185Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati RICERCA ORIGINALE ABSTRACT Osteoporosis is a disorder of bone re-modeling, characterized by loss of its micro-architecture and decreased bone density, which lead to fragility and high risk of fracture following moderate traumata. Osteoporosis- related pathological fractures occur more frequently in post-menopausal women, and the WHO estimates that the risk of osteoporotic fractures in women is approximately 40% during lifetime. The prevention of these osteoporotic fractures is considered one of the primary objectives for the control of the economical health burden of modern societies. The first part of this paper briefly outlines the physio-pathological basis, the epidemiology, the diagnosis and the available treatment options for osteoporosis, with particular regard to those therapies that are able to reduce the incidence of pathological fractures, that represent the main cost factor of the disease. In the second part, we reviewed the economical evaluations published on the cost of illness and of the cost- efficacy of the treatments. The studies that have analyzed the cost of osteoporosis, although incompletely, highlight that the greatest expenditures are related to hospitalization and rehabilitation after hip fracture, while the cost for the pharmacological treatment is relatively low. The cost-efficacy and cost-utility analyses conducted on pharmacological treatment are quite heterogeneous, and therefore hardly comparable, beside being conducted in countries with different health systems; the obtained data are nor directly transferable to the Italian setting. However, it emerges that diphosphonates, estrogens and SERMs (selective estrogen receptor modulators) are among the drugs with more favorable cost/effectiveness ratio, but there is still an uncertainty in the detection of the appropriate patient groups, which is crucial for the clinical, economical and ethical optimization of prevention interventions. Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4): 185-208 INTRODUZIONE L’osteoporosi è un disturbo del rimodel- lamento del tessuto osseo che comporta dete- rioramento della sua microarchitettura, perdita di densità ossea, aumento della fragilità sche- letrica e quindi notevole incremento del rischio di fratture in seguito a traumi di minima inten- sità. [1] Le fratture da osteoporosi si verificano con maggior frequenza nelle donne anziane a cau- sa del naturale declino della densità ossea dopo la menopausa. L’Organizzazione Mon- diale della Sanità (OMS) stima che il 15% delle donne europee ed americane ed il 35% delle donne con età superiore ai 65 anni presentino segni clinici evidenti di osteoporosi. Inoltre, il 50% delle donne mostra i segni più o meno evidenti di una diminuzione nella densità os- sea all’articolazione dell’anca. Attualmente il rischio di incorrere in una frattura osteoporotica nel corso della vita è stimato nel 40% per le donne e nel 13% per gli uomini.[1, 2] L’osteoporosi rappresenta, dunque, un ele- vato carico sanitario ed economico soprattut- to per le società sviluppate ad alto tasso d’in- vecchiamento. Nei prossimi decenni l’osteoporosi diventerà uno dei principali pro- blemi sanitari ed economici anche per i paesi in via di sviluppo.[3, 4] La prevenzione delle fratture osteo- porotiche è uno degli obiettivi fondamentali per ridurre il carico sanitario ed economico alle società moderne.[5, 6] In questo lavoro esamineremo sintetica- mente la letteratura disponibile sui costi della malattia osteoporotica, con particolare riferi- mento alla possibilità di modificarli e ridurli con un’adeguata terapia farmacologica capace di prevenire le fratture correlate. Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario Gianpaolo Zara*, Carlo Della Pepa*, Lorenzo Pradelli*, Mario Eandi* * Farmacologia Clinica, Università di Torino 186 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati CENNI DI FISIOPATOLOGIA L’osso è un tessuto vivente sottoposto ad un continuo processo di rimodellamento e ri- parazione, necessario per far fronte sia alla cre- scita e sviluppo dell’organismo sia alle funzio- ni statiche e dinamiche dell’apparato musco- lo-scheletrico. Una bilanciata sequenza del pro- cesso di riassorbimento osteoclastico e del processo di rigenerazione osteoblastica è alla base del rimodellamento osseo.[7-11] La massa ossea, sia nell’uomo sia nella donna, aumenta con lo sviluppo raggiungen- do un picco massimo all’età di 25 anni. Negli anni successivi si ha una progressiva perdita di massa ossea, lenta nell’uomo mentre nella donna subisce una rapida accelerazione dopo la menopausa; dopo i 60 anni la perdita di mas- sa ossea avviene con una velocità pressoché identica nei due sessi; invecchiando, la ridu- zione della massa ossea sarà tale da determi- nare gravi deficit nelle proprietà strutturali e meccaniche dell’apparato scheletrico. Nel soggetto osteoporotico l’osso trabecolare diventa più rarefatto e l’osso corticale più sottile. Questo risultato può deri- vare da una più intensa attività di rias- sorbimento osteoclastico o da una ridotta fun- zionalità osteoblastica. Dopo i 40 anni, ad ogni ciclo di rimodellamento osseo l’attività osteoblastica non è sufficiente a ripristinare lo stato precedente alla fase osteoclastica, e da ciò deriva una graduale perdita di massa ossea e l’insorgenza di osteoporosi. [10] Il rimodellamento osseo è sotto il controllo di diversi sistemi ormonali ed è sensibile a mol- teplici stimoli fisiologici. Essenziali per un corretto metabolismo os- seo sono un adeguato apporto di calcio ed una sufficiente disponibilità di vitamina D.[11, 12] L’osso, infatti, è il principale serbatoio di calcio, contenendone depositato fino al 98%. I livelli di calcio nell’organismo sono mantenuti da un complesso sistema di regolazione che ha tra i suoi elementi fondamentali la vitamina D e l’ormone paratiroideo.[13] Quando il livel- lo di calcio diminuisce viene rilasciato l’ormo- ne paratiroideo che stimola il rene ad attivare la 25-idrossi-vitamina D nella sua forma attiva. La vitamina D attivata stimola il rene a tratte- nere il calcio filtrato, l’intestino ad assorbire maggiori quantità di calcio dagli alimenti e l’os- so a mobilizzare i depositi di calcio. L’apporto di una sufficiente quantità di cal- cio con gli alimenti è un fattore indispensabile per ridurre o annullare la mobilizzazione di cal- cio dal tessuto osseo ed evitare così il riassorbimento osseo. I giovani estraggono con grande efficienza il calcio dalle loro diete, ma con l’invecchiamento questa funzione ten- de a diminuire e l’eventuale diminuzione dei livelli di calcio viene compensata preferenzial- mente mediante il meccanismo del riassorbimento osseo. Il fabbisogno di calcio dipende dall’età del soggetto e da altre condizioni fisiopatologiche come la gravidanza e la menopausa. I soggetti che non hanno un adeguato apporto di calcio durante la loro adolescenza non raggiungono il picco massimo di densità ossea all’età di 25 anni.[12, 14] L’accrescimento della massa ossea dipen- de non solo dall’apporto di calcio ma anche da un adeguato apporto di tutti i componenti es- senziali della nutrizione. Diversi farmaci, tra cui i cortisonici, l’isoniazide, l’eparina, le tetracicline, il furosemide e la caffeina possono ridurre la di- sponibilità di calcio, alcuni interagendo a livel- lo dei sistemi microsomiali epatici che regola- no la disponibilità della vitamina D attivata.[8, 15, 16] Gli estrogeni ed il ciclo mestruale sono fat- tori importanti per ottenere e mantenere il pic- co di massa ossea. Le donne in età premeno- pausale perdono annualmente lo 0,3% della massa ossea. La menopausa o l’amenorrea comportano una perdita di massa ossea pari al 2% annuo.[8,10] L’osso è molto sensibile al carico meccani- co ed all’esercizio fisico. Senza carico mecca- nico si ha perdita di massa ossea. L’esercizio fisico riduce la perdita della massa ossea correlata all’età e può contribuire a mantenere o incrementare la densità ossea degli arti nei soggetti anziani, se associato ad un adeguato apporto di calcio.[17, 18] Un’attività fisica tanto eccessiva da pro- vocare amenorrea è un fatto deleterio e non produce i benefici dell’esercizio fisico armoni- co e moderato.[19] D’altra parte un’accelera- zione della perdita di massa ossea è stato os- servato anche negli atleti maschi che si dedi- cano ad attività di fondo.[20] CLASSIFICAZIONE L’osteoporosi può essere differenziata in primaria e secondaria. L’osteoporosi primaria o involutiva è considerata un disturbo dell’ap- parato scheletrico tipico delle donne in meno- pausa (osteoporosi post-menopausale) o di uomini e donne anziani (osteoporosi senile). [21] Si considera secondaria l’osteoporosi che si sviluppa come conseguenza di uno stato patologico causato da immobilizzazione gene- ralizzata (allettamento, paraplegia) o localizza- ta (fratture), da malattie endocrine (iperpara- tiroidismo, ipertiroidismo, sindrome di Cushing), da malattie ematologiche (mieloma, Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 187Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati linfoma, talassemia), da cause iatrogene (tera- pie con corticosteroidi, metotrexate, eparine) e da alterazioni metaboliche o nutritive (alcolismo, nefropatie, malassorbimenti). Attualmente l’osteoporosi primaria viene differenziata in due diverse forme, secondo la proposta di Riggs e Melton, ossia in osteoporosi di tipo I o da post-menopausa ed in osteoporosi di tipo II o senile. La tabella 1 riassume le caratteristiche fondamentali distin- tive dei due tipi di osteoporosi primaria. L’osteoporosi di tipo I colpisce tipicamen- te le donne entro 15-20 anni dall’inizio della menopausa e dipende direttamente dalla ca- renza di estrogeni. Si caratterizza per una per- dita maggiore di tessuto osseo spugnoso ri- spetto a quello compatto e per una prevalenza di fratture localizzate a livello del corpo vertebrale e dell’avambraccio distale (frattura di Colles). L’osteoporosi di tipo II è conseguenza del- l’invecchiamento, si manifesta in entrambi sessi ed è la forma prevalente di osteoporosi al di sopra dei 70 anni. Questa forma è caratterizza- ta da perdite contemporanee di tessuto osseo spugnoso e compatto e le fratture avvengono soprattutto a livello del femore prossimale. Molti fattori legati all’età, tra cui l’aumento se- condario dell’ormone paratiroideo (PTH), il deficit funzionale degli osteoblasti, disturbi nella regolazione locale di fattori di crescita e di citochine, il ridotto assorbimento intestina- le di calcio, la carenza nutrizionale e/o metabo- lica di vitamina D, sono responsabili della for- ma di osteoporosi senile. I modelli proposti per la patogenesi dell’osteoporosi di tipo I e di tipo II sono raffi- gurati nella figura 1.[21] Secondo l’ipotesi ori- ginaria proposta da Riggs e Melton, l’osteoporosi di tipo I o post-menopausale sarebbe dovuta alla carenza di estrogeni che porta ad un aumento del riassorbimento osseo per aumentata attività osteoclastica. L’aumen- to di efflusso di calcio attiverebbe un loop di retroazione negativa che attraverso l’inibizio- ne della secrezione dell’ormone paratiroideo porterebbe ad una riduzione di vitamina D atti- va, con la conseguente riduzione di assorbi- mento intestinale ed aumento di eliminazione renale di calcio. Altri fattori endogeni avrebbe- ro un ruolo di regolazione ed amplificazione della perdita ossea indotta dalla carenza di estrogeni. Tra questi rivestono un ruolo prin- cipale alcune citochine come le interleuchine IL-1 e IL-6, il Tumor Necrosis Factor-α (TNF- α), il Transforming Growth Factor-β (TGF- β) e il Granulocyte-Monocyte Colony Stimulating Factor (GM-CSF), e il fattore di differenziazione osteoclastica (OPG-ODF).[22] L’eterogeneità del grado di perdita ossea osservata nelle donne in menopausa avrebbe una base nelle molteplici e diverse combina- zioni di questi fattori e nelle differenze di abitu- dini alimentari e di stili di vita. L’osteoporosi di tipo II, che colpisce l’in- tera popolazione anziana indipendentemente dal sesso, è mediata principalmente da una ri- duzione dell’assorbimento intestinale di cal- cio dovuta alle variazioni metaboliche correlate con l’invecchiamento. Un ridotto apporto di calcio e di vitamina D con gli alimenti, una scarsa esposizione al sole, una ridotta sintesi di vita- mina D attivata, una riduzione del numero di recettori intestinali per la vitamina D sono fat- tori che, isolatamente o in combinazione tra loro, determinano un carente assorbimento in- testinale di calcio. Il conseguente iperpara- tiroidismo secondario comporta un incremen- to del riassorbimento osseo al quale non si contrappone un’efficiente funzione osteo- blastica, depressa nell’anziano. Recentemente l’ipotesi originaria di Riggs e Melton è stata da loro stessi rivista e modifi- cata per tentare di unificare la patogenesi dell’osteoporosi primaria.[23] In questo nuo- vo modello la carenza di estrogeni sarebbe la causa prima di entrambi i tipi di osteoporosi Tabella 1 Caratteristiche dell’osteoporosi primaria di tipo I e di tipo II secondo Riggs e Melton [21] IopitidisoropoetsO "elasuaponemtsop"o IIopitidisoropoetsO "elines"o àtE issesiartotroppaR osrepoessootusseT aessoatidrepidossaT aruttarfiditisilapicnirP aedioritarapenoiznuF ilapicnirpesuaC 57-05 1:6 osongupsottuttarpoS otareleccA )oessooibmacirotavele( elatsidoidar,erbetreV attodiR idirottafeasuaponeM elaudividnienoizisopsiderp 07> 1:2 ottapmoceosongupS otareleccanoN )oessooibmacirossab( acna,erbetreV atatnemuA )oiradnocesomsidioritaraprepi( nocitalerrocirottaF idaznerac:otnemaihccevni'l otnemibrossaottodir,Danimativ inegortseidaznerac,oiclacled G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 188 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati primaria. Nell’osteoporosi post-menopausale la carenza di estrogeni sarebbe responsabile sia della perdita rapida sia della perdita lenta di massa ossea. Nell’osteoporosi senile che col- pisce il sesso maschile la perdita lenta di mas- sa ossea sarebbe correlata ad un calo graduale e costante di biodisponibilità di estrogeni e di testosterone: anche nel maschio gli estrogeni avrebbero un ruolo superiore al testosterone nel mantenimento della massa ossea. Il diagramma di figura 1 evidenzia le rela- zioni dinamiche che sottendono la patogenesi dell’osteoporosi primaria e mette in luce come sia problematico trovare un unico fattore cau- sale, mentre diversi fattori verosimilmente con- corrono a far emergere il quadro clinico di osteoporosi. EPIDEMIOLOGIA DELL’OSTEOPOROSI E DELLE FRATTURE CORRELATE Lo studio degli aspetti epidemiologici dell’osteoporosi risulta problematico soprat- tutto perché non esistono per questa patolo- gia prodromi clinici di rilievo e l’esordio della sintomatologia dolorosa coincide molto spes- so con la comparsa della frattura stessa. Di- venta pertanto importante fare riferimento ai fattori di rischio, uno dei più importanti dei quali è la riduzione della massa ossea. Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel tentativo di definire meglio la malattia e il relativo rischio di frattu- ra, ha utilizzato il T score, che indica, come numero di deviazioni standard, la differenza Figura 1 Modello di patogenesi dell’osteoporosi primaria di tipo I e di tipo II secondo l’ipotesi di Riggs e Melton [21, 23] Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 189Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati della massa ossea misurata nel soggetto in esa- me rispetto al valore medio del picco di massa ossea raggiunto alla maturità dalla popolazio- ne di riferimento. Un valore di T score compre- so tra ± 1 DS è considerato normale; un valore compreso tra –1 e –2,5 DS definisce i casi con osteopenia ed un valore < a 2,5 DS indica i casi potenzialmente a rischio di frattura. Si parla di osteoporosi conclamata quando ad un T score < a 2,5 DS si associa almeno una frattura. [1, 24-26] In base ai criteri proposti dall’OMS, nella popolazione femminile bianca negli Stati Uniti il numero di donne di età superiore ai 50 anni classificate come osteoporotiche varia dai 4 ai 6 milioni, mentre sono addirittura 13-17 milioni le donne osteopeniche.[26-29] Stime analoghe, riferite alla situazione demografica italiana, di- mostrano che il numero di donne osteopeniche nel nostro paese è superiore ai 4 milioni.[30] I dati relativi alla popolazione maschile non sono ancora definitivi, ma sembrano comun- que indicare che la prevalenza dell’osteoporosi si aggiri intorno al 30-40% di quanto valutato per la popolazione femminile. La diversa pre- valenza riportata nei due sessi può essere so- stanzialmente spiegata dallo stretto rapporto che esiste tra osteoporosi e carenza estrogenica nelle donne in post-menopausa, mentre l’aumentare dell’età costituisce un im- portante fattore correlato alla demineralizzazi- one scheletrica, comune a entrambi i sessi.[27] Molti studi hanno dimostrato una stretta correlazione tra valori di massa ossea e frattu- re ed hanno portato alla conclusione che il ri- schio di frattura aumenta di 2-3 volte per ogni deviazione standard di riduzione della massa ossea.[25-27] Un T score < a 2,5 DS non deve, tuttavia, portare automaticamente all’indicazione di un trattamento farmacologico. Nelle fasce di po- polazione anziane la percentuale di soggetti che risulta essere osteoporotica aumenta ed il valore medio della loro densità ossea diminui- sce. Dopo i 70 anni di età alcuni autori preferi- scono utilizzare il valore di Z score, ossia la differenza, espressa sempre come numero di deviazioni standard, tra i valori riscontrati ed i valori medi di donne non osteoporotiche di pari età. Dopo i 70 anni il rischio di subire una frattura durante il rimanente periodo di vita coincide con la linea che segue lo Z score di – 1 DS. Pertanto un eventuale trattamento farmacologico è giustificato quando i valori riscontrati siano inferiori a tale soglia. La relazione tra densità ossea e fratture è complessa e le classificazioni sopra riferite non sono del tutto soddisfacenti dal momento che numerosi sono i casi di fratture da piccoli trau- mi in soggetti definibili come osteopenici in base alla densitometria e numerosi sono i pa- zienti con una ridottissima massa ossea che non sono fratturati. Le fratture rappresentano l’unica manife- stazione clinica documentabile dell’osteoporo- si. I segmenti scheletrici maggiormente coin- volti nelle fratture sono il femore, il rachide dorso-lombare e l’avambraccio distale; altre sedi interessate in misura minore sono l’omero, le coste, il bacino, la tibia e la fibula. Le fratture del femore rappresentano la ma- nifestazione clinica più importante e la princi- pale determinante dei costi sociali e sanitari dell’osteoporosi. Secondo una stima dell’OMS nel 1990 ci sono state nel mondo 1.666.000 frat- ture di femore: 300.000 casi sono stati registra- ti negli Stati Uniti e 414.000 in Europa. Nel 2050 si stima che i casi di frattura del femore nel mondo aumenteranno a circa 6,3 milioni, il 71% delle quali coinvolgerà soggetti dei paesi in via di sviluppo.[2-4] In Italia, come in altri paesi sviluppati, il tasso di incidenza annuale della frattura del femore aumenta progressivamente in funzione dell’età e raggiunge il valore di 1.155 casi ogni 100.000 persone/anno nella popolazione al di sopra degli 85 anni.[30] Il 90% circa delle fratture del femore è cau- sato da traumi di piccola entità ed il 70% circa colpisce il sesso femminile. [28, 31] Le fratture di femore sono associate a un’elevata mortalità, paragonabile a quella ri- portata per il carcinoma mammario.[32] Tutta- via, tale aumento di mortalità è concentrato nel periodo immediatamente successivo alla frat- tura ed è correlabile al rischio dell’intervento chirurgico oltre che alle conseguenze dirette del trauma o all’aggravarsi di una situazione di base già compromessa dalla multipatologia che spesso caratterizza la popolazione anziana. Le fratture vertebrali si localizzano preva- lentemente a livello della cifosi del tratto me- dio dorsale e della zona toraco-lombare.[27, 33] Rappresentano circa la metà di tutte le fratture osteoporotiche ed in alcuni paesi come gli Sta- ti Uniti hanno un’incidenza annuale addirittu- ra superiore. Meno del 25% di queste fratture giunge all’osservazione clinica. Infatti, le frat- ture vertebrali nel soggetto osteoporotico si manifestano con un’estrema variabilità sintomatologica, molte sono addirittura asintomatiche, spesso non sono di facile defi- nizione radiologica. La prevalenza delle defor- mità vertebrali aumenta con l’età, in entrambi sessi, e anche in questo caso il sesso femmini- le risulta il più colpito (rapporto F/M=6:1 dopo i 60 anni di età). La frattura dell’avambraccio distale colpi- sce prevalentemente le donne, molte delle quali non ancora anziane.[27, 28] La dinamica di que- sto tipo di frattura è rappresentata dall’esten- G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 190 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati sione del braccio per attutire una caduta al suo- lo; è considerata una frattura osteoporotica “precoce”, destinata a essere sostituita da al- tri tipi di frattura, fra cui quella del femore, allorquando con l’invecchiamento verranno meno i riflessi protettivi.[34] L’incidenza an- nuale delle fratture dell’avambraccio distale nella donna aumenta linearmente fra i 40 ed i 65 anni, e quindi si stabilizza. Negli Stati Uniti l’in- cidenza di tale fratture dopo i 60 anni è stata stimata in circa 600 casi ogni 100.000 persone/ anno. Nella maggior parte dei casi le fratture osteoporotiche in generale e quelle del femore in particolare sono correlate al trauma di una caduta.[29,32] Questo evento aumenta di fre- quenza con l’età, soprattutto nel sesso femmi- nile e nella razza bianca. Nella popolazione an- ziana circa l’87% delle fratture si verifica in se- guito ad una caduta e l’importanza di questo evento traumatico è almeno pari a quella delle perdite di massa ossea. FATTORI DI RISCHIO L’osteoporosi è associata a numerosi fat- tori di rischio, alcuni dei quali sono modificabili ed altri no.[8, 35] Tra i più importanti fattori di rischio non modificabili vi sono: la presenza di una frattura in età adulta nell’anamnesi personale o fami- liare del soggetto, l’appartenenza alla razza caucasica, la vecchiaia, il sesso femminile, la demenza e uno stato di fragilità clinica costitutiva. Tra i fattori di rischio modificabili i più im- postanti sono: il fumo di tabacco, la magrezza ed un basso peso corporeo, un deficit di estrogeni, l’alcolismo, un basso apporto di calcio, un’inadeguata attività fisica, i disturbi di vista, le frequenti cadute ed una salute pre- caria secondaria a fattori modificabili.[36] Sembra esserci una certa predisposizione genetica all’osteoporosi. Sono caratteri fenotipici correlati positivamente alla predisposizione all’osteoporosi: i capelli bion- di, i capelli rossi, la carnagione chiara, le len- tiggini, l’attitudine ad ammaccarsi, una corpo- ratura piccola, la scoliosi in età adolescenziale. Molti fattori di rischio sono indipendenti dalla massa ossea.[8] DIAGNOSI Per porre diagnosi di osteoporosi è neces- sario ricorrere ad esami strumentali che forni- scano informazioni sullo stato della massa os- sea e sulla sua evoluzione nel tempo anche in seguito ad una terapia.[1, 10, 24, 25] La densitometria a doppio raggio X (DXA) è considerato il gold standard per la diagnosi di osteoporosi. È un esame indolore che oggi meglio risponde alle esigenze di screening e di follow-up clinico della densitometria ossea di certe porzioni dello scheletro: vertebre, anca, femore e spalla. La densitometria DXA è in gra- do di fornire sia una misura lineare del conte- nuto minerale osseo (BMC) sia la densità per area esaminata (BMD). L’esame densitometrico, tuttavia, soprat- tutto per problemi di costo e disponibilità di strutture sanitarie, non è applicabile indiscri- minatamente a tutta la popolazione potenzial- mente a rischio di osteoporosi, ma dovrebbe Tabella 2 Indicazioni alla densitometia ossea [1, 24] elarenegocinilcordauQ oihcsiridirottafidazneserP · · · · · · · assamasracsnoc,ergam,eenilignolennoD noc,etnerapsarteelittosetuc,eralocsum oihcsiridirottafidazneserp oppulivsosracsnocissesiobmaiditteggoS eralocsum aruttarforcimoaruttarfadiroloD o/eainepoetsoidacigoloidaraznedivE ilarbetrevàtimrofed àtitneeveilidamuartadaruttarfetnedecerP isofico/earutatsidenoizunimidavitacifingiS elasrod eraiziniesesicednielasuaponemàteniennoD elanomroavitutitsosaiparetanu · · · · · · · · · · · · · · · elinimmefosseS àtirailimaF acitaisaoacisacuacazzaR aiaihcceV acigrurihcoecocerpasuaponeM otadratiracraneM aerronemaatagnulorpididoireP oiramirpomsidanogopI ihcsamienenoretsotsetidillevilissaB eracovorponossopehceittalaM oessootnemarepuaped ,omsiloocla(esonnadatividinidutibA ,èffacidosuotaredoms,omsigabat )osuba'dehgord )ottela(atagnulorpàtilibommI DanimativideoiclacidarevopateiD eloslaenoizisopseatacnaM ,icinositroc(itnazzinepoetsoeipareT ).cce Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 191Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati essere eseguito in via prioritaria nei soggetti a maggior rischio. Sono soggetti a rischio di osteoporosi soprattutto le donne in età menopausale e tutti i soggetti anziani che cor- rispondono ai caratteri rappresentati nella ta- bella 2. Alcune linee-guida per la gestione clinica dell’osteoporosi postmenopausale hanno messo a punto sistemi di valutazione a pun- teggio per selezionare le donne che in via prioritaria dovrebbero essere sottoposte a screening densitometrico.[37-39] Tre di questi sistemi sono riportati nella tabella 3. Il sistema a punti della National Osteoporosis Foundation (NOF) è molto semplice, ma gli al- tri due sistemi, rispettivamente l’Osteoporosis Risk Assessment Instrument (ORAI) e il Simple Calculated Osteoporosis Risk Estimator (SCORE), sarebbero più efficienti nell’identifi- care le donne a maggior rischio di frattura. Le linee-guida NOF non includono le rac- comandazioni generali per gli uomini, per le donne in età premenopausale e per i soggetti di razza diversa dalla caucasica. Secondo le raccomandazioni generalmente condivise, do- vrebbero essere sottoposti a screening densitometrico tutti i soggetti di sesso maschile che abbiano una massa ossea ridotta e tutti quelli di età superiore ai 75 anni. FARMACI, TERAPIA E PROFILASSI La prevenzione e la terapia dell’osteoporosi prevedono alcune strategie generali, utili per tutti i soggetti a rischio di osteoporosi, e l’ado- zione di alcuni eventuali trattamenti farmacologici indicati specificamente per i sog- getti con dimostrata presenza di osteoporosi.[1, 37] La strategia generale valida per tutti i pa- zienti affetti da osteoporosi o a rischio di svi- luppare osteoporosi consiste nelle seguenti raccomandazioni: 1) adottare uno stile di vita sano, caratterizzato da una giusta dose di atti- vità fisica e dall’eliminazione del fumo di siga- retta e di altre sostanze d’abuso; 2) prevenire le cadute accidentali; 3) seguire, possibilmen- te fin da giovani, una dieta che contenga un adeguato apporto di calcio e di vitamina D. Come già osservato, l’osteoporosi è il ri- sultato di uno squilibrio tra riassorbimento e deposizione ossea. Tale squilibrio sembra es- sere particolarmente accentuato nei primi anni Tabella 3 Sistemi di valutazione a punteggio per decidere quali donne in meno- pausa sottoporre a densitometria ossea secondo tre differenti linee-guida G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi ]73[)FON(noitadnuoFsisoropoetsOlanoitaN 1>:ffotucidoiggetnuP ortemaraP itnuP inna56>àtE gk7,65:ffotucidoiggetnuP ortemaraP itnuP inna57>àtE inna47-56àtE inna46-55àtE gk06:ffotucidoiggetnuP ortemaraP itnuP arenazzaridnonotteggoS ediotamueretirtraidazneserP inna54iopodoiccarbmavaoacna,allapsidaruttarfingoreP )itnup21idomissamnurep( àteidedacedidenoizarfoedacedingoreP ovitutitsoselanomrootnemattartidaznessA )erbilni(oeroprocosepidomicedingoreP 5 4 4 3 1 1- 192 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati dopo la menopausa, quando la perdita ossea è massima, e questo periodo rappresenta quindi il momento più opportuno per iniziare una te- rapia preventiva. Non è comunque mai troppo tardi per iniziare la terapia, anche molti anni dopo la menopausa o nel caso in cui sia già avvenuta una perdita ossea importante. La terapia farmacologica dell’osteoporosi dovrebbe tendere a ristabilire un corretto equi- librio tra processi di riassorbimento e processi di neoformazione ossea. Pertanto, in linea teo- rica un trattamento farmacologico dell’osteo- porosi può essere orientato, da un lato, ad ini- bire l’eccessiva attività osteoclastica ed il pro- cesso di riassorbimento osseo, oppure, dal- l’altro lato, a stimolare la attività osteoblastica depressa ed una maggiore neoformazione os- sea. I farmaci oggi disponibili appartengono tut- ti alla prima categoria, quella degli agenti che inibiscono l’attività osteoclastica ed il riassorbimento osseo. Quattro sono le classi di farmaci inibenti il riassorbimento osseo uti- lizzati per il trattamento dell’osteoporosi: gli estrogeni, i modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERM), la calcitonina ed i bisfosfonati. Gli osteoanabolizzanti, rappresentati dalla classe dei fluoruri, dell’ormone paratiroideo e dei suoi analoghi peptidici di sintesi, sono an- cora nella fase sperimentale. I farmaci dell’osteoporosi possono essere utilizzati a fini terapeutici, allorquando la ma- lattia si è già manifestata eventualmente con fratture, ed a scopo preventivo per ridurre il rischio delle fratture, in particolare delle frattu- re del femore e delle vertebre. La National Osteoporosis Foundation (NOF) ha proposto un algoritmo per decidere quali pazienti a rischio di frattura conviene trat- tare con farmaci.[37] La terapia ormonale so- stitutiva, l’uso di un bisfosfonato ed eventual- mente della calcitonina sono indicati quando il soggetto presenta una frattura vertebrale. Se non sono presenti fratture vertebrali e il pa- ziente non desidera l’inizio di una terapia né ormonale né con altri farmaci, allora viene rac- comandato di attuare un trattamento con cal- cio e vitamina D e di effettuare una qualche ben dosata attività fisica. Nei pazienti con età superiore ai 65 anni, l’indicazione al trattamen- to farmacologico dipende dall’entità della per- dita di massa ossea. Se il paziente è classificabile come osteoporotico, dovrebbe essere trattato con farmaci; se, invece, è classificabile come osteopenico, dovrebbe es- sere trattato con le misure preventive generali. Calcio e vitamina D Il calcio e la vitamina D non possono esse- re assimilati a nessuno dei due precedenti grup- pi di farmaci, poiché promuovono sia la mineralizzazione del tessuto osteoide sia pre- vengono il riassorbimento osseo. È bene, tut- tavia, considerare il calcio e la vitamina D come nutrienti piuttosto che come farmaci, anche se il loro apporto può talvolta essere attuato me- diante la somministrazione di prodotti farma- ceutici. È molto importante che la popolazione intera, e soprattutto quella a rischio di osteoporosi, apprenda un corretto stile alimen- tare basato sul consumo di cibi ricchi di calcio, come il latte ed i suoi derivati, e ricchi di vitami- na D; è importante, inoltre, che si espongano periodicamente alla luce del sole. Il fabbisogno di calcio varia in funzione dell’età, del sesso, dello stato fisiopatologico del soggetto, delle eventuali terapie con far- maci che facilitano il riassorbimento osseo, come i cortisonici. La tabella 4 riporta il fabbisogno giornaliero di calcio per le princi- pali tipologie di soggetti. Tutte le donne che presentano una bassa densità minerale ossea (BMD) dovrebbero as- sumere da 1.200 a 1.500 mg di calcio e da 400 a 80 UI di vitamina D al giorno.[37] Tabella 4 Fabbisogno giornaliero di calcio [14] acigoloisifenoizidnoC )gm(àtitnauQ asuaponem-erpniennoD 000.1 ovitutitsoselanomrootnemattartnocasuaponem-tsopniennoD 000.1 ovitutitsoselanomrootnemattartaznesasuaponem-tsopniennoD 005.1 otnemattallaeitnatseG 0021 inna05àteidinimoU 000.1 inna05>àteidinimoU 002.1 itnecselodA 003.1> Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario ≤ 193Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati Con l’età si riduce la disponibilità di vita- mina D principalmente come risultato di una ridotta esposizione solare, di una diminuita ca- pacità della cute senile di produrre vitamina D e di un suo ridotto apporto o assorbimento con la dieta. La determinazione della concen- trazione ematica di 25-idrossivitamina D tra 824 anziani di 11 nazioni europee ha evidenziato uno stato carenziale in un terzo dei soggetti maschili e in metà di quelli femminili indagati. Inoltre queste percentuali sono risultate mag- giori nei paesi del Sud Europa probabilmente in relazione all’uso diffuso nei paesi dell’Euro- pa settentrionale di addizionare gli alimenti con vitamina D. Alcuni studi randomizzati e controllati in doppio cieco hanno dimostrato che un ade- guato apporto di calcio e vitamina D è in grado di aumentare la massa ossea e ridurre la fre- quenza di fratture nei soggetti osteoporotici. [40, 41] In particolare, è stato documentato che la somministrazione di calcio e di vitamina D ai soggetti residenti in ricoveri per anziani ha com- portato una riduzione del 25% delle fratture dell’anca e una minore mortalità [40], mentre un altro studio che ha coinvolto soggetti del tutto autonomi e con età media pari a 70 – 72 anni di entrambi i sessi, ha dimostrato una ri- duzione dell’incidenza cumulativa percentuale dei soggetti con prima frattura non vertebrale (p=0,002 inter trattamenti calcio + vit.D versus placebo + placebo) [41]. Il calcio e la vitamina D, tuttavia, non sono in grado di prevenire la perdita di massa ossea vertebrale nelle donne che sono in perimenopausa. Al contrario, un adeguato ap- porto di calcio e di vitamina D, congiuntamen- te ad un adeguato livello di esercizio fisico, sono in grado di mantenere la massa ossea degli arti inferiori e superiori nelle donne di ogni età, dalla menopausa alla vecchiaia, pro- ducendo anche effetti benefici sul tessuto muscolare. Il calcio può esser somministrato sotto for- ma di sali, più frequentemente il carbonato o il citrato. Il calcio citrato è digerito più facilmen- te da soggetti di ogni età e, a differenza del carbonato, non richiede l’acidità gastrica per essere sciolto ed assorbito. Inoltre il carbonato di calcio può favorire la produzione di calcoli renali ed interferire negativamente sull’assor- bimento intestinale di ferro, mentre il citrato è protettivo e facilita l’assorbimento marziale. [12, 42, 43] Negli individui trattati con sali di calcio la somministrazione di magnesio (400-500 mg al giorno), anche se normalmente presente nella dieta, può rappresentare un beneficio soprat- tutto per gli alcolisti o le persone malnutrite.[8] Alcune evidenze fisiopatologiche hanno inoltre dato un convincente razionale all’asso- ciazione di calcio e vitamina D con farmaci antiosteoporotici quali bisfosfonati, raloxifene ecc. Queste associazioni sembrerebbero miglio- rare sia l’efficacia della terapia antiosteo- porotica sia la tollerabilità, riducendo ad esem- pio il rischio di potenziale osteomalacia indot- ta da alcuni bisfosfonati quali etidronato e pamidronato. [44-46] Terapia ormonale sostitutiva (TOS) con estrogeni Gli estrogeni sono la classe di farmaci più studiati ed utilizzati nella prevenzione dell’osteoporosi, anche se non vi sono idonei studi clinici randomizzati e controllati struttu- rati al dichiarato scopo di evidenziare specificatamente una attività antifratturativa della terapia estrogenica sostitutiva [47-53]. La terapia sostitutiva con estrogeni riduce soprat- tutto la fase rapida di riassorbimento osseo delle donne nei primi anni seguenti l’inizio del- la menopausa. Nonostante vi siano molecole diverse di estrogeni, i risultati clinici, per trat- tamenti con dosi opportune, risultano equiva- lenti. La terapia associata estrogeni-progestinici può essere attuata con regime ciclico oppure con regime continuo-combinato. Il regime ciclico viene attuato somministrando un progestinico per un periodo limitato del ciclo terapeutico, ad esempio dal 10° o dal 14° gior- no del ciclo con estrogeni, e riproduce in qual- che misura il normale ciclo mestruale. Il regime continuo-combinato consiste nella somministrazione di una dose di progestinico ogni giorno in associazione alla dose di estrogeno, mantenendo costantemente atrofico l’endometrio ed evitando il sanguinamento pseudomestruale. Entrambi i regimi estro- progestinici sono indicati per le donne che soffrono di disturbi della menopausa, come le vampate di calore. L’efficacia terapeutica in senso anti- fratturativo desunta da grandi trial ha avuto recentemente risultati contrastanti. Un recen- te studio ha evidenziato che una dose di (0.3 mg) di estrogeni coniugati non presenta alcu- na efficacia nel prevenire le fratture di femore nei tre anni di trattamento [53] e la continua- zione dello studio per 6,8 anni ha evidenziato un incremento di rischio di fratture d’anca pari a 61% (p =0.06). [54] D’altra parte lo studio WHI ha, al contrario, dimostrato una riduzione del rischio di frattura d’anca pari a 34% (p<0.05). Risulta quindi evidente come diversi studi cli- nici randomizzati e controllati, mentre hanno dimostrato il benefico effetto degli estrogeni sulla massa ossea, non hanno tratto conclu- sioni definitive per quanto riguarda l’entità della prevenzione del rischio di fratture. Inol- G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 194 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati tre la prevenzione del rischio di fratture, se evi- dente, si realizza solo dopo terapie di lungo periodo che evidentemente possono determi- nare un aumento dei rischi correlati al tratta- mento farmacologico. Infine la sospensione del trattamento con estrogeni comporta una per- dita di massa ossea di circa il 2% annuo e dopo 7 anni, in assenza di trattamento ormonale so- stitutivo o di altri trattamenti anti- riassorbimento, la massa ossea ritorna ai bassi livelli basali. [48] Gli estrogeni avrebbero teoricamente an- che diversi effetti positivi secondari su altri tessuti. Ad esempio, pur modificando favore- volmente il profilo lipidico, questo non si tra- duce automaticamente in riduzione del rischio di cardiopatia, infatti gli studi prospettici (RCT) sembrano dimostrare una totale inefficacia nella prevenzione sia primaria che secondaria [HERS I e II]. [53, 55] L’ipotizzato effetto degli estrogeni nel migliorare la fisiologia e il trofismo del trat- to urogenitale, diminuendo l’incidenza di infe- zioni e favorendo la funzione vaginale, così come l’efficacia nel contrastare i sintomi del morbo di Alzheimer e prevenire la perdita delle funzioni cognitive non sono stati confermati da trial clinici prospettici. [52] La terapia sostitutiva con estrogeni, tutta- via, presenta anche altri rischi e controindica- zioni da tenere in debita considerazione. È noto infatti che l’uso di estrogeni aumenta il rischio di tromboflebiti e il rischio di tumori dell’utero, della mammella e dell’ovaio. È possibile con- cludere che le combinazioni estro- progestiniche, nelle donne in menopausa, sono elettivamente indicate solo nel trattamento dei sintomi del climaterio mentre non possono es- sere considerate utili nella prevenzione delle patologie cardiovascolari. Il rischio di neoplasie uterine aumenta del 10% se viene usata la terapia estrogenica da sola, ma tale aumento di rischio può essere ridotto dall’associazione estrogeni- progesterone.[9] Questa combinazione ormonale sembra invece favorire nei tratta- menti di durata superiore ai 5 anni lo sviluppo del tumore mammario soprattutto nella forma lobulare con una percentuale stimata attorno al 2,5% annuo o del 30% in 10 anni. Gli estrogeni possono far aumentare la preva- lenza del tumore della mammella dal livello na- turale del 10-11% circa ad un valore del 14- 15%.[47, 49] Tuttavia, nella maggioranza dei casi il tumore della mammella che insorge in donne anziane con più di 70 anni non è estrogeno-dipendente. Pertanto, si ritiene che l’incremento di questo rischio indotto dalla terapia ormonale sostitutiva sia ridotto nelle pazienti anziane a fronte degli ipotizzati bene- fici generali degli estrogeni in questa fascia di popolazione.[8] Nuove evidenze collegano inoltre la TOS ad un aumentato rischio di tumore ovarico che permane anche dopo molti anni dall’interru- zione della terapia. In conclusione, la terapia sostitutiva con estrogeni dovrebbe essere prescritta, dopo una attenta valutazione del rapporto rischi/benefi- ci, nel trattamento dei sintomi da menopausa, periodo durante il quale aumenta notevolmen- te la perdita di massa ossea. Le donne che ini- ziano una terapia con estrogeni devono inol- tre essere seguite costantemente dal loro ginecologo e dovrebbero effettuare un esame mammografico e lo screening cervicale nei tempi indicati, ma soprattutto dovrebbero essere debitamente informate delle probabilità di ot- tenere benefici e delle probabilità di avere del- le conseguenze negative a seguito della farmacoterapia estrogenica sostitutiva. Modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERM) I farmaci modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERM) sono molecole che si legano selettivamente al recettore per gli estrogeni entrando in competizione con gli estrogeni stessi. In alcuni tessuti questo mec- canismo comporta un’azione anti-estrogenica, ma a livello del tessuto osseo i SERM svilup- pano un’attività estrogenica paragonabile a quella degli stessi estrogeni naturali e sono in grado di inibire efficacemente il riassorbimento osseo nei soggetti osteoporotici di sesso fem- minile. [56-59] Lo stesso tamoxifene, uno dei primi farmaci di questa classe sviluppato specificatamente come anti-estrogeno per la terapia del tumore mammario, inibisce il riassorbimento osseo con un’efficacia clinica pari al 70% di quella degli estrogeni. Il tamoxifene non è entrato nell’ar- mamentario terapeutico dell’osteoporosi per i suoi effetti collaterali e per l’elevato rischio di indurre tumori dell’utero. Il raloxifene, il primo modulatore selettivo dei recettori per gli estrogeni entrato in com- mercio specificatamente per il trattamento dell’osteoporosi, rappresenta il tentativo di ri- durre l’insorgenza degli effetti collaterali e il rischio cancerogenetico. [56-58] Parallelamen- te è ancora aperta la discussione sul ruolo chemiopreventivo del raloxifene nel tumore mammario, anche se secondo un unico studio sembra ridurre di circa il 70% il rischio di tumo- ri della mammella. Nell’ambito della chemiopre- venzione oncologica per il carcinoma mamma- rio nelle donne ad alto rischio, è comunque opportuno ricordare che tutte la piú prestigiose istituzioni oncologiche raccoman- dano in questo caso tamoxifene e non raloxifene. Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 195Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati Il raloxifene, 60 mg/die, induce un aumento della massa ossea con un miglioramento pari a circa il 70% di quello degli estrogeni e riduce di circa il 35% il rischio di fratture vertebrali men- tre non influenza il rischio di fratture non vertebrali. Inoltre non induce ipertrofia dell’ute- ro, né aumenta il rischio di tumori dell’utero così come sono sostanzialmente poco meno che aleatorie le conclusioni relative al rischio di indurre il tumore dell’ovaio. Infine, induce solo lievi modificazioni del profilo lipidico, eccezion fatta per i trigliceridi ma attualmente non vi sono idonei dati clinici a sostegno che raloxifene possa modificare il rischio cardiovascolare. Gli effetti collaterali e avversi del raloxifene consistono in crampi alle gambe, registrati in circa l’8% delle donne, nell’aumento dei di- sturbi da menopausa e nell’aumento del rischio di trombosi venose profondo con un’inciden- za pari a quella degli estrogeni. Il raloxifene risulta inoltre inefficace, anzi è chiaramente peggiorato, nel trattamento dei disturbi del climaterio. Calcitonina La calcitonina è un ormone polipeptidico che interviene nella regolazione della calcemia e della mineralizzazione del tessuto osseo e svolge un ruolo anche nello sviluppo schele- trico embrionale e fetale. La riduzione della con- centrazione ematica di calcio e di fosforo è de- terminata principalmente dall’inibizione diret- ta del riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti anche se alcune evidenze sperimen- tali suggeriscono anche un effetto di stimolazione sulla formazione di osso da parte degli osteoblasti. La calcitonina di salmone è un farmaco re- gistrato in alcuni paesi ed indicato per il tratta- mento del morbo osseo di Paget, dell’iper- calcemia e dell’osteoporosi post-menopausale, dell’atrofia ossea di Sudeck, delle localizzazio- ne ossee dei tumori ed in particolare del mieloma multiplo. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia e l’utilità della calcitonina nel trattamento dell’osteoporosi, sia pure con notevoli diffe- renze da studio a studio. [60-63] La somministrazione giornaliera di 100 UI di calcitonina di salmone per via sottocutanea è risultata efficace nel trattamento di pazienti con osteoporosi. [10, 20] Altri studi di tipo osservazionale hanno dimostrato una riduzio- ne significativa delle fratture dell’anca in sog- getti di entrambi i sessi di età uguale o supe- riore ai 50 anni, provenienti da 6 paesi del Sud Europa. Uno studio clinico randomizzato (studio PROOF) della durata di 5 anni, con 4 braccia di trattamento che prevedevano la sommini- stra-zione di placebo, calcitonina per via na- sale, mediante spray, alla dose giornaliera di 100, 200 o 400 UI, ha dimostrato nei tre gruppi con trattamento attivo un incremento della massa ossea a livello lombare dell’1-1.5%, sen- za evidenza di una risposta terapeutica del tipo dose - effetto. Lo stesso studio avrebbe dimostrato l’ef- ficacia di 200 UI somministrati per via nasale nel ridurre l’incidenza delle fratture vertebrali, ma i dati sono di difficile lettura, soprattutto per l’elevato numero di drop - outs. [60-63] Tuttavia nessun beneficio è stato osservato sulle fratture del femore durante 5 anni di trat- tamento. Bisfosfonati I bisfosfonati sono analoghi del pirofosfato nel quale l’ossigeno centrale è sostituito da un atomo di carbonio a cui si legano svariati gruppi chimici (ossidrilici, amminici, alogeni). L’utilità clinica dei bisfosfonati risiede nel- la loro capacità di inibire il riassorbimento os- seo. I bisfosfonati rallentano la formazione e la dissoluzione dei cristalli di idrossipatite, mimando l’azione del loro analogo naturale, il pirofosfato. In particolare, l’elevata affinità in vivo della struttura P-C-P per l’idrossipatite condiziona la deposizione dei bisfosfonati nella matrice ossea, impedendo così l’attività degli osteoclasti e quindi il processo di riassorbi- mento osseo, con conseguente aumento della massa ossea.[65-67] Il meccanismo farmacodinamico non è completamente chiari- to ma si ipotizza che una volta incorporati nella matrice ossea i bisfosfonati siano inglobati, durante i processi di riassorbimento osseo, da- gli osteoclasti maturi inducendo un effetto pro- apoptotico che ridurrebbe la durata media del- la vita di queste cellule diminuendo di conse- guenza i processi di riassorbimento osseo. È inoltre possibile che i bisfosfonati agiscano anche inibendo la proliferazione e la differenziazione dei precursori degli osteoclasti. I bisfosfonati hanno una bassissima biodisponibilità orale, peraltro condizionata dalla contemporanea assunzione di cibo e/o farmaci. Pertanto, dopo somministrazione per via orale solo una minima quantità di bisfosfonato viene assorbita (la biodispo- nibilità orale è inferiore all’1% per i bisfosfonati azotati, quali alendronato e risedronato). Il con- tatto con la mucosa dell’apparato digerente può provocare fenomeni irritativi: episodi di esofagite sono stati segnalati in seguito al- l’uso di alcuni bisfosfonati somministrati per via orale. [68, 69] Risulta quindi importante as- sumere i bisfosfonati con abbondante acqua demineralizzata calda (circa 180-240 cc), a com- G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 196 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati pleto digiuno sia prima che dopo e stando in piedi per almeno trenta minuti. [70] Le formulazioni parenterali sono quindi quelle che garantiscono una piena biodisponibilità del principio attivo nel caso di somministrazione endovenosa ma anche la biodisponibilità dopo somministrazione intramuscolare è risultata, ad esempio per il clodronato, pressoché totale. Attualmente, in Italia, solo il clodronato è disponibile con una formulazione per uso intramuscolare. I bisfosfonati finora maggiormente studia- ti per il trattamento dell’osteoporosi sono l’alendronato, il clodronato ed il risendronato, ma anche per altri bisfosfonati (etidronato, pamidronato, ecc.) esiste una qualche docu- mentazione della loro efficacia nel trattamento dell’osteoporosi. [72-80] Clodronato e alendronato sono stati i primi bisfosfonati approvati sia per il trattamento che per la prevenzione dell’osteoporosi. L’alendronato ha dimostrato di essere in gra- do di aumentare la densità ossea dell’anca e della colonna vertebrale, con un’efficacia paragonabile a quella degli estrogeni, e di ridur- re il rischio di fratture ossee approssimativa- mente del 50% dopo circa tre anni di trattamen- to nell’ambito della prevenzione secondaria mentre lo studio ad hoc eseguito con alendronato in prevenzione primaria ha ridotto, rispetto al placebo, il rischio fratturativo prescelto come end- point di riferimento di un valore pari al 14%, ma in modo non statistica- mente significativo. [76-78] La qualità dell’osso in pazienti in terapia con alendronato è normale e non vi sono evidenze di osteomalacia, invece sono evidenti i danni a livello dell’apparato gastrointestinale in caso di somministrazione orale soprattutto in caso di alterata motilità esofagea, reflusso gastro-esofageo o contem- poranea assunzione di farmaci antinfiammatori. Mancano attualmente dati affidabili a sostegno del fatto che la tossicità gastrointestinale pos- sa ridursi in maniera significativa nel caso della mono somministrazione settimanale. Alcuni stu- di hanno dimostrato che, durante la terapia ora- le con alendronato, il 30% dei pazienti presen- tava problemi a livello delle prime vie digerenti. [68, 69] Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia del clodronato, un alogeno-bisfosfonato, nel trattamento dell’osteoporosi post-menopausale. [71-75] Un trial clinico randomizzato e controllato verso placebo in doppio cieco della durata di 3 anni con clodronato per os alla dose giornalie- ra di 800 mg, ne ha dimostrata l’efficacia clinica sia nelle donne con osteoporosi post- menopausale sia in quelle con la forma secon- daria. Al termine dello studio il trattamento con clodronato è stato associato ad un aumento significativo della massa ossea a livello del rachide, mentre, a differenza di quanto osser- vato nel gruppo placebo, la terapia mantiene inalterata la massa ossea dell’anca. Sempre in modo statisticamente significativo, il trattamen- to riduce, nelle donne trattate, il rischio relati- vo di frattura vertebrale (RR=0.54) con un an- damento diverso tra le donne che all’inizio del- lo studio non presentavano una frattura vertebrale (RR=0.27) e quelle in cui si evidenziava una frattura vertebrale all’arruola- mento (RR=0.59). Anche il clodronato somministrato per via orale può causare problemi a carico dell’appa- rato gastrointestinale (soprattutto diarrea). [74, 75] Risultati analoghi in termini di efficacia antifratturativa sono stati ottenuti con altri stu- di clinici, nel corso dei quali il clodronato veni- va somministrato per via orale o parentale. [81, 82] Data la scarsissima biodisponibilità orale, gli schemi terapeutici che prevedono una sin- gola somministrazione intramuscolare di 100 mg di clodronato possono consentire in modo standarizzato di massimizzare l’efficacia e la tollerabilità del trattamento. A livello clinico si segnala l’assenza di se- gni di osteomalacia e le dimostrazioni istomor- fometriche dimostrano una normale qualità dell’osso. [83, 84] Il clodronato ha, inoltre, un piú che discre- to potere analgesico, effetto non dimostrato in tutti i bisfosfonati. Un effetto antalgico - antinfiammatorio è stato studiato in vitro ed in vivo su diversi modelli ed è confermato da stu- di clinici randomizzati e controllati nel morbo di Südeck e da studi clinici preliminari nelle fratture osteoporotiche, nella osteoartrite erosiva, nella periartropatia dell’anca, nella osteomielite sclerosante della mandibola e nel- l’artrite reumatoide L’efficacia del risendronato, un bis- fosfonato azotato non aminato, alla dose orale di 5 mg/die nel trattamento dell’osteoporosi post-menopausale è stata documentata in un trial clinico condotto in doppio cieco su circa 2.500 pazienti. La dose di 5 mg/die di risendronato somministrata per tre anni nell’am- bito della prevenzione secondaria ha compor- tato un aumento significativo della densità os- sea e la riduzione significativa delle fratture vertebrali e delle altre fratture. Da notare co- munque che risedronato alla dose standard di 5 mg/die non riesce a ridurre le fratture in modo statisticamente significativo rispetto al placebo in un trial randomizzato e controllato condotto su 9.331 donne. [85] La tollerabilità appare buo- na anche se permangono importanti perplessi- tà sulla incidenza di effetti collaterali a livello delle prime vie digerenti. [79] Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 197Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati Anche il trattamento a cicli ripetuti di etidronato, un bisfosfonato di prima genera- zione, somministrato alla dose di 400 mg al gior- no per 2 settimane, seguito da un trattamento con calcio e vitamina D per 11 settimane, ha comportato una riduzione delle fratture ed un aumento della massa ossea. L’etidronato è ben tollerato a livello gastrico, ma dopo i primi due anni di trattamento nei quali si era verificato un aumento della massa ossea, in alcuni casi sono stati osservati difetti di mineralizzazione del tessuto osseo. [80] Risultati analoghi in termini di efficacia nel trattamento dell’osteoporosi sono stati osser- vati con il pamidronato, un amino-bisfosfonato, e con alcuni altri più recenti bisfosfonati. Il pamidronato, che presenta il rischio di indurre osteomalacia, tuttavia, non è stato approvato per il trattamento dell’osteoporosi, ma solo per il trattamento delle metastasi ossee, dell’iper- calcemia maligna e del morbo di Paget. Analogamente il zolendronato, un bisfosfonato azotato, attualmente registrato solo per il trattamento dell’ipercalcemia neoplastica e per la prevenzione di eventi correlati all’apparato scheletrico in pazienti af- fetti da tumori maligni allo stadio avanzato che interessano l’osso, sembra, con un’unica somministrazione all’anno, indurre un aumen- to significativo della massa ossea. Non è però ancora chiara l’efficacia antifratturativa poiché nello studio clinico piú noto condotto con zoledronato si è riscontrato un tasso di frattu- ra nel gruppo trattato con il bifosfonato in que- stione uguale a quello del gruppo trattato con placebo. [86] Inoltre nel gruppo trattato con zoledronato si è registrato un notevole nume- ro di effetti collaterali quali mialgia, febbre, nau- sea, atralgia dovuti ad un aumento nella pro- duzione e liberazione delle citochine tipica de- gli amino-bisfosfonati. Questa cosiddetta “re- azione di fase acuta” non compare in seguito alla somministrazione di alogeno-bisfosfonati e vi sono, anzi, delle evidenze cliniche che di- mostrano un effetto preventivo di clodronato rispetto alla reazione di fase acuta indotta da bisfosfonati azotati. [87] Vi è, infatti, una serie di dati che mettono in luce come alogeno - bisfosfonati (clodronato, tiludronato) possie- dano un effetto antinfiammatorio mentre i bisfosfonati azotati (alendronato, risen- dronato) eserciterebbero un effetto proinfiam- matorio. In conclusione, si può affermare che i tre bisfosfonati (alendronato, clodronato e risendronato) finora meglio studiati nel tratta- mento dell’osteoporosi, risultano sicuramente efficaci nel ridurre l’incidenza di fratture nei pazienti affetti da questa patologia. Nella ta- bella 5 sono riportati i valori del rischio relati- vo di fratture e i limiti fiduciali al 95% nei sog- getti trattati con ognuno dei tre bisfosfonati in confronto con il placebo. Per ognuno dei tre bisfosfonati, l’efficacia nel prevenire le frattu- re osteoporotiche e quindi la stima del rischio relativo versus placebo sono state ottenute dai risultati di uno studio clinico fondamentale citato nella tabella 5. Il rischio relativo di frat- ture varia dallo 0,59 allo 0,53 ed i limiti fiduciali superiori sono nettamente inferiori all’unità: questi valori sono la prova della significatività statistica dell’efficacia dei tre bisfosfonati nel prevenire le fratture osteoporotiche. Tuttavia, poichè i dati utilizzati provengono da tre diffe- renti ricerche, non