ecj 2 2009 Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 44 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne ,c lin ic a, ric er ca • A nn o V n um er o II • A pr ile 2 00 9 • w w w .e cj .it eeddiittoorriiaallee emergency care journal I lettori di Emergency Care Journal ricorderanno l’articolo di Peter Popham su The Independent del 20 dicembre 2007 (ed il felice commento del diret- tore Ivo Casagranda) “In Italia, nella mia esperien- za, ci sono due differenti sistemi sanitari. Se uno viene investito da uno scooter, o (come è accaduto a nostro figlio) se viene colpito da un compagno con un calcio alla mandibola e si procura una feri- ta, è costretto ad andare al più vicino ospedale prov- visto di Pronto Soccorso. Lì c’è spesso da aspettare parecchio tempo, in un ambiente trascurato e poco confortevole, però non ti viene chiesto che il nome o l’indirizzo e non ti viene richiesto il pagamento della prestazione che quando arriva è rapida, senza fronzoli e fatta con molta competenza. Il paziente viene trattato con schiettezza. Nessuna confusio- ne, ambiente carico di adrenalina e soprattutto (un miracolo in Italia) nessuna burocrazia. Il tutto ven- ne fatto senza dover pagare alcunché. Avremmo po- tuto essere di Los Angeles o provenire dal profon- do della Romania e l’atteggiamento dell’equipe sa- rebbe stata lo stesso”. Da esserne inorgogliti, e così fu. L’articolo poi proseguiva implacabile: “Ma quando il caso non costituisce un’emergenza, il genio ita- liano nel creare impedimenti burocratici si sbizzar- risce per davvero”. Appunto, la burocrazia, il “po- tere degli uffici”, quel groviglio di regole imperso- nali ed astratte, di procedimenti e di ruoli immodi- ficabili in cui noi lavoriamo e per cui i pazienti pa- zientano, che nella non emergenza-urgenza grava sul Pronto Soccorso (PS). Groviglio tanto consoli- dato da essere scotomizzato, accettato e, ahimé, giustificato dal medico di PS; quasi fosse affetto da una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale la vittima (medico di PS e paziente) nutre sentimenti di affetto per i propri carcerieri (specialisti, dire- zioni sanitarie) e rancore per i propri alleati (mala- ti, medici di PS). Provo a spiegarmi con alcuni esempi, che fanno ri- ferimento tutti al mio ultimo giorno di lavoro della scorsa settimana. Un cardiologo ospedaliero diagnostica in ambula- torio divisionale uno scompenso cardiaco (classe NYHA 4) e propone al malato, poco più che cin- quantenne, il ricovero nel suo reparto. Il malato ac- cetta e viene quindi inviato in Pronto Soccorso per il ricovero. Al termine di una lunga attesa, a me che lo interrogo o chiedo di visitarlo, egli dice sostan- zialmente che ha già aspettato abbastanza, di non scocciarlo ulteriormente e di mandarlo il prima possibile in reparto. Quel triage, quella attesa di vi- sita in PS, quella visita stessa e la bolla di ricovero del PS erano necessari o superflui? Era necessario rappresentare l’ultima frontiera per il ricovero o era più semplice (ed appropriato) inviare il malato dal- l’ambulatorio direttamente in reparto? Poco dopo, un secondo cardiologo visita un altro paziente per dolore toracico protratto insorto due giorni prima, e lo invia in PS per eseguire dosaggio della troponina: nella sua area ambulatoriale sono presenti due infermieri professionali ma “non pos- sono” eseguire il prelievo del sangue perché gli esa- mi “urgenti” si fanno in PS e perchè altrimenti il si- gnore dovrebbe pagare il ticket. Ergo, come sopra: uno stesso malato, per la stessa patologia, per la stessa prestazione, con la stessa iscrizione nel ser- vizio sanitario regionale, per uno stesso livello es- senziale di assistenza, può “burocraticamente” fare l’esame (gratis per giunta) in PS ma 50 metri più in là no, pur facendo parte della stessa azienda sa- nitaria? Dopo aver fatto la coda dal cardiologo de- ve quindi farne un’altra in PS per poi tornare dal cardiologo con l’esame richiesto, ammesso che il Massimo