ECJ_5_07_interni_primaCH.qxp Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 30 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it In questo contesto l’importanza della ricerca dei gas nel sangue si spiega da sola. Fino ad allora non era- no state condotte ricerche in questa direzione, se si eccettuano gli esperimenti di R. Boyle che circa un secolo prima aveva dimostrato la presenza di gas nel sangue, senza però approfondirne la natura. È anzi da dire che nessun tipo di analisi del sangue era mai stato tentato, tranne qualche indagine di chimica inorganica dopo incenerimento del cam- pione. H. Davy (1778-1829) fu il primo a intraprendere nel 1797 la ricerca dei gas nel sangue e a dosare l’ossige- no e l’anidride carbonica nel sangue. La tecnica di cui si servì fu l’estrazione dei gas mediante la pompa per vuoto ideata da Boyle e perfezionata da Bunsen (1811-1899), e l’analisi dei gas con l’impiego dell’eu- diometro, un apparecchio di origine italiana destinato all’esame della qualità dell’aria e successivamente op- portunamente modificato per consentire più in gene- rale l’analisi dei gas. In questo modo Davy misurò 1,1 volumi di CO2 e 0,7 volumi di O2 da 12 volumi di sangue. Egli fece questi esperimenti all’età di dician- nove anni quando era assistente del pharmacist della sua città natale in Cornovaglia, ma sarebbe diventato successivamente il più illustre chimico e fisiologo in- glese del tempo, conducendo importanti ricerche sul- la tossicità dell’ossido di azoto, sul sodio e sul potas- sio, sugli acidi “idrogenati”, allargando così la catego- ria di questi composti oltre gli ossiacidi definiti da La- voisier, e infine dimostrando che la corrente elettrica Nell’articolo precedente ci siamo fermati proprio sul- la soglia di un evento che diede una svolta importan- te alla storia dell’equilibrio acido-base: la drammati- ca epidemia di poliomielite che colpì la Danimarca nel 1952. Ma prima di riprendere da qui, è importan- te fare qualche passo indietro sull’evoluzione dei me- todi diagnostici che condussero alla moderna emoga- sanalisi, per meglio apprezzare le difficoltà che la cli- nica e il laboratorio dovevano affrontare sino ai pri- mi decenni del’900 nella diagnostica dei disordini acido-base. Le prime ricerche sui gas nel sangue Fino alle soglie del XIX secolo le conoscenze sulla fi- siologia respiratoria e sul metabolismo energetico erano assai limitate. L’impulso a intensificare le ri- cerche venne dalle importanti scoperte, in parte an- che rivoluzionarie, che soprattutto per merito di A-L. Lavoisier (1743-1794) e della sua scuola, si erano accumulate negli ultimi decenni del XVIII se- colo nel campo della fisica e della chimica, e in par- ticolare sulle proprietà dei gas. Lo stesso Lavoisier aveva condotto esperimenti dimostrando che nel- l’organismo animale il consumo di ossigeno e la produzione di calore si svolgono con le stesse re- gole come nella combustione del carbone: la gene- razione di calore è proporzionale all’ossigeno con- sumato, con produzione di anidride carbonica e va- pore d’acqua. LLaa ssttoorriiaa ddeellll’’eeqquuiilliibbrriioo aacciiddoo--bbaassee ((IIII ppaarrttee)) Mario Tarantino Già primario del Laboratorio di Analisi chimico-cliniche dell’Ospedale di Saronno, Varese SINTESI L’evoluzione delle conoscenze sull’equilibrio acido-base fu lenta, soprattutto a causa della difficoltà di disporre di affidabili tecni- che di indagine sui gas del sangue. Nonostante le intuizioni spes- so geniali degli scienziati dell’epoca, i concetti su cui si fondano i moderni principi in questo campo si svilupparono e si consolida- rono soltanto nei primi decenni dello scorso secolo, e tuttavia im- portanti acquisizioni hanno un’età di poco superiore ai cinquan- ta anni, ed ancora oggi assistiamo ad una continua evoluzione dei più importanti principi basilari su cui si fonda l’interpretazione della fisiologia e della fisiopatologia dell’equilibrio acido-base. Perciò questo è uno dei capitoli più affascinanti della fisiologia umana. ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 30 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 31 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it NOTA 1. Una grande quantità di anidride carbonica che causa un intenso intorbidamento dell’acqua di calce. poteva essere adoperata per dissociare l’acqua in idrogeno e ossigeno. Tuttavia, inopinatamente, nonostante la loro impor- tanza, gli studi di Davy sui gas nel sangue caddero nel dimenticatoio, e bisogna aspettare fino al 1814 quando Vogel ripetè l’esperimento, trovando «viel kohlensaures Gas und das Kalkwasser wurde starkt ver- trübt»1. E di nuovo bisogna aspettare fino al 1837 prima di incontrare gli studi di rilevante importan- za di H.G. Magnus (1802-1870) che nel suo tratta- to Über die im Blute enthaltenen Gase, Sauerstoff, Stickstoff und Kohlensäure riporta i risultati dell’ana- lisi quantitativa dell’ossigeno e dell’azoto nel san- gue, nonché dell’anidride carbonica che egli soste- neva trovarsi nel sangue anche in forma libera. Per- ciò Magnus concludeva che gli scambi gas – sangue e polmoni – aria dovevano svolgersi secondo le leg- gi che Dalton aveva stabilito per l’assorbimento dei gas nei liquidi. Egli analizzò sia il sangue arterioso che il sangue venoso, trovando proporzionalmente più ossigeno nel sangue arterioso, e più CO2 nel ve- noso, concludendo che ciò era prova che la CO2 do- veva formarsi nel sangue, o esservi versata. Questi risultati incontrarono non poche critiche, tra gli altri anche da L.J. Gay-Lussac (1778-1850), che contestava aspramente qualsiasi organo proposto quale sede della combustione interna, eccetto i pol- moni. Incalzato dalle critiche, Magnus ripetè ed ap- profondì gli esperimenti, estendendoli a diverse specie animali, nonché perfezionando le attrezza- ture per il prelievo e le apparecchiature per l’estra- zione dei gas e per l’analisi in modo da escludere per quanto possibile perdite di