla ricerca clinica, soprattutto per il contributo infermieristico, è ancora molto eterogenea. Proprio per questo abbiamo cercato di citare il più possibile riferimenti normativi, evitando interpretazioni o suggestioni che provenissero da nostri vissuti professionali specifici o da testi di colleghi stranieri, molto distanti dalla realtà italiana. Abbiamo cercato di offrire al lettore una traccia su cui costruire un proprio percorso individuale, con l’intento di identifi- care i punti nodali relativi ad alcuni aspetti dell’assistenza negli studi clinici. Abbiamo pensato di rendere la consultazione del manuale agevole, rapida e facile, pensando a un uso pratico, occasio- nale e specifico, piuttosto che a una lettura sequenziale di un testo con un principio e una fine. Il testo è concepito a schede. In ciascuna di esse sono presenti le definizioni utili, spunti di discussione, osservazioni, informazioni indispensabi- li e riferimenti bibliografici. SCHEDA TECNICA • Formato 15 x 21 cm • 216 pagine • 5 tabelle • 7 figure • 12 flow-chart DESTINATARI Strutture e personale di ricerca clinica, infermieri, medici, data manager, studenti di Scienze Infermieristiche, fondazioni e associazioni PREZZO DI LISTINO € 34,00 Per informazioni e ordini contattare il Servizio Assistenza Clienti al n. 011.37.57.38, oppure inviare una e-mail a cgems.clienti@cgems.it o consultare il catalogo online del sito www.cgems.it Caso clinico Il Sig. P.V., operaio di 20 anni, giunge in Pronto Soc- corso (PS) per comparsa di cefalea ingravescente da 2 giorni, diffusa a tutto il cranio, oppressiva e non re- gredita dopo assunzione di FANS. Non presenta altri sintomi sistemici quali febbre, nausea o vomito. Il soggetto non è un cefalalgico noto e riferisce di go- dere di buona salute. La sua anamnesi patologica e fa- miliare risulta assolutamente silente per patologie cardiovascolari e trombotico-emorragiche. Non assu- me abitualmente farmaci. Non è un fumatore e nega abuso di alcol e/o di sostanze stupefacenti. All’esame obiettivo il paziente si presenta apiretico con valori pressori nella norma (PAOS 120/65) men- tre i parametri di frequenza cardiaca (96 bpm), fre- quenza respiratoria (32 atti/min) e saturazione di os- sigeno in aria ambiente (88%) risultano alterati. Non sono presenti reperti patologici all’esame cardiaco e neurologico. Non vi sono soffi vascolari e i polsi pe- riferici sono bilateralmente normo-isosfigmici. Il murmure vescicolare risulta diffusamente ridotto in tutti i campi, ma senza segni di stasi polmonare o scompenso cardiaco. L’addome è piano e trattabile. Era presente lieve cianosi a livello letto ungueale. L’esame obiettivo neurologico mostra assenza di defi- cit di lato o di forza, Mingazzini I-II nella norma, ner- vi cranici in ordine; non si evidenziano alterazioni visive o della marcia. Riassumendo, quindi, il giovane paziente si presenta in ottime condizioni generali, asintomatico salvo cefa- lea, soggettivamente non dispnoico, ma obiettivamen- te tachicardico e con parametri respiratori alterati. In prima istanza le ipotesi diagnostiche più probabi- li sono: embolia polmonare, focolaio BPN in atto, ESA, uso/abuso sostanze tossiche. Viene quindi ese- guito un iter diagnostico di esclusione delle varie patologie con l’esecuzione degli esami strumentali qui indicati. L’ECG all’ingresso risulta nella norma così come la ra- diografia del torace. All’emocromo non vi è evidenza di anemizzazione (Hb 14,8 g/dl) con GB e PLTS nei limiti. Gli indici di coagulazione compreso il D-Dimero (34 ng/ml) so- no nella norma come gli indici di funzionalità renale ed epatica. PCR 0,74 mg/dl (v.n. < 0,8). L’emogasana- lisi suscita la nostra sorpresa, poiché evidenzia, ac- canto a un pH di 7,4 con pO2 = 91 mmHg, pCO2 = Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. tossicologia e NBCR 36 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Intossicazione da asfissianti sistemici: Marta M. Cravino*, Davide Lonati**, Paola Peretti*, Pier Giorgio Raimondo*, Carlo Locatelli**, Mauro F. Frascisco* * Dipartimento di Emergenza ed Accettazione e SC Medicina d’Urgenza - ASO San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), Direttore Dr. Mauro F. Frascisco ** Servizio di Tossicologia - CAV Pavia e Centro Nazionale di Informazione Tossicologica - IRCCS Fondazione Maugeri e Università degli Studi di Pavia, Direttore Dr. Carlo Locatelli SINTESI Un giovane paziente eupnoico, in ottime condizioni generali, si presenta in Pronto Soccorso per intensa cefalea; si rilevano tachi- cardia e parametri respiratori alterati. Gli esami ematochimici risultano tutti nei limiti di norma salvo la presenza di una me- taemoglobinemia di grado severo, con carbossiHb normale. La- vorando in cantina, il paziente si era rovesciato addosso una vec- chia tanica di inchiostro: questo può comportare un’esposizione all’anilina, un asfissiante sistemico. A livello tossicologico l’assor- bimento percutaneo di tale sostanza è sicuramente poco usuale, ma riveste una grande importanza. L’anilina infatti è un agente metaemoglobinizzante, ovvero agisce ossidando il ferro ferroso dell’emoglobina a ferro ferrico e convertendo l’emoglobina in me- taemoglobina. Il conseguente decremento nell’apporto di ossige- no e nella sua capacità di utilizzo a livello tessutale provoca ef- fetti cardiocircolatori, respiratori e neurologici di entità variabi- le, in relazione ai livelli di metaemoglobinemia plasmatici. L’obiettivo terapeutico primario in questa intossicazione è basa- to su criteri di supporto cardiocircolatorio e respiratorio asso- ciato a uno specifico protocollo di decontaminazione. Nei casi più gravi si somministra un antidoto specifico, il blu di metilene. 