Presenti Campagnoni Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda USL Valle d’Aosta, Aosta LL aa ss ii nn dd rroo mm ee dd ii SS tt oo cc cc oo ll mm aa ddeell mmeeddiiccoo ddii PPrroo nn tt oo SSooccccoorrssoo ((ee ddeell mmaallaattoo)) Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 55 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne ,c lin ic a, ric er ca • A nn o V n um er o II • A pr ile 2 00 9 • w w w .e cj .it eeddiittoorriiaallee medico di PS non voglia dire anche lui la sua? A quale struttura, Pronto Soccorso o ambulatorio spe- cialistico, il malato attribuirà l’inefficienza del suo percorso sanitario e le lunghe attese? Un settantenne con stenosi esofagea neoplastica, sottoposto quattro giorni prima a dilatazione en- doscopica, non riesce più a deglutire né solidi né liquidi. L’oncologo che lo ha “preso in carico” in Day Hospital contatta il gastroenterologo (altri l’a- vrebbero subito inviato in PS), accordandosi per il ricovero, ma lo invia ugualmente in PS per fare gli “esami urgenti”. Dopo quasi tre ore di attesa, il pa- ziente è ricoverato in Gastroenterologia, dopo il prelievo degli esami ematochimici. Non avrebbe potuto fare i prelievi in reparto, tranquillamente a letto invece che su una barella in PS caotico? Un signore di cinquantasei anni ha inalato sette giorni prima vapori di ammoniaca e da allora è af- fetto da tosse, nonostante le cure del Medico di Medicina Generale (MMG): il MMG richiede la vi- sita “urgente” dello Pneumologo, che non visita ma lo manda in PS. Un altro paziente di sessantacinque anni viene inviato dal MMG per una consulenza oncologica “urgente per ricovero”, dopo aver effet- tuato una TAC torace suggestiva per sospetta neo- plasia polmonare. Il malato si presenta al reparto, ma viene rinviato in PS perché le visite urgenti si fanno in PS. Domanda: che senso ha passare dal proprio medico curante e perdere tempo, se poi le prestazioni richieste saranno erogate solo attraver- so un ulteriore “filtro” del PS? Non vale la pena che il malato eviti la “pre-visita” dal MMG e vada di- rettamente in PS? Inoltre, è nella mia mission di me- dico di PS (e ne sono autorizzato?) di censurare il bisogno espresso dal MMG? Tanti esempi capitati in un solo turno lavorativo. Anch’io, come chiunque nella trincea del PS, pati- sco quotidianamente lo sfinimento delle mille si- tuazioni sopra descritte, desidero evitare conflitti con tutti, clienti interni ed esterni, e, cercando di mettere una pezza al sistema, tiro avanti consolan- domi con il giudizio positivo espresso da un gior- nalista inglese un anno fa: ma ogni giorno con un pò di burn out in più. Mi sforzo allora di far ripren- dere alla ragione il sopravvento sulla rassegnazione, e mi chiedo se sia così difficile smetterla di fare co- se inutili. Cosa possiamo fare noi per evitare di ve- dere i malati sballottati in PS per futili motivi o per abitudini consolidate e per evitare al PS l’immagi- ne negativa del disservizio, delle lunghe attese dei malati e della ripetizione delle visite. E soprattut- to, mi chiedo: in questa fattispecie, è di utilità al cambiamento organizzativo la buona volontà del solo medico di PS, l’attitudine spontanea ed elogia- ta alla non burocrazia, che lo spinge a risolvere i problemi che si presentano e a vicariare le funzioni altrui? Io credo proprio di no, anzi credo che da so- la, senza interventi riorganizzativi paralleli, la buo- na volontà serva solo a consolidare lo status quo della disorganizzazione organizzata. Abbiamo dalla nostra parte buonsenso e norme: nulla vieta infatti anche al medico specialista ospe- daliero di fare direttamente le attività necessarie al malato, ad esempio ricoverare nel proprio reparto chi ne ha bisogno (e nessuno potrebbe considerare come una sorta di clandestino il malato che accede in reparto se non ha varcato la frontiera del PS), ov- vero di fare una sorta di triage nella gestione delle proprie liste d’attesa ambulatoriali. Tutto, leggi e