gas. In una nuova pub- blicazione, Über das Absorptionsvermögen des Blutes für Sauerstoff, Magnus fa la sua autodifesa confer- mando i risultati precedenti e riaffermando che la produzione della CO2 non ha luogo nel polmone, bensì nei diversi organi e tessuti ai quali il sangue fornisce l’ossigeno. Afferma inoltre che i gas sono presenti nel sangue in quantità che, in accordo con le leggi sull’assorbimento di Henry e di Dalton, di- pendono dal loro coefficiente di solubilità e dalla lo- ro pressione parziale. Riferisce che il sangue assorbe molti più volumi di CO2 che di ossigeno, e trascu- rabili quantità di azoto. Nei suoi esperimenti Magnus aveva esposto il san- gue ad aria atmosferica, ma non a miscele di gas con diverso contenuto di ossigeno, quindi non aveva potuto evidenziare la componente della combina- zione chimica dell’ossigeno con l’emoglobina, di- pendente solo in parte dalla pressione parziale. La scoperta di questa componente spetta agli impor- tanti studi condotti da Lothar Meyer (1830-1895), chimico tedesco tra i più autorevoli, che aveva stu- diato anche medicina, aveva lavorato con Bunsen a Heidelberg dove nel 1857 pubblicò una dissertazio- ne dal titolo Die Gase des Blutes. Per gli esperimenti sui gas del sangue impiegò un principio basato sul- l’ebollizione del sangue nel vuoto, che assicurava una più rapida e più completa estrazione dei gas. Con questa tecnica Lothar Meyer ottenne risultati relativamente accurati, e soprattutto mise in luce che in un intervallo di pressioni parziali di ossige- no relativamente elevate, il contenuto di ossigeno nel sangue rimaneva pressoché invariato. Ne dedus- se quindi che, oltre all’assorbimento di natura pura- mente fisica, il sangue assumeva l’ossigeno anche con un meccanismo chimico; non solo, ma precisa- va anche che il legame chimico doveva essere labi- le. Nella conclusione della sua dissertazione sotto- linea che solo un’alterazione del sangue può causa- re una variazione della quantità di ossigeno assun- to nei polmoni, e che pertanto ogni sottrazione di sangue equivale a una sottrazione di ossigeno agli organi e tessuti. Assai verosimilmente in questo commento conclusivo Lothar Meyer intendeva rife- rirsi ai salassi che i medici del tempo praticavano spesso e volentieri quale presunto rimedio di ogni malattia. Questi studi suscitarono molto interesse nel campo medico, e avviarono le ricerche che dovevano por- tare, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, alla definizione della biochimica e del significato fisiolo- gico dell’emoglobina e più in generale alla fisiolo- gia della respirazione tessutale. Ma, per rimanere fe- deli al tema che mi sono proposto, devo lasciare la storia dell’ossigeno, indubbiamente di grande inte- resse, per seguire il cammino dell’altro componen- te dei gas del sangue, la CO2, di più diretta impor- tanza nell’equilibrio acido-base. CO2d, pCO2, HCO3- Cammino, quello della CO2, che fu invero più lento e più difficoltoso di quello dell’ossigeno. Fino verso la fine del XIX secolo vi era incertezza sia sulla di- stribuzione della CO2 nel sangue tra plasma e parte corpuscolata, sia sulle forme fisico-chimiche in cui si trova nel sangue, sia sulle sue proprietà, come per esempio il coefficiente di solubilità nel sangue. Lo stes- so Lothar Meyer nella sua dissertazione del 1857 af- fermava che la CO2 si trova pressoché interamente nel ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 31 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 32 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it plasma, e C. Ludwig (1816-1895), il più eminente fi- siologo del tempo in Germania, sosteneva che era assai difficile pensare che la CO2 fosse contenuta nella par- te corpuscolata del sangue. Tuttavia, pur non trala- sciando l’importanza della distribuzione della CO2 nel sangue, negli anni tra i ’50 e i ’70 del XIX secolo il que- sito cui si attribuiva più importanza era la forma, o le forme, fisico-chimiche in cui la CO2 si trova nel san- gue. A lungo prevalse la convinzione che la forma li- bera non poteva esistere nel sangue, e di questa opinio- ne erano scienziati del calibro di J. von Liebig (1803- 1873), proponendo come argomentazione il fatto che il sangue è un liquido alcalino (alkalescence nella termi- nologia tedesca) e perciò incapace di trattenere CO2 libera: le soluzioni alcaline non erano infatti usate in la- boratorio proprio allo scopo di rimuovere la CO2? L’ipotesi della possibile esistenza della CO2 in forma libera nel sangue cominciò a farsi strada quando fu dimostrata la capacità di alcuni composti, tra cui i carbonati, di dissociare a temperature più elevate per riassociarsi a temperature più basse. Lentamente pre- se corpo il concetto che anche il processo della ces- sione della CO2 a livello polmonare doveva avvenire con questo meccanismo, e dunque l’esistenza della CO2 libera nel sangue era un prerequisito indispen- sabile. Una volta conquistata l’opinione generale, questi concetti diedero l’avvio alla ricerca della natu- ra dei composti dissociabili e delle forme di combina- zione della CO2 nel sangue, cui si dedicarono pres- soché tutte le scuole di fisiologia in Europa: J.M. Set- schenow (1829-1905) a San Pietroburgo, Ch. Bohr (1855-1911) a Copenhagen, J.A. Jaquet (1865-1937) a Basilea, P. Bert (1833-1886) a Parigi, N. Zuntz (1847-1920) a Bonn. Ma, come abbiamo precedente- mente accennato, questa ricerca incontrò più difficol- tà e si rivelò più complessa di quanto ci si aspettasse, cosicché aspetti importanti, come le relazioni tra CO2, O2 ed emoglobina (effetto Bohr, effetto Halda- ne, fenomeno di Hamburger) nonché l’esatto signifi- cato biochimico della CO2 fisicamente disciolta (o “CO2 libera”) e dello ione bicarbonato HCO3 dovet- tero aspettare i primi decenni del XX secolo per tro- vare l’adeguata spiegazione. Nel 1857 E. Fernet (1829-1905) dimostrò la capaci- tà del sodio fosfato del siero di combinarsi con la CO2, ma la concentrazione del fosfato è troppo bas- sa per spiegare tutta la CO2 chimicamente combina- ta presente nel sangue. Nel 1868 E.F. Hoppe-Seyler (1825-1895) rivelò la ca- pacità della CO2 di combinarsi con le proteine pla- smatiche, proprietà confermata dalla dimostrazione di Setschenow che la precipitazione delle proteine del siero con magnesio solfato riduceva drasticamente la capacità di combinazione della CO2. Sulla base di questi risultati, intorno al 1890 si era consolidato il concetto che la CO2 nel siero fosse combinata con l’alcali (sodio) che l’acido carbonico sposterebbe dal- le globuline. Senonché poco dopo questa teoria perdette credito, quando C. Bohr scoprì che una parte non trascura- bile della CO2 è combinata con l’emoglobina. Tutta- via questa scoperta fu accolta con scetticismo, per- ché a quel tempo non si credeva possibile un legame della CO2 con una proteina priva di alcali come è ap- punto l’emoglobina, non essendo ancora noti i carba- minocomposti. La combinazione con l’emoglobina fu tuttavia confermata da Setschenow, che precisò anzi trattarsi di un legame labile (dissociabile). L’altro im- portante contributo di Bohr fu la dimostrazione che la forma dissociabile quantitativamente più impor- tante in cui la CO2 è presente nel sangue è il bicar- bonato, con una componente trascurabile di carbo- nato. Egli notò anche una peculiare interazione tra la parte corpuscolata e il plasma per quanto riguarda- va la combinazione e la liberazione della CO2: benché non fosse possibile estrarre tutta la CO2 dal siero sen- za l’aggiunta di acido, ciò era invece possibile in pre- senza delle cellule del sangue, tanto più rapidamen- te e tanto più completamente quanto maggiore era il contenuto di ossigeno. Si giunse a queste acquisizio- ni intorno agli anni ’70-’80 del XIX secolo ma, ben- ché questi aspetti della fisiologia respiratoria riscuo- tessero grande interesse e fossero oggetto di studio in diversi laboratori tra cui quello di C. Ludwig (1816-1895), direttore della scuola di Lipsia, la più rinomata scuola di fisiologia in Germania, bisogna aspettare fino al 1914 per la dimostrazione conclusi- va della relazione tra l’assorbimento della CO2 e l’os- sigenazione del sangue, quando J.S. Haldane (1860- 1936), assieme a J.O. Christiansen (1882-1968) e a C.G. Douglas (1882-1963) dimostrò fuori di ogni dubbio che la combinazione della CO2 era maggiore nel sangue non ossigenato che in quello ossigenato, fenomeno noto da allora come effetto Haldane. D’altra parte la difficoltà che si dovette affrontare per capire il significato biochimico e fisiologico della CO2 è comprensibile se si pensa che, come vedremo, il con- cetto di ionizzazione e di idrogenione non comparve che nel 1887 con la teoria acido-base di Arrhenius, il concetto di pH fu introdotto da Sørensen nel 1909, e nello stesso anno Henderson definì la relazione tra H+, CO2d e HCO3-. Nel frattempo, nella letteratura medica circolava il termine di conio tedesco “alkale- scence”, dal significato assai sfumato che talora era confuso con i cationi forti (sodio e potassio) e tutt’al più si riferiva alla capacità del sangue di contrastare l’aggiunta di un acido forte, ma in termini assai ge- nerici. ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 32 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 33 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it L’influenza delle variazioni della pCO2 del sangue in- tiero sull’alkalescence del siero (plasma) era stata di- mostrata nel 1868 da N. Zuntz. L’alcalinità del siero aumentava tanto più (a pCO2 costante) quanto mag- giore era la pCO2 del sangue intiero prima della se- parazione del sangue in cellule e siero, il che era in- terpretato come il risultato della liberazione di alcali dagli eritrociti. Ma l’analisi quantitativa dell’alcali non ne dimostrò un aumento con l’aumentare dell’alcali- nità del siero, mentre variava il contenuto di cloro ne- gli eritrociti. Questo fenomeno fu studiato da H.J. Hamburger (1859-1924) che nel 1904, nel corso dei suoi studi sull’importanza della pressione osmotica nei liquidi biologici, dimostrò che gli ioni cloro negli eritrociti erano scambiati con gli ioni bicarbonato, processo noto da allora come scambio dei cloruri di Hamburger, che fu poi ulteriormente approfondito da D.D. van Slyke nel 1923 in relazione col trasporto della CO2 nel sangue. Sul finire degli anni ’70 del XIX secolo cominciarono a comparire i primi studi rivolti a esplorare un aspet- to della fisiologia acido-base di particolare importan- za, vale a dire i processi mediante i quali l’organismo fa fronte agli acidi introdotti con l’alimentazione o prodotti dal metabolismo. Ne scaturì ben presto che la quantità della CO2 nel sangue dipende non solo dalla funzione respiratoria, ma anche dalla “alkale- scence CO2-indipendente” del sangue, intendendo con questa espressione ciò che oggi chiamiamo gli acidi fissi (o acidi non volatili, in contrapposizione al- l’acido volatile CO2) prodotti dal metabolismo degli organi e tessuti. Divenne così chiaro che i composti dissociabili della CO2 conferivano al sangue la capa- cità di neutralizzare gli acidi metabolici non volatili, mentre una equivalente quantità di CO2 era liberata attraverso i polmoni. Ognuno può vedere l’importan- za e la preveggenza di queste acquisizioni nella for- mazione della moderna interpretazione della fisiolo- gia e della fisiopatologia dell’equilibrio acido-base. Lo sviluppo di questi importanti concetti si deve in lar- ga parte a F. Walter, di cui abbiamo detto nell’artico- lo precedentemente pubblicato su questo giornale. Queste scoperte riscossero interesse anche presso i ri- cercatori che studiavano il ruolo della CO2 nella re- golazione della respirazione. Nel laboratorio di Zuntz era stato evidenziato che l’iperventilazione che succe- de all’esercizio muscolare strenuo non è accompagna- ta dalla diminuzione del contenuto di ossigeno nel sangue, né dall’aumento del contenuto o della tensio- ne della CO2, che – anzi – è semmai diminuita. Questi risultati contrastavano con l’opinione general- mente accettata che i fattori causali dell’iperventila- zione fossero l’ipossemia o l’ipercapnia. Zuntz giun- se alla conclusione che l’iperventilazione durante l’esercizio muscolare strenuo era probabilmente do- vuta all’effetto di qualche prodotto del metabolismo muscolare. Nel 1921 C. Faurholt (1890-1972), direttore della Scuola Danese di Farmacia, nel corso dei suoi studi sui carbonati e carbamati, dimostrò che l’idratazione della CO2 ad acido carbonico è un processo assai len- to, e che a equilibrio solo un millesimo della CO2 era idratata ad acido carbonico, che quindi appariva es- sere un acido molto più forte di quanto si pensava precedentemente. Di qui l’introduzione del concetto di “costante apparente di dissociazione K”, che com- prende la CO2 fisicamente disciolta (CO2d) assieme all’acido carbonico. Questi risultati apparvero subito in tutta la loro im- portanza ai fisiologi respiratori: se gli esperimenti di Faurholt erano corretti, come poteva la CO2 essere liberata così rapidamente nel passaggio del sangue at- traverso i polmoni? Il primo a porsi il quesito fu O.M. Henriques (1895-1953), giovane medico dell’Istituto Statale di Sierologia di Copenhagen. Usando le co- stanti di velocità stabilite da Faurholt, egli calcolò che non più del 17% della CO2 poteva essere liberata dal sangue durante il passaggio per i polmoni, se il proces- so era dovuto soltanto alle leggi chimiche della dei- dratazione in soluzione di acqua pura. Sperimentan- do sul sangue, nel 1928 Henriques evidenziò che men- tre nel siero occorrevano 1-11/2 minuti per liberare il 50% della CO2, impiegando un emolisato la liberazio- ne della CO2 era completa in meno di 5 secondi. In ba- se alle curve di cinetica Henriques avanzò l’ipotesi che questa accelerazione fosse dovuta a un meccanismo ca- talitico, e prospettò la possibile importanza della com- binazione della CO2 con l’emoglobina in forma di “car- bahaemoglobin” come egli la denominò, ma non con- dusse ulteriori approfondimenti. Approfondimenti che furono ben presto realizzati: nel 1930 D.D. van Slyke (1883-1971) confermò la natu- ra catalitica della idratazione della CO2 nel sangue, e nel 1932 F. J.W. Roughton (1899-1972) e N.U. Mel- drun (1907-1933) isolarono negli eritrociti l’enzima responsabile che chiamarono anidrasi carbonica. È superfluo sottolineare l’interesse che questa scoper- ta destò nel mondo medico internazionale. Nel 1940 l’enzima fu prodotto in forma pura da D. Keilin (1887-1963) e T. Mann (1908- 1993), che scopriro- no pure che esso contiene zinco, un atomo per mo- lecola, essenziale per l’attività catalitica, e che la sul- fanilamide ne è un inibitore specifico. Nel 1937 H. Southworth segnalava che il trattamen- to con sulfanilamide causa acidosi, e E.K. Marshall (1889-1966) approfondì questo effetto farmacologi- co dimostrando che l’acidosi è dovuta a perdita di bi- carbonato. Nel 1940 H. Davenport (1912- 1969) dimostrò la presenza dell’ anidrasi carbonica nelle cellule tubu- ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 33 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 34 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it lari del rene, il che diede l’avvio agli studi che con- dussero all’approfondimento delle conoscenze sul- l’acidificazione dell’urina, sui difetti tubulari dell’aci- dificazione, e sugli inibitori dell’anidrasi carbonica a scopo farmacologico. Tra i primi che iniziarono que- sti studi furono R. Höber (1873-1953), che fu tra l’al- tro il primo a impiegare l’elettrodo di vetro per mi- surare il pH del sangue, e R. Pitts (1908-1977) che dimostrò che sia la secrezione degli idrogenioni sia il riassorbimento del bicarbonato diminuiscono nei tu- buli renali con l’inibizione dell’anidrasi carbonica. A questo punto la storia della CO2 confluisce nella storia degli idrogenioni, che nel frattempo si era evo- luta fino ai concetti moderni per merito soprattutto di S.A. Arrhenius (1859-1927), J.N. Brønsted (1879- 1947), S.P. L. Sørensen (1868-1939), L.J. Henderson (1878-1942), K.A. Hasselbalch (1874-1962). HH++,, ppHH,, ppKK,, ttaammppoonnii Come è noto, la prima teoria della chimica acido-ba- se su base scientifica fu quella che Arrhenius propo- se nel 1887, secondo la quale acidi sono i composti che dissociandosi liberano H+, e basi quelli che libe- rano OH- . Arrhenius aveva precedentemente dimo- strato la dissociazione spontanea degli elettroliti in soluzione, o ionizzazione, anche senza l’intervento della corrente elettrica, come era stato dimostrato da Faraday nel 1834, aprendo la strada alla definizione del concetto di costante di dissociazione o di ionizza- zione, K, da cui seguì la distinzione degli acidi e del- le basi in forti e deboli, nonché soprattutto l’importan- te concetto della funzione tampone. La teoria proposta nel 1923 da J.N. Brønsted (1879- 1947) e indipendentemente da T.M. Lowry (1874- 1936), che definisce gli acidi e le basi rispettivamen- te donatori e accettori di H+, estende la chimica aci- do-base oltre le soluzioni acquose, cui era limitata la teoria di Arrhenius. Nello stesso anno G.N. Lewis (1875-1946) estese ul- teriormente il campo della chimica acido-base, defi- nendo gli acidi accettori di una coppia di elettroni, e le basi donatori di una coppia di elettroni. Negli stessi anni, per precisione nel 1909, S.P. L. Sø- rensen (1868-1939) introdusse il pH quale unità di misura della concentrazione degli H+ in soluzione. Questa unità di misura si diffuse ben presto perché semplifica la notazione delle concentrazioni molto basse di H+, come è nei liquidi biologici. I vantaggi di questa unità di misura divennero evidenti quando anche la costante di dissociazione K venne proposta in termini analoghi al pH, col simbolo pK’. Diversa- mente da quanto comunemente si crede, fu N. Bjer- rum (1879-1958), e non K.A. Hasselbalch (1874- 1962) a introdurre questa trasformazione terminolo- gica: Hasselbalch la adottò quando, nel 1917, con- vertì l’equazione di Henderson in termini logaritmi- ci, nell’equazione nota da allora con la denominazio- ne di equazione di Henderson-Hasselbalch, ma che in Danimarca conserva ancora il termine di equazione di Bjerrum o equazione tampone. L. J. Henderson (1878-1942), professore di fisiolo- gia all’Università di Harvard dove si era laureato in Medicina, dedicò la sua attività di ricercatore ai mec- canismi che concorrono a mantenere la neutralità nel sangue, essendo rimasto colpito dalla «straordinaria capacità del sangue di neutralizzare grandi quantità di acidi e di basi senza alterare la sua reazione neutra» come ebbe ad annotare in una sua pubblicazione nel 1909. I risultati dei suoi studi furono raccolti nel te- sto pubblicato nel 1928, Blood. A study in general phy- siology. Rielaborando la legge di azione di massa per la dissociazione degli acidi deboli così che fosse ap- plicabile a miscele degli acidi deboli e dei loro sali con una base forte, ottenne la nota equazione [HA] [H+] = Ka [XA] Dove Ka è la costante di dissociazione dell’acido, [H+] è la concentrazione degli idrogenioni in soluzione, e [HA] e [XA] sono rispettivamente le concentrazioni dell’acido e del suo sale con una base forte. Hender- son dimostrò inoltre che quando [HA] e [XA] sono uguali, ossia quando il loro rapporto è 1, vale a dire quando [H+] = Ka, la variazione di [H+] in seguito al- l’aggiunta di un acido o di una base forte alla solu- zione è minima. Naturalmente, questi studi ebbero un’importanza determinante nel progresso delle co- noscenze sui meccanismi che regolano l’omeostasi del pH del sangue. Come abbiamo accennato, Hasselbalch trasformò l’equazione di Henderson in forma logaritmica, per assimilarla alla terminologia proposta da Sørensen. Ma il merito di Hasselbalch non si ferma qui. Lau- reato in Medicina all’Università di Copenhagen, fu di- rettore del Finsen Institute dal 1905 al 1917, dove dedicò i suoi studi all’equilibrio acido-base e, tra l’al- tro, fu il primo a misurare il pH del sangue median- te l’elettrodo all’idrogeno. Applicò la sua trasforma- zione dell’equazione di Henderson alla coppia HCO3-/CO2, mettendo così in luce il tampone bicar- bonato e definendo la sua costante di dissociazione ap- parente in termini di pK’ (6,1). Dopo il 1917 abban- donò gli studi di Medicina per dedicarsi alle sue co- spicue proprietà terriere, conducendo importanti stu- di di chimica agraria, tanto da diventare presidente della Società di Agricoltura danese e da vincere l’im- portante premio Fortjenstmedalien i Guld. ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 34 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 35 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it zione dell’alcali segnalata nel 1832 da O’Shaughnes- sy e da Clanny (vedi la prima parte di questo artico- lo pubblicata sul numero 4/2007). Nei primi anni del secolo scorso tuttavia questi meto- di di titolazione furono del tutto abbandonati, sia per la loro inaccuratezza, sia perché F. Walter aveva di- mostrato che la misura del contenuto di CO2 nel san- gue era un indice attendibile della neutralizzazione degli acidi metabolici non volatili da parte dell’alcali del sangue. Benché gli studi di Walter fossero compiu- ti nel 1877 (come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo pubblicata sul numero 4/2007), mol- to tempo dovette trascorrere prima che il progresso delle conoscenze che la ricerca aveva accumulato en- trasse nella pratica clinica. Si dovettero aspettare tre anni prima di accertare l’aumento dell’ammonio uri- nario nel diabete scompensato; sei anni prima di sta- bilire la presenza di cospicue quantità di acidi orga- nici nel sangue e nell’urina nel coma diabetico, e un- dici anni prima di dimostrare, in questa stessa condi- zione patologica, la diminuzione della CO2 nel san- gue. Metodi come quello per determinare l’ammonio o la CO2 erano generalmente ritenuti troppo difficili per essere applicati nella pratica clinica. Le risorse era- no limitate, e anche il prelievo del campione di sangue rimase un problema finché non furono introdotti gli aghi ipodermici intorno al 1910. Fino ai primi decen- ni del secolo scorso le analisi cliniche erano limitate ad alcuni componenti urinari, estese tutt’al più al dosag- gio dell’emoglobina nel sangue per mezzo del colori- metro comparatore, ed erano eseguite dagli stessi me- dici curanti nelle sale di degenza, spesso servendosi dei davanzali rientranti delle finestre. I laboratori ospedalieri centralizzati cominciarono a diffondersi solo intorno agli anni ’30 del ’900, e uno dei più im- portanti fondatori della Chimica Clinica fu D.D. van Slyke, che diede un impulso fondamentale allo svilup- po del laboratorio centralizzato negli ospedali, e con- tribuì altresì in misura essenziale al progresso della diagnostica di laboratorio in campo acido-base, come abbiamo accennato nell’articolo precedente e come vedremo poco più avanti. La tecnica potenziometrica mediante elettrodo al- l’idrogeno fu elaborata sul finire del XIX secolo da W.C. Böttiger (1871-1949) e da H.W. Nernst (1864- 1941). R. Höber (1873-1953) per primo applicò que- sta tecnica alla misura del pH del sangue nel 1900, ma l’elettrodo a idrogeno si dimostrò inaffidabile per questo materiale biologico, a causa sia dell’impreci- sione sia di una inaccettabile deriva durante il proce- dimento di analisi. Nel 1906 M. Cremer (1865-1935) scoprì che una sottile membrana di un vetro di speciale composi- zione, posta tra due soluzioni acide di differente for- Tuttavia, nonostante questi importanti progressi del- la chimica acido-base, una certa confusione persistet- te a lungo nel campo della biochimica e della fisiolo- gia dell’equilibrio acido-base. Fino a circa la metà del XX secolo prevalevano i concetti diffusi intorno al 1920 dalla scuola di B. Naunyn (1839-1925) e di D.D. Van Slyke (1883-1971), derivati in gran parte dalla teoria di Arrhenius e dalla teoria della dissocia- zione elettrolitica di Faraday, cosicché i termini di aci- do e di base venivano quasi a identificarsi con l’anio- ne e il catione che rispettivamente li componevano: così, nel sangue – sostenevano queste scuole – lo sta- to acido-base è in gran parte determinato dal sodio e dal cloro. Solo nella seconda metà del secolo scorso la teoria di Brønsted-Lowry andò affermandosi con difficoltà, dovendo sostituire il significato di base per il cloro, e per il sodio né il significato di acido né di base, ma semplicemente di catione. È interessante notare che la revisione dei concetti di biochimica acido-base pro- posta da P. Stewart in termini fisico-chimici più cor- retti, cui accenneremo più avanti, abbia nuovamente riportato alla ribalta l’importanza degli ioni forti co- me il sodio e il cloro nel meccanismo delle reazioni acido-base. È questa la dimostrazione che la storia dell’equilibrio acido-base è in continuo divenire, an- che nei suoi principi fondamentali di chimica biolo- gica, come avevamo accennato nell’apertura dell’ar- ticolo sul numero 4/2007. L’evoluzione del Laboratorio nella diagnostica acido-base L’esigenza di misurare l’alkalescence del sangue co- minciò a farsi sentire nella seconda metà del XIX se- colo. Sia in Germania sia in Francia, dove il termine tedesco era stato tradotto in alcalinité, furono appron- tati metodi di titolazione del sangue, tra cui quello proposto da N. Zuntz (1847-1920) nel 1867 che era ritenuto il più affidabile. Erano tuttavia metodi diffi- cili da controllare, basati sul viraggio di un indicato- re il cui colore di transizione non era facilmente di- stinguibile nonostante i più svariati accorgimenti adottati. I valori di riferimento variavano ampiamen- te da autore ad autore, sia per la scarsa conoscenza dei fattori che normalmente influenzano il pH del sangue, come ad esempio la temperatura, sia a causa della variabile perdita di CO2 dal campione in esa- me. Ciononostante, in alcuni laboratori dove erano osservate procedure standardizzate, si potevano ot- tenere risultati di utilità clinica. Così, R. von Jaksch (1855-1947), professore di pediatria a Graz, eviden- ziò nel 1887 una costante diminuzione dell’alkale- scence nell’uremia, mentre nel 1892 A. Cantani (1837-1893) a Napoli confermò nel colera la diminu- ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 35 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 36 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it za, generava una differenza di potenziale elettrico proporzionale alla differenza della concentrazione degli idrogenioni nelle due soluzioni. Il primo elet- trodo basato su questo principio (elettrodo a membra- na di vetro, o più semplicemente elettrodo di vetro) fu costruito da F. Haber (1868-1934) e Z. Klemensie- wicz (n. 1886) al Collegio per la Tecnica di Karls- ruhe nel 1909. Haber aveva studiato chimica a Berli- no, e aveva lavorato con Bunsen a Heidelberg, dedi- candosi intensamente all’elettrochimica: per molto tempo l’elettrodo di vetro fu noto in Germania come “l’elettrodo di Haber”. Divenne professore di chimi- ca tecnica a Karlsruhe nel 1899, poi di chimica fisica presso il Keiser-Wilhelm Gesellschaft a Berlino, quin- di professore onorario nell’Università di questa stes- sa città. Un metodo per ottenere ammoniaca dall’azo- to atmosferico per la produzione dei fertilizzanti gli valse il Premio Nobel nel 1918. Ma la sua reputazio- ne non solo scientifica e professionale doveva rapi- damente declinare quando, durante la Prima Guerra Mondiale, egli accettò l’invito a progettare armi chi- miche che le autorità militari germaniche avevano ri- volto al mondo scientifico allo scopo di risolvere la si- tuazione di stallo in cui le operazioni belliche si era- no arenate. Haber si rese disponibile a collaborare con entusiasmo per dimostrare che anche i cittadini di origine ebrea come lui erano ferventi patrioti, giac- ché anche prima dell’avvento del nazismo vi era in- tolleranza verso la razza ebraica, come lo stesso Ha- ber aveva dovuto sperimentare nei primi anni della sua carriera. Il risultato dei suoi studi a scopo bellico fu il gas che venne impiegato a Ypres, e che causò la morte o orribili deturpazioni a 25.000 soldati nemi- ci, senza peraltro produrre alcun beneficio strategico all’esercito tedesco. In seguito, Haber fu additato co- me criminale di guerra, nell’ambiente scientifico fu isolato e allontanato e, con l’avvento del Nazionalso- cialismo fu premiato nel 1933 con la privazione del posto che ricopriva all’Università e fu costretto a emi- grare in Inghilterra, dove morì nel 1934 distrutto nel- la mente e nello spirito. Meno drammatico, ma più lento e più difficoltoso, come abbiamo già accennato, fu lo sviluppo di me- todi adatti alla routine clinica per l’analisi quantitati- va della CO2. La difficoltà maggiore era il procedi- mento di raccolta della CO2 senza perdite in forme chimiche facilmente analizzabili: i metodi proposti a tal fine erano difficilmente accessibili alla pratica cli- nica. Queste difficoltà tecniche furono in gran parte risolte nel 1924 con l’introduzione nella chimica cli- nica dell’apparecchio di Van Slyke, che consentiva la misura della CO2 con un metodo affidabile e nel con- tempo sufficientemente semplice per essere adatto al- la routine ospedaliera: dopo eliminazione dell’ossige- no mediante ferricianuro e liberazione e assorbimen- to della CO2 in una miscela acida, questo gas era mi- surato in base alle variazioni di volume (metodo vo- lumetrico) o di pressione (metodo manometrico) cre- ando un vuoto torricelliano. Chiaramente, questa tecnica misurava la CO2 totale, ossia la somma della CO2d e del bicarbonato, allora nota con i termini riserva alcalina o ‘potere di combi- nazione della CO2’. Non vi erano invece ancora meto- di per la misura della pCO2, ossia della sola CO2d. La relativa semplicità del procedimento giustificò la rapida diffusione nei laboratori clinici di queste appa- recchiature, che rimasero a lungo nell’uso della rou- tine ospedaliera, e anche chi scrive questo articolo ne ricorda l’esperienza nei primi anni ’50 nel Labo- ratorio di Biochimica Clinica dell’Ospedale Maggio- re di Milano. Successivamente questi metodi venne- ro sostituiti da altri più semplici, come quello titrime- trico di Van Slyke e Cullen, o la tecnica per diffusio- ne di E.J. Conway (1894-1968). L’evoluzione del Laboratorio nella diagnostica acido-base L’esigenza di misurare l’alkalescence del sangue co- minciò a farsi sentire nella seconda metà del XIX se- colo. Sia in Germania sia in Francia, dove il termine tedesco era stato tradotto in alcalinité, furono appron- tati metodi di titolazione del sangue, tra cui quello proposto da N. Zuntz (1847-1920) nel 1867 che era ritenuto il più affidabile. Erano tuttavia metodi diffi- cili da controllare, basati sul viraggio di un indicato- re il cui colore di transizione non era facilmente di- stinguibile nonostante i più svariati accorgimenti adottati. I valori di riferimento variavano ampiamen- te da autore ad autore, sia per la scarsa conoscenza dei fattori che normalmente influenzano il pH del sangue, come ad esempio la temperatura, sia a causa della variabile perdita di CO2 dal campione in esa- me. Ciononostante, in alcuni laboratori dove erano osservate procedure standardizzate, si potevano ot- tenere risultati di utilità clinica. Così, R. von Jaksch (1855-1947), professore di pediatria a Graz, eviden- ziò nel 1887 una costante diminuzione dell’alkale- scence nell’uremia, mentre nel 1892 A. Cantani (1837-1893) a Napoli confermò nel colera la diminu- zione dell’alcali segnalata nel 1832 da O’Shaughnes- sy e da Clanny (vedi la prima parte di questo artico- lo pubblicata sul numero 4/2007). l’epidemia di poliomielite che infierì a Copenhagen sto che alla diminuzione del pH (e naturalmente de- l’alcalosi in direzione opposta) proposta da B. Nau- nyn e da D.D. van Slyke. Contribuiva pure all’incertezza e alla confusione in- terpretativa la mancanza di metodi per misurare la ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 36 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 37 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it mEq/l, distribuito pressoché ugualmente tra bicar- bonato ed emoglobina, con un minore contributo delle proteine e dei fosfati del plasma. Siggaard-An- dersen approfondì queste misurazioni mediante la titolazione del sangue con acidi e basi forti in diver- se condizioni fisiologiche e patologiche, raccolse i ri- sultati in forma grafica così da facilitarne il calcolo in base ai dati emogasanalitici, ed espresse i valori in ter- mini relativi, 0 ± 2mEq/l per i limiti normali, così da rendere più esplicita l’espressione di un eccesso o di un deficit (eccesso negativo) delle basi tampone. Questo indicatore, noto con la sigla BE, è ancor oggi comunemente diffuso nella pratica clinica a fini sva- riati, sia diagnostici che per valutazioni terapeutiche, ma il significato diagnostico che all’origine si propo- neva era assai ambizioso, pretendendo di distingue- re tra disordini acido-base semplici e disordini misti metabolici-respiratori. Questa pretesa riposava su principi di chimica ben solidi. Se infatti si considera la reazione tampone in un disordine acido-base di ti- po metabolico, ad esempio l’acidosi: + HCO3- → CO2 + H2O H+ (1) + T- → HT Dove T- e HT sono i tamponi non bicarbonato (emo- globine, proteine, fosfati), si può vedere che sia HCO3- sia T- diminuiscono per consumo nella rea- zione tampone, quindi BE (che è la loro somma) di- minuisce. Risultati opposti si hanno nell’alcalosi me- tabolica, dove quindi BE aumenta. Si consideri ora la reazione tampone nei disordini aci- do-base di tipo respiratorio, analogamente, per esem- pio, l’acidosi: CO2 → H + + HCO3- ↓ (2) T- + H+ → HT mentre T- diminuisce per consumo nella reazione tampone, HCO3- stechiometricamente aumenta: quindi l’aumento di HCO3- è esattamente uguale al- la diminuzione di T-, e di conseguenza BE rimane invariato e = 0, sia nell’acidosi che nell’alcalosi re- spiratoria. Pertanto, BE dovrebbe essere un indicatore in gra- do di distinguere tra un disordine di tipo metaboli- co e uno di tipo respiratorio: se per esempio in un’acidosi respiratoria BE è diverso da 0, ciò è indi- ce che il disordine non è respiratorio puro, bensì vi è una componente di tipo metabolico. Senonché il condizionale dubitativo è però d’obbli- go: la pretesa capacità discriminatrice di BE è solo pCO2. Di fondamentale importanza a tal fine fu il contributo di P. Astrup (n. 1915) che dimostrò la re- lazione lineare tra pH e log pCO2. Misurando il pH in due aliquote di un campione di sangue equilibrate a pCO2 note (tecnica perciò detta di equilibrazione), era possibile determinare per interpolazione la pCO2 del campione corrispondente al pH originario. Così si chiarì la natura dell’aumento del bicarbonato quale manifestazione di un’acidosi respiratoria e non di un’alcalosi metabolica nei pazienti colpiti dalla polio- mielite, e divenne altresì possibile definire, in base al- l’equazione di Henderson, il profilo emogasanalitico completo, consentendo di distinguere tra i disordini di tipo metabolico e quelli di tipo respiratorio. L’emogasanalisi si avvantaggiò di un ulteriore pro- gresso con l’introduzione dell’elettrodo di pCO2 co- struito da R.W. Stow (n. 1916) e J.W. Severinghaus (n. 1922), e dell’elettrodo di L.C. Clark per la mi- sura della pO2, entrambi comparsi nel 1954. L’espe- rienza dell’epidemia di poliomielite in Danimarca fu tra l’altro importante anche perché diede l’avvio al- lo sviluppo delle Scuole di Terapia Intensiva, che sorsero e si diffusero in tutti i Paesi accanto alle Scuole di Anestesiologia. Tuttavia, col progredire delle conoscenze sia della fi- siologia sia della patologia acido-base favorito anche dal perfezionamento delle tecniche emogasanalitiche, si fece sentire sempre più l’esigenza di disporre di cri- teri o indicatori che consentissero di distinguere in un profilo emogasanalitico la componente metabolica dalla componente respiratoria, sia perché divenne ben presto evidente che accanto ai disordini acido-base semplici vi erano anche i disordini misti, la cui fre- quenza è tutt’altro che trascurabile specialmente nei pazienti in condizioni critiche, sia perché anche in un disordine semplice di tipo metabolico le alterazioni del bicarbonato risentono anche delle variazioni del- la pCO2, e non consentono quindi una valutazione quantitativa del disordine. Un primo indicatore fu elaborato da Astrup nel con- testo della sua tecnica di equilibrazione sopra accen- nata: misurando il pH del campione di sangue alla pCO2 di 40 mmHg, poteva essere calcolato il bicar- bonato standard, ossia la concentrazione del bicarbo- nato plasmatico depurata dall’influenza della pCO2, e quindi più affidabile espressione della componente metabolica. Un indicatore di maggiore interesse fu tuttavia il Ba- se Excess (BE), elaborato da O. Siggaard-Andersen (1932) sul finire degli anni ’50 dello scorso secolo. Questo indicatore prende spunto dalle precedenti ri- cerche di R.B. Singer e A.B. Hastings, che avevano misurato la concentrazione totale delle basi tampone del sangue, trovando un valore medio normale di 48 → → ECJ_5_07_interni_terza.qxp 16-11-2007 9:25 Pagina 37 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. medicina di laboratorio e trasfusionale 38 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II I n um er o V • O tt o b re 2 00 7 • w w w .e cj .it teorica. Infatti nel 1963 studiosi americani della Scuola di Boston (R. Winters, W.B. Schwartz, A.S. Relman, N.C. Brackett, J.J. Cohen) contestarono a Siggaard-Andersen che BE non rimane invariato nei disordini acido-base di tipo respiratorio, anche se puri, perché l’HCO3- non resta confinato nel setto- re vascolare, bensì diffonde nel compartimento in- terstiziale in varia misura. La teoria di Siggaard-An- dersen è valida in vitro ma non in vivo, dimostrarono gli Autori statunitensi in un ampio dibattito di casi clinici discussi tramite il giornale New England Jour- nal of Medicine, che divenne noto come Great Tran- satlantic Debate. Gli studiosi danesi del gruppo di Siggaard-Andersen cercarono di correggere le limitazioni del BE, cal- colandolo in base a una concentrazione di emoglo- bina di 5-7 gr/100 ml, il che equivale a estendere lo spazio di distribuzione anche al settore interstizia- le. Maggiore affidabilità offrirono tuttavia gli indi- catori diagnostici elaborati dagli Autori americani, basati sui limiti fisiologici della risposta compensa- toria. Questi indicatori sono stati elaborati median- te lo studio di ampie casistiche dei disordini acido- base semplici sia di tipo metabolico che di tipo re- spiratorio, mettendo in relazione un parametro emogasanalitico espressione dell’entità del disordi- ne (HCO3- nei disordini metabolici, pCO2 in quelli respiratori) col parametro espressione della difesa compensatoria (pCO2 nei disordini metabolici, HCO3- in quelli respiratori). Si ottennero così indi- catori validi in vivo anziché in vitro, denominati ap- punto “limiti di compenso in vivo”, ripetibili con af- fidabilità del 95%, la cui validità diagnostica resiste tuttora alla prova del tempo. Questi studi hanno tra l’altro dimostrato che i processi compensatori han- no limiti fisiologici che non consentono di riporta- re spontaneamente il pH del sangue entro i limiti normali, vanificando quindi il significato di termi- nologie obsolete come “compenso parziale”, “com- penso completo o totale”, termini che non hanno ri- scontro fisiologico. P. Stewart e il SID La revisione critica dei principi di biochimica acido- base che P. Stewart presentò negli scorsi anni ’80 è la più eloquente dimostrazione del continuo divenire dei concetti fondamentali su cui si basa l’equilibrio acido-base. Accolto da alcuni come artefice di una rivoluzione, in realtà Stewart se ne guarda bene dal ri- voluzionare alcunché: più semplicemente egli riesa- mina alcuni concetti tradizionalmente interpretati in modo non corretto secondo i principi della fisica-chi- mica. Così l’H+, tradizionalmente inteso come il pro- tagonista della chimica acido-base, viene corretta- mente riveduto come una delle variabili dipendenti, così come pure è una variabile dipendente l’HCO3- . Una variabile indipendente nella biochimica acido-ba- se è invece la differenza tra gli ioni forti (Strong Ion Difference, SID), ossia quelli che in soluzione acquo- sa si dissociano completamente, principalmente quindi nel plasma il sodio e il cloro; le altre variabili indipendenti sono la pCO2 e la concentrazione tota- le degli acidi deboli (Atot). Non è questa la sede per scendere nei particolari della revisione (non è una nuova teoria) di Stewart. Basta dire che essa è indub- biamente utile perché definisce in termini corretti la biochimica acido-base e perché consente di indivi- duare con maggiore chiarezza i meccanismi patoge- netici, senza sconvolgere sostanzialmente la fisiopa- tologia e la clinica dei disordini acido-base. Dal pun- to di vista clinico la principale utilità è in una più pre- cisa valutazione del Gap Anionico, e nell’evidenzia- zione dell’importanza dell’albumina e delle sue alte- razioni nella patogenesi di disordini acido-base di in- teresse soprattutto nei pazienti in condizioni critiche. È del tutto attuale un’evoluzione di questi concetti, che tende a riunificare le interpretazioni più tradi- zionali con quelle più recenti di Stewart, mettendo- ne in risalto irispettivi meriti e difetti. È certo co- munque che la continua evoluzione, fino ai fonda- mentali principi, aggiunge mistero e fascino a un ca- pitolo della fisiologia tra i più complessi ma anche tra i più belli, l’equilibrio acido-base. 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