Caso clinico n. 1 È un tardo pomeriggio di fine novembre e il sig. S.M., di anni 61, giunge al nostro Pronto Soccorso condotto dal 118. Sul foglio di accompagnamento redatto dal medico curante che ha visitato il paziente al domicilio si legge: «Invio urgente in PS per accertamenti in me- rito a febbre, cefalea nucale, alterazione dello stato di coscienza». Al triage viene assegnato al paziente un co- dice giallo, gli viene posizionata una mascherina e vie- ne condotto in isolamento nel sospetto di meningite. All’esame obiettivo il paziente si presenta vigile, col- laborante ma un po’ rallentato nelle risposte che ap- paiono del tutto inadeguate. Il paziente appare diso- rientato a livello spazio/temporale e non è in grado di eseguire ordini semplici. La temperatura è di 38 °C. La frequenza cardiaca è di 120 bpm, la pressione 120/70 mmHg. Non sono presenti rigor né segni di lato. Dalla moglie si evince che il paziente ha sempre go- duto di buona salute. È in terapia esclusivamente per ipertensione con enalapril. Circa 5 giorni prima ha manifestato un episodio di vomito e in seguito è com- parsa iperpiressia. Anche altri membri della famiglia (la moglie stessa, la figlia e la nipotina di 5 anni) han- no avuto manifestazioni analoghe circa una settima- na fa. L’iperpiressia si è risolta nel volgere di 48 ore in tutti i membri della famiglia ma non nel nostro pa- ziente, che ha continuato a manifestare febbre com- presa fra 37 e 38 °C per tutta la settimana. Da due giorni è poi comparsa cefalea e dalla mattinata confu- sione e rallentamento ideo-motorio. Il paziente viene prelevato per esami ematochimici e viene contattato il neurologo per la puntura lomba- re. Nel frattempo si avvia il paziente all’esecuzione della TC encefalo. Apparentemente ci troviamo di fronte a un paziente settico ma dalla TC è arrivata una sorpresa: si evi- denzia infatti una lesione emorragica con varie fasi di sanguinamento in sede frontale, invasione emati- ca dei ventricoli e iniziale effetto massa. Il paziente viene quindi ricoverato in neurochirurgia e sottopo- sto a intervento chirurgico. Caso clinico n. 2 Sono le quattro di una fredda notte invernale e da un piccolo Pronto Soccorso di provincia inviano presso il nostro Pronto Soccorso una paziente di 80 anni che nella giornata precedente era stata condotta da loro per iperpiressia. Durante l’osservazione la paziente aveva manifestato progressivo scadimento delle con- dizioni generali fino a sviluppare ipotensione marca- ta e franco sopore. La paziente viene inviata presso di noi per esecuzione di una rachicentesi nel sospet- to di meningite. All’arrivo in PS la paziente si presenta incosciente, scarsamente responsiva allo stimolo doloroso. I pa- rametri sono i seguenti: temperatura 39 °C, frequen- za cardiaca 125 bpm, pressione arteriosa 60/40. Non è presente rigor nucale. All’esame obiettivo non com- pare nulla di significativo. È difficile comprendere se si tratti di un’alterazione dello stato di coscienza se- condaria all’ipotensione o se si tratti di un quadro di Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 14 emergency care journal La sepsi Valeria Tombini, Sonja Lamberti, Maurizio Bottiroli, Daniele Coen Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it SINTESI La sepsi è una sindrome complessa, difficile da definire, diagno- sticare e trattare. Il termine definisce un insieme di condizioni cli- niche causate dalla risposta sistemica dell’organismo a un’infe- zione, che possono causare la disfunzione di uno o più organi (sepsi severa) e condurre alla morte. Molto più spesso di quanto si possa immaginare, i medici di Pronto Soccorso si trovano a dover diagnosticare e gestire pazienti che presentano forme più o meno gravi di sepsi. Negli ultimi anni, come già era accaduto per l’infarto miocardico e per l’ictus, si è riconosciuta l’importan- za di un trattamento precoce anche per i pazienti con sepsi se- vera e shock settico e si è documentato che il raggiungimento di precisi obiettivi emodinamici ne può influenzare positivamente la prognosi. In questo lavoro vengono descritti i recenti avanzamen- ti relativi a patogenesi, diagnosi e terapia della sepsi severa e del- lo shock settico, in particolare per quanto riguarda le innovazio- ni nell’ambito della terapia acuta e subacuta alla luce delle re- centi linee guida promulgate nell’ambito del progetto collabora- tivo della Surviving Sepsis Campaign. shock sviluppatosi a partire da una meningite. Pur propendendo per la prima ipotesi si stabilisce, in ac- cordo con il neurologo, di eseguire rachicentesi al fi- ne di escludere l’ipotesi della meningite. La paziente viene sottoposta a prelievo di sangue per gli esami ematochimici, emocolture, urinocolture, Rx torace e addome e inizia un fluid challenge con colloidi. Ven- gono inoltre somministrati 2 g di ceftriaxone ev. La pressione non è responsiva al solo reintegro volemi- co per cui viene intrapresa terapia con noradrenalina ev previo posizionamento di un CVC in vena giugu- lare interna destra. Agli esami di laboratorio si evidenzia una leucocitosi marcata, innalzamento degli indici di flogosi, un’in- sufficienza renale oltre a un quadro di DIC conclama- ta. Vengono pertanto richieste due sacche di PFC. Alle 8 di mattina la paziente appare clinicamente sta- bile con una PAM superiore a 65 mmHg e una diu- resi adeguata. L’esame del liquor è risultato negativo così come sono risultati negativi gli esiti di Rx torace e addome. Da dove si è originato il quadro di sepsi conclamata? La paziente viene sottoposta a indagine ecografica addominale che permette di evidenziare una raccolta ascessuale perirenale responsabile del quadro clinico. Tale raccolta viene immediatamente sottoposta a drenaggio percutaneo prima del ricove- ro della paziente. Qual è il quadro epidemiologico della sepsi? L’incidenza della sepsi è in aumento, soprattutto le forme nosocomiali, e questa condizione resta ancora oggi una patologia a elevata mortalità e sostanziale consumo di risorse sanitarie. Nonostante l’avvento di strategie terapeutiche innovative e un vasto corpo di conoscenze correlate alla fisiopatologia di questo disordine, la mortalità per sepsi è rimasta sostanzial- mente stabile nei trials clinici condotti sin dalla fine degli anni