sentenze, dalla Costituzione alla riforma sanitaria (30 anni ora!) e norme derivanti, è un susseguirsi di richiami ai principi di equità, efficacia, efficien- za, qualità: tutto orienta l’azione verso l’appropria- tezza, l’abbattimento delle barriere all’accesso alle cure, l’umanizzazione dei percorsi. Sono quindi so- lo cattive abitudini, procedure mai scritte, tradizio- ni orali di cui nessuno si assume pubblicamente la paternità ma purtroppo così consolidate da essere, come sopra detto, accettate e giustificate. Per contro, nessuna norma ci individua come “le forze dell’ordine” del SSN pronti a far da barriera all’accesso alle prestazioni, a filtrare le richieste del MMG (il professionista del SSN, liberamente scel- to dal cittadino, con la mission specifica di valuta- re i bisogni primari dell’assistito) e a sanzionare gli accessi impropri non solo nel nostro settore (il PS) ma anche in quello degli altri. Quindi, se le prestazioni o il ricovero sono appropriatamente ri- chiesti, questi devono essere erogati direttamente da chi è nelle condizioni di farlo, senza interme- diari. Se invece le richieste sono inappropriate, in termini organizzativi o di salute, anche lo specia- lista deve farsi carico di promuoverne l’appropria- tezza nei riguardi di chi richiede “inappropriata- mente” tali prestazioni. A questo punto è doveroso, a parer mio, un ri- chiamo professionale e deontologico, se non eti- co a due termini spesso invocati, in altre occasio- ni, anche dal medico di PS: siamo dirigenti, siamo specialisti. Ma se dirigente è detto di chi dirige, di chi assolve a funzioni di guida e di comando, di chi opera per obiettivi (e noi vogliamo esserlo), e se specialista è detto di chiunque si è specializza- to, mediante studi approfonditi e adeguata prati- ca, in un determinato settore di una scienza, di una professione (e noi vogliamo esserlo), il com- pito di risolvere i problemi, abbattere le storture, migliorare i percorsi, è in capo in primis a tutti noi medici di Pronto Soccorso, non in quanto sinda- calisti, ma appunto per essere dirigenti e specia- listi. Non aspettiamo quindi che tutto il mondo intorno a noi (direzioni sanitarie, specialisti, ter- ritorio) cambi, ma cambiamo noi, cominciando a vedere e pensare dalla parte del malato e non delle veteroistituzioni: sarà un modo concreto di fare qualità e risk management. Con una sola grande attenzione: operare tutti in- sieme, con grande spirito di gruppo, per evitare che la protesta del singolo medico di PS su eventi illo- gici e la sua richiesta di cambiamenti organizzati- vi, sia equivocata dai reparti come arroganza, rab- bia, voglia di non collaborare o peggio di lazzaro- neria contrapponendolo magari, nelle chiuse cor- sie dell’ospedale, al “bravo” collega che invece la- vora in silenzio. In altre parole, per non ridurre il tutto ad un cattivo rapporto personale rispetto a quello che devrebbe invece essere un rapporto di benessere organizzativo e professionale. Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 66 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi o ne ,c lin ic a, ric er ca • A nn o V n um er o II • A pr ile 2 00 9 • w w w .e cj .it eeddiittoorriiaallee ESAMI DI LABORATORIO IN MEDICINA D’URGENZA P. Carraro, I. Casagranda, M. 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L’Opera è accurata nella parte meno nota della materia, quella relativa al polmone e alle sue “sindromi” eco- grafiche, alla diagnosi ecografica della dispnea, agli addensamenti del polmone, alla FAST estesa al di sopra del diaframma, alla patologia neonatale, all’interventistica toracica. Al testo è allegato un CD-Rom in cui sono raccolti 173 filmati originali che illustrano i vari quadri clinici presentanti, fornendo al lavoro una notevole effi- cacia didattica. Per informazioni e ordini contattare il Servizio Assistenza Clienti al n. 011.37.57.38, oppure inviare uan e- mail a cgems.clienti@cgems.it o consultare il catalogo on line del sito www.cgems.it Collana