65Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2) © SEEd Tutti i diritti riservati I farmaci “generici” in Italia: opportunità di ricerca e sviluppo di prodotti di qualità a prezzi competitivi Mario Eandi*, Carlo Della Pepa* * Farmacologia Clinica Università di Torino INTRODUZIONE Ogni prodotto farmaceutico, allo scadere della protezione brevettuale sulla materia pri- ma, può essere copiato, riprodotto e commercializzato da ditte farmaceutiche con- correnti, alimentando il mercato dei cosiddetti “generici”. I prodotti “generici” sono copie di un pro- dotto farmaceutico maturo (detto anche “innovatore”) e come questo sono specialità farmaceutiche a tutti gli effetti, che ottengono l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), ossia la registrazione, dal Ministero della Salute secondo procedure abbreviate. Infatti, per registrare un “generico” è sufficiente pre- sentare al Ministero della Salute una domanda di AIC, accompagnata dalla documentazione del suo sviluppo galenico e dalla dimostrazio- ne della sua equivalenza farmaceutica e, quan- do richiesto, della sua bioequivalenza con il prodotto “innovatore” copiato. I prodotti farmaceutici “copia” possono es- sere registrati e commercializzati con un nome di fantasia (“generici branded”, non distinguibili da una qualsiasi altra specialità medicinale) o con la denominazione comune internazionale (DCI) seguita dal nome del produttore (“generi- ci unbranded” o semplicemente “generici”). Il mercato dei “generici unbranded”, alimen- tato dalla scadenza del brevetto di un numero crescente di molecole importanti e di uso con- solidato nonché da una specifica regolamen- tazione favorevole, è un fenomeno consolida- to in alcuni Paesi industrializzati, quali gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania. In Italia, prima dell’introduzione del brevet- to sui farmaci alla fine degli anni ’70, si era sviluppato esclusivamente il mercato dei “ge- nerici branded” ossia di specialità copia con ABSTRACT Every drug whose copyright coverage has expired can be manufactured by a pharmaceutical company other than the one that developed it, giving rise to the market of the so-called generic drugs. It can be distinguished among two types of generic drugs: branded and unbranded, according to the choice of the manufacturer to assign it a fantasy name or to sell it with the name of the active principle, followed by the company’s name. In order to be accepted for marketing, every new drug has to pass the registration procedures of the Italian Ministry of Health, which are simplified for generics, as it’s sufficient to demonstrate the bioequivalence, considered a reliable proxy of therapeutic equivalence, of the new drug with the standard formulations it copies. The bioequivalence of two drugs depends on various parameters, related to the quality of the raw materials employed and the industrial processes they go through. There are several ways of assessing the equivalence between pharmaceutical products, and it is important the registration studies are conducted following strict rules, in order to guarantee the quality of generics, fundamental for achieving the trust of health operators and patients. The reason to be of generic drugs is essentially economic, as they bare no therapeutic innovation, and their introduction is mainly aimed to contain drug expenditures and to facilitate a competitive market, but to do so, they need to be widely accepted by the medical community and the population. In Italy, the market of generic drugs is very young and relatively underdeveloped if compared to what is observed in other industrialized countries such as the USA, Germany or UK, but it has a good expansion potential, as it also represents a chance for quality enhancement for the Italian pharmaceutical industry. Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2): 65-76 REVIEW 66 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2)© SEEd Tutti i diritti riservati nome di fantasia. Successivamente, il fenome- no del co-marketing aveva consentito il molti- plicarsi (fino a tre) di prodotti innovatori asso- lutamente identici per formulazione e fabbrica- zione, ma venduti con differenti nomi di fanta- sia. In questo caso non si può parlare di gene- rici branded, ma di prodotti uguali registrati ciascuno con un differente marchio. Alcune innovazioni normative, introdotte negli ultimi anni e mirate soprattutto a razionalizzare il mer- cato farmaceutico e contenerne la spesa a cari- co del SSN, hanno creato le condizioni neces- sarie per favorire lo sviluppo del mercato dei “generici” propriamente detti, anche in Italia. Cardini della politica dei “generici” in Italia sono essenzialmente tre: 1) il prezzo di un “gene- rico” non può essere superiore all’80% del prez- zo del prodotto “innovatore”, mentre un pro- duttore può fissarlo ad un livello anche notevol- mente inferiore, innescando in tal modo una di- namica di prezzi al ribasso grazie alla possibilità di entrare in un mercato concorrenziale; 2) il prez- zo del generico, o il prezzo più basso tra quelli dei prodotti generici equivalenti, viene assunto come prezzo di riferimento rimborsabile dal SSN per quel farmaco; 3) il farmacista può, anzi deve, dispensare un “generico” in sostituzione di un equivalente prodotto di marchio, salvo il caso in cui il medico specifichi il contrario o il paziente sia disposto a pagare l’eventuale differenza ri- spetto alla quota rimborsata dal SSN. Una campagna pubblicistica, indirizzata alla popolazione e alla classe medica, ha cer- cato di creare un clima favorevole all’accetta- zione dei generici. Il mercato dei generici, nell’anno e mezzo trascorso dalla loro ufficiale introduzione in Italia, ha raggiunto quote sensibili, ma non stra- ordinarie: nel 2002 la quota di mercato dei ge- nerici è stata pari