Settanta. L’assenza di miglioramenti in ter- mini di sopravvivenza registrata negli ultimi 20 anni può essere in parte spiegata dal fatto che gli avanza- menti terapeutici sono stati controbilanciati dall’au- mentata frequenza di comorbidità significative1 e dal- l’ampio utilizzo di antibiotici capaci di indurre lo svi- luppo di microrganismi resistenti. Ogni anno muo- iono fino a 135.000 europei e 215.000 americani, con una percentuale di mortalità a un mese dalla dia- gnosi che varia fra il 30% e il 50% per la sepsi seve- ra e fra il 50% e il 60% per lo shock settico. Quotidia- namente nel mondo muoiono, a causa della sepsi, 1400 persone. La sepsi e le sue complicanze sono quindi responsabili di tanti morti quanto l’infarto miocardico acuto (9,3% della mortalità totale) o i car- cinomi mammario e polmonare. I reparti più interessati dalle forme severe di sepsi so- no sicuramente le terapie intensive, ove addirittura il 25% della mortalità dei pazienti è da ascrivere a ta- le condizione. Questo rappresenta un grave problema non solo dal punto di vista sanitario, ma anche dal punto di vista economico, date le ingenti risorse in- vestite ogni anno per la cura di questi pazienti. Negli Stati Uniti si è calcolato che la cura di un solo pa- ziente settico possa costare circa 50.000 dollari, con un costo globale vicino agli 11 milioni di dollari ogni anno; in Europa la spesa annua si aggira sui 7 milio- ni di euro. L’invecchiamento della popolazione ge- nerale e lo sviluppo di nuovi farmaci e tecnologie in ambito oncologico e nel campo delle insufficienze re- nali e cardiache terminali2-4 fanno prevedere un ul- teriore incremento delle sepsi per gli anni a venire. Che cos’è la sepsi La sepsi è una sindrome clinica che complica le infe- zioni severe ed è caratterizzata da infiammazione si- stemica e danno tissutale esteso. In questa sindrome tessuti lontani dal sito d’infezione originario esprimo- no i segni cardinali dell’infiammazione, inclusi la va- sodilatazione, l’aumentata permeabilità microvasco- lare e l’accumulo di leucociti. Nonostante l’infiammazione sia una risposta essen- ziale dell’ospite, attualmente si ritiene che l’innesco e la progressione della sepsi siano legati a un rilascio incontrollato e massivo di mediatori pro-infiammato- ri capaci di attivare una catena di eventi che portano al danno tissutale diffuso5. Danni tissutali secondari all’attivazione del sistema infiammatorio possono complicare anche disordini non infettivi (pancreatite acuta, sindrome da riperfu- sione), in questi casi viene utilizzato il termine SIRS6. La alterata risposta infiammatoria (SIRS o sepsi), e non tanto la malattia di base, è la principale responsabile della sindrome da disfunzione multiorgano (MODS), causa dell’elevata mortalità associata a queste patolo- gie7. La Figura 1 riassume in modo schematico i con- cetti qui sopra delineati. Una serie di eventi patogenetici, che coinvolgono l’at- tivazione di monoliti e macrofagi, è responsabile del- l’evoluzione da sepsi a sepsi severa/shock settico. Inizialmente si ha un’attivazione cellulare di neutro- fili, monociti, macrofagi, che interagiscono con le cel- lule endoteliali attraverso numerosi recettori. Si ha inoltre la mobilizzazione di numerose sostanze del plasma quali citochine, come il TNF, interleuchine, proteasi, leucotrieni, chinine, ossido nitrico (NO) e fattore di attivazione piastrinica (PAF). L’attivazione del complemento e della cascata coagulativa concor- re ad ampliare questa elaborata catena di eventi8,9. Uno dei più importanti eventi responsabili di morbi- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 15 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it lità e mortalità nei pazienti con sepsi è lo sviluppo di un’insufficienza cardiovascolare con conseguente ipos- sia tissutale globale. Quest’ultima deriva da mecca- nismi multipli che includono ridotto precarico, di- sfunzioni della vasoregolazione, depressione miocar- dica, aumento della domanda metabolica e ridotto utilizzo dell’ossigeno tissutale legato a disfunzioni microcircolatorie e ipossia citopatica10,11. L’ipotensione arteriosa è l’espressione più severa della disfunzione circolatoria. Si ritiene che l’ossido nitrico (NO) giochi un ruolo centrale nella vasodilatazione che accompagna lo shock settico12. Un potenziale fattore che contribui- sce a sostenere la vasodilatazione è un’inadeguata se- crezione compensatoria dell’ormone antidiuretico (vasopressina)13-15. Nella circolazione regionale, l’iporesponsività vascola- re indotta dalla sepsi porta a una considerevole etero- geneità nella normale distribuzione del flusso sangui- gno tra i vari organi. Per esempio la sepsi interferisce con il normale meccanismo di centralizzazione del circolo (dal circolo splancnico agli organi vitali come cuore e cervello) quando la disponibilità di ossigeno è ridotta. L’endotelio è l’organo bersaglio più rilevante nello sviluppo della sindrome settica. Il “leakage capillare” conseguente al suo danno riduce con vari meccani- smi l’utilizzazione di substrati e di ossigeno da parte dei tessuti colpiti ed è il responsabile ultimo dell’ipos- sia tissutale globale che accompagna la sepsi severa e lo shock settico16,17. Il bilancio tra la disponibilità di ossigeno e il suo con- sumo è espresso dalla saturazione venosa di ossige- no (SVO2). Un’ipossia tissutale globale si manifesta quando c’è incapacità di fornire sufficiente ossigeno tissutale per sopperire alle richieste dei tessuti. In questo caso la SVO2 si riduce perché aumenta l’estra- zione di O2 per far fronte alle richieste della perife- ria. Quando i tessuti non sono più in grado di estrar- re dal sangue ossigeno in maniera sufficiente, attiva- no la via del metabolismo anaerobio. I livelli ematici di lattati aumentano precocemente, in parte per l’au- mentata glicolisi anaerobia dei tessuti periferici e in parte per la ridotta clearance renale ed epatica di lat- tato e piruvato. Si manifestano alterazioni anche a livello cardiopol- monare. L’alterazione del rapporto ventilazione-perfu- sione produce una caduta della PO2 arteriosa già nel- le prime fasi della malattia. L’aumento della permea- bilità capillare conseguente al danno endoteliale comporta la formazione di edema interstizio-alveo- lare