è possibile definire se le differenze apparenti di efficacia tra le tre mole- cole siano statisticamente significative. A par- te una singola eccezione, non vi sono nell’am- bito della terapia antiosteoporotica, trial clinici di confronto “head-to-head” fra bisfosfonati. L’unica eccezione è rappresentata da quel- lo di Del Puente e colleghi. [88] Le fiale di clodronato e le compresse di alendronato sono state oggetto di questo intrigante studio clini- co che è andato a valutare se la scarsa biodisponibilità orale dei bisfosfonati possa impattare negativamente sull’efficacia antiosteoporica, cosí come era stato già dimo- strato in altri ambiti. [89] Se molecole in gioco sono alendronato e clodronato, in realtà la sfi- da fa riferimento ad una terapia con bisfosfonati per via orale versus una terapia con bisfosfonati per via parentale, al dosaggio standard, in donne con osteoporosi che non rispondono al trattamento per via orale. Gli Autori desideravano stabilire se un mancato incremento della massa ossea a se- guito di una terapia con bisfosfonato (alendronato 10mg/die) per via orale- evento Tabella 5 Rischio relativo di fratture e limiti fiduciali al 95%, stimati versus placebo, nei pazienti affetti da osteoporosi trattati a lungo termine con un bisfosfonato otanofsofsiB )RR(ovitaleRoihcsiR %59ilaicudiFitimiL irotuA gm01-5otanordnelA 35,0 86,0-14,0 ]17[)TIF(6991,latekcalB gm008otanordolC 45,0 08,0-73,0 ]96[1002,lateyeksolCcM gm5otanordnesiR 95,0 28,0-34,0 ]37[)TREV(9991,latesirraH G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 198 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati che nel primo anno si verifica in almeno il 20% dei casi e che è stato dimostrato ripercuotersi negativamente sul personale rischio di frattu- ra [90] - possa essere collegato con una problematica biodisponibilità orale dei bisfosfonati e se possa essere superato con una bisfosfonato - terapia parentale (clodronato 100mg i.m./settimana). L’incremento della BMD a livello dell’an- ca, dopo un anno di terapia, è risultato mag- giore, in modo statisticamente significativo, nelle pazienti (n=30) trattate con clodronato (+3.2%) in confronto alle pazienti (n=30) che continuavano la terapia orale con alendronato (+ 0.98%) e gli Autori suggeriscono che la piú probabile spiegazione per questo risultato sia da ascrivere alla via di somministrazione i.m. che supera i problemi che si incontrano fre- quentemente con l’alendronato per os, come la scorretta somministrazione o il basso assor- bimento intestinale. Ritornando ai parametri che esprimono l’ef- ficacia di una qualsivoglia terapia accanto alla stima del rischio relativo, è possibile stimare la riduzione del rischio assoluto (RRA) dovuta all’utilizzo del singolo bisfosfonato e quindi calcolare il numero di soggetti che è necessa- rio trattare (NNT) per evitare una frattura osteoporotica. I risultati di tale valutazione sono riportati nella tabella 6. I tre bisfosfonati sembrano differire in qual- che misura nella capacità di ridurre il rischio assoluto delle fratture osteoporotiche. Più in- teressante ai fini farmacoeconomici è confron- tare il valore di NNT dei tre bisfosfonati consi- derati. Infatti il costo di una frattura evitata risulta dal prodotto del costo di trattamento col farmaco per il periodo considerato (es. 3 anni) per il valore NNT. A parità di costo del trattamento per paziente, più è alto il valore NNT meno conveniente è l’uso del farmaco. Sotto questo aspetto il clodronato appare come il bisfosfonato più conveniente, avendo un NNT inferiore a quello dell’alendronato e del risendronato. Associazione di farmaci Non tutti i pazienti rispondono in modo soddisfacente al trattamento con un solo far- maco. Pertanto, in epoca più recente è iniziata la valutazione di alcune associazioni tra due o più farmaci appartenenti a classi differenti. [91- 93] Il 90% dei soggetti che non rispondeva alla terapia sostitutiva con estrogeni ha avuto un beneficio dall’associazione con un bisfos- fonato. Il 20% di pazienti che non rispondeva al bisfosfonato ha registrato un miglioramento dopo che è stato associato un estrogeno. Un recente studio ha dimostrato che un’associa- zione bisfosfonato-estrogeno ha un’efficacia superiore ai singoli farmaci nell’aumentare la densità ossea. [93] mentre iniziano ad apparire segnalazioni favorevoli di una associazione SERM-bisfosfonato. È però opportuno ricor- dare che mancano ancora risultati che confer- mino una maggiore efficacia nel ridurre il nu- mero di fratture osteoporotiche con le surricordate associazioni. È stata anche proposta l’associazione tra clodronato e alendronato al fine di controbilanciare con il primo farmaco l’effetto pro-infiammatorio dell’alendronato. [94] Tra tutte le possibili associazioni farmaco- terapeutiche antiosteoporiche si deve infine però doverosamente rimarcare quella bisfosfonati + calcio e vitamina D nonché SERM + calcio e vitamina D. Da ricordare che il razionale di queste ultime due associazioni è suffragato dal fatto che i principali trial con- dotti con SERM e bisfosfonati hanno espres- samente previsto comunque la possibilità di una supplementazione con calcio e vitamina D. IL COSTO DI MALATTIA DELL’OSTEOPOROSI Il costo di malattia (COI) dell’osteoporosi è ritenuto genericamente elevato ma non risul- tano pubblicati lavori che abbiano affrontato in modo soddisfacente questo tema. otanofsofsiB otulossAoihcsiRenoizudiR )ARR( reperattartaditneizaP°N )TNN(aruttarfanuerative irotuA gm01-5otanordnelA 460,0 61 ]17[6991,)TIF(latekcalB gm008otanordolC 690,0 11 ]96[1002,lateyeksolCcM gm5otanordnesiR 940,0 12 ]37[9991,)TREV(latesirraH Tabella 6 Riduzione del rischio assoluto (RRA) mediante trattamento a lungo termine con un bisfosfonato e numero di pazienti da trattare per evitare una frattura (NNT) Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 199Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati L’osteoporosi ha un’elevata prevalenza soprat- tutto nelle popolazioni con alte percentuali di anziani, ma è una patologia subdola che si svi- luppa per molti anni in modo silente, asintomatico, per emergere il più delle volte improvvisamente con una frattura causata da una caduta o da traumi di lieve intensità. Questa caratteristica ha polarizzato non solo l’attenzione dei medici ma anche quella degli economisti sanitari e dei decisori che han- no la responsabilità di predisporre la program- mazione degli interventi sanitari e l’allocazione delle risorse pubbliche e private destinate al- l’assistenza sanitaria. Infatti, la maggior parte dei lavori che si sono occupati dei costi dell’osteoporosi hanno considerato quasi esclusivamente i costi indotti dalle fratture osteoporotiche e quasi sempre esclusivamen- te i costi diretti sanitari. Inoltre, sono stati totalmente trascurati i costi indiretti che pesano sulla società, sui pa- zienti e sui loro familiari. Quest’ultima carenza è verosimilmente dovuta al fatto che l’osteoporosi colpisce per oltre i 2/3 la popola- zione femminile e comunque soggetti per lo più anziani, quindi non più produttivi. Questa considerazione sottolinea il fatto che l’impostazione dottrinale prevalente che sottende ogni valutazione economica, anche in campo sanitario, è di tipo strettamente utilitaristico. D’altra parte le analisi sui costi dell’osteoporosi hanno avuto come obiettivo centrale quello di stimare l’onere che questa patologia induce sul servizio sanitario e sulla società per identificare quali strategie terapeutiche e preventive fossero più utili sot- to il profilo sanitario e più convenienti sotto quello del contenimento della spesa sanitaria. Si deve, inoltre, osservare come praticamen- te tutte le analisi disponibili siano parziali, non solo perché sono stati esclusi i costi indiretti, ma anche perché sono stati considerati solo singoli sottogruppi di pazienti, più frequente- mente quello delle donne in menopausa, e non l’universo dei pazienti osteoporotici. Inoltre, le analisi di costo attuate anni addietro non potevano includere i costi delle terapie farmacologiche introdotte successivamente, come quelle dei bisfosfonati, e sono pertanto incomplete rispetto ai costi oggi sostenuti dal SSN e dalla società. I risultati ottenuti dai diversi studi sono, quindi, difficilmente confrontabili per tutti i mo- tivi sopra esposti ed anche perché i criteri di inclusione (es. età, grado di osteoporosi), l’ar- co di tempo e la prospettiva del decisore con- siderati nell’analisi, il modello epidemiologico eventualmente assunto variano da studio a studio. Riassumiamo alcuni dei più importanti la- vori internazionali pubblicati sul costo dell’osteoporosi. Uno studio retrospettivo, condotto su un campione rappresentativo di soggetti assistiti dal SSN della Germania e residenti nell’area di Dresda, ha stimato la prevalenza dell’osteo- porosi e valutato i costi delle risorse consuma- te per la diagnosi e la terapia ambulatoriale di tale malattia nel periodo di un anno, a cavallo tra il 1993 ed il 1994. [95] La prevalenza nell’an- no di osservazione dei casi documentati di osteoporosi nell’area di Dresda è stata del 3,14% (5,20% nelle donne e 0,89 nei maschi) e l’estrapolazione all’intera popolazione tedesca assistita dal SSN ha portato a stimare nel 2,25% (CI 95%: 1,96%-2,60%) la prevalenza standar- dizzata per età, pari a circa 1,6 milioni di pazien- ti. La prevalenza aumentava con l’età: era 1,65% tra 40 e 59 anni, 7,53% tra 60 e 79 anni e 8,69% oltre gli 80 anni. Durante l’anno di studio il 51,1% dei casi positivi ed il 2,1% dei controlli sono stati sot- toposti a densitometria ossea. Ogni paziente affetto da osteoporosi induceva un costo me- dio annuale per la diagnostica stimato in 47,20$: il 41,1% di tale costo era dovuto a misure diagnostiche specifiche, il 56,6% a test diagnostici aspecifici e solo il 2,3% a diagno- stica differenziale. Nell’anno di studio solo il 50,2% del cam- pione di pazienti affetti da osteoporosi diagno- sticata sono stati trattati con una terapia spe- cifica per l’osteoporosi. Il consumo medio an- nuale di farmaci per paziente trattato è stato di sole 106 Defined Daily Doses (DDD) pari ad un costo medio di 62,63$. Il farmaco maggior- mente prescritto era la combinazione calcio/ fluorofosfato di sodio (75,5% DDD) e quello meno prescritto era la calcitonina (3% DDD). Gli estrogeni erano prescritti all’8,9% delle don- ne osteoporotiche con un consumo medio an- nuale di 152 DDD per paziente trattato. All’epo- ca dello studio in Germania non erano ancora disponibili i bisfosfonati per l’osteoporosi. Il costo diretto sanitario annuale indotto specificatamente dall’osteoporosi per l’assi- stenza extraospedaliera ed a carico del SSN della Germania è stato stimato in 138,80$ a pa- ziente: il 65% era dovuto a farmaci ed il 35% ad altri servizi sanitari. L’estrapolazione all’intera popolazione tedesca ha portato a stimare un costo diretto sanitario durante il periodo di stu- dio pari a 218,2 milioni di dollari. Nella tabella 7 sono riportati i costi per paziente e la stima dei costi cumulativi per la Germania, ottenuti per estrapolazione, nonché la ripartizione percen- tuale delle voci di costo considerate a carico del SSN tedesco per l’assistenza sanitaria dei soggetti affetti da osteoporosi. G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 200 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati In questo studio non sono stati inclusi i costi dell’assistenza ospedaliera, della riabili- tazione e dell’eventuale assistenza domiciliare integrata (ADI), né i costi indiretti. Gli Autori, inoltre, rilevano come una percentuale signifi- cativa di casi di osteoporosi non venga dia- gnosticata in Germania e come solo un 50% di quelli diagnosticati ricevano un trattamento farmacologico specifico, molte volte inadegua- to. Pertanto il costo sanitario dell’osteoporosi in Germania dovrebbe essere molto superiore a quello riscontrato in questo studio. Uno studio condotto in Nuova Zelanda ha stimato i costi diretti dell’osteoporosi con un modello dei costi più vicino alla realtà e tenen- do conto della prospettiva sociale. [96] Lo stu- dio, dopo aver stimato la prevalenza dell’osteoporosi in Nuova Zelanda, ha preso in considerazione in particolare i costi correlati alle fratture di femore da osteoporosi nelle don- ne di età ≥ 60 anni e relativi al primo ed al se- condo anno dopo l’evento, i costi non dovuti alle fratture di femore indotte dalle donne di età ≥ 45 anni, nonché i costi della terapia farmacologica prescritta a pazienti di entrambi i sessi affetti da osteoporosi. Il costo diretto sostenuto dalla società neo- zelandese per assistere le donne ultrases- santenni con frattura di femore è stato stimato in 41.684.460 $NZ del 1995 (pari ad oltre 27 mi- lioni $US) per il primo anno, e di 24.952.895 $NZ (circa 16 milioni $US) per il secondo anno dopo l’evento. Pertanto, l’assistenza nei due anni successivi alla frattura di femore ha comporta- to un onere economico per la società neozelan- dese stimato in 66.637.355 $NZ (pari ad oltre 43 milioni di $US). Il ricovero per frattura del femore costava mediante 11.121 $NZ (7.229 $US) a pa- ziente ed il costo dell’asssistenza nelle 6-13 set- timane dopo la dimissione dall’ospedale costa- va mediamente 6.616 $NZ (4.235 $US). Il costo annuale dell’assistenza alle donne di età ≥ 45 anni, affette da osteoporosi ma sen- za fratture, è stato stimato in 4.401.208 $NZ (pari ad oltre 2,8 milioni di $US). Il costo annuale della terapia farmacologica specifica per l’osteoporosi, prescritta per trat- tare uomini e donne neozelandesi, è stata sti- mata in 3.385.590 $NZ (circa 2,2 milioni di $US). In uno studio condotto in Australia nel 1992, il costo medio per paziente sostenuto dal SSN per fratture del femore da osteoporosi era di circa 15.984 dollari australiani, equivalenti a 19.365 $NZ del 1995. [97] Il costo stimato in Australia per assistere una frattura di femore è notevolmente inferiore a quello stimato in Nuo- va Zelanda. Gli Autori attribuiscono tale diffe- renza alla diversa organizzazione sanitaria nei due paesi ed in particolare al fatto che in Au- stralia solo il 5% dei pazienti dimessi dall’ospe- dale viene inviato in centri protetti di riabilita- zione, mentre in Nuova Zelanda la metà circa viene trasferito in strutture private o case di cura per il trattamento riabilitativo, facendo lie- vitare in modo sensibile i costi. Un recente studio condotto in Francia ha valutato il costo dell’osteoporosi nella popo- lazione maschile di età ≥ 50 anni. [98] Sono stati stimati i costi diretti sanitari annuali del 1999 nella prospettiva della società, con parti- colare riferimento al costo indotto dalle frattu- re ed al costo dell’assistenza medica. Il 52% dei ricoveri acuti nel campione ma- schile di pazienti osteoporotici esaminato era dovuto a fratture del femore, il 21,7% a fratture vertebrali, il 16,8% a fratture degli arti superiori ed il 4,4% a fratture della tibia. Il costo medio per ricovero è stato stimato in 4.200 euro, con notevoli differenze in rela- zione al tipo ed alla localizzazione delle frattu- re: il ricovero per frattura della spalla costava mediamente 1.300 euro mentre quello per frat- Tabella 7 Costi/paziente e costi cumulativi estrapolati alla popolazione assistita dal SNN della Germania dell’assi- stenza extraospedaliera a pazienti con osteoporosi [95] lenitacitsongaidisaC adserDidenoipmac )$(etneizap/otsoC allaenoizalopartsE acsedetenoizalopop NSSladatitsissa ovitalumucotsoC )$inoilim( % icificepsicitsongaidstseT elaiznereffidacitsongaidstseT icificepsaicitsongaidstseT acitsongaiDelatotbuS 04,91 02,1 07,62 02,74 6,23 9,1 3,34 8,77 9,41 9,0 8,91 7,53 acificepsaipareT acificepsaaipareT aiparetelatotbuS 06,26 09,32 05,68 7,101 8,83 5,041 6,64 8,71 4,46 iratinasitteriditsocelatoT areiladepso-artxeaznetsissa 08,331 2,812 0,001 Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 201Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati tura dell’anca costava 5.900 euro. Complessi- vamente i ricoveri acuti per fratture registrati nella popolazione maschile francese affetta da osteoporosi hanno comportato un onere di 97,6 milioni di euro, dei quali il 73,2% era dovuto alle fratture del femore ed il rimanente 26,8% a tutti gli altri tipi di frattura. La riabilitazione e la convalescenza ha com- portato complessivamente un ulteriore consu- mo di circa 398.000 giorni di ricovero con un costo relativo stimato in 90,8 milioni di euro. L’assistenza extraospedaliera a questo campione di pazienti osteoporotici ha compor- tato l’effettuazione di un numero elevato di visite mediche, stimate in circa 27.240 visite specialistiche e 170.740 visite ambulatoriali di medicina generale, per un costo complessivo di 3,9 milioni di euro. La spesa farmaceutica indotta dal campio- ne in esame è stata stimata in 2,3 milioni di euro, inferiore persino al costo del trasporto dei soggetti che hanno avuto bisogno di uti- lizzare un mezzo di soccorso, valutato in 2,9 milioni di euro. In conclusione, i costi diretti dell’osteoporosi indotti dalla popolazione ma- schile francese di età ≥ 50 anni sono stati di circa 197 milioni di euro nel 1999. Come evidenzia la figura 2, il 95,3% del costo è dovu- to all’assistenza ospedaliera ripartita pratica- mente in parti uguali tra ricoveri acuti e riabili- tazione-convalescenza, mentre meno del 5% è dovuto complessivamente all’assistenza extraospedaliera e solo l’1,2% del costo riguar- da i farmaci per l’osteoporosi. Questo dato sottolinea l’importanza di au- mentare l’impiego di farmaci efficaci, come gli estrogeni, i SERM ed i bisfosfonati, capaci di prevenire e ridurre il rischio di fratture e quindi di contenere i costi elevati dell’assistenza ospedaliera. Il costo diretto sanitario indotto dalle frat- ture osteoporotiche è stato stimato anche ne- gli Stati Uniti relativamente all’anno 1995. [99] L’analisi ha incluso tutti i casi di fratture attri- buite ad osteoporosi riscontrate nella popola- zione maschile e femminile statunitense a par- tire dall’età di 45 anni ed ha considerato i costi diretti sanitari dell’assistenza ospedaliera ed extraospedaliera, ambulatoriale e domiciliare, suddivisi per tipo di frattura, sesso, età e razza. Nel 1995 il costo diretto sanitario attribuibile a fratture di natura osteoporotica è stato sti- mato complessivamente in circa 13,8 miliardi $US, dei quali il 75% era dovuto all’assistenza alle donne bianche e il 18.4% all’assistenza agli uomini bianchi. Le donne ed i maschi di colore incidevano sul costo totale delle fratture da osteoporosi solo rispettivamente per il 5,3% e per l’1.3%. Il 62,4% del costo sanitario delle fratture da osteoporosi era dovuto ai ricoveri ospedalieri, mentre il 28,2% era determinato dalle cure di riabilitazione e solo il 9,4% era correlato ai servizi ambulatoriali. Infine il 63,1% dei costi sanitari diretti delle fratture da osteoporosi era dovuto alle fratture del femore ed il rimanente 36,9% agli altri tipi di frattura. Gli Autori sottolineavano l’importanza del- le fratture in sedi differenti dal femore, sia per la morbilità sia per la spesa sanitaria ad esse associate. Gli studi che hanno preso in consi- derazione solo le fratture del femore hanno sottostimato notevolmente il costo sociale complessivo dell’osteoporosi. In un studio più recente, condotto dal si- stema Medicaid degli Stati Uniti, alla frattura del femore è stato attribuito un costo medio di 3.300 $US, mentre alle altre fratture, escluse Figura 2 Ripartizione percentua- le dei Costi Diretti Sanitari stimati in Francia nel 1999 per l’assistenza ai pazienti affetti da osteoporosi di sesso maschile [98] G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 202 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati quelle vertebrali, è stato attribuito un costo medio di 1.300 $US. [100] Secondo uno studio canadese, l’osteoporosi è la seconda principale conse- guenza dell’inattività fisica, seconda solo alla malattia coronarica come impatto sanitario e sociale. La frattura del femore, anche in Cana- da, rappresenta il principale problema dell’osteoporosi per le conseguenze sulla mor- talità e sulla perdita di autonomia. [101] Uno studio di coorte longitudinale attuato nel 1977 ha stimato in 22.292 $US il costo me- dio annuale per ogni caso di frattura del femore. [102] Il costo, tuttavia, poteva variare molto in relazione alla tipologia del paziente ed alle spe- cifiche esigenze assistenziali. Circa i due terzi dei pazienti con fratture del femore poteva ri- tornare a casa dopo un periodo iniziale di rico- vero in ospedale ed in un anno induceva un costo medio di 17.971 $US, il 58% dei quali era dovuto all’ospedalizzazione ed alla riabilitazio- ne. Il costo annuale aumentava notevolmente nei soggetti che già vivevano in residenze pro- tette (20,8%) o nei soggetti che dovevano es- sere trasferiti in tali residenze (12,1%) dopo il ricovero: nel primo caso il costo annuale sti- mato era di 28.344 $US e nel secondo caso di 37.106 $US. In questi due gruppi di pazienti, oltre il 50% di tali costi era dovuto all’assisten- za a lungo termine in strutture assistenziali re- sidenziali. Il problema delle fratture da osteoporosi è globale ed è destinato a pesare sempre di più sulle popolazioni future e sui loro sistemi sani- tari via via che il processo di invecchiamento si diffonderà, coinvolgendo anche i paesi at- tualmente in via di sviluppo. L’Unione Europea nel giugno 1998 ha pro- dotto un documento sull’osteoporosi nei pae- si della Comunità.[5] Nell’anno successivo l’Or- ganizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ripreso i dati elaborati dalla UE e li ha confron- tati con quelli provenienti da alcune altre parti del mondo.[3] La figura 3 riassume i dati raccolti dai vari paesi sui costi diretti totali dell’assistenza ospedaliera ai pazienti osteoporotici affetti da frattura del femore, riportati al valore del 1996. Le sole fratture del femore costavano ai Paesi dell’Unione europea circa 4 miliardi di dollari: l’Italia contribuiva con una spesa di circa 225 milioni di dollari. Questi costi dovrebbero essere aumentati di almeno un terzo per ottenere una stima del- l’onere totale che le fratture da osteoporosi inducono sui SSN e sull’economie delle nazio- ni sviluppate. Con l’invecchiamento delle popolazioni, l’incidenza delle fratture del femore e delle al- tre fratture correlate all’osteoporosi è destina- ta ad aumentare, inducendo un’ulteriore pres- sione economica sui SSN e sulla loro organiz- zazione assistenziale, oltre che sui costi. L’OMS ha stimato l’incremento prevedibile dell’incidenza di fratture del femore e di altre fratture osteoporotiche nei paesi del- la Comunità europea e negli USA nei prossimi decenni, in base al trend di invecchiamento delle popolazioni. L’aumento dei casi di frat- Figura 3 Costi totali dell’assi- stenza ospedaliera stimati nel 1996 per fratture dell’anca nei Paesi Membri della Comunità europea, negli Stati Uniti, in Giappone ed in Australia [3, 5] Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 203Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati ture indurrà anche un notevole aumento della domanda di posti letto dedicati a questa pato- logia, come riportato nella tabella 8, e quindi un aumento consistente del costo dell’assi- stenza sanitaria. Secondo gli esperti dell’OMS è importante che tutti sappiano che l’osteoporosi è una ma- lattia che si può prevenire, diagnosticare e cu- rare con successo mediante interventi relati- vamente semplici e costo/efficaci.[1, 3] La pre- venzione, l’aggiornamento professionale e l’educazione sanitaria della popolazione su questo tema sono priorità condivise dagli esperti internazionali. Secondo alcuni Autori, la diffusione di consistenti programmi di pre- venzione secondaria, indirizzati ai pazienti per i quali l’intervento può inibire la progressione della malattia, potrebbe portare ad identificare i pazienti a maggior rischio di una rapida perdi- ta di massa ossea e consentire interventi terapeutici mirati per questi pazienti. Analisi Costo/Efficacia e Costo/Utilità dei trattamenti farmacologici dell’osteoporosi L’analisi del costo di malattia ha portato a dimostrare come la principale voce di costo dell’osteoporosi sia dovuta alle fratture ossee correlate ed in particolare alle fratture del femore. La terapia e la prevenzione farmacologica dell’osteoporosi hanno come obiettivo prima- rio quello di ridurre il numero di fratture da osteoporosi, ristabilendo una normale rigenerazione e mineralizzazione del tessuto os- seo e soprattutto prevenendo la perdita di mas- sa ossea. Diversi sono i farmaci, utilizzati da soli o in associazione, utili a questo scopo, ma diffe- renti sono sia la loro efficacia clinica sia i loro costi. Quale strategia terapeutica sia più conve- niente per una gestione efficiente dell’osteoporosi da parte del SSN o della so- cietà può essere determinato mediante l’anali- si costo/efficacia e/o l’analisi costo/utilità, con- frontando le alternative disponibili rispettiva- mente nell’ambito della terapia e nell’ambito della prevenzione. [103, 104] Non rientra negli obiettivi di questo lavoro affrontare in dettaglio questo argomento spi- noso che continua a suscitare dibattiti e pole- miche. Per una rassegna della letteratura ante- cedente al 1997 si veda il lavoro di Torgerson & Reid. [105] In ogni analisi farmacoeconomica che vo- glia affrontare il problema della convenienza di una terapia o di una profilassi farmacologica dell’osteoporosi, i punti maggiormente critici sono i seguenti [103]: 1. definire chiaramente la prospettiva del decisore, perché da questa dipende la strut- tura dei costi e dei benefici da considerare; 2. stabilire l’arco temporale dell’analisi deci- sionale; 3. definire in modo robusto l’epidemiologia della malattia nella popolazione target del- l’intervento farmacologico; 4. definire l’outcome o gli outcomes da utiliz- zare e le modalità di misura o di stima (es. numero di successi terapeutici o numero di QALY); Tabella 8 Stima del fabbisogno di posti-letto ospedalieri per pazienti con fratture dell’anca o vertebrale negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati Uniti [3, 5] ortemaraP 0002 0102 0202 0302 0402 0502 )0001x(acna'lledaruttarfaznedicnI aeporuEenoinU ASU *ilarbetreVeruttarFerottaF 414 5,733 1,1 594 7,714 90,1 595 9,094 80,1 917 065 70,1 168 9,895 60,1 279 056 50,1 irassecenitteL aeporuEenoinU ASU 000.52 000.11 000.03 006.31 000.53 000.61 000.24 052.81 000.05 005.91 000.65 002.12 EU:ilibinopsidittel% )ilibinopsidnonASUitaD( 88,0 60,1 32,1 84,1 67,1 79,1 liehc,acna'deruttarfelledalleuqaelauguaisilarbetreveruttarfidaznedicni'lehcodnemussA* atarudalehceatucaesafallenorevociriditissecenilarbetreveruttarfaditteffaitneizapied%01 eruttarfelrepaisinroig8,01idASUilgeneinroig02idEUiseapienaisorevocirledaidem enoizalopopalrepireiladepsoittelidelauttaadnamodal,acna'llederuttarfelrepaisilarbetrev .acna'lledaruttarfnocitneizaprepalleuqid%01lairapèilarbetreveruttarfnocitneizapied .0002onna'llenacna'llederuttarfidoremunlietlov1,1èittelidelatotadnamodalotnatreP ossatled%05lairapossatnudaitnemuailarbetreveruttarfidaznedicni'lehcemussais,idniuQ .acna'llederuttarfelledotnemercniid G. Zara, C. Della Pepa, L. Pradelli, M. Eandi 204 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati 5. definire l’efficacia del trattamento in termi- ni di riduzione del rischio e di numero cu- mulativo di eventi maggiori evitabili nel tem- po (es. numero di fratture evitabili); 6. stabilire una trasparente struttura dei costi e dei risparmi inducibili, nonché delle rela- zioni tra le diverse voci di costo; 7. valutare la robustezza dell’analisi median- te un’adeguata e convincente analisi di sensibilità. Le valutazioni farmacoeconomiche finora prodotte sul tema dell’osteoporosi sono di- scretamente disomogenee e difficilmente confrontabili. Inoltre i risultati ottenuti non sono in genere direttamente trasferibili da un paese all’altro a causa soprattutto delle diffe- renze notevoli esistenti tra le organizzazioni dei SSN e dei costi. D’altra parte, la letteratura disponibile su questo argomento non è particolarmente ric- ca, sebbene alcune analisi farmacoeconomiche orientate a definire la convenienza di una tera- pia o di una profilassi dell’osteoporosi siano state pubblicate negli ultimi anni. Il tema più frequentemente affrontato è stato quello della costo/efficacia e della costo/utilità della tera- pia ormonale sostitutiva e del trattamento con calcio e vitamina D. Ancora molto scarse sono le analisi farmacoeconomiche sull’uso dei bisfosfonati nell’osteoporosi. [105] In linea generale, la terapia ormonale sosti- tutiva risulta essere conveniente quando uti- lizzata nelle donne in menopausa ed eventual- mente nelle donne anziane con segni di osteoporosi. [105] Tuttavia, tutti gli studi che hanno confron- tato l’uso della terapia ormonale sostitutiva dal periodo della menopausa con l’uso della stessa nelle donne anziane hanno concluso che è maggiormente costo/efficace iniziare la terapia ormonale sostitutiva più tardivamente in donne non in età peri-menopausale. In particolare, diversi studi hanno evidenziato che, in donne isterectomizzate di età compresa tra 65 e 74 anni, il trattamento con ormoni iniziato prima dell’isterectomia e protratto per più di 10 anni è costo/efficace. Altri studi hanno dimostrato che una terapia di più breve durata ha un rapporto costo/effi- cacia meno favorevole della terapia prolunga- ta. In particolare il minor costo/QALY è stato stimato nelle pazienti che avevano iniziato la terapia ormonale sostituitva intorno ai 50 anni e l’avevano proseguita per almeno 15 anni. [105] In un altro studio è stato dimostrato che la strategia consistente nello screening con densitometria ossea per selezionare le donne osteoporotiche da sottoporre a trattamento ormonale sostitutivo era maggiormente costo/ efficace della strategia che non prevede lo screening. [105] Infine, secondo alcuni studi più recenti la terapia ormonale sostitutiva attuata nelle don- ne in menopausa produrrebbe benefici apprez- zabili sulla riduzione delle fratture ossee solo dopo 30 anni. [105] Per quanto concerne i trattamenti con cal- cio e vitamina D, le analisi farmacoeconomiche effettuate sulla base di trial clinici indicano che questo tipo di terapia è maggiormente costo/ efficace rispetto ad altre procedure mediche, come ad esempio, lo screening per l’iperten- sione, il by-pass aorto-coronarico per una an- gina moderata con compromissione di un sin- golo vaso o la somministrazione dei farmaci trombolitici tPA nell’infarto miocardiaco. Un recentissimo studio farmacoeconomico sull’im- piego di un bisfosfonato, il risedronato, in don- ne affette da osteoporosi post-menopausale ha dimostrato che l’uso di questo farmaco è conveniente soprattutto nelle donne di 75 anni trattate per tre anni. In questa tipologia di pa- zienti, l’uso del bisfosfonato, prevenendo le fratture, migliorerebbe la qualità di vita e com- porterebbe un risparmio sul costo sanitario. [106] Tale risultato può essere estrapolato an- che al clodronato che i trial clinici indicano efficace almeno quanto, se non di più, del risedronato e dell’alendronato (vedi sopra). Partendo dal presupposto che la quantità di principio attivo che arriva al torrente circolatorio con 100 mg di clodronato alla set- timana per via intramuscolare è equivalente a quella di 800 mg/al giorno per via os sulla base di una biodisponibilità orale pari all’1-2% e una biodisponibilità per via intramuscolare pari al 100%, [107, 108] si possono trarre interessanti considerazioni farmacoeconomiche dato che il costo di acquisto del clodronato, in Italia, è inferiore a quello di altri bisfosfonati utilizzati ordinariamente nel trattamento farmacologico della osteoporosi post-menopausale. Pertan- to, il clodronato ha tutte le caratteristiche per essere considerato maggiormente costo/effi- cace. [109] Basandosi sull’NNT e sul costo di clodronato, alendronato e risedronato evitare una frattura vertebrale costa rispettivamente 4.516,88 euro (clodronato 1fl/sett), 28.182,17 euro (alendronato per os 10 mg/die), 29.083,20 (alendronato per os 70 mg/die), 35.625,82 euro (risedronato per os 5 mg/die). In questa analisi si suppone una efficacia antifratturativa di alendronato per os 70mg/ settimana pari a quella di alendronato per os 10 mg/die. È auspicabile, tuttavia, che una valutazio- ne più precisa sulla convenienza ad usare i bisfosfonati, ed in particolare il clodronato, Osteoporosi: la malattia e il suo costo sanitario 205Farmeconomia e percorsi terapeutici 2002; 3 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati nella terapia e nella prevenzione dell’osteoporosi venga attuata tenendo con- to dello specifico contesto del SSN italiano e non solo estrapolando conclusioni da valuta- zioni attuate in altri paesi con differenti siste- mi assistenziali. In conclusione, il ruolo fondamentale che la farmacoeconomia dovrà svolgere, anche in questo campo della medicina, è quello di foca- lizzare quali siano i percorsi diagnostico- terapeutici ottimali per gestire in modo efficiente ed eticamente compatibile i pazienti affetti o a rischio di osteoporosi. In particolare risulta prioritario esplorare quali strategie costo/effi- caci adottare per meglio selezionare i pazienti da sottoporre a trattamento farmacologico. In- fatti, l’obiettivo più importante da raggiungere nel prossimo futuro per poter estendere gli in- terventi di prevenzione secondaria (ed even- tualmente primaria) a tutti coloro che ne hanno bisogno è quello di ridurre al minimo possibile il numero di pazienti da trattare (NNT) per evi- tare un evento maggiore, come una frattura del femore o una frattura vertebrale.[109] I bisfosfonati, insieme agli estrogeni ed ai SERM, sono sicuramente tra i farmaci più effi- caci e maggiomente costo/efficaci nella tera- pia e nella prevenzione dell’osteoporosi, ma il loro utilizzo, per poter essere compatibile con le limitate risorse dei bilanci sanitari pubblici e privati, dovrà essere tanto più mirato quanto più si amplierà il numero di soggetti a rischio di osteoporosi da trattare. BIBLIOGRAFIA 1. World Health Organization: Assessment of fracture risk and its application to screening for postmenopausal osteoporosis: Report of World Health Organization Study Group. 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