40 mmHg e bicarbonati = 24,8 mmol/l, una metae- moglobinemia di grado severo, pari al 29,5% (v.n. 0- 1,5%) con carbossiHb normale. La maggior parte delle sostanze che inducono me- taemoglobinemia sono ampiamente usate nelle in- dustrie chimiche. L’anilina e derivati sono impiegati nella produzione di coloranti, farmaci, solventi, pro- fumi; la nitroglicerina è utilizzata nella produzione di esplosivi e farmaci vasodilatatori; il nitrobenzene è contenuto in coloranti, profumi e saponi; il nitrito di isobutile insieme ad altri nitriti organici sono uti- lizzati nei processi di sintesi chimica e come sostan- ze d’abuso per il loro effetto euforizzante; infine, i ni- trati si trovano in conservanti alimentari e vengono ri- dotti a nitriti a livello della flora intestinale diventan- do induttori di metaemoglobinemia (Tabelle 1-2). Trattandosi di una metaemoglobinemia con ogni ve- rosimiglianza secondaria a un evento accidentale, non percepito dal paziente come rilevante, ci siamo trovati inizialmente in difficoltà nell’individuare l’agente causale. Ecco che qui ci è giunta in soccorso la perspicacia e l’intuito di un infermiere che, collo- quiando con il paziente, individua un evento poten- zialmente sospetto. In effetti, mentre stava rovistando in cantina, due giorni prima, il paziente si era rove- sciato addosso una vecchia tanica di inchiostro, che aveva impregnato gli abiti da lavoro. Per completare il lavoro in corso, gli stessi abiti sporchi erano stati nuovamente indossati nella giornata successiva. Complice il contatto diretto pelle/abiti, il clima mol- to afoso e l’attività fisica intensa con conseguente ab- bondante sudorazione, era possibile che una sostan- za tossica potesse quindi essere stata assorbita per via percutanea. Stante l’impossibilità a recuperare la suddetta tanica d’inchiostro, immediatamente buttata dal paziente, dopo il contatto, abbiamo eseguito una rapida ricer- ca sui principali agenti tossici contenuti nelle vernici ed inchiostri responsabili di metaemoglobinemia, scoprendo che a partire dal 1858, l’anilina è stata la materia prima impiegata nella produzione di centina- ia di sostanze coloranti, tra cui la fucsina, la safrani- na, l’indaco e molte altre. Industrialmente, l’anilina, sostanza cancerogena e ve- lenosa, è prodotta per riduzione del nitrobenzene con ferro e acido cloridrico, purificandola successivamen- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. tossicologia e NBCR 37 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it TAB. 1 Cause di metemoglobinemia 1. Congenite • Hb M • Deficit enzimatico di metaemoglobina redattasi 2. Acquisite • ASFISSIANTI SISTEMICI (inalazione, assorbimento mucoso/cutaneo) – Anilina – Nitrito di isobutile – Nitrobenzene – Nitroglicerina – Nitrito di sodio • FARMACI (tra cui i più importanti) – Fenobarbital – Lidocaina – Nitroprussiato – Nitroglicerina – Sulfamidici – Clorochina – Ciprofloxacina – Sulfametoxazolo+ trimetoprim • ALTRE SOSTANZE – Cibo con alto contenuto in nitriti o alterato con nitriti – Clorobenzene – Nitrofenolo – Naftalene TAB. 2 Potenziali fattori di rischio per metaemoglobinemia • Patologie cardiovascolari. Il decremento del flusso epatico può causare una diminuzione del metabolismo di anesteti- ci/ossidanti. • Anemia. La diminuzione dell’emoglobina circolante determi- na un incremento del rapporto metaemoglobina/emoglobina. • Bimbi di età inferiore a 3 mesi di vita. Un incremento del- la concentrazione di emoglobina fetale associato ad un sis- tema enzimatico epatico ancora immaturo determinano una facilitata conversione dell’emoglobina in metaemoglobina, con meccanismi di protezione inadeguati. • Anziani. Un incremento della concentrazione di emoglobi- na fetale, multipli agenti farmacologici ossidanti e concomi- tanti quadri patologici si combinano nel determinare un au- mento di rischio per il paziente anziani. • Deficit congenito di glucoso-6-fosfato deidrogenasi o di nicotinamide adenina dinucleotide. Tali deficit genetici es- itano in un’insufficiente riduzione della metaemoglobina in emoglobina. • Dosi eccessive od assorbimento di ossidanti. L’assorbi- mento può essere facilitato attraverso i tessuti traumatizzati, multipli fattori ossidanti possono condurre ad effetti emato- logici cumulativi e dosi eccessive di anestetici possono de- terminare metaemoglobinemia. te per distillazione in corrente di vapore. Si tratta di un liquido oleoso dall’odore caratteristico e dal- l’aspetto incolore, che nel tempo si ossida e produce impurità resinose di colore rosso-bruno. Forti di tale illuminazione, abbiamo quindi preso contatto con il Centro Antiveleni (CAV) di Pavia per definire il successivo iter assistenziale, alla luce del- l’ipotesi diagnostica emersa. Si è concordato di proce- dere al monitoraggio cardiorespiratorio del paziente e alla somministrazione di ossigeno ad alti flussi con maschera reservoir, di infondere alti volumi di liqui- di, e di somministrare per via parenterale l’antidoto specifico. Veniva quindi infusa 1 fiala di Blu di Meti- lene in SF 100cc lentamente in circa 30 min. Nelle ore successive sono stati eseguiti controlli emogasa- nalitici seriati, evidenziando un netto decremento dei valori di metaemoglobinemia fino alla loro completa normalizzazione ottenuta a distanza di 18 ore circa dall’ingresso in PS. La metaemoglobinemia, infatti, si è ridotta a valori di 2,5% a sole 4 ore dalla somministrazione del far- maco, arrivando ad 1,8% a distanza di 11 ore. Il paziente è rimasto asintomatico durante l’osserva- zione e la cefalea è regredita completamente. L’obietti- vità è migliorata con una saturazione di ossigeno in aria ambiente pari a 97%, la frequenza respiratoria di 24 atti/min e quella cardiaca di 80 bpm. Viene quindi di- messo con diagnosi di intossicazione da anilina. Cosa è l’anilina? Dal punto di vista chimico è una base debole, appar- tenente al gruppo degli asfissianti sistemici, ovvero di sostanze che interferiscono attivamente con il tra- sporto di ossigeno a livello emoglobinico e/o con l’utilizzazione di ossigeno a livello della citocromo os- sidasi mitocondriale1-2. Secondo l’impostazione dell’AHLS (Advanced Hazmat Life Support), gli asfissianti sistemici possono essere suddivisi in cinque grandi gruppi: monossido di car- bonio, composti formanti metaemoglobina (tra cui l’anilina), acido cianidrico e composti cianogeni, aci- do solfidrico e idrogeno solforato e infine azidi3. L’esposizione all’anilina avviene comunemente trami- te l’inalazione di vapori ma, soprattutto a livello tos- sicologico, riveste grande importanza l’assorbimento percutaneo del liquido, caso in cui la sostanza non sia ritrovabile nell’aria espirata del soggetto intossicato. Meno dell’1% dell’anilina assorbita è escreta invariata tramite urine, mentre tra il 15%-60% viene ossidata a p-aminofenolo e poi escreta a livello urinario come glucuronide e solfato coniugato, soprattutto nelle pri- me 24 ore dall’esposizione. Un metabolita minore, la fenilidrossilamina, sembra essere responsabile dei maggiori effetti tossici. Una concentrazione di p-ami- nofenolo urinario pari a 10 mg/l è indicativa di poten- ziale esposizione tossica mentre a 20 mg/l è necessa- rio un supporto medico. Inoltre è stato dimostrato co- me la concentrazione urinaria di p-aminofenolo sia di- rettamente correlata ai livelli di metaemoglobinemia. Non è possibile invece misurare i livelli ematici del- l’anilina, essendo disponibili solamente determina- zioni sperimentali nell’animale, ma il livello di metae- moglobina ematico fornisce un indice indiretto di esposizione a tale sostanza1. Meccanismo tossico In condizioni normali il ferro emico dell’emoglobina è bivalente (Fe++); esso lega labilmente l’ossigeno e può cederlo ai tessuti con facilità. La conservazione del ferro allo stato bivalente dipen- de da due fattori: i rapporti ferro emico-globina e un enzima specifico, la metaemoglobina-reduttasi NADH-dipendente, che continuamente riconverte il Fe+++ in Fe++. Vi sono pertanto tre tipi di metaemoglobinemia: con- genita per alterata struttura globinica (emoglobina patologica o HbM); congenita per deficit enzimatico di metaemoglobina-reduttasi; acquisita per esposizio- ne eccessiva a sostanze ossidanti come anilina, nitra- ti, nitriti, amine aromatiche ecc.4-5. Tutte le sostanze metaemoglobinizzanti agiscono os- sidando il ferro ferroso (Fe++) dell’emoglobina a fer- ro ferrico (Fe+++), convertendo quindi l’emoglobina in metaemoglobina e superando le capacità riduttrici della metaemoglobina-reduttasi. L’esposizione deve essere molto forte, poiché la riserva funzionale enzi- matica metaemoglobina-riducente dell’eritrocita può aumentare fino a 25-250 volte il normale. L’emoglo- bina ossidata o metaemoglobina è incapace di tra- sportare ossigeno ai tessuti e induce pertanto ipossia e riduzione della produzione di adenosin-trifosfato (ATP) a livello mitocondriale. Livelli di metaemoglobina compresi tra 1e 3% risulta- no nei limiti di norma. Al di sotto del 15% generalmen- te non si induce sintomatologia apprezzabile. Sopra il 20% compaiono chiari sintomi di cianosi cutanea e ipossia con cefalea, astenia, vertigini e lipotimie, men- tre in oltre il 50% sono presenti gravi depressioni del SNC e del cardiocircolo con coma, convulsioni, arit- mie e insufficienza cardiocircolatoria2-3 (Tabella 3). Manifestazioni cliniche delle sostanze metaemoglobinizzanti A livello cardiaco il decremento nell’apporto di ossi- geno e della sua capacità di utilizzo provoca iniziale tachicardia compensatoria, nel tentativo di aumenta- re il trasporto di ossigeno ematico; a sua volta que- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. tossicologia e NBCR 38 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it sto instaura un circolo vizioso di aumento di consu- mo miocardico. L’evoluzione può essere in aritmie, anche fatali, e in ischemia miocardica. A livello neurologico vi è un’alta domanda metaboli- ca di ossigeno. Nelle intossicazioni da sostanze metae- moglobinizzanti la diminuita riserva di ossigeno o la ridotta capacità di utilizzarlo attiva i chemorecettori aortici e carotidei che interagiscono con il centro re- spiratorio cerebrale, ubicato a livello bulbare, determi- nando un aumento della frequenza respiratoria. Se l’ipossia non viene corretta, la diminuzione di traspor- to di ossigeno a livello cerebrale determina una fase di iniziale agitazione ed eccitazione centrale, seguita da una progressiva depressione del centro respiratorio cerebrale, fino al suo arresto. L’ipossia determina sin- tomi quali cefalea, brividi, confusione, agitazione psi- co-motoria fino ad arrivare, se non trattata, a stati con- vulsivi, al coma e, in casi estremi, al decesso6-9. La metaemoglobinemia risulta visibile anche a livello cutaneo e mucoso. La cute diventa fredda, pallida e su- data, a seguito dell’attivazione del sistema nervoso sim- patico e del rilascio compensatorio di epinefrina e no- repinefrina, nel tentativo di aumentare il trasporto di os- sigeno a livello centrale. Successivamente quando la me- taemoglobinemia raggiunge livelli intorno ai 1,5 gr/dl, data la sua distribuzione ematica omogenea, risulta obiettivabile cianosi centrale e periferica. Una prolungata ipossia può altresì determinare necro- si tubulare renale fino a insufficienza renale acuta, ischemie e infarti intestinali, che possono essere pre- ceduti da sintomi aspecifici quali nausea e vomito6-9. Trattamento L’intossicazione da sostanze metaemoglobinizzanti deve essere prontamente trattata (Tabella 4). L’obiettivo di supporto primario nelle intossicazioni da sostanze metaemoglobinizzanti è basato su uno schema protocollato che riprende i noti criteri ALS3: 1. Airway Gestione efficace delle vie aeree fino, se necessa- rio, all’intubazione orotracheale. 2. Breathing Pazienti sintomatici ma in respiro spontaneo de- vono essere ventilati con alti flussi di ossigeno (re- servoir 100% 15 l/min); in caso contrario è neces- sario procedere alla ventilazione con pallone Ambu collegato al 100% di ossigeno e alla successiva IOT. 3. Cardiovascular Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. tossicologia e NBCR 39 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it TAB. 3 Sintomi e livelli dei metaemoglobinemia 1-3 % range di normalità < 15 % assenza di sintomatologia apprezzabile > 20 % cianosi cutanea, ipossia, cefalea, astenia, vertigi- ni e lipotimie 20-50 % dispnea, sincopi, convulsioni, intolleranza allo sforzo 50-70 % aritmie ed insufficienza cardiocircolatoria, ta- chipnea, acidosi metabolica, grave depressione del SNC, coma > 70 % ipossia grave e morte TAB. 4 Trattamento della metaemoglobinemia (secondo AHLS) TRATTAMENTO INIZIALE E RIANIMAZIONE • Vie aeree Assicurare la pervietà delle vie aeree (IOT se necessario) • Respiro Somministrare ossigeno ad alti flussi (15 l/min) attraver- so maschera con reservoir o pallone Ambu con ossigeno 100% o previa intubazione orotracheale • Circolo Monitorizzare il paziente per eventuali aritmie e stati di shock, seguendo il protocollo ACLS. Iniziare con un’in- fusione di soluzione fisiologica ed aggiungere, se neces- sario, farmaci vasopressori • Disabilità (Sistema nervoso) Valutare periodicamente il livello di coscienza e trattare le eventuali convulsioni con infusione di diazepam o lo- razepam • Esposizione Svestire il paziente e decontaminarlo adeguatamente sul campo, lavandolo, per almeno 15 minuti, con abbondan- ti quantità di acqua o blandi detergenti liquidi TRATTAMENTO DELL’INTOSSICAZIONE • Assorbimento Allontanare il paziente dal luogo di esposizione ed assi- curare un’adeguata decontaminazione della cute e degli occhi. Assicurare un’adeguata ventilazione con ossigeno al 100% • Antidoto Blu di metilene • Supporto di base Rivalutare periodicamente l’ABC del paziente e trattarlo di conseguenza • Variazione del catabolismo Non applicabile nel caso dell’anilina • Distribuzione alternativa Non applicabile nel caso dell’anilina • Aumento dell’eliminazione Non applicabile nel caso dell’anilina Deve essere ottenuto un monitoraggio cardiaco continuo per individuare precocemente eventua- li aritmie /o stati di shock. In un paziente con sin- tomi moderati-severi data l’importante vasodilata- zione sistemica con conseguente aumento dello spazio intravascolare, occorre praticare un’infusio- ne continua di soluzioni isotoniche saline fino al- l’utilizzo, se necessario, di cristalloidi e vasopres- sori. Monitorizzare con attenzione l’eventuale in- sorgenza di edema polmonare non cardiogeno. 4. Disability Il paziente deve essere rivalutato periodicamente dal punto di vista neurologico e trattato con lora- zepam o diazepam qualora presenti stati convul- sivi, nonostante un’adeguata ossigenazione e nor- mali livelli glicemici ematici. 5. Exposure Svestire il paziente e lavare le zone cutanee espo- ste eseguendo un’accurata decontaminazione cu- tanea. Il protocollo AHLS (Advanced Hazmat Life Support) propone poi un protocollo di decontaminazione che si avvale delle specifiche tappe terapeutiche a segui- to riportate3: 1. Decontaminazione respiratoria Rimuovere il paziente dalla fonte di esposizione tossica e ventilarlo con alti flussi di ossigeno (ma- schera reservoir 100% 12l/min), che decresce l’as- sorbimento del gas. 2. Decontaminazione cutanea La decontaminazione cutanea avviene tramite ri- mozione di tutti gli indumenti contaminati, spo- gliando completamente il paziente, togliendo an- che scarpe e gioielli. Successivamente deve avve- nire, come già precedentemente accennato, il la- vaggio delle zone cutanee esposte alla sostanze, per almeno 15 minuti, con abbondanti quantità di acqua o blandi detergenti liquidi. Particolare at- tenzione va riservata ad attuare un’accurata de- tersione di tutte le pieghe cutanee, ascelle, area ge- nitale e piedi. I vestiti e gli oggetti contaminati del paziente devono poi essere raccolti ed eliminati in appositi contenitori per materiale contaminato. 3. Decontaminazione oculare L’anilina è una base corrosiva ed è responsabile quindi di un’estrema irritazione a livello oculare. Gli occhi devono essere quindi irrigati, in caso di contatto diretto della sostanza, con molta acqua o soluzione salina sterile, anche durante il traspor- to del paziente in ospedale e, se ciò non fosse pos- sibile, attuata sulla scena per almeno 20 minuti. In alcuni casi è menzionato anche l’uso delle len- ti di Morgan, associato a un anestetico locale, che fa- cilitano la decontaminazione oculare. L’endpoint è ri- portare il PH del sacco congiuntivale intorno a 7. L’antidoto Blu di Metilene serve come cofattore per la metaemoglobina-reduttasi NADPH-dipendente, permettendo una più rapida riduzione del ferro fer- rico (Fe+++) a ferro ferroso (Fe++) presente nella nor- male emoglobina. Risulta, quindi, inefficace nel caso di presenza di emoglobina M, sulfiemoglobinemia, deficit di metaemoglobina reduttasi NADPH-dipen- dente3,10. Non è necessaria la somministrazione nei casi che presentino bassa percentuale di metaemoglobinemia, in quanto essa viene normalmente ridotta dalla me- taemoglobina reduttasi fisiologica alla velocità del 15% in 1 ora. Nei casi in cui ci sia un elevato valore di metaemoglo- bina (> o uguale a 30 %) e/o si associno segni e/o sin- tomi di ipossia cardiaca o cerebrale (dispnea, dolore toracico, cianosi, acidosi metabolica, tachicardia, ta- chipnea, variazioni ECGgrafiche, agitazione, confu- sione, convulsioni, coma) il Blu di Metilene deve es- sere somministrato, anche in età pediatrica, alla dose di 1-2mg/kg iv in soluzione all’1%, lentamente (> 5 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. tossicologia e NBCR 40 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it TAB. 5 Blu di Metilene NOME COMMERCIALE prodotto galenico FORMA FARMACEUTICA fl 10 ml all’1% per uso parenterale (100 mg/10 ml) INDICAZIONI sostanze metaemoglobinizzanti SOMMINISTRAZIONE per ev 1-2 mg/kg (0,1 ml di soluzione all’ 1%/kg) in infusione lenta