che riduce la compliance polmonare e interferi- sce con gli scambi di O2. L’intrappolamento di neu- trofili nella microcircolazione polmonare sostiene e amplifica il danno alle membrane alveolo-capillari. La frequente manifestazione di questi effetti è la sin- drome da distress respiratorio dell’adulto (ARDS) che si può manifestare anche nel 50% dei pazienti con sepsi severa o shock settico ed è caratterizzata da ipossiemia arteriosa non correggibile con O2 ad alti flussi (PaO2/FiO2 < 200 mmHg) 18. Dato il ruolo centrale del fegato nella difesa del- l’ospite, la disfunzione epatica può contribuire sia al- l’innesco sia alla progressione del processo settico. La disfunzione epatica può consentire il passaggio di endotossine enteriche e di prodotti di origine bat- terica direttamente nel circolo sistemico poiché tali prodotti non vengono fermati dal sistema reticolo endoteliale19. La sepsi è spesso accompagnata da insufficienza rena- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 16 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it Fig. 1 - Schema delle forme di sepsi. le acuta secondaria a necrosi tubulare acuta19, dal coinvolgimento del sistema nervoso centrale, che può produrre un’alterazione del sensorio (encefalopatia) e una neuropatia periferica, e da una coagulazione intra- vascolare disseminata (CID). La deposizione di fibrina intravascolare e la trombosi del microcircolo sono al- lo stesso tempo responsabili degli aspetti ischemici della sepsi. Quando devo sospettare una sepsi? Difficile quantificare le sepsi che transitano dal PS, ma negli Stati Uniti si è stimato che siano circa il 60% del totale. Si tratta evidentemente di una percentuale molto elevata ed è quindi importante per il medico di Pronto Soccorso essere in grado di porre velocemen- te il sospetto clinico. Per diagnosticare una sepsi severa o uno shock setti- co con facilità è necessario riconoscere nell’anamne- si, nella clinica e nei dati di laboratorio segnali indi- cativi di infezione, disfunzione d’organo e ipossia tis- sutale globale. Di fondamentale importanza è l’anamnesi: studi clini- ci condotti negli ultimi 20 anni hanno prodotto im- portanti conoscenze a proposito dei pazienti che svi- luppano sepsi20. Anche se ognuno di noi è potenzial- mente a rischio di sviluppare una sepsi a partire da un’infezione minore (influenza, infezione delle vie urinarie, gastroenterite), la sepsi si sviluppa più fa- cilmente in pazienti che21,22: • sono molto giovani (prematuri) o molto anziani; • hanno importanti comorbidità (insufficienza rena- le e cardiaca) in fase avanzata o terminale; • hanno un sistema immunitario compromesso (chemioterapia, terapia immunosoppressiva, sple- nectomia, HIV, alterazioni genetiche); • hanno ferite aperte da trauma o da ustione; • hanno abitudini di vita particolari (alcolisti, tossi- codipendenti); • hanno una via venosa centrale o periferica, un ca- tetere vescicale, un drenaggio chirurgico. Vanno ovviamente ricercati una storia di febbre nei giorni precedenti e sintomi di focolaio come tosse o disuria/pollachiuria. L’esame obiettivo è altrettanto importante nel porre il sospetto clinico di sepsi. Nel 2001 la SCCM, la ACCP e molte altre società di terapia intensiva nordamerica- ne ed europee hanno sponsorizzato una conferenza internazionale per la definizione della sepsi. Il rap- porto finale della conferenza non ha cambiato la de- finizione di sepsi data da una precedente consensus conference del 1991, ma ha ampliato il numero di se- gni e sintomi da correlare a questa sindrome23,24. In seguito alla revisione del 2001 la sepsi viene dunque definita come una risposta sistemica all’infezione, nella quale sono presenti almeno due dei seguenti se- gni e sintomi: • febbre (temperatura centrale > 38,3 °C) o ipoter- mia (temperatura centrale < 36 °C); • frequenza cardiaca > 90 bpm oppure > 2 DS per i valori normali rispetto all’età; • tachipnea; • stato mentale alterato. I pazienti molto anziani o con disfunzione miocardi- ca tendono ad avere temperature inferiori ai pazienti giovani25,26. Temperature orali superiori a 37,2 °C o rettali superiori a 37,5 °C dovrebbero essere consi- derate febbre nei pazienti anziani. Anche temperatu- re molto ridotte (< 36 °C) sono sospette per una seve- ra infezione sottostante27. L’incapacità di sviluppare una febbre (o l’insorgenza di ipotermia) è associata a un’aumentata mortalità nei pazienti con sepsi28,29. Inoltre alcuni pazienti possono presentarsi senza feb- bre e svilupparla durante l’osservazione in PS e dopo l’infusione di liquidi. La tachicardia e la tachipnea di questi pazienti sono sostenute dalle modificazioni emodinamiche e della microcircolazione già discusse. Oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo anche gli esa- mi di laboratorio possono guidare il nostro sospetto clinico. Nella definizione di sepsi del 2001 sono com- prese infatti anche le alterazioni di alcuni dati di la- boratorio: • iperglicemia (glucosio plasmatico > 120 mg/dl) in assenza di diabete; • leucocitosi (conta GB >12.000/ mm3) o leucopenia (conta GB < 4000/ mm3) con > 10% forme imma- ture; • PCR > 2, SD maggiore del valore normale; • procalcitonina plasmatica > 2, SD maggiore del va- lore normale28. In genere la leucopenia (< 4000/mm3) è più frequen- te nei pazienti che non sopravvivono29,30. Così come l’incapacità di sviluppare febbre, anche la presenza di leucopenia è caratteristica di malattia severa e pro- babilmente rappresenta un’anomalia nella risposta infiammatoria dell’ospite. Nel valutare i risultati del- l’emocromo occorre prestare attenzione anche ai va- lori di ematocrito (Ht), da ricontrollare dopo il rein- tegro volemico. Come vedremo più avanti, valori di Ht inferiori al 30% sono un’indicazione all’emotra- sfusione. Gli esami di laboratorio sono inoltre fondamentali per stabilire la presenza di eventuali disfunzioni d’or- gano che spostano il sospetto diagnostico da sepsi a sepsi severa. Le alterazioni dei seguenti parametri di laboratorio correlano con un’alta mortalità nelle te- rapie intensive23: • ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2 < 250); • creatinina > 50% rispetto al basale; Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 17 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it • bilirubina > 2 mg/dl; transaminasi > 2 volte il limi- te superiore di normalità; • INR > 1,5; PTT > 60 sec; PTL < 100.000; • lattati > 2; pH acido. Poiché una delle complicanze della sepsi severa può essere il coinvolgimento del sistema della coagulazio- ne con innesco di una DIC, si raccomanda di richie- dere conta piastrinica, AP, PTT, ma anche fibrinogeno e D-dimero. Un D-dimero elevato è stato associato a una prognosi negativa, mentre valori in riduzione do- cumentano una buona risposta alla terapia31,32. Un’iperlattatemia tra pazienti ricoverati per infezio- ne e un trend in salita degli stessi valori sono stati as- sociati a prognosi infausta e possono essere utilizzati per valutare la risposta alla terapia33-35. Il valore dei lattati da prelievo arterioso correla bene con il valore dei lattati da sangue arterioso misto (ar- teria polmonare) e da sangue venoso centrale36. Il va- lore di lattati da sangue venoso periferico invece do- vrebbe essere considerato con cautela poiché non correla con il valore arterioso ed è influenzato da di- verse variabili. Quale terapia antibiotica devo instaurare? La sepsi è in tutto e per tutto un’infezione e come ta- le va trattata. Un giovane paziente con polmonite, temperatura corporea superiore a 38 °C, 15.000 GB e 22 di PCR è un paziente settico, ma in genere di nessuna difficoltà diagnostica e/o terapeutica. Diver- so è il caso di un paziente con sepsi complicata e shock settico. Si tratta di pazienti gravi e con un ele- vato rischio di morte, che richiedono sempre un no- tevole impegno di risorse umane ed economiche. Occorre prima di tutto chiarire la fonte di infezione. Questo molto spesso è difficile nell’ambito dell’urgen- za, tuttavia l’identificazione del microrganismo cau- sa di sepsi e la sua suscettibilità alla terapia antimicro- bica possono poi guidare successivi aggiustamenti te- rapeutici. Le principali sedi di infezione sono i pol- moni, l’addome, le vie urinarie – soprattutto in pa- zienti con catetere vescicale – e la cute. Seguono in ordine di frequenza le ossa e il SNC. È importante ri- cordare che in più del 10% dei pazienti con sepsi se- vera non è possibile stabilire il sito primario di infe- zione. Il sito di infezione nei pazienti con sepsi può essere un importante determinante dell’outcome. Mortalità del 50-55% si rilevano infatti per sepsi a partenza non nota, gastrointestinale o polmonare, mentre nelle sepsi a partenza urinaria la mortalità è del 30%37,38. Per facilitare l’identificazione degli organismi che hanno causato l’infezione, dovrebbero essere prele- vate almeno due emocolture prima di iniziare la te- rapia antibiotica, in particolare una attraverso una via percutanea e una attraverso ciascuno degli even- tuali cateteri vascolari in situ, a meno che il catetere non sia stato introdotto recentemente (< 48 ore). Ot- tenere emocolture sia dal sangue periferico sia attra- verso i lumi dei cateteri vascolari rappresenta un’im- portante strategia diagnostica39,40. Quando lo stesso organismo è presente in entrambe le colture, la pro- babilità che esso sia l’agente eziologico in causa è si- gnificativamente aumentata. Inoltre, se la coltura prelevata attraverso il lume del catetere vascolare si positivizza molto più rapidamente della coltura del sangue periferico (per esempio > 2 ore) è lecito con- cludere che il catetere è la probabile sorgente del- l’infezione40. Le colture di materiale prelevato da al- tre sedi (urine, liquido cefalo-rachidiano, ferite chi- rurgiche o traumatiche, secrezioni bronchiali o altri fluidi corporei), da eseguirsi sempre prima dell’ini- zio della terapia antibiotica empirica, e le indagini radiologiche possono ovviamente risultare utili nel- l’identificare il sito dell’infezione primaria. Una fon- te di infezione che sia passibile di trattamento chi- rurgico, per esempio ascessi che possano essere dre- nati, tessuti necrotici infetti, o devices infetti (ad esempio CVC, cannule, cateteri vescicali)41, deve es- sere rimossa precocemente. Entro la prima ora dal riconoscimento della sepsi gra- ve, e dopo il prelievo delle appropriate colture, do- vrebbe essere iniziata una terapia antibiotica endoveno- sa. La terapia antibiotica iniziale è empirica, deve in- cludere uno o più farmaci attivi contro i possibili pa- togeni (batterici o fungini) e deve essere in grado di penetrare efficacemente i presunti focolai di sepsi. La scelta degli antibiotici deve rispecchiare la sensibilità dei microrganismi presenti nella comunità e nel- l’ospedale d’appartenenza all’agente antimicrobico. La scelta empirica degli antibiotici dipende da com- plesse problematiche legate all’anamnesi del pazien- te (incluse eventuali intolleranze a farmaci), alle co- morbidità, alla sindrome clinica e al tipo di resisten- ze possedute dai microrganismi presenti nella comu- nità, nell’ospedale o in altre strutture sanitarie. La scelta iniziale di un regime antimicrobico empirico dovrebbe mirare a uno spettro abbastanza ampio di patogeni, seguendo i suddetti criteri e agendo su tut- ti i microrganismi possibili, poiché il margine d’erro- re ammissibile nel trattamento dei pazienti critici è molto piccolo. Il ritardo nell’instaurare una terapia antibiotica appropriata ha effetti negativi sulla pro- gnosi della malattia, secondo i dati tratti dall’eviden- za28,42,43. Sulla base dei dati microbiologici e clinici, dopo 48-72 ore dal suo inizio, la terapia antimicro- bica dovrebbe essere rivalutata allo scopo di impiega- re antibiotici a spettro meno ampio. Una volta iden- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 18 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it tificato l’agente eziologico, non esiste alcuna eviden- za che la terapia antibiotica combinata sia più effica- ce della monoterapia. La durata del trattamento do- vrebbe essere in media di 7-10 giorni e dovrebbe es- sere guidata dalla risposta clinica del malato. Tutti i pazienti dovrebbero ricevere una dose piena di carico per ciascun antibiotico. Tuttavia, pazienti con sepsi severa o con shock settico spesso hanno una funzione renale o epatica ridotta e possono ave- re alterati volumi di distribuzione dovuti all’aggres- siva rianimazione con i fluidi44-47. La batteriemia, ossia la presenza di