solo al 2,2% (34,1 milioni di confezioni) del totale in unità di pezzi venduti per un valore pari all’1,3% (146,8 milioni di euro) della spesa farmaceutica nazionale. D’altra parte, nella popolazione, oltre che tra gli operatori sanitari, su questa categoria di farmaci permangono diversi dubbi e perplessi- tà, che vorremmo contribuire a chiarire con queste brevi considerazioni tecniche. I GENERICI: FARMACI ESSENZIALMENTE SIMILI ALL’INNOVATORE I farmaci “generici” sono stati pubblicizzati come farmaci “uguali” a quelli di marchio già in commercio ma “più convenienti” perché ven- duti ad un prezzo inferiore: il loro utilizzo con- sente di ottenere significativi risparmi a van- taggio del SSN e del cittadino senza uno sca- dimento dei risultati terapeutici. In realtà, i farmaci “generici” non sono mai perfettamente uguali al prodotto che imitano, ma devono essere “essenzialmente simili” a questo. Una specialità medicinale viene considera- ta “essenzialmente simile” ad un’altra se ha la stessa composizione quali-quantitativa in prin- cipi attivi e la stessa forma farmaceutica e se viene dimostrata la sua bioequivalenza. In altri termini, sotto il profilo tecnico un farmaco “generico” è contemporaneamente un “equivalente farmaceutico” ed un “equivalen- te terapeutico” della specialità medicinale di marchio imitata. Infatti, il farmaco “generico” ha la stessa composizione in principi attivi, una forma farma- ceutica equivalente, lo stesso dosaggio e la stes- sa via di somministrazione del prodotto innovatore. Quindi, per quanto riguarda la for- ma farmaceutica, un prodotto “generico” rientra nella categoria degli “equivalenti farmaceutici”. La formulazione di un equivalente farma- ceutico del prodotto innovatore è la prima tap- pa fondamentale, spesso l’unica, del processo di ricerca e sviluppo industriale di un nuovo generico. Nello sviluppo galenico di un farmaco ge- nerico un’azienda farmaceutica può esprimere al meglio il proprio know-how tecnologico e industriale e attraverso la produzione di “ge- nerici” di alta qualità può non solo conquista- re crescenti quote di mercato, ma anche contri- buire a creare un clima di fiducia verso il farma- co generico nel medico prescrittore e nel pa- ziente consumatore. La scelta delle materie prime da utilizzare è una delle tappe più qualificanti per imprimere al prodotto finito i caratteri di un prodotto far- maceutico di elevato standard qualitativo e di sicura affidabilità. Tuttavia, nell’acquisto del- le materie prime il produttore di generici può realizzare sensibili risparmi, soprattutto se ri- nuncia a standard qualitativi elevati. Le materie prime, principi attivi ed eccipienti, utilizzate per formulare e produrre un “generi- co”, pur rispettando i parametri di qualità previ- sti dalla Farmacopea Ufficiale e dalle norme che regolano la registrazione dei prodotti medicina- li, possono presentare sensibili differenze, ri- spetto a quelle utilizzate per produrre il farmaco originale copiato, per quanto riguarda il profilo quali-quantitativo delle impurezze ammesse e le caratteristiche fisiche e chimico-fisiche, quali granulometria, polimorfismo, solubilità. D’altra parte una stessa forma farmaceuti- ca (es. compressa) può essere prodotta sce- gliendo tra un’ampia gamma di eccipienti ed utilizzando differenti tecnologie e processi di fabbricazione. I farmaci “generici” in Italia: opportunità di ricerca e sviluppo di prodotti di qualità a prezzi competitivi 67Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2) © SEEd Tutti i diritti riservati La messa a punto di nuovi prodotti generi- ci, che possano competere come livello qualitativo e come costi di produzione con i relativi prodotti innovatori, può richiedere lo sviluppo di tecnologie farmaceutiche non ba- nali. Nel campo delle forme solide e delle matri- ci a rilascio controllato, le tecnologie farma- ceutiche e l’uso di eccipienti ad alta funziona- lità hanno raggiunto livelli notevoli di com- plessità. Il ruolo funzionale degli eccipienti è fonda- mentale per caratterizzare una forma solida. La tabella 1 riassume l’importanza dei diversi pa- rametri caratterizzanti un eccipiente ed il loro Tabella 1 Parametri specifici di un eccipiente e relativi ruoli o meccanismi nel determinare le proprietà di una forma farmaceutica solida Figura 1 I tre livelli dello stato solido di un eccipiente e possibili modificazioni delle sue proprietà intervenendo a livello molecolare o a livello particellare e bulk acituecamrafamroF etneipiccE àteirporP ortemaraP omsinacceM àtilibatS audiseràtidimU àtidimuidotnemibrosdA ovittaoipicnirpledenoizetorP acitilordienoizadargedallad enoizacirbbafidossecorP eicifrepusidaerA eicifrepusidarebilaigrenE enoizazzillatsircidittefiD etnamrofederetoP allusonocsiulfnI alluseàtilibimirpmoc nocerrudorpidàtilibissop etnaidemesserpmocosseccus daicirtimirpmocenihccam àticolevatla enoisnemidalledenoizubirtsiD ellecitrapelled ellecitrapelledamroF ,àtidiulfallusonocsiulfnI alledazneiciffe'llus luseoccesaenoizalecsim etnagergeseretop àtilibimirpmoC àtidiulF etneulideretoP idàtilibissopalonanoizidnoC enoisserpmocalereilgecs idodotememocatterid esserpmocelledenoizacirbbaf ecnamrofreP àtivisedA àtiviseoC eicifrepusidarebilaigrenE àticipocsorgiidodarG idissecorpionanoizidnoC otalumrofledenoizargetnisid ledenoizazzilibuloside ocamraf M. Eandi, C. Della Pepa 68 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2)© SEEd Tutti i diritti riservati impatto su tre proprietà generali di una forma farmaceutica: la stabilità, il processo di fabbri- cazione e la performance. Conoscendo approfonditamente i vantag- gi e i limiti di ciascun eccipiente, il tecnico far- maceutico può ridurre i tempi e i costi dello sviluppo galenico, della fase di scale-up e di avvio della produzione industriale. Negli ultimi decenni la disponibilità di nuo- vi