CONSERVAZIONE armadio, ben chiuso e al riparo dalla luce REGISTRAZIONE Italia DOSE UTILE 1 fiala per paziente URGENZA entro 30 minuti Nota: il Blu di Metilene è controindicato nei pazienti in carenza di glucosio 6-fosfato deidrogenasi poiché provoca emolisi; in alternativa sommini- strare acido ascorbico 1g iv lenta o 200 mg per os 3 volte/die. min) o in soluzione, in quanto doloroso. La sommi- nistrazione è ripetibile dopo 30-60 minuti, se i sin- tomi persistono. Se non vi è risposta dopo due dosi non bisogna ul- teriormente ripeterlo ma considerare l’esistenza di deficit di G6PDH o di metaemoglobina reduttasi (Tabella 5). Controindicazioni relative al suo utilizzo sono: noto deficit di metaemoglobina reduttasi; mancanza di in- dicazioni (ovvero presenza di cianosi, ma assenza di distress cardiorespiratorio e metaemoglobina < 30%), severa insufficienza renale, trattamento di una me- taemoglobinemia terapeutica indotta da nitriti per trattare un’intossicazione da cianidi o composti cia- nogeni. Controindicazioni assolute sono invece: deficit di G6PDH (per rischio di emolisi letale!) e allergia. Da ricordare la possibilità di insorgenza di effetti col- laterali avversi quali: nausea, vomito, cefalea, urine di colore blu-verdastro, metaemoglobina (se dato ad al- te dosi > 7mg/kg o somministrato troppo velocemen- te) ed emolisi (se dato a dosi normali ma in paziente con deficit di G6PDH o a dosi > 15mg/kg in pazien- ti con normale G6PDH)3,10. Bibliografia 1. Brent J et al. Clinical Care Toxicology Diagnosis and Management of the Critically Poisoned Patients, Elsevier Mosby, S. Louis, 2003. 2. Conroy JM, Baker JD III, Martin WJ, Bailey MK, Dorman BH. Ac- quired methemoglobinemia from multiple oxidants. South Med J 1993; 86 (10): 1156-59. 3. Walter FG. Advanced Hazmat Life Support Provider Manual (3th Ed.) Ed. University of Arizona, 2003. 4. Griffin JP. Methaemoglobinaemia. Adverse Drug React Toxicol Rev 1997; 16 (1): 45-63. 5. Philips DM, Gradisek R et al. Methemoglobinemia secondary to aniline exposure. Annals of Emergency Medicine 1990; 19: 425-429. 6. Harbison RM. Hamilton and Hardy’s Industrial Toxicology (5th ed) Mosby, St.Louis, 1998. 7. Proctor NH, Hughes JP, Fischman ML. Chemical Hazards of the Wor- kplace, JB Lippincott Co, Philadelphia (2th ed), 1988. 8. Gosselin RE, Smith RP, Hodge HC. Clinical Toxicology of Commercial Products, Williams & Wilkins, Baltimore, 1984, pp. 31-36. 9. Wilburn-Goo D, Lloyd LM. When patients become cyanotic: acquired methemoglobinemia JADA, 1999; 130, 831. 10. Flomenbaum NE et al.Goldfrank’s Toxicology Emergencies, McGraw- Hill, New York, 2006. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. tossicologia e NBCR 41 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it ABSTRACT A 20-year-old healthy and apparently eupnoic man was admit- ted into our hospital because of a strong headache; we noticed ta- chycardia, tachypnea and decreased O2 saturation. A methemo- globin level of 29,5% was determined in the arterial blood. So- me time before, a very old tank of ink had accidentally spilled over his working suit. The toxic agent was identified as aniline, a systemic asphyxiant that is well absorbed through the skin, causing systemic toxicity. The effects of skin absorption can be de- layed for several hours. Most adverse health effects of aniline are due to the formation of methemoglobinemia, a disorder cha- racterized by a form of hemoglobin that does not bind oxygen and impairs oxygen transport capacity. When its concentration is elevated in red blood cells a functional anemia and tissue hy- poxia may occur. Organs with high oxygen demands (i.e. CNS, cardiovascular system, etc.) are usually the first to show toxic effects. The severity of methemoglobinemia symptoms is related to the amount of methemoglobin present in blood and range from a bluish discoloration of the skin and mucous membrane to weakness, seizures, difficulty in breathing, dysrhythmias, acido- sis, cardiac or neurologic ischemia. Treatment is determined by symptoms. The first step of therapy is to remove patient from the source of exposure and ensure adequate skin and eye decon- tamination. It is necessary to ensure adequate ventilation with 100% O2, too. Methylene blue is the first-line antidotal agent. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. revisioni dalla letteratura e dal web 42 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it 42 Nuovi approcci alla gestione del TIA in Pronto Soccorso L’attacco ischemico transitorio precede circa un quarto degli stroke completi e può quindi consenti- re ai medici l’opportunità di evitare l’evoluzione ver- so un evento catastrofico. Gli Autori di questo lavo- ro, del Dipartimento di Neurologia e Stroke Unit di un importante ospedale universitario parigino, han- no voluto valutare il ruolo di una “TIA clinic” nella gestione di questi pazienti. Si tratta di una struttura aperta 24/24h che fornisce una valutazione standar- dizzata del paziente con TIA (visita del neurologo va- scolare, TAC o MRI; ecodoppler dei tronchi sovra- ortici, ECG e profilo biochimico, inclusi i lipidi en- tro 4 ore dall’accesso ed eventuale ecocardiogram- ma transtoracico o transesofageo) e inizia un pro- gramma completo di prevenzione dell’ictus (ASA 300-500 mg, indicazioni sul controllo pressorio e li- pidico, astensione dal fumo, eparina a basso peso molecolare nei pazienti con fibrillazione atriale, riva- scolarizzazione carotidea in presenza di stenosi di al- to grado). Più di mille pazienti sono stati trattati nel- la TIA clinic e quindi sottoposti a un follow up a 90 gg e a 1 anno. I risultati sono interessanti: il 74% è stato dimesso in giornata, il 26% rimanente è stato ammesso a una Stroke Unit. Complessivamente il tas- so di stroke a 3 mesi era dell’1,24 % (contro il 5,9 % previsto). Pertanto gli Autori concludono che questo approccio ai pazienti con TIA può ridurre in modo importante il tempo di ricovero e il rischio di svi- luppare uno stroke. Lavallée Ph. A transient ischaemic attack clinic with round-the-clock access (SOS-TIA): feasibility and effects. Lancet Neurology 2007; 6: 953-960. Kennedy J et al. Fast assessment of stroke and transient ischaemic attack to prevent early recurrence (FASTER): a randomised controlled pilot trial. Lancet Neurology 2007; 6: 961-969. Studiare i carichi di lavoro dei medici di Pronto Soccorso È esperienza di ogni medico di Pronto Soccorso che la distribuzione del carico di lavoro nei diversi turni che si succedono nel corso delle 24 ore non sia omo- genea. Malgrado gli eventuali sforzi per ridurre la pressione nei periodi più critici vi sono delle ore par- ticolarmente “calde”, a causa di un aumento delle persone in attesa, delle persone “in cura” e di quelle che sono in attesa di essere ricoverate ma stazionano in PS per mancanza di posto letto. Gli Autori di que- sto lavoro hanno voluto quantificare l’entità del cari- co di lavoro (espresso come numero di pazienti in ca- rico contemporaneamente a un medico) in un PS universitario di un Trauma Center degli Stati Uniti e verificare inoltre come gli orari del cambio turno pos- sono incidere sulla distribuzione dei carichi nell’am- bito dell’équipe. Per fare questo hanno analizzato il carico di lavoro nei diversi turni, evidenziando un pattern di distribuzione del carico nelle 24 ore con un picco tra le 14.00 e le 19.00: inoltre i medici (in par- ticolare gli specializzandi) che iniziavano il turno a ri- dosso del periodo caldo erano i più a rischio di over- load (oltre 9 pazienti per medico) rispetto anche a chi era presente in quegli orari ma a fine turno. Gli Au- tori suggeriscono alcune ipotesi per spiegare questa dinamica e possibili soluzioni per evitare una situa- zione potenzialmente a rischio di errori per l’incre- mento dello stress sui singoli medici. Infine conclu- dono che una miglior comprensione dei meccanismi che regolano il microambiente in cui opera un team di emergenza è essenziale per gestire in sicurezza il sovraccarico di lavoro in PS. Commento. Leggendo questo lavoro si coglie il diver- so setting in cui è organizzata la realtà di questo PS americano rispetto alla nostra: una massiccia presen- za di specializzandi (da 3 a 5 per turno insieme a 2-3 attending physician nei turni più caldi, per un Trauma Center universitario con un volume annuale di circa 40.000 passaggi). Tuttavia l’idea nuova di studiare nei dettagli i meccanismi in cui si muove il mondo “rea- Dalla letteratura e dal web Christian Bracco, Remo Melchio AO S. Croce e Carle, Cuneo Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. revisioni dalla letteratura e dal web 43 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it 43 le” del PS è estremamente interessante e senz’altro non può che innescare un processo di miglioramento del- la qualità del servizio erogato basata sulla conoscenza approfondita dell’effettivo lavoro svolto. Levin S. Shifting Toward Balance: Measuring the Distribution of Workload Among Emergency Physician Teams. Ann Emerg Med 2007; 50: 419-423. Il danno polmonare acuto da trasfusione Il danno polmonare acuto da trasfusione (TRALI) è una complicanza potenzialmente fulminante della trasfusione di sangue, descritta per la prima volta nel 1983 e caratterizzata da distress respiratorio acuto. I sintomi di solito compaiono entro sei ore da una tra- sfusione di sangue; contrariamente alla maggior par- te dei pazienti con ARDS di solito si osserva un mi- glioramento entro 48 ore ed i pazienti in genere gua- riscono completamente. La reale incidenza di tale complicanza non risulta attendibile per la verosimile sottostima legata a un basso indice di sospetto dia- gnostico. In effetti la diagnosi si fonda essenzialmen- te sull’esclusione di cause alternative di distress respi- ratorio, quali la sepsi, il sovraccarico di volume e la disfunzione cardiaca acuta. Nella patogenesi sembrano implicati un substrato proinfiammatorio intrinseco al ricevente, correlato alla patologia di base e l’attività lesiva dei leucociti neutrofi- li o degli anticorpi HLA del donatore che fungerebbero da elemento di innesco. Una diagnosi accurata permet- te di escludere un trattamento inappropriato con diure- tici che spesso compromette la stabilità emodinamica dei pazienti con TRALI, spesso normotesi o ipotesi. Nello studio in questione sono stati osservati prospet- ticamente, in due anni, oltre 900 soggetti sottoposti a procedure trasfusive, ricoverati per patologia acuta in setting intensivistico. Una complicanza compatibi- le con la definizione di TRALI è stata osservata in cir- ca l’8% dei casi; è quindi stato condotto un confron- to tra i soggetti con TRALI vs i soggetti che non ave- vano sviluppato tale complicanza al fine di identifica- re la presenza di condizioni predisponenti. L’analisi dei due gruppi di confronto, peraltro caratte- rizzati da dati antropometrici e caratteristiche cliniche di gravità di malattia omogenei, poneva in evidenza co- me i soggetti che sviluppavano una TRALI risultavano più frequentemente affetti da sepsi e più frequente- mente presentavano in anamnesi una storia di alcoli- smo. La valutazione dei parametri correlati al donato- re, poneva in evidenza come le situazioni di TRALI fos- sero prevalentemente associate alla trasfusione di com- ponenti da donatrici di sesso femminile, multipare. Tale lavoro pone in evidenza come la TRALI si corre- li verosimilmente a specifici fattori predisponenti sia connessi al ricevente, sia al donatore; una corretta va- lutazione pretrasfusionale delle caratteristiche sia del ricevente sia degli emocomponenti può probabil- mente ridurre l’insorgenza di una complicanza che peraltro ad oggi risulta la principale causa di morte correlata a procedure emotrasfusive. Gajic O et al. Transfusion-related Acute Lung Injury in the Critically Ill Prospective