batteri viventi nel sangue, si riscontra solo nel 50% dei casi di sepsi se- vera e shock settico, e in circa il 30% di questi pazien- ti non viene identificata una fonte di infezione48. La decisione di continuare, restringere lo spettro o inter- rompere la terapia antibiotica deve dunque essere presa in conformità a un giudizio clinico e in base a tutti i dati clinici e laboratoristici disponibili per ogni singolo paziente. Come posso valutare la gravità del quadro clinico? Durante la prima fase di valutazione del paziente è fondamentale stabilire la gravità del quadro clinico in modo da ottimizzare l’azione terapeutica. Occorre in pratica distinguere i pazienti con sepsi dai pazienti con sepsi severa e shock settico. La diagnosi di shock settico è forse più semplice. Co- me abbiamo visto si tratta di pazienti con sepsi e ipo- tensione non responsiva a un’adeguata riperfusione con liquidi, cioè una PAS < 90 mmHg, una PAM < 65 mmHg, una diminuzione di 40 mmHg della pres- sione sistolica non responsiva a 20-40 ml/kg di flui- di. L’ipotensione è associata a segni di ipoperfusione come acidosi lattica, oliguria e alterazioni acute del- lo stato di coscienza23. I pazienti con sepsi severa dimostrano invece segni di ipoperfusione, ipossia tissutale e disfunzione d’orga- no pur mantenendo valori pressori ancora normali. Per identificare i pazienti più gravi, e quindi merite- voli di un trattamento più aggressivo, all’interno del gruppo di pazienti che si presentano con un quadro di sepsi severa ci può essere d’aiuto il dosaggio dei lattati. L’iperlattatemia è tipica nei pazienti con sepsi severa (e shock settico) e può essere secondaria al metabolismo anaerobio dovuto all’ipoperfusione49. Diversi studi suggeriscono che elevati livelli di lattati possono derivare dal fallimento del metabolismo cel- lulare piuttosto che dall’ipoperfusione sistemica. Ele- vati livelli di lattati possono derivare inoltre da una diminuita clearance epatica. L’analisi della letteratura fornisce adeguato supporto alla convinzione che i pazienti con livelli di lattati > 4 mmol/litro siano a elevato rischio di sviluppare uno shock settico conclamato. In pratica questi pazienti vanno in tutto e per tutto considerati come pazienti già in shock settico (criptic shock), indipendentemen- te dai valori pressori35, e come tali vanno trattati. Cosa sono la early goal-directed therapy e la Surviving Sepsis Campaign? La goal-directed therapy è stata utilizzata per la sepsi severa e lo shock settico nei Dipartimenti di Tera- pia intensiva50. Questo approccio comporta l’aggiu- stamento di precarico, postcarico e contrattilità miocardica con l’obiettivo di mantenere in equili- brio disponibilità e domanda di O2 a livello tissu- tale, limitando al massimo il danno da ipoperfu- sione periferica. L’esperienza e gli studi clinici degli ultimi anni hanno dimostrato che l’efficacia di questa terapia è tanto maggiore quanto più precoce è il suo inizio e anche nel caso della sepsi si è cominciato a parlare di gol- den hours. Si è inoltre riconosciuto che i parametri vitali di base, la pressione venosa centrale e il moni- toraggio della diuresi non sono indicatori sufficien- temente precisi della perfusione periferica e sono sta- ti identificati come opportuni obiettivi dell’interven- to terapeutico (goals) la normalizzazione dei valori di saturazione venosa mista, la concentrazione dei lattati, il deficit di basi e il pH. La saturazione venosa mista si è dimostrata essere un surrogato dell’indice cardiaco come target per la te- rapia emodinamica51,52. Nei casi in cui l’inserzione di un catetere arterioso polmonare è poco pratico, la saturazione venosa può essere misurata nella circo- lazione venosa centrale53. Nel 2003 Rivers et al. hanno pubblicato un interes- sante studio volto a valutare l’efficacia della early goal- directed therapy (EGDT), cioè di una terapia volta a raggiungere nelle prime sei ore dall’arrivo in Pronto Soccorso valori predefiniti di pressione arteriosa me- dia, pressione venosa centrale e saturazione venosa centrale di ossigeno54. Allo studio sono stati ammes- si, in maniera randomizzata tra EGDT e terapia stan- dard, 263 pazienti con infezione e almeno due dei criteri di SIRS in associazione con una PAS < 90 mmHg dopo carico idrico o un valore di lattati serici > 4 mmol/l (criptic shock). L’applicazione della EGDT nello studio di Rivers ha dimostrato per la prima vol- ta una riduzione della mortalità sia intraospedaliera (59 vs 38%) sia a 28 giorni (61 vs 40%) e 60 giorni (70 vs 50%). Sulla scorta di questi risultati incoraggianti nel 2002 è nata la Surviving Sepsis Campaign (SSC), una campa- gna di salute mondiale, guidata da ESICM (European Society of Intensive Care Medicine), ISF (International Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 19 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it Sepsis Forum) e SCCM (Society of Critical Care Medi- cine), volta ad aumentare la consapevolezza e a mi- gliorare la prognosi dei pazienti affetti da sepsi seve- ra o da shock settico con l’impegno di ridurre la mor- talità legata alla sepsi del 25% entro il 2009. La Surviving Sepsis Campaign ha pubblicato nel mar- zo del 2004 delle linee guida per la gestione del pa- ziente con sepsi severa e shock settico55 con l’obiet- tivo di sviluppare protocolli di lavoro che fossero di facile utilizzo da parte del medico al letto del malato e di mettere in atto uno sforzo internazionale per in- crementare la conoscenza della malattia e migliorar- ne quindi la sopravvivenza. Il risultato è stato un totale di 46 raccomandazioni basate sull’evidenza e fatte considerando differenti aspetti del trattamento acuto della sepsi, che si spera possano trasformarsi nel miglioramento della pro- gnosi dei malati critici. Tali linee guida si basano am- piamente sul lavoro di Rivers. Così come nell’ische- mia miocardica acuta e nello stroke, anche nella sepsi la rapidità e l’appropriatezza della terapia somministra- ta nelle prime ore dall’esordio influenzano in modo significativo l’outcome. È più probabile che il tratta- mento abbia effetto e che le complicanze della sepsi severa siano evitate se la terapia appropriata è inizia- ta subito. Quali sono gli obiettivi da perseguire nel trattamento precoce del