2003 4 (4)_1copia.p65 193Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati Farmaci antipertensivi a confronto: costi e benefici per il paziente e la collettività Francesco Vittorio Costa# # Professore Associato in Medicina Interna, Università degli Studi di Bologna ANALISI ECONOMICA ABSTRACT Pharmacoeconomic analysis of antihypertensive treatment should be performed following a correct methodological evaluation and considering with accuracy both costs and benefits of different therapeutic options. Costs evaluation is frequently performed simply examining the retail price of drugs which represents only a part (usually no more than 50%) of cumulative costs of therapy. Controlled clinical trials are the main source of information about benefits of therapy, but probably, in many cases, they underestimate the benefits of treatment and are unable to differentiate the effects of different drugs because of a too short follow-up. Benefits should be calculated not only in terms of saved lives or prevented events, but also in terms of prevention-regression of target organ damage and of quality of life of patients. If analysis are performed correctly, more recent drugs, like ATII antagonists, even if they have a higher retail price, become highly cost- effective thanks to their protective activity against events, and to unbeatable levels of compliance and persistence which are associated with treatment with these drugs. Comparison between old (cheaper) and newer (more expensive) drugs, and recommendations to start therapy with the cheaper drugs, are a nonsense since to achieve goal blood pressure combinations of more drugs are always necessary. Treatment of hypertension, if extended to all patients and performed aggressively, must be considered not only a life-saving, but also a money-saving tool. Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4): 193-200 PREMESSA Nonostante la terapia si sia dimostrata in grado di ridurre sensibilmente le complicanze cardiovascolari dell’ipertensione, ancora oggi solo una piccola percentuale di pazienti viene curata in maniera adeguata e tale da normaliz- zare la pressione arteriosa. Molti pazienti ven- gono trattati in maniera insufficiente e molti altri, forse la maggioranza, non ricevono alcu- na terapia. Uno studio recente ha evidenziato come la prevalenza di ipertensione nel nostro paese, nei soggetti adulti (età >35 anni) sia oggi valutabile in circa il 38%. Negli Stati Uniti, la cui popolazione ha un’età media inferiore alla nostra, la prevalenza d’ipertensione è assai più bassa (27,8%) [1]. Lo stesso studio ha anche rilevato come in Italia la percentuale di soggetti che ricevono una terapia antipertensiva (a prescindere dalla sua efficacia nel normalizzare la pressione) sia assai modesta: arriva infatti al 32%, mentre negli USA supera il 50%. E se si valuta il numero dei pazienti trattati che raggiungono effettivamente un buon controllo pressorio, i dati sono anco- ra più desolanti. Il Brisighella Heart Study [2], studio che prevede il controllo periodico dell’intera po- polazione di un piccolo comune della Romagna, ha messo in luce come nel corso degli anni, fino al 1992, ci sia stato un progres- sivo miglioramento del controllo dell’iperten- sione, mentre al controllo successivo, nel 1996, non si è osservato un miglioramento, bensì un peggioramento del controllo pressorio della popolazione (Figura 1). In ogni caso, poco più del 20% degli ipertesi trattati raggiunge livelli normali di pressione (<140/90 mmHg). Dato che la frequenza, il tipo e la gravità delle complicanze sono strettamente correlati ai valori della pressione, è facilmente ipotizzabile che un miglior controllo nella po- polazione porterebbe ad un’evidente riduzio- ne delle complicanze. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto esclusivamente trattando in modo aggressivo il maggiore numero possibi- le di pazienti (possibilmente tutti) in modo da normalizzare la pressione a tutti gli ipertesi. 194 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati Perciò sarebbe necessario somministrare combinazioni di farmaci ad una percentuale mol- to elevata e crescente della popolazione (oltre il 60% dei soggetti ultrasessantacinquenni è iperteso e l’età media della nostra popolazione è in continuo aumento). La conseguenza sareb- be un inevitabile aumento dei costi immediati. Si pone quindi il problema: i nuovi farmaci (inibitori dei recettori dell’angiotensina in primis, ma anche calcio-antagonisti e ACE-inibitori), il cui prezzo d’acquisto è più elevato di quello di diuretici e beta-bloccanti, presentano vantaggi tali da giustificarne l’impiego? E il loro utilizzo su larga scala è economicamente sopportabile? Solo un approccio farmacoeconomico cor- retto ci può consentire di valutare se tali op- zioni siano economicamente sostenibili o se, come da qualche parte si sostiene, la terapia con i farmaci più nuovi debba essere riservata solo a pazienti con caratteristiche particolari, mentre negli altri si deve agire scegliendo sem- pre i farmaci a basso prezzo. Occorre tener presente a questo punto che la gestione economica delle terapie viene demandata ad amministratori che perseguono obiettivi di bilancio a breve termine (sei mesi, un anno), mentre nel caso dell’ipertensione, specie nei pazienti a rischio meno elevato, i vantaggi completi di un trattamento efficace si possono valutare solo nel lungo periodo (da non meno di 5 anni fino a 20-30 anni). Si rischia quindi che le strategie di contenimento dei costi terapeutici vengano definite da chi tiene in conto non il benessere dei pazienti, ma i bilanci delle aziende sanitarie. Senza considerare che una persona che sta bene resta nel circuito produzione-consumi, e quindi crea risorse invece di consumarle. Questa situazione è di difficile correzione, e solo un medico ben informato può far com- prendere anche a chi non ha cognizioni clini- che che un trattamento efficace risulta alla lun- ga economicamente vantaggioso anche se ri- chiede un investimento iniziale. Nella terapia dell’ipertensione la situazio- ne è particolarmente complessa in quanto esi- stono numerose opzioni terapeutiche e i prezzi d’acquisto dei farmaci differiscono tra loro in maniera significativa. Se non si attuano valu- tazioni corrette di costi e benefici, si rischia di fare scelte non solo sfavorevoli per i pazienti, ma anche finanziariamente scorrette. VALUTAZIONE DI COSTI E BENEFICI DELLA TERAPIA ANTIPERTENSIVA Una valutazione farmacoeconomica appro- priata può essere effettuata utilizzando una delle quattro tecniche di analisi decisionale tradi- zionalmente impiegