Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. editoriale 9 emergency care journal em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V • O tt o br e 20 06 • w w w .e cj .it Sono le 11 del mattino e il Pronto Soccorso è piuttosto af- follato, quando la Centrale Operativa 118 comunica l’im- minente arrivo di un paziente in arresto cardiorespirato- rio e richiede l’allertamento del rianimatore; uno dei due medici in servizio ha appena completato il corso ACLS ed è impaziente di mettere in pratica le conoscenze e le abilità acquisite, ma mentre attende l’arrivo dell’ambu- lanza comincia a riflettere: «Il mio primario mi ha rac- comandato di intubare solo se mi sento assolutamente si- curo… la Direzione Sanitaria non ha mai ritirato la di- sposizione di far intervenire tempestivamente in questi casi il rianimatore… Gli infermieri in turno non sono sta- ti ancora addestrati a supportarmi nelle procedure ria- nimatorie… Ci sono 20 pazienti in attesa e io ne ho già 14 aperti che richiederanno nella prossima ora ulteriori valutazioni. Il mio collega, esperto ecografista ed elettro- cardiografista, non è in grado di aiutarmi non avendo an- cora acquisito alcuna abilità nella gestione avanzata del- le vie aeree, d’altra parte è già visibilmente irritato al- l’idea di dover gestire da solo la coda finché io tratterò l’arresto… Dovrò comunque affidare, alla fine, il pazien- te ai rianimatori che hanno già minacciato denunce per ogni ritardo o errore… Tutto sommato, meglio seguire le indicazioni della Cen- trale e allertare subito il rianimatore… e già che ci sia- mo anche il cardiologo, che mi sarà certamente richiesto per l’interpretazione dell’ECG». Dall’inizio degli anni Novanta l’evoluzione dei servi- zi di emergenza intra- ed extraospedalieri in Italia si caratterizza per un processo rapidamente progressivo di acquisizione formale, da parte del personale me- dico e infermieristico, di livelli di addestramento sempre più avanzati. Questo processo, che ha impli- cato e implica elevati costi in termini di risorse uma- ne, organizzative ed economiche e che è stato ulte- riormente stimolato negli ultimi quattro anni dalla normativa ECM, pur avendo permesso ai servizi di emergenza di disporre di personale in gran parte cer- tificato secondo standard formativi internazionali, sta avendo, purtroppo, ripercussioni operative assoluta- mente inadeguate rispetto agli sforzi fatti e alle attese. È innegabile, infatti, che la maggior parte del persona- le addestrato, ma talora anche degli addestratori dei diversi corsi internazionali o degli equivalenti nazio- nali e locali, utilizzi solo in piccola parte nella pratica quotidiana le diverse abilità acquisite, vanificando co- sì gran parte degli sforzi compiuti. Questo stato di fat- to richiede una riflessione, l’identificazione delle cau- se e l’attivazione urgente di correttivi adeguati. La facile argomentazione che tutto dipenda dalla man- canza di una specifica Scuola di specializzazione e che l’adozione di un sistema formativo basato sull’esecu- zione dei corsi di addestramento internazionale non sia sufficiente a formare la figura del medico d’urgen- za identifica certamente una causa vera, ma non l’uni- ca e neppure la più importante; non spiega tra l’altro il successo internazionale e l’efficacia del modello for- mativo suddetto nelle realtà in cui la Specialità di Me- dicina d’Urgenza non è o non era presente. Le cause sostanziali della scarsa efficacia dei metodi formativi attualmente utilizzati vanno in realtà ricon- dotte a gravi incoerenze organizzative di ordine gene- rale o specifiche delle diverse realtà locali, ma am- piamente diffuse, che se non corrette vanifichereb- bero per altro anche i risultati attesi dalla Scuola di specializzazione recentemente approvata. Il punto critico, alla base del problema in esame, va riconosciuto nella stupefacente discrepanza fra il mo- dello formativo e quello operativo utilizzati nel nostro Paese: in Italia, infatti, come nella maggior parte de- gli altri Paesi, è stato importato e adottato un sistema formativo di modello nordamericano basato sui cor- si BLS (AHA), ACLS (AHA), AMLS (NAEMT), BTLS (ACEP), PhTLS (NAEMT), ATLS (ACS) affiancati da altri corsi nazionali o locali, omogenei a questi per contenuti e metodologia didattica. Questo sistema per altro è finalizzato alla realizzazione di un model- lo operativo gestito dalla figura professionale del- l’Emergency Physician autonomo nella gestione inizia- le di base e avanzata di ogni emergenza sanitaria. La diffusione in Italia di questo modello, soprattutto nei grandi ospedali, è però modesta e lenta a favore del modello operativo tradizionale che prevede, per Formazione e (in)coerenza organizzativa Franco Tosato Dipartimento Interaziendale di Pronto Soccorso, Azienda Ospedaliera di Padova Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. editoriale 10 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V • O tt o br e 20 06 • w w w .e cj .it la gestione dei pazienti critici, la presenza