paziente con shock settico e in quale sequenza? Sulla base delle linee guida della Surviving Sepsis Cam- paign possiamo dire che la rianimazione di un mala- to con ipoperfusione tissutale indotta dalla sepsi (ipo- tensione o acidosi lattica) dovrebbe iniziare immedia- tamente dopo l’identificazione della sindrome, e non dovrebbe essere ritardata dall’attesa del ricovero del paziente in terapia intensiva. Durante le prime 6 ore gli obiettivi della rianimazione dovrebbero includere i 4 punti di Rivers come facenti parte di un protocol- lo di terapia: • PVC di 8-12 mmHg; • PAM > 65 mmHg; • SVO2c > 70%; • output urinario > 0,5 ml/kg/min. È importante ricordare che nei pazienti ventilati mec- canicamente occorre mantenere valori più alti di pressione venosa centrale (12-15 mmHg), a causa dell’aumento della pressione intra-toracica. Una con- siderazione simile può essere fatta nelle situazioni in cui si registra un aumento della pressione intra-addo- minale. Questi obiettivi vengono perseguiti tramite alcune strategie terapeutiche di seguito descritte. Obiettivo PVC 8-12 mmHg / diuresi > 0,5 ml/kg/min: terapia con carico volemico Il reintegro volemico in pazienti con sospetta ipovo- lemia (sospetta inadeguata circolazione arteriosa) deve essere eseguito con un carico iniziale di 500- 1000 ml di cristalloidi (fino a 20 ml/kg) e con 300- 500 ml di colloidi infusi in 30 minuti e ripetuti in base alla risposta (aumento della pressione arterio- sa e della diuresi) e alla tolleranza del malato (evi- denza di sovraccarico del volume intravascolare). Le metanalisi effettuate su studi clinici che confronta- no l’utilizzo di cristalloidi con quello di colloidi, in generale e in popolazioni di pazienti chirurgici, non hanno dimostrato differenze significative in termini di prognosi. Per quanto siano carenti studi specifici si ritiene che quest’osservazione sia generalizzabile ai pazienti settici56-58. Poiché il volume di distribu- zione è molto più ampio per i cristalloidi rispetto ai colloidi, la rianimazione con i cristalloidi richiede volumi d’infusione maggiori per raggiungere gli stessi risultati e di conseguenza può causare mag- giore edema. Il carico volemico è cosa diversa dalla somministra- zione di fluidi di mantenimento. Tale termine è uti- lizzato per indicare una veloce espansione del volu- me plasmatico, che consente di valutare se la som- ministrazione dei liquidi possa essere una risposta sufficiente ai problemi di ipoperfusione del paziente. Perché l’informazione sia significativa, un’adeguata quantità di fluidi deve essere somministrata in un breve periodo di tempo, sotto stretto monitoraggio del compenso cardiaco. Il grado di ipovolemia nei pa- zienti con sepsi severa è estremamente variabile. A causa della venodilatazione e del progressivo leakage dei capillari, molti pazienti richiedono una rianima- zione volemica molto aggressiva durante le prime 24 ore di trattamento. I liquidi in entrata sono molto di più di quelli in uscita e il bilancio tra entrate e uscite non ha alcuna utilità nel giudicare la carenza/richie- sta/necessità di fluidi. Obiettivo PAM > 65 mmHg / diuresi > 0,5 ml/kg/min: terapia con vasopressori Al di sotto di una certa pressione arteriosa media si perde l’autoregolazione a livello di alcuni distretti va- scolari e la perfusione diventa dipendente, in modo lineare, dalla pressione. Nel caso in cui un appro- priato reintegro volemico non sia sufficiente per mi- gliorare la pressione arteriosa e la perfusione degli organi, è dunque necessario iniziare la terapia con vasopressori. Questa terapia può occasionalmente essere iniziata precocemente, durante la fase di rein- tegro volemico, per sostenere transitoriamente le funzioni vitali e per mantenere la perfusione nei ca- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 20 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it si in cui l’ipotensione diventi rischiosa per la vita stessa del malato59,60. La noradrenalina e la dopamina (attraverso un cate- tere centrale) sono i farmaci vasopressori di prima scelta per correggere l’ipotensione nel caso di uno shock settico. Sebbene non esista evidenza per deci- dere di utilizzare una catecolamina rispetto a un’altra, studi su animali e sull’uomo hanno dimostrato l’esi- stenza di alcuni vantaggi nell’impiego della noradrea- nalina e della dopamina rispetto agli altri farmaci del- la stessa classe. La dopamina aumenta la pressione ar- teriosa media e la portata cardiaca, principalmente grazie a un incremento della gittata cardiaca e della frequenza cardiaca. La noradrenalina aumenta la pressione arteriosa media, grazie ai suoi effetti vaso- costrittori associati a minime variazioni della frequen- za e a un minor aumento della gittata cardiaca rispet- to alla dopamina. La noradrenalina è più potente e più efficace rispetto alla dopamina nel migliorare l’ipotensione del paziente in shock settico. La dopa- mina può essere particolarmente utile nei pazienti con funzione sistolica compromessa, ma provoca più facilmente tachicardia e aritmie ipercinetiche59,61-64. Uno studio randomizzato molto ampio e una meta- nalisi hanno confrontato l’effetto nei pazienti critici della dopamina a basse dosi rispetto al placebo. Que- sti lavori non hanno dimostrato differenze nella pro- gnosi primaria (picco della creatinina serica, necessi- tà di supporto renale, diuresi oraria, tempo di recu- pero della funzione renale) e in quella secondaria (so- pravvivenza in terapia intensiva, dimissione dal- l’ospedale, lunghezza della degenza in terapia inten- siva, in ospedale, aritmie). I dati disponibili non in- coraggiano l’uso di basse dosi di dopamina per pre- servare o per migliorare la funzione renale65,66. Il far- maco dovrebbe dunque essere iniziato a dosaggi > 5 γ/kg/min. Tutti i pazienti in terapia con vasopressori dovrebbe- ro avere un catetere arterioso posizionato al più pre- sto possibile, in base alla disponibilità delle risorse. Nei pazienti in shock la misurazione della pressione arteriosa incruenta mediante una cuffia è spesso inat- tendibile, il catetere arterioso garantisce al contrario una misura accurata e riproducibile della pressione arteriosa. Il ricorso al cateterismo arterioso nel Dipar- timento d’Emergenza peraltro non sempre è