eccipienti e il miglioramento qualitativo di quelli da tempo esistenti hanno consentito di introdurre processi di fabbricazione più effi- cienti, più rapidi e meno costosi, come la com- pressione diretta. In realtà, pochi sono stati i nuovi eccipienti introdotti sul mercato negli ultimi decenni. Ciò è dovuto agli alti costi e ai tempi molto lunghi richiesti per far approvare un nuovo eccipiente, fattori che finiscono per rendere poco remunerativo e molto rischioso lo sviluppo di un nuovo eccipiente, analogamente a quanto avviene con i farmaci innovativi. I produttori di eccipienti hanno preferito l’opzione di migliorare il grado di quelli già esi- stenti e di studiare nuove combinazioni carat- terizzate da elevate funzionalità. La figura 1 rappresenta i tre livelli dello sta- to solido di un eccipiente (molecolare, particellare e bulk), i parametri caratteristici di ciascun livello, l’interdipendenza tra loro e le modificazioni funzionali che si possono otte- nere introducendo modifiche a livello molecolare o a livello particellare-bulk. Le caratteristiche che differenziano una sostanza solida a livello molecolare sono lo stato cristallino o amorfo e la presenza di polimorfismo o di pseudo-polimorfismi. A li- vello particellare i parametri caratterizzanti una sostanza solida sono la forma, la dimensione e la distribuzione delle dimensioni delle particel- le, il tipo di cristallizzazione, la porosità delle particelle e della superficie. Infine a livello di massa (bulk), le caratteristiche di un eccipiente solido sono rappresentate dalla densità e fluidità di bulk, dalla comprimibilità e dalla igroscopicità. Introducendo una porzione non cristallina e varianti polimorfiche o pseudo-polimorfiche a livello molecolare si può migliorare la capaci- tà di legame ed il potere diluente di un eccipiente, peggiorando, tuttavia la fluidità e conservando un certo livello di igroscopicità. Intervenendo soprattutto a livello particellare, si può migliorare la comprimibilità e la fluidità dell’eccipiente e ridurre la sua sen- sibilità all’umidità. La tabella 2 indica come la modificazione di alcune caratteristiche fisiche delle particelle possa contribuire a modificare la funzionalità di un eccipiente. L’industria farmaceutica che si dedica al mercato dei generici ha un estremo bisogno di eccipienti ad alta efficienza che possano facili- tare lo sviluppo di nuovi prodotti, qualitativamente comparabili e bioequivalenti con i relativi prodotti innovatori. Gli eccipienti ad alta funzionalità, grazie alla loro elevata fles- sibilità ed alla capacità di modulare un ampio spettro di proprietà biofarmaceutiche, sono preziosi strumenti per i produttori di generici di alta qualità. Gli eccipienti moderni ad alta efficienza ven- gono sempre più frequentemente utilizzati nel- le formulazioni dei prodotti generici perché rap- presentano uno dei più importanti fattori ca- paci di garantire successo e remunerazione al produttore: alti livelli qualitativi del medicina- le, completo rispetto delle norme regolatorie, equivalenza farmaceutica con i prodotti innovatori spesso connotati come prodotti ad alta tecnologia farmaceutica, facilitazione nel raggiungimento della bioequivalenza durante la fase di sviluppo galenico, tempi rapidi di sviluppo, costi ridotti di sviluppo e di produ- zione. Queste poche e sintetiche osservazioni sottolineano non solo l’elevato contenuto tec- nologico presente nella maggior parte dei pro- dotti generici oggi in circolazione, ma anche il fatto che l’innovazione tecnologica, anche in questo campo merceologico, rappresenta uno dei principali motori per conquistare quote di mercato e ottenere buoni profitti. PROFILO BIOFARMACEUTICO DI UN GENERICO: BIODISPONIBILITÀ SISTEMICA E BIOEQUIVALENZA L’insieme delle variabili chimico-fisiche di una formulazione farmaceutica sono alla base del peculiare comportamento biofarmaceutico di ogni prodotto medicinale, descritto, nel caso Tabella 2 Relazione tra alcune proprietà fisiche delle particelle e funzionalità dell’eccipiente ellecitrapelledàteirporP etneipicce'lledàtilanoiznuF inoisnemidelledotnemuA àtilibimirpmoc,àtidiulF alledàtilibairavalledenoizudiR enoisnemid etnagergeseretoP elledàtisoropalledotnemuA ellecitrap àtilibulos,àtilibimirpmoC esoropicifrepusidenoizamroF etneulideretoP I farmaci “generici” in Italia: opportunità di ricerca e sviluppo di prodotti di qualità a prezzi competitivi 69Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2) © SEEd Tutti i diritti riservati di forme solide, dal profilo di rilascio “in vitro” e soprattutto dal profilo di biodisponibilità “in vivo”. Le caratteristiche chimico-fisiche delle ma- terie prime e le tecnologie farmaceutiche uti- lizzate per preparate una specifica forma far- maceutica condizionano la velocità di pas- saggio in soluzione del principio attivo e, nel caso di forme solide, anche la velocità di di- sgregazione. Due prodotti costituiti da una forma solida che siano “equivalenti farmaceutici” dovreb- bero avere un profilo di rilascio “in vitro” sovrapponibile come valore medio, con margi- ni di variabilità minima accettabile. Lo studio della funzione di rilascio in vitro è importante per definire la qualità di una nuova formulazio- ne farmaceutica (ad esempio di un generico) sia in termini assoluti sia in termini relativi ad un eventuale prodotto standard (es. innovatore da copiare). La velocità di rilascio “in vitro”, tuttavia, non sempre è un buon indicatore della velo- cità di rilascio in vivo e soprattutto non sem- pre correla in modo predittivo con la biodisponibilità sistemica. I processi di di- sgregazione della forma solida e di solubilizzazione, quando avvengono in vivo nella zona di applicazione del farmaco (es. a livello gastrointestinale), possono costituire fattori limitanti la velocità di assorbimento e la quantità di farmaco assorbito e perciò con- dizionare la biodisponibilità sistemica del principio attivo. La correlazione “in vitro-in vivo” può es- sere determinata solo a posteriori, ma, quando sia stata definita, può talvolta essere utilizzata per evitare ulteriori studi di biodisponibilità e di bioequivalenza su soggetti umani. Purtroppo, nella maggior parte dei casi lo studio della correlazione in vitro-in vivo non è attuabile o non produce risultati affidabili. Pertanto, per caratterizzare il profilo biofarmaceutico di una nuova formulazione solida, il più delle volte accanto allo studio delle curve di rilascio in vitro, è necessario ef- fettuare studi di biodisponibilità in vivo e te- stare direttamente la bioequivalenza della nuo- va formulazione con quella di riferimento. Per biodisponibilità s’intende la quantità e la velocità con cui la sostanza attiva o la frazio- ne terapeutica viene assorbita da una forma farmaceutica e risulta disponibile nella sede d’azione [1]. In realtà, nel definire la biodisponibilità di un prodotto si assume che la curva delle con- centrazioni plasmatiche del farmaco rappresen- ti in modo adeguato la disponibilità del princi- pio attivo nella sede d’azione. Quindi, la biodisponibilità sistemica di un prodotto vie- ne valutata dal profilo della curva concentra- zione-tempo del principio attivo, utilizzando il parametro AUC (area sotto la curva), come in- dicatore della quantità di farmaco reso biodisponibile, e i parametri Cmax (concentra- zione di picco massimo) e tmax (tempo di picco massimo) come indicatori della velocità con cui il principio attivo è reso disponibile. Fatta eccezione per le formulazioni costitu- ite da soluzioni pronte per uso parenterale od orale, che per definizione hanno la stessa biodisponibilità sistemica dei relativi prodotti standard, tutti gli altri prodotti costituiti da for- me farmaceutiche solide o da altre matrici com- plesse, pur essendo essenzialmente simili al prodotto che imitano, possono avere una biodisponibilità sistemica significativamente differente e comportare quindi un differente profilo di efficacia e tollerabilità. Un prodotto “generico”, per definizione, deve avere non solo la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi e la stessa forma farmaceutica, ma anche lo stesso profilo di efficacia e di tollerabilità del prodotto “innovatore”; in altri termini, deve anche po- ter vantare di essere un “equivalente terapeutico”. L’equivalenza terapeutica tra due prodotti può, anzi normalmente deve, essere dimostra- ta mediante ricerche cliniche controllate com- parative, effettuate con opportuni disegni spe- rimentali, direttamente su gruppi di pazienti. Nel caso di prodotti “generici” (o di altri prodotti copia essenzialmente simili) la loro equivalenza terapeutica con i prodotti di mar- chio imitati può essere dimostrata in modo sur- rogato mediante studi di bioequivalenza. La prima definizione di bioequivalenza ri- sale al 1977 quando la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha stabilito che “sono prodotti bioequivalenti gli equivalen- ti farmaceutici o alternative le cui velocità ed estensione di assorbimento non evidenziano una significativa differenza quando somministrati alla stessa dose mola- re di principio attivo e in simili condizioni sperimentali, sia in dose singola che in dose multipla” [1]. Le Linee Guida della Comunità Europea hanno ripreso sostanzialmente la stessa defi- nizione affermando che “due prodotti medici- nali sono bioequivalenti se sono equivalenti farmaceutici o alternative e se la loro biodisponibilità (velocità ed estensione) dopo somministrazione alla stessa dose mo- lare sono simili a tal punto che i loro effetti, sia per quanto riguarda l’efficacia che la si- curezza, sono essenzialmente gli stessi” [2]. Una definizione più moderna di bioequivalenza è stata messa a punto nel cor- M. Eandi, C. Della Pepa 70 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2)© SEEd Tutti i diritti riservati so del “Drug Information Association Workshop” che si è tenuto a Barcellona nel 1991: “Due prodotti sono considerati bio- equivalenti quando le loro biodisponibilità derivanti dalla stessa dose molare sono così simili tanto che è improbabile che produca- no differenze rilevanti negli effetti terapeutici e/o avversi” [3]. Una definizione molto simile è quella con- cordata durante la I° Sessione del Convegno “Bio-International 2”, tenutosi a Monaco nel giugno 1994: “Due prodotti farmaceutici sono considerati essere equivalenti quando i loro profili concentrazione-tempo, conseguenti dalla stessa dose molare, sono così simili che è improbabile producano differenze rilevanti negli effetti terapeutici e/o avversi” [4]. Gli studi di bioequivalenza non utilizzano parametri clinici di efficacia, ma si limitano a confrontare la biodisponibilità sistemica di due prodotti. I test di bioequivalenza sono, quindi, basati sul confronto statistico di parametri farmacocinetici che caratterizzano la biodisponibilità dei due prodotti: generalmen- te vengono usati i parametri AUC, Cmax e tmax, ma quando ciò non è fattibile si può ricorrere a parametri relativi all’escrezione urinaria o a parametri farmacodinamici direttamente correlabili con l’esposizione al farmaco. La logica decisionale, e la relativa statisti- ca utilizzata nei test di bioequivalenza, è quella di accettare che due prodotti farmaceutici pos- sano generare risultati terapeutici praticamen- te sovrapponibili nonostante il loro profilo di biodisponibilità presenti differenze rilevabili. Una formulazione test e una formulazione standard sono definite bioequivalenti se si può determinare, con un buon livello di confiden- za, che la differenza tra le loro biodisponibilità oscilla entro un range predefinito in modo con- venzionale come “intervallo accettabile” di bioequivalenza. In altre parole, bisogna dimostrare che le differenze di biodisponibilità, che inevitabil- mente esistono tra due prodotti essenzialmen- te simili, non superano un certo range ritenuto compatibile con l’equivalenza terapeutica. Come si può ben comprendere, si tratta di una logica decisionale e statistica diversa e, per certi aspetti, opposta a quella tradizionale attuata per dimostrare che due prodotti sono significativamente differenti. Esiste un sostanziale consenso internazio- nale nel definire un unico intervallo accettabi- le di bioequivalenza, indipendentemente dal parametro farmacocinetico considerato per confrontare la biodisponibilità del prodotto test con quella del prodotto standard. Tale inter- vallo è fissato nel range 0,80 -1,25, quando si considera la media dei rapporti individuali tra AUC della formulazione test e AUC della for- mulazione standard, oppure è fissato entro il range ±0,20, quando si utilizza la differenza tra parametri normalizzata per il parametro della formulazione standard; il livello di confidenza è generalmente fissato al 90%. La metodologia statistica per testare la bioequivalenza di due prodotti è stata svilup- pata soprattutto negli ultimi due decenni ed è ritenuta adeguata [5-14]. L’intervallo di bioequivalenza è uno standard stabilito convenzionalmente avendo presente soprattutto la variabilità del compor- tamento in vivo della formulazione piuttosto che la variabilità della risposta terapeutica nel- la popolazione dei pazienti. Un intervallo di bioequivalenza così ampio e, soprattutto, non differenziato per categoria terapeutica e per classe farmacologica, tende a trascurare le altre variabili farmacologiche e cliniche che possono incidere significativa- mente sulla equivalenza terapeutica di due prodotti e potrebbe essere talvolta inadegua- to a garantire con sufficiente affidabilità che due prodotti giudicati bioequivalenti siano anche terapeuticamente equivalenti quando Figura 2 Esempio di studio di biodisponibilità relativa e di bioequivalenza: curve delle concentrazioni plasmatiche medie (± SD) di nimesulide misurate in un grup- po di 24 soggetti volontari sani dopo singola dose orale (200 mg) a digiuno di un prodotto Test (generico) e di un prodotto Reference (Aulin), sommini- strate in due periodi successivi secondo un disegno di cross-over bilanciato delle sequenza [15] )niluA(ecnerefeR )ocireneg(tseT CUA ,tsal-0 )Lm/g*nim( 9,0321±30,2842 9,7411±25,0032 )Lm/g(xamC 72,1±91,5 95,1±97,4 )nim(xamT 9,95±7,341 5,96±7,861 )nim(TRM 0,89±4,743 6,98±7,153 µ µ I farmaci “generici” in Italia: opportunità di ricerca e sviluppo di prodotti di qualità a prezzi competitivi 71Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2) © SEEd Tutti i diritti riservati usati in una popolazione reale di pazienti. Al contrario, in alcuni casi l’intervallo di bioequivalenza potrebbe rivelarsi troppo stret- to tanto da indurre in errore e portare ad esclu- dere che due prodotti siano terapeuticamente equivalenti, mentre in realtà lo sono quando applicati in una popolazione reale di pazienti. Nella figura 2 viene riportato un esempio di studio di bioequivalenza tra un generico di nimesulide e lo standard innovatore (Aulin) [15]. Lo studio della bioequivalenza, o equiva- lenza farmacocinetica, viene considerato im- portante sia come misura in vivo della qualità di una nuova forma farmaceutica ad uso sistemico, sia come stima surrogata della sua equivalenza terapeutica con la formulazione di riferimento al fine di fornire al medico e ad altri decisori garanzie circa la sua prescrivibilità e la eventuale intercambiabilità [5]. Gli studi di bioequivalenza sono, infatti, ri- chiesti fondamentalmente in tre diverse situa- zioni: 1. quando si deve testare una formulazione di un “generico” (prodotto copia) contro un prodotto innovatore; 2. quando si propone l’uso di una forma far- maceutica differente da quella usata negli studi clinici fondamentali; 3. quando si introducono modificazioni signi- ficative nelle procedure di fabbricazione della formulazione in commercio. Gli studi di bioequivalenza sono conside- rati come il collegamento cruciale tra le formulazioni messe in commercio e quelle usa- te durante gli studi clinici che hanno portato alla registrazione del prodotto farmaceutico. Infatti, è stato dimostrato che, nel 59% dei casi, le formulazioni orali approvate dalla FDA (USA) nel periodo gennaio 1981- dicembre 1990 era- no differenti da quelle utilizzate nel corso dei trials clinici fondamentali [14]. Va altresì ricordato che lo scostamento medio di biodisponibilità rispetto all’originatore dei generici entrati in commercio negli USA è risultato essere solo del 3,5% e che lo scostamento di farmacocinetica tra due lotti di uno stesso brand prodotti dalla stessa casa madre non è mai comunque pari a zero [16]. Figura 3 Esempio di bioequivalenza media in assenza di bioequivalenza di po- polazione a causa della differente varianza at- torno alla media dei valori delle AUC relati- ve ai due prodotti con- frontati. I dati sono sta- ti simulati campionan- do con il metodo Monte Carlo i valori delle AUC da due distribu- zioni log-normali aven- ti la stessa media e dif- ferente deviazione standard M. Eandi, C. Della Pepa ECNEREFER TSET )elamron-golaciroetaidem( )elamron-golaciroetDS( airanoipmacaideM dradnatSenoizaiveD adoM ominiM %5 anaideM %59 omissaM 5 1,0 941 51 141 99 621 841 571 012 5 2,0 151 13 621 96 701 841 602 292 µ σ 72 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2)© SEEd Tutti i diritti riservati BIOEQUIVALENZA MEDIA, DI POPOLAZIONE ED INDIVIDUALE L’approfondimento del valore e dell’utilità degli studi di bioequivalenza come stima sur- rogata della equivalenza terapeutica ha fatto emergere l’esigenza e l’opportunità di dover definire e distinguere tre diversi tipi di bioequivalenza che richiedono procedure e metodi di valutazione differenti: la bioequivalenza media, la bioequivalenza di popolazione e la bioequivalenza individuale [18-20]. Il modello base di bioequivalenza è quello della “bioequivalenza media”, definita dal con- fronto tra le medie dei parametri di biodisponibilità stimati sul prodotto test e quel- le stimate sul prodotto standard. Questo criterio è adatto a verificare le ca- ratteristiche biofarmaceutiche e la qualità me- dia di un prodotto farmaceutico in confronto ad un altro di riferimento. Infatti, l’intervallo di bioequivalenza è uno standard sostanzialmen- te uniforme per ogni categoria terapeutica sta- bilito convenzionalmente avendo presente soprattutto la variabilità del comportamento in vivo della formulazione piuttosto che la varia- bilità della risposta terapeutica nella popola- zione dei pazienti. La stima della bioequivalenza media, tutta- via, non considera la varianza attorno ai valori medi dei parametri di biodisponibilità e non valuta la equivalenza della risposta alle due formulazioni nei singoli soggetti [21]. Per rimediare a queste carenze, Anderson e Hauck introdussero, prima, il concetto di “bioequivalenza di popolazione” come generalizzazione della bioequivalenza media e, poi, il concetto di “bioequivalenza indivi- duale” [18-20]. Due formulazioni possono essere conside- rate “bioequivalenti per una popolazione” se, oltre al valore medio dei parametri di biodisponibilità, anche le loro distribuzioni attorno alle medie sono sufficientemente simi- li. Le AUC o le Cmax di due formulazioni pos- sono avere un valore medio sufficientemente simile, ma una varianza significativamente dif- ferente (vedi figura 3). In tal caso le due formulazioni non sono equivalenti per la po- polazione perché le distribuzioni delle loro biodisponibilità sono significativamente dif- ferenti. Dimostrare la bioequivalenza di popolazio- ne assume un’importanza rilevante per poter assicurare il medico che può attendersi un ri- sultato terapeutico mediamente equivalente nella popolazione dei suoi pazienti, se inizia un nuovo trattamento con un farmaco generico piuttosto che con l’equivalente prodotto di marchio. La bioequivalenza di popolazione, tuttavia, non fornisce alcuna informazione circa la pro- babilità che la risposta del singolo paziente a due formulazioni sia equivalente. Per poter fare questa previsione occorre stimare la bioequivalenza individuale, ossia la bioequivalenza entro soggetto, e valutare in quale percentuale i singoli soggetti rispondo- no in modo equivalente al prodotto generico e al prodotto innovatore. Sono stati proposti diversi metodi per ri- solvere il problema della biodisponibilità indi- viduale. La FDA ha proposto la regola del 75/ 75 (almeno il 75% dei soggetti testati devono avere un rapporto individuale di biodisponibilità entro il range 75-125%). Altri autori hanno proposto metodi più rigorosi dal punto di vista statistico, ma analoghi come lo- gica decisionale [18]. Il TIER (Test of Individual Equivalence Ratios) di Anderson e Hauck ri- chiede venga fissata la proporzione minima di soggetti di una popolazione target per cui le due formulazioni testate debbano essere equi- valenti. Questa regola viene riassunta nel nu- mero minimo di soggetti con un rapporto indi- viduale di biodisponibilità entro il range accet- tabile di bioequivalenza necessario per con- cludere per la equivalenza in relazione alla di- mensione del campione e al livello di errore di tipo I. Viene anche raccomandato di calcolare i limiti fiduciali di tale proporzione. La tabella 3 riporta un caso simulato di bioequivalenza messo a punto per illustrare l’importanza della bioequivalenza individuale e per dimostrare la possibilità che un test posi- tivo di bioequivalenza media e di popolazione non riveli l’assenza della bioequivalenza indi- viduale in un numero eccessivo di soggetti. Sono state simulate, mediante il metodo Mon- te Carlo, due serie di 30 valori di AUC, parten- do da una medesima distribuzione log-norma- le. L’abbinamento casuale, uno a uno, dei va- lori delle AUC di una serie con quelli dell’altra serie per ricostruire possibili sequenze di trat- tamento intrasoggetto, ha consentito di verifi- care che talvolta si possono realizzare condi- zioni di non-bioequivalenza individuale in un numero elevato di soggetti, tanto da dover concludere che i due prodotti, pur essendo bioequivalenti come valore medio e di popola- zione, non rispettano i criteri della bioequivalenza individuale. La biodisponibilità individuale si configu- ra, dunque, come il criterio fondamentale per poter applicare la norma della sostituibilità tra formulazioni nel corso di un trattamento in atto, I farmaci “generici” in Italia: opportunità di ricerca e sviluppo di prodotti di qualità a prezzi competitivi 73Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2) © SEEd Tutti i diritti riservati senza pregiudicare il profilo terapeutico e di sicurezza ottenuti con la prima formulazione [22]. Purtroppo, il disegno della quasi totalità degli studi di bioequivalenza non consente di stimare la bioequivalenza individuale, ma solo la bioequivalenza media e/o la bioequivalenza di popolazione. Pertanto i farmaci generici at- tualmente in commercio in Italia non possono garantire un livello adeguato di bioequivalenza individuale, ma solo un livello adeguato di bioequivalenza media a livello di popolazione. In queste condizioni la sostituzione auto- matica di un farmaco di marchio attualmente in uso con un farmaco generico o tra due generi- ci, soprattutto se effettuata dal farmacista sen- za il coinvolgimento della supervisione del medico curante, può comportare qualche pro- blema per alcuni pazienti nei confronti dei qua- li i due prodotti, quello in uso e il generico che lo sostituisce, possono non essere equivalen- ti come efficacia e come tollerabilità [23-30]. Questo problema, ben noto in letteratura, risulta più delicato quando sono coinvolti far- maci d’uso cronico dotati di scarsa maneggevolezza e di basso indice terapeutico, come gli antiepilettici, gli antiaritmici e gli anticoagulanti. La sostituzione del prodotto di marchio con un prodotto generico è tuttavia praticabile con Tabella 3 Dimostrazione della possibilità che due pro- dotti mediamente bioequivalenti possano essere non bioequivalenti in un nu- mero variabile di sog- getti. Nel caso della I° combinazione di AUC intrasoggetti, il rappor- to AUC TEST/AUC REF supera il range di bioequivalenza (0,80- 1,25) in 3 soli soggetti, cioè in una percentuale bassa (10%) che con- sente di concludere per la bioequivalenza indi- viduale; nel caso della II° combinazione, inve- ce, tale rapporto tra AUC supera il range di bioequivalenza in 9 soggetti, una percen- tuale elevata (30%) che fa decidere per una non bioequivalenza indivi- duale °NotteggoS CUAenoizanibmoC°I otteggosartni CUAenoizanibmoC°II otteggosartni TSET FER FER/TSET TSET FER FER/TSET 1 2 3 4 5 6 7 8 9 01 11 21 31 41 51 61 71 81 91 02 12 22 32 42 52 62 72 82 92 03 251 051 551 451 041 431 841 421 951 771 271 061 161 231 341 841 941 361 821 731 251 241 241 361 021 281 331 531 921 041 061 251 161 041 431 841 041 341 461 941 261 071 141 061 441 181 661 621 071 451 551 031 231 581 551 651 321 241 851 551 59,0 89,0 79,0 01,1 50,1 19,0 60,1 78,0 79,0 91,1 60,1 49,0 41,1 28,0 99,0 28,0 09,0 92,1 67,0 98,0 89,0 90,1 70,1 88,0 77,0 61,1 90,1 59,0 18,0 09,0 251 051 551 451 041 431 841 421 951 161 271 061 771 231 341 041 941 361 821 731 251 241 241 331 021 281 361 531 921 841 061 251 161 041 431 841 041 341 461 941 231 071 141 061 441 181 851 621 071 451 551 031 261 581 551 651 321 241 661 551 59,0 89,0 79,0 01,1 50,1 19,0 60,1 78,0 79,0 80,1 03,1 49,0 62,1 28,0 99,0 77,0 59,0 92,1 67,0 98,0 89,0 90,1 78,0 27,0 77,0 61,1 33,1 59,0 87,0 59,0 aideM 841 251 89,0 841 251 89,0 DS 51 51 31,0 51 51 61,0 niM 021 321 67,0 021 321 27,0 anaideM 841 451 79,0 841 451 69,0 xaM 281 581 92,1 281 581 33,1 M. Eandi, C. Della Pepa 74 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2)© SEEd Tutti i diritti riservati sufficienti margini di affidabilità e sicurezza per la maggior parte delle altre classi di farmaci dotati per lo più di ampi margini di manegevolezza. È importante evidenziare come la dimostra- zione di bioequivalenza non possa essere estrapolata al di fuori dei prodotti direttamente confrontati e come, pertanto, non possa esse- re considerata documentata per estrapolazione la bioequivalenza tra un prodotto generico ed eventuali altri standard di riferimento o tra ge- nerici diversi di uno stesso innovatore. In altri termini, in questo campo non può essere ap- plicata la logica transitiva per cui se il prodotto A è equivalente al prodotto B e il prodotto B è equivalente al prodotto C ne consegue che anche il prodotto A deve essere ritenuto equi- valente al prodotto C. Infatti, nel caso in cui la differenza di biodisponibilità tra A e B fosse +15% e quella tra B e C –15%, la differenza di biodisponibilità tra A e C sarebbe del 30% e quindi A e C non potrebbero essere dichiarati bioequivalenti (figura 4). Questo problema è stato affrontato negli Stati Uniti e risolto con la pubblicazione di un libro (Orange Book), aggiornato periodica- mente da una commissione tecnica della FDA, nel quale, per ogni generico in commercio, sono riportate sistematicamente tutte le so- stituzioni approvate ed ammissibili, perché documentate [31]. Precisati gli aspetti problematici intrinseci alla categoria dei farmaci “generici” è impor- tante rassicurare gli utenti e gli operatori sani- tari, sottolineando ancora una volta che si tratta di prodotti medicinali registrati dal Ministero della Salute e pertanto sottoposti ad un vaglio tecnico analogo a quello di tutte le altre spe- cialità medicinali. Figura 4 Non-bioequivalenza fra due generici, ciascuno bioequivalente con il farmaco innovatore Occorre anche informare che il Ministero della Salute ha il potere di controllo su ogni tappa del processo di ricerca, sviluppo e pro- duzione dei farmaci, compresi i generici. In par- ticolare, presso il Ministero della Salute esiste un apposito Ufficio deputato alle ispezioni dei Centri di Ricerca che effettuano gli studi di bioequivalenza e degli impianti di produzione dei medicinali. Il prodotto “generico” ha quindi piena di- gnità e offre gli stessi livelli di sicurezza garan- titi per tutti i farmaci registrati. CONSIDERAZIONI FARMACOECONOMICHE L’impatto prevalente del farmaco generico sul sistema sanitario avviene in ambito econo- mico. Infatti, il farmaco generico non riveste alcun interesse particolare sul piano terapeutico, non essendo un prodotto inno- vativo e non comportando significative modificazioni dei livelli di efficacia e tollerabilità, mentre la sua disponibilità e diffusione sul mercato sono fattori considerati importanti per: 1. favorire un mercato farmaceutico maggior- mente aperto alla concorrenza; 2. innescare una dinamica di riduzione dei prezzi di molti medicinali; 3. consentire significativi risparmi sulla spe- sa farmaceutica pubblica e quindi liberare risorse da destinare ai farmaci innovativi più costosi. Questi obiettivi ideali sono realizzati in modo imperfetto e incompleto in tutti i paesi industrializzati che hanno sviluppato un mer- cato dei generici. La dinamica della concorrenza e dei prezzi varia molto nei diversi paesi in funzione della struttura locale dell’industria farmaceutica, delle strategie di marketing delle multinaziona- li e delle aziende genericiste, delle politiche adottate per controllare la spesa farmaceutica, nonché delle normative specifiche riguardanti la formazione del prezzo e la distribuzione dei farmaci generici. In alcune nazioni le multinazionali sono riu- scite a riprendere il totale controllo sul merca- to farmaceutico, creando e gestendo esse stes- se il settore dei generici ed adottando strate- gie di mercato che in alcuni casi ha portato ad un aumento dei prezzi dei prodotti di marchio a fronte di una riduzione del prezzo dei corri- spondenti generici. Un recente studio ha dimostrato come la politica della formazione dei prezzi dei generi- ci, adottata all’inizio degli anni ’90 nell’Ontario in Canada, non solo abbia fallito l’obiettivo di abbassare il prezzo d’acquisto dei farmaci ma abbia anche comportato un risultato opposto. I farmaci “generici” in Italia: opportunità di ricerca e sviluppo di prodotti di qualità a prezzi competitivi 75Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2) © SEEd Tutti i diritti riservati Infatti i prezzi d’acquisto dei generici si sono localizzati praticamente tutti vicini al valore massimo consentito (70% del prezzo del pro- dotto di marchio per il primo generico intro- dotto; 90% del prezzo del primo generico per i successivi ingressi sul mercato di analoghi generici), senza ulteriori dinamiche di riduzio- ne su base concorrenziale [32]. In Italia il mercato dei generici è iniziato praticamente da meno di 2 anni ed ha rivelato una dinamica di riduzione dei prezzi su base concorrenziale discretamente attiva, compor- tando per alcuni prodotti un abbattimento del prezzo iniziale di oltre il 50%. Occorre evidenziare come una eccessiva riduzione dei prezzi non sempre possa essere considerata un fatto positivo e frutto di una sana concorrenza. Infatti, una caduta troppo forte dei prezzi suscita perplessità, crea sfidu- cia nei farmaci in generale, e nei farmaci gene- rici in particolare, e potrebbe essere il risultato di un abbassamento dei livelli qualitativi del prodotto. Per evitare queste conseguenze ne- gative, proteggere l’utente e garantire un livel- lo qualitativo elevato in un contesto di competitività di mercato, sarebbe opportuno introdurre non solo un prezzo massimo con- sentito ma anche un prezzo minimo consentito per i farmaci generici. Il mercato dei generici ha raggiunto quote consistenti (alcune decine di punti percentua- li) in alcuni paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e l’Olanda. In Italia è ancora un mercato marginale che rappresenta poco più del 2% in volume e poco più dell’1% in valore sul mercato farmaceutico totale. È tutta- via un mercato in lenta espansione sia come introduzione di nuovi prodotti sia come volu- me complessivo di confezioni vendute. Il nu- mero di prodotti generici disponibile è relati- vamente elevato, ma tipicamente polarizzato attorno alle molecole che possono ottenere un prezzo maggiormente remunerativo o che han- no un vasto mercato. La figura 5 riporta le quote percentuali di mercato, in volume e valori, dei primi venti far- maci più venduti come generico in Italia. Nel 2002 solo i generici della ticlopidina hanno ot- tenuto una quota di mercato superiore al 50% del totale, mentre tutti gli altri hanno raggiunto quote percentuali nettamente inferiori. D’altra parte le quote complessive di mer- cato dei generici rispetto al loro potenziale massimo (genericato) è nettamente inferiore al 10% e varia sensibilmente nelle diverse Re- gioni italiane, come evidenzia la figura 6. Nel 2001 solo la Toscana aveva raggiunto il 9% del mercato dei generici sul genericato, men- tre tutte le altre Regioni si collocavano a quo- te inferiori al 5%. Figura 5 Market share % dei primi 20 generici più venduti in Italia (IMS 2002) Figura 6 Incidenza percentuale di mercato del generico sul genericato nelle diverse regioni italiane (dati IMS 2001) Il mercato dei generici in Italia ha, dunque, ancora un grande potenziale di sviluppo. Per poter cogliere i benefici di tale mercato potenziale occorre, tuttavia, creare un clima di fiducia in questa tipologia di prodotto farma- ceutico sia negli operatori sanitari, medici far- macisti e infermieri, sia nella popolazione dei pazienti. L’incentivo del risparmio è importan- te, ma, evidentemente, altri forti condi- zionamenti prevalgono ancora nell’orientare verso la scelta del generico. Personalmente ritengo che la norma della sostituibilità del generico e i sistemi di pressio- ne sulla classe medica perché prescrivano i ge- nerici, pur importanti, siano strumenti che pro- ducono effetti solo marginali, come dimostrano le basse quote di mercato finora raggiunte. M. Eandi, C. Della Pepa 76 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (2)© SEEd Tutti i diritti riservati L’immagine positiva del generico può es- sere data in modo decisivo dalla stessa azien- da produttrice di generici che, attraverso lo sviluppo galenico su basi tecnologiche mo- derne, sappia proporre sul mercato prodotti di alta qualità ad un prezzo concorrenziale. Sotto questa prospettiva, il mercato del far- maco generico può rappresentare un’impor- tante opportunità di sviluppo per l’industria farmaceutica italiana ed un’importante fattore di razionalizzazione della spesa farmaceutica pubblica e privata. BIBLIOGRAFIA 1. Food and Drug Administration. Bioavailability and Bioequivalence requirements. US FDA Fed. Reg. 42: 1642-1653 (1977). 2. Rauws AG. Bioequivalence: an European Community regulatory perspective. In: Pharmaceutical bioequivalence, Swarbrick J. (ed.) Drugs Pharm. Sci., vol.. 48, M. Dekker Inc., New York (1991). 3. Drug Information Association. International Harmonization and Consensus DIA Meeting. Drug Information J., 25: 471-482 (1991). 4. Midha KK, Rauws AG et al. Session I: Bioequivalence: Quality control and therapeutic Surragate? In: Midha KK, Blume HH. (eds.): Bio-International 2. Bioavailability, Bioequivalence and Pharmacokinetics. Medpharm Scientific Publications, Stuttgart, pp. 16-17 (1995). 5. Midha KK, Hubbard JW. 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