in Pronto Soccorso o l’immediata disponibilità di diversi spe- cialisti ognuno con i suoi specifici ambiti di compe- tenza; il mancato rispetto di questo ordine di cose da parte dei medici di Pronto Soccorso viene quasi sem- pre pesantemente scoraggiato, spesso “proibito” da specifiche disposizioni, quando non addirittura pre- teso come illegale. In tali situazioni, ovviamente, l’acquisizione delle abi- lità previste nei corsi internazionali rappresenta un inutile dispendio di soldi ed energie e tali abilità sa- ranno rapidamente perdute in assenza di una pratica routinaria. A prescindere dall’opportunità di mantenere il siste- ma tradizionale di tipo polispecialistico o passare a quello monospecialistico basato sul medico d’urgen- za, resta innegabile il fatto che il successo di un pro- gramma formativo dipenda dal modello operativo che si intende realizzare: l’operatività di un modello polispecialistico tradizionale richiederà, infatti, un’impostazione formativa specifica e diversa da quella nordamericana, quest’ultima invece sarà utile ed efficace solo in quelle realtà in cui sia prevista una riorganizzazione di tutto il sistema in senso mono- specialistico, all’interno del quale il programma for- mativo e riorganizzativo siano attuati in maniera pa- rallela e consensuale. Su questo punto è necessaria innanzitutto una chia- ra e ferma “convinzione” della Direzione del Pronto Soccorso e Sanitaria. Questo presupposto rappresen- ta, infatti, la condizione preliminare indispensabile alla realizzazione di un percorso riorganizzativo che si presenta complesso e costellato di ostacoli non so- lo tecnici ma anche, e soprattutto, di ordine cultura- le, politico e corporativo, evocati dalla necessaria ri- definizione e ridistribuzione di ruoli e competenze fra le diverse unità operative coinvolte nella gestione dell’emergenza sanitaria. Da questo punto di vista è curioso verificare come in molti casi siano proprio la Direzione del Pronto Soc- corso e la Direzione Sanitaria a scoraggiare o “proibi- re” l’applicazione pratica delle abilità acquisite nei corsi che hanno rispettivamente richiesto e pagato. Sotto l’aspetto tecnico la conversione di un sistema tradizionale in un sistema monospecialistico prevede, come condizione necessaria alla riuscita del progetto, un adeguamento quantitativo dell’organico medico e infermieristico graduato sullo stato di avanzamento del programma riorganizzativo stesso. È proprio in riferimento a quest’ultimo punto che va segnalata un’altra criticità responsabile della scarsa ef- ficacia di tanti progetti di formazione: in molti casi, forse la maggioranza, infatti, i servizi di Pronto Soc- corso lavorano con organici inadeguati e la discrepan- za fra le risorse disponibili e i carichi di lavoro è tradizio- nalmente risolta con l’affidamento precoce dei pa- zienti più impegnativi al personale specialistico ri- spettivamente competente. In un servizio di Pronto Soccorso in via di riorganizzazione monospecialisti- ca, in cui il carico di lavoro dei singoli medici pro- gressivamente aumenta, l’innesco, la persistenza o l’accentuazione di questo fenomeno potrebbe impe- dire il mantenimento e il rafforzamento delle abilità acquisite con la pratica quotidiana, con gli ovvi, dele- teri effetti sull’efficacia dello sforzo formativo. Rispettati questi presupposti generali, relativi al- l’omogeneità dei modelli formativi e organizzativi pianificati e all’adeguatezza delle risorse umane impe- gnate ai carichi di lavoro richiesti, l’efficacia di un progetto formativo è strettamente correlata anche al- le sue modalità organizzative, che non possono ridur- si all’esecuzione disordinata “a pioggia” comunemente praticata, ma richiedono il rispetto dei seguenti, pre- cisi criteri di esecuzione: • integrazione dei livelli di formazione del persona- le medico e infermieristico; • predefinizione delle priorità di esecuzione dei di- versi corsi; • esecuzione dei corsi in blocchi omogenei. In riferimento al primo punto appare ovvio afferma- re che la stretta collaborazione operativa fra medici e infermieri richiede livelli di addestramento armoni- ci, integrati e adeguati alle rispettive funzioni; l’inos- servanza di questa regola produce situazioni parados- sali di difficile gestione quali la coesistenza di infer- mieri addestrati a livello avanzato (ad esempio ACLS) con medici non ancora formati a livello di base (BLS) o, più frequentemente, di medici addestrati a livello avanzato con infermieri non formati a supportarli in questa funzione. Un errore molto più comune (quasi generale) nell’im- plementazione pratica dei piani formativi si riferisce al secondo punto ed è rappresentato dal mancato ri- spetto di un preciso e razionale ordine di esecuzione dei diversi corsi; questo infatti dovrebbe essere pre- determinato in accordo allo stesso sistema di priorità ABC di base e avanzato che è applicato nel trattamen- to dei pazienti: i corsi di base dovrebbero quindi pre- cedere i corsi avanzati, mentre ai corsi specifici rela- tivi, ad