possibi- le o agevole. È importante anche ricordare che il ca- teterismo arterioso può essere fonte di complicanze quali l’emorragia e danni alla parete del vaso. Sulla base dei risultati degli studi in corso, non è con- sigliato l’uso della vasopressina, che è un vasocostrit- tore diretto, come farmaco di prima scelta, in sosti- tuzione della noradrenalina o della dopamina, anche se basse dosi di vasopressina possono essere efficaci nell’aumentare la pressione arteriosa nei soggetti re- frattari ad altri vasopressori67-70. Obiettivo SVO2c >70%: terapia con inotropi/GRC/ventilazione In base alla legge di Fick, per aumentare la concentra- zione venosa di ossigeno, posta come costante l’estra- zione tissutale di ossigeno, è necessario aumentare il contenuto arterioso di ossigeno (agendo sulla mec- canica respiratoria e/o sulla concentrazione di Hb), oppure aumentare la gittata cardiaca. Il contenuto di ossigeno venoso misto (SVO2) si rileva in arteria pol- monare mentre il contenuto di ossigeno venoso cen- trale (SVO2c) si rileva da un comune CVC ed è un’in- dicatore affidabile della SVO2 71-75. CvO2: contenuto venoso di O2; VO2: consumo di O2; CaO2 contenu- to arterioso di O2; CO: output cardiaco. Nelle prime fasi della sepsi l’organismo reagisce pro- prio aumentando l’output cardiaco – attraverso l’in- cremento di frequenza cardiaca e gittata sistolica – e il contenuto arterioso di ossigeno con l’iperventila- zione. Nell’algoritmo di trattamento proposto da Ri- vers, quando si siano raggiunte un’adeguata pressio- ne di riempimento (PVC 8-12 mmHg) e un’adeguata PAM (> 65 mmHg), ma la SVO2c sia ancora inferiore al 70%, si deve agire proprio sulla gittata cardiaca e sul contenuto arterioso di ossigeno. La SVO2c può es- sere rilevata in maniera estemporanea o in continuo tramite un CVC con fibre ottiche. Il farmaco inotropo di scelta è la dobutamina, che do- vrebbe essere associata ai vasopressori, nei pazienti con bassa pressione arteriosa, a un dosaggio di 2,5 fino a 20 γ/kg/min e titolata per ottenere una SVO2c > 70%. Una strategia basata sull’aumento dell’indice cardiaco, per ottenere un livello elevato arbitraria- mente predefinito, non è consigliata. Due grandi stu- di clinici prospettici, eseguiti in pazienti critici rico- verati in terapia intensiva a causa di una sepsi seve- ra, hanno fallito nel dimostrare effetti benefici nell’au- mento della delivery di ossigeno (DO2) fino a livelli sopranormali, tramite l’infusione di dobutamina76,77. Lo scopo della rianimazione dovrebbe dunque esse- re quello di raggiungere livelli adeguati di DO2, evi- tando l’ipossia tessutale flusso-dipendente. Per incrementare la DO2 si può agire anche sul con- tenuto di emoglobina. Sebbene non sia stato identi- ficato il valore di Hb ottimale per i pazienti in sepsi severa, lo studio noto come TRICC, Transfusion Requi- rements in Critical Care, suggerisce che una Hb com- CvO CaO VO CO2 2 2= − Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 21 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it presa tra 7 e 9 g/dl possa essere adeguata nella mag- gioranza dei pazienti critici. Una soglia di trasfusio- ne pari a 7,0 g/dl non è associata a un aumento della mortalità. La trasfusione di globuli rossi concentrati nei pazienti settici aumenta la DO2 ma, in genere, non aumenta il VO2 56,78,79. Questa soglia di 7 g/dl contrasta con l’obiettivo proposto da Rivers di man- tenere un Hct del 30% nei pazienti con bassa satura- zione venosa centrale (SVO2) durante le prime 6 ore di rianimazione dello shock settico. I due studi diffe- riscono peraltro per le caratteristiche della popolazio- ne arruolata (pazienti critici vs soli pazienti settici), rendendo difficile un confronto. Se i valori di SVO2c rimangono al di sotto del 70% nonostante un’adeguata terapia inotropa e trasfusio- nale bisogna prendere in considerazione una riduzio- ne della domanda sistemica di ossigeno e del suo consumo. L’intubazione, la ventilazione meccanica, la sedazione e la curarizzazione riducono il lavoro re- spiratorio e ridistribuiscono il flusso sanguigno dalla muscolatura respiratoria al distretto vascolare visce- rale e agli organi vitali80,81. Quali sono gli obiettivi delle prime 24 ore? Quanto detto fino ad ora è l’insieme delle raccoman- dazioni contenute all’interno delle linee guida della Surviving Sepsis Campaign che riguardano le prime sei ore di trattamento dal riconoscimento della sindro- me, il cosiddetto resuscitation bundle. Le raccoman- dazioni concernenti le misure da seguire durante la prima giornata (24 ore) sono contenute invece in un successivo management bundle, che si presume venga applicato a paziente già ricoverato in una terapia in- tensiva o sub-intensiva e di cui indicheremo qui solo le linee generali. Le raccomandazioni concernono l’utilizzo degli ste- roidi, della proteina C-attivata (rhAPC), della ventila- zione, il controllo della glicemia e la terapia con bi- carbonati. Utilizzo degli steroidi I corticosteroidi per via endovenosa (idrocortisone 200-300 mg/die, per 7 giorni, somministrati in 3-4 boli die o in infusione continua) sono raccoman- dati nei pazienti in shock settico che richiedono l’infusione di vasopressori per mantenere un’ade- guata pressione arteriosa, nonostante un’idonea somministrazione di liquidi82-84. Il cortisone può essere scalato gradualmente o in modo rapido. In ogni caso dosi di idrocortisone > 300 mg/die non dovrebbero essere usate per trattare la sepsi grave e lo shock settico85-87. Utilizzo della proteina C-attivata La rhAPC è raccomandata nei pazienti ad alto rischio di morte (APACHE II > 25, insufficienza multi-orga- no indotta dalla sepsi, shock settico, ARDS seconda- rio alla sepsi) privi di controindicazioni assolute al trattamento, quali un elevato rischio di sanguinamen- to, o relative, quali le condizioni pre-terminali del pa- ziente. Un ampio studio multicentrico prospettico e rando- mizzato ha dimostrato che la rhAPC, una proteina endogena con proprietà antinfiammatorie e anticoa- gulanti, è in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti con disfunzione d’organo indotta dalla sep- si88. Considerando la potenzialità di un rapido dete- rioramento dei pazienti con sepsi severa e shock set- tico, una volta che il malato sia considerato candida- to al trattamento con rhAPC, la somministrazione del farmaco dovrebbe essere iniziata il più rapidamente possibile. Ventilazione meccanica in corso di ALI/ARDS indotte dalla sepsi Negli ultimi 10 anni diversi studi controllati rando- mizzati multicentrici hanno valutato gli effetti di una limitazione della pressione inspiratoria attra- verso la modulazione del volume corrente89-91. Questi studi hanno fornito risultati dissimili, pro- babilmente a causa dalle differenze esistenti tra le pressioni delle vie aeree nel gruppo dei pazienti trattati rispetto al gruppo di controllo92,93. Lo stu- dio più grande mai eseguito per valutare la strate- gia di ventilazione a volume e a pressione limitate ha evidenziato una diminuzione del 9% di tutte la cause di morte, nei pazienti ventilati con un volu- me corrente di 6 ml/kg di peso corporeo predetto (rispetto a quelli ventilati con 12 ml/kg di peso cor- poreo predetto) associato al mantenimento di una pressione di plateau < 30 cm H2O 94. L’ipercapnia può essere tollerata, se necessaria, nei pazienti con ALI/ARDS per minimizzare le pressioni di plateau e il volume corrente. Soggetti studiati in trials più grandi, il cui obiettivo era quello di limitare le pres- sioni nelle vie aeree e il valore dei volumi correnti, hanno dimostrato un miglioramento della progno- si, anche se l’ipercapnia permissiva non rappresen- tava l’obiettivo primario del trattamento proposto in questi studi94. L’uso dell’ipercapnia è limitato nei pazienti con preesistente acidosi metabolica, ed è controindicato in caso di aumentata pressione in- tracranica. Un minimo quantitativo di pressione positiva di fine espirazione (PEEP) dovrebbe esse- re presente sempre, per prevenire il collasso polmo- nare di fine espirazione. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. clinica e terapia 22 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V I • D ic em br e 20 06 • w w w .e cj .it Controllo della glicemia Dopo l’iniziale stabilizzazione dei pazienti in sepsi severa, si dovrebbe mantenere una glicemia < 150 mg/dl (8,3 mmol/l). Negli studi che sostengono l’importanza del controllo glicemico sono stati uti- lizzati insulina e glucosio in infusione continua. Se- condo questo protocollo la glicemia deve essere mo- nitorata frequentemente e, in particolare, ogni 30- 60 minuti subito dopo l’inizio dell’infusione e re- golarmente ogni 4 h fino a normalizzazione della glicemia. Un ampio studio monocentrico condotto su pazienti chirurgici ha dimostrato un significati- vo miglioramento della sopravvivenza dei malati, utilizzando l’insulina in infusione continua per mantenere la glicemia tra 80 e 110 mg/dl (4,4-6,1 mmol/l)95. Non c’è ragione per pensare che questi dati non siano generalizzabili o non possano essere estesi a tutti i pazienti in sepsi severa. L’analisi post hoc dei dati di questo trial dimostra che un livello di glicemia < 150 mg/dl migliora la prognosi dei malati, se paragonato a valori più elevati, tuttavia i risultati migliori sono indubbiamente registrati quando la glicemia è mantenuta tra 80 e 110 mg/dl. L’obiettivo di ridurre la glicemia a valori inferiori a 150 mg/dl limita il rischio dell’ipoglicemia. Il con- trollo dei valori di glicemia è più importante della quantità d’insulina somministrata96,97. Terapia con bicarbonati La terapia con i bicarbonati allo scopo di migliorare l’emodinamica o di ridurre le richieste di farmaci va- sopressori non è raccomandata, per il trattamento della lattacidemia indotta dall’ipoperfusione con un pH < 7,15. L’effetto della somministrazione dei bicar- bonati sull’emodinamica e sulle richieste di vasopres- sori a un basso pH, così come gli effetti sull’outcome dei diversi valori di pH, non sono stati studiati. Due studi che hanno paragonato l’uso della soluzione fi- siologica e del bicarbonato in pazienti con pH < 7,13-7,15 non hanno dimostrato alcuna differenza nei parametri emodinamici o nelle richieste di vaso- pressori tra il gruppo trattato con concentrazioni equimolari di bicarbonato e quello con soluzione fi- siologica98,99. Qualcosa che è importante sapere Dopo la loro pubblicazione, sono apparsi numerosi studi critici nei confronti della modalità con cui le li- nee guida della Surviving Sepsis Campaign sono state elaborate, anche in considerazione del fatto che la Eli Lilly, azienda produttrice della rhACP, ne ha sovven- zionato la stesura100-111. In particolare per quanto riguarda questo farmaco, le linee guida fanno riferimento quasi esclusivamen- te allo studio PROWESS88, sulla base del quale la FDA ha limitato le indicazioni a un ristrettissimo numero di pazienti ad alto rischio. Nelle linee gui- da si suggerisce invece che l’utilizzo della rhAPC sia uno standard of care. Sempre per quanto riguarda la rhAPC le linee guida sono anche state criticate per aver sottovalutato i risultati di altri studi che hanno documentato una maggiore incidenza di effetti col- laterali del farmaco rispetto a quanto riportato dal- lo studio PROWESS. Si è infine sottolineato come gli studi che documentano l’efficacia di bundles tera- peutici, cioè di un insieme di interventi, non con- sentano di valutare quale intervento sia realmente efficace e rischino di conseguenza di indicare come importanti interventi che in realtà potrebbero non esserlo102. L’adesione alle linee guida della Surviving Sepsis Cam- paign, le cui raccomandazioni hanno quasi tutte un livello di evidenza intermedio, vanno dunque prese con un atteggiamento positivamente critico e di ve- rifica. Ciò nonostante vi è un messaggio centrale che nessuno ha messo in dubbio e che sembra essere oramai patrimonio comune e assodato: il paziente con sepsi grave è una emergenza e la sua prognosi di- pende direttamente dalla precocità e dall’aggressivi- tà dell’intervento oltre che da un preciso e continuo monitoraggio degli indicatori di buona ossigenazio- ne tissutale. Bibliografia 1. Friedman G, Silva E, Vincent JL et al. 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In this work describes recent advances about pa- thogenesis, diagnosis and therapy of the severe sepsis and sep- tic shock. Innovations on acute and subacute therapy proposed by the Surviving Sepsis Campaign’s collaborative guide lines are presented. NOVITÀ