Nested Case-Control Study. Am J Respir Crit Care Med 2007; 176; 886-891. Tezosentan nello scompenso cardiaco acuto Le endoteline sono peptidi dotati di spiccata attività vasocostrittrice, il cui incremento in corso di scom- penso cardiaco acuto può risultare emodinamicamen- te svantaggioso. Si è altresì osservata una prognosi più sfavorevole nei soggetti affetti da scompenso cardiaco e con elevati livelli ematici di endoteline circolanti. Il tezosentan rappresenta un antagonista non selettivo a breve emivita del sistema endotelinico (ET1-ET2), in grado di ridurre le resistenze vascolari sistemiche e la pressione di incuneamento polmonare, determi- nando un incremento dell’eiezione ventricolare. Lo studio VERITAS (Value of Endothelin Receptor Inhi- bition With Tezosentan in Acute Heart Failure Studies) ha arruolato da aprile 2003 e gennaio 2005 oltre 1.400 pazienti afferiti per quadro compatibile con scompenso cardiaco acuto in 110 centri europei e nordamericani. Lo studio è costituito da due bracci (VERITAS 1 e VERITAS 2) in cui i soggetti sono stati randomizzati a trattamento con tezosentan ev versus trattamento standard, considerando quali indici di outcome una modificazione della sintomatologia dispno- ica e il decesso a 24 ore e a una settimana. Pur eviden- ziandosi una modificazione vantaggiosa nei para- metri emodinamici del limitato gruppo di pazienti sottoposti a monitoraggio invasivo, non si evidenzia- vano vantaggi significativi in termini di modifi- cazione sintomatologia e/o mortalità nei soggetti trat- tati con l’agente antiendotelinico versus trattamento standard. Possiamo quindi considerare come a oggi non esista- no evidenze che supportino l’introduzione del tezo- sentan nei protocolli di gestione dello scompenso cardiaco acuto. Effects of Tezosentan on Symptoms and Clinical Outcomes in Patients With Acute Heart Failure The VERITAS Randomized Controlled Trials. JAMA 2007; 298. Indice annata 2007 EDITORIALE n. 1 Ippocrate, la τε′χνη, l’individuo e l’istituzione Massimo Pesenti Campagnoni n. 2 Porte girevoli. Quando il Pronto Soccorso è, per molti, il principale riferimento per i bisogni di salute Ivo Casagranda n. 3 Parlando di “appropriatezza” Primiano Iannone, Tiziano Lenzi n. 4 L’emogasanalisi: un’indagine affascinante in continua evoluzione Mario Tarantino n. 5 Etica e contraccezione d’emergenza Franco Tosato n. 6 Ruolo del Pronto Soccorso nell’individuare gli esordi psicotici e gli stati mentali a rischio Daniele Ebbli, Panfilo Ciancaglini CLINICA E TERAPIA n. 1 L’endocardite batterica: approccio diagnostico e terapeutico in Medicina d’Urgenza Rita Previati n. 2 L’asma acuto bronchiale Susanna Ramuscello, Valeria Tombini, Emanuela Perucchini, Daniele Coen n. 3 La disidratazione nell’adulto e nell’anziano Ivo Casagranda, Elena Vitale, Eliana Giuffré, Dalio Cecconi Cefalea, sindrome di Horner e ischemia cerebrale: triade patognomica Fulvio Pomero, Luca Dutto, Christian Bracco, Paola Cena, Remo Melchio, Luigi M. Fenoglio Un caso comune di ematemesi in Pronto Soccorso da una causa rara di sanguinamento gastroenterico: la lesione di Dieulafoy Emilio Mosconi n. 4 La cefalea in Pronto Soccorso Pietro Cortelli, Marco Aguggia Trombosi venosa mesenterica: approccio terapeutico multidisciplinare Stefano Pieri, Paolo Agresti, Gianluca Monaco, Laura Conversano, Emanuela Oliviero, Gianluca Liotta, Giovanni Maria Colombo n. 5 Un giovane paziente con crisi ipertensive: quando l’anamnesi è “bugiarda” Giuseppe Aiosa, Dalio Cecconi, Eliana Giuffré, Sara Ferrillo Una strana orticaria Olivo Bertolo, Piero Risucci, Cristina Pollet, Antonio Secchi HELLP Syndrome. Descrizione di un caso e revisione della letteratura Antonio Villa, Olivia Milani, Elisabetta Fabris, Francesca Perego, Carola Fabbri, Donatella Rodegher n. 6 La sindrome di Wellens Franco Lai, Alessio Baldini, Gloria Trombaccia, Marco Becheri Valutazione clinica focalizzata del paziente con alterazioni del comportamento in Pronto Soccorso Daniele Coen La trombolisi nello stroke ischemico acuto: dove e quando? Giuseppe Micieli, Simona Marcheselli, Stefano Ottolini, Salvatore Badalamenti ORGANIZZAZIONE E FORMAZIONE n. 1 Presto e bene... Indagine sulla soddisfazione degli utenti dei codici bianchi del PS Enrico Baldantoni, Daniela Chiusole, Ivo Fauri, Franca Refatti, Marco Scillieri, Pierluigi Torboli n. 3 Il servizio sociale in DEA: esperienza dell’Ospedale Mauriziano di Torino Daniela Pons, Iolanda Vigna, Nadia Veronese, Pier Carla Carillo, Paola Malvasio, Liliana Pala, Aldo Soragna Sim baby: costosa play station o training alla cultura dell’errore in emergenza pediatrica? Fabio Pederzini, Gerson Conrad, Georg Rammlmaier, Marco Comploi, Andrea Pettenazzo, Cesare Bruno Turni di lavoro in Medicina d’Urgenza Roberto Recupero, Laura Nardi n. 4 Percorso clinico assistenziale in emergenza dell’IMA con sopraslivellamento del tratto ST Tiziano Lenzi, Nicola Parenti, Cesare Antenucci, Mauro Metalli n. 6 L’etica protestante nella formazione del medico e dell’infermiere di Pronto Soccorso. Alcuni apprendimenti e considerazioni prima e dopo un corso di formazione Massimo Pesenti Campagnoni, Eusebio Balocco TOSSICOLOGIA E NBCR n. 1 La microbiologia forense e il pericolo del bioterrorismo (1a parte) Maria Nasso, Francesco Saverio Romolo n. 2 La microbiologia forense e il pericolo del bioterrorismo (2a parte) Maria Nasso, Francesco Saverio Romolo n. 6 Intossicazione da asfissianti sistemici: anilina Marta M. Cravino, Davide Lonati, Paola Peretti, Indice annata Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 44 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 45 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V I • D ic em br e 20 07 • w w w .e cj .it Indice annata Pier Giorgio Raimondo, Carlo Locatelli, Mauro F. Frascisco RICERCA n. 4 La clearence del lattato nelle emergenze cardiorespiratorie Serena Greco, Giovanna Guiotto, Antonino Maffei, Stefania