esempio, alla valutazione del C (ecografia, elettrocardiografia), dovrebbe accedere solo perso- nale già formato nelle procedure di valutazione e sta- bilizzazione dell’A e del B. In caso contrario infatti si verrebbero a formare figu- re professionali “abnormi” di difficile inserimento nei team impegnati nella gestione dell’emergenza ove il medico di Pronto Soccorso, rinunciando alla leader- ship, si proporrebbe rispettivamente come elettrocar- Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. editoriale 11 em er ge nc y ca re jo ur na l - o rg an iz za zi on e, cl in ic a, ric er ca • A nn o II n um er o V • O tt o br e 20 06 • w w w .e cj .it diografista o ecografista, un ruolo tra l’altro spesso non accettato dal team leader (il gestore delle vie ae- ree), che pretende per questi ambiti di competenza la consulenza specialistica istituzionale del cardiolo- go e del radiologo. Le conseguenze facilmente prevedibili di tali situazio- ni sarebbero lo stravolgimento della mission del Pron- to Soccorso e l’utilizzo delle abilità acquisite nei cor- si nella funzione parziale e, per certi versi impropria, di supporto alla gestione dei pazienti stabili. La terza peculiarità organizzativa che migliora signi- ficativamente l’efficacia dei corsi è la loro esecuzione in blocchi omogenei che coinvolgano in tempi brevi la maggioranza del personale destinatario; questa modalità di esecuzione infatti innesca meccanismi di cooperazione e confronto fra i diversi professionisti e ha quindi effetti estremamente positivi sia nella fa- se di studio teorico preliminare al corso, sia nella fa- se successiva di applicazione pratica delle abilità ac- quisite. Per contro, la tradizionale esecuzione disor- dinata e casuale dei corsi determina gravi disarmo- nie organizzative che comportano ampie e continue fluttuazioni dell’operatività del sistema, secondo il grado e tipo di preparazione del personale in servi- zio nei diversi turni, con le conseguenti difficoltà di cooperazione fra colleghi. Il risultato finale sarà anco- ra una volta l’inapplicabilità pratica delle abilità ac- quisite e la progressiva perdita delle stesse. Ulteriori accorgimento utili a omogeneizzare l’attivi- tà dei medici di Pronto Soccorso e migliorare l’effica- cia dei programmi formativi sono rappresentati da: • un addestramento preliminare all’esecuzione del- le procedure fondamentali per la gestione dei pa- zienti critici e specificamente l’intubazione orotra- cheale; l’applicazione di questa manovra infatti, per motivi non tanto tecnici, quanto soprattutto di ordine psicologico, costituisce l’ostacolo più dif- ficile da superare nell’acquisizione da parte dei medici di Pronto Soccorso del ruolo effettivo di Emergency Physician; • la registrazione delle procedure eseguite annual- mente da ogni singolo medico, il cui numero spes- so non è sufficiente a garantire il mantenimento delle abilità acquisite, finalizzata all’impostazione di retraining personalizzati; • l’adozione e lo studio di un testo di riferimento aderente agli standard internazionali, semplice e periodicamente aggiornato, integrativo dei corsi internazionali che (soprattutto in ambito non trau- matologico) lasciano scoperte molte emergenze sa- nitarie. Sulla base di queste considerazioni non dovrebbe quin- di tanto meravigliare la scarsa efficacia degli sforzi for- mativi fin qui fatti, quanto il fatto che qualche buon ri- sultato sia comunque stato ottenuto. È inaccettabilmen- te ingenuo infatti credere che la semplice implementa- zione di programmi formativi basati sull’esecuzione di- sordinata di corsi “a pioggia” porti automaticamente al- l’evoluzione in senso monospecialistico dei modelli e delle prassi organizzative e a una spontanea e indolore ridistribuzione di ruoli e competenze. Sono le 11 del mattino quando la Centrale Operativa 118 comunica l’imminente arrivo in Pronto Soccorso di un pa- ziente in arresto cardiorespiratorio; uno dei tre medici in servizio ha appena completato il corso ACLS, mentre at- tende l’arrivo dell’ambulanza è preoccupato di dover ge- stire da solo per la prima volta una situazione così criti- ca, ma si tranquillizza pensando: «La Direzione Sanita- ria su richiesta del mio Primario ha disposto che spetta al medico di Pronto Soccorso la gestione di questi pazien- ti, attivando solo in caso di necessità i rianimatori. Que- sti, d’altra parte, mi hanno insegnato a intubare, ma an- che a ventilare il paziente fino al loro arrivo nel caso la manovra non mi riuscisse. Gli infermieri in turno sono ben addestrati a supportarmi in queste procedure. Ci so- no solo 7 pazienti in attesa e i miei colleghi potranno fa- cilmente gestirli finché io sarò impegnato con l’arresto; es- si inoltre, addestrati come me, potranno anche darmi una mano se ne avessi bisogno… Non c’è alcun motivo per non iniziare adesso a svolgere il mio nuovo ruolo di Emer- gency Physician». La situazione potrà non diventare sempre così idil- liaca, ma sicuramente molto può e deve essere fatto per migliorare quella attuale.