Martino, Giuseppe Romano, Fernando Schiraldi ASSISTENZA INFERMIERISTICA n. 1 L’infermiere di triage nella gestione precoce del dolore acuto in Pronto Soccorso Patrizia Palermo, Anna Fagiani, Giorgio Bottino, Linda Crocco, Angela Luparia n. 6 Ecografia infermieristica nel cateterismo vescicale Luca Romei, Antonietta Sabatini, Catia Biagioni MEDICINA DI LABORATORIO E TRASFUSIONALE n. 4 La storia dell’equilibrio acido-base (1a parte) Mario Tarantino n. 5 La pielonefrite acuta in DEA Giovanni Volpicelli, Marta M. Cravino, Anna M. De Leo, Mauro F. Frascisco La storia dell’equilibrio acido-base (2a parte) Mario Tarantino ETICA E BIOETICA n. 1 Diverse posizioni bioetiche in tema di contraccezione d’urgenza Marco Bo REVISIONI DALLA LETTERATURA E DAL WEB n. 1 Dalla letteratura e dal web Remo Melchio, Gianpiero Martini n. 2 Dalla letteratura e dal web Remo Melchio, Sara Ferrillo, Christian Bracco n. 3 Dalla letteratura e dal web Remo Melchio, Sara Ferrillo, Christian Bracco n. 4 Dalla letteratura e dal web Remo Melchio, Christian Bracco n. 5 Dalla letteratura e dal web Stefano Leccardi, Christian Bracco, Luca Dutto, Remo Melchio n. 6 Dalla letteratura e dal web Christian Bracco, Remo Melchio EMERGENCY CARE JOURNAL Organizzazione, Clinica, Ricerca Clinica e terapia La clinica in Medicina d�Urgenza da un punto di vista sia generale sia specialistico. Gli argomenti interessano tutte le aree specialistiche e argomenti di grande utilit� (es. alterazioni dell’equilibrio acido-base, malattie da cause ambientali�). Organizzazione e formazione Argomenti di carattere organizzativo che riguardano il personale, le strutture, i rapporti tra colleghi e con i pazienti. In questa sezione sono ospitate anche esperienze formative medico-infermieristiche. Tossicologia e NBCR Dai casi clinici, all�uso degli antidoti, alle tecniche di decontaminazione. Sono trattate anche le problematiche NBCR, in particolare quelle chimiche legate al rischio industriale e terroristico. Architettura, tecnologia impiantistica e progettazione Saranno riportate e descritte soluzioni architettoniche impiantistiche gi� adottate nelle diverse realt� o proposti dei progetti in via di esecuzione o da rendere esecutivi. Ricerca La rubrica nasce per stimolare la ricerca in campo dell�Urgenza, dando l�opportunit� agli Autori di pubblicare i propri lavori. Sono pubblicate le ricerche cliniche originali sia di carattere medico sia infermieristico. Diagnostica per immagini, radiologia interventistica e medicina nucleare Considerando l�importanza sempre maggiore di questi strumenti nel percorso diagnostico in Medicina d’Urgenza, la sezione � stata inserita per implementarne la conoscenza, favorendo anche lo scambio continuo tra medico d�Urgenza e radiologi. Medicina di laboratorio e trasfusionale Per cercare di comprendere quale ausilio pu� dare l’uso appropriato gli esami di laboratorio, oltre al ruolo che possono avere i test che si stanno affacciando all�orizzonte della Medicina di laboratorio. Clinical Governance Questa espressione comprende alcuni argomenti di notevole peso: la medicina basata sulle prove di efficacia (EBM), la verifica e revisione della qualit� delle cure e dell�assistenza (VRQ), la valutazione delle tecnologie (Technology Assessment) e la gestione del rischio. Emergenza territoriale e medicina delle grandi emergenze L�emergenza territoriale nelle condizioni sia abituali sia eccezionali come gli eventi catastrofici, con contributi che provengono direttamente dal mondo della protezione civile. Medicina legale L�argomento � trattato il pi� possibile in termini positivi, cercando di non accentuare l�atteggiamento difensivista. Etica e Bioetica Numerose sono ormai le discipline interessate ai e dai problemi di tipo etico e bioetico e molti sono gli argomenti che affronteremo nella forma pi� laica possibile. Assistenza infermieristica Uno spazio dedicato alle esperienze infermieristiche nel campo dell�emergenza- urgenza ospedaliera e del territorio, campo in cui l�apporto degli infermieri � sempre stato di rilievo assoluto. Informatizzazione, telemedicina e nuove tecnologie di comunicazione Una porta sul futuro per cercare di vedere cosa succeder� nel campo della comunicazione, della tr asmissione dei dati e delle informazioni. Revisioni dalla letteratura e dal web Sezione dove vengono presentati in forma concisa e commentata i lavori di interesse per il Medico d�Urgenza che compaiono su riviste prestigiose o sul web. Incontro con i Lettori Rubrica a completa disposizione dei Lettori, per commentare ci� che � scritto, porre critiche e proporre suggerimenti. ABBONAMENTO 2008 Carta + online € 65,00 Solo online € 60,00 Sono previsti sconti e condizioni favorevoli per abbonamenti multipli superiori a 10 o per versioni solo online superiori a 50. Per informazioni si prega di contattare il nostro Ser vizio Assistenza Clienti. Con il 2008 Emergency Care Journal entra nel suo terzo anno di vita. Abbiamo dato voce a preziose esperienze e problematiche clinico-organizzativo attraverso l’elevato il numero e la variet� delle rubriche. Le 15 rubriche rappresentano altrettanti argomenti e momenti di dibattito che costituiscono l�essenza della Medicina d�Urgenza. Emergency Care Journal � testimone del percorso che giorno dopo giorno � compiuto nelle diverse realt�, anche nella pi� piccola, riuscendo a essere uno strumento di confronto sui problemi che interessano la Medicina d�Urgenza. Crediamo nell�importanza del contributo dei Lettori nella diffusione della rivista perch� diventi sempre pi� forte nella sua indipendenza e scientificit�. Le rubriche Come abbonarsi TELEFONO lun-ven 9.00-12.30/13.30-17.30 011.33.85.07 SITO INTERNET www.cgems.it 011.38.52.750 FAX cgems.clienti@cgems.it E-MAIL CEDOLA LIBRARIA compilare e spedire a C.P. 3232 via Marsigli, 10141 Torino INDIRIZZO via C. Viberti, 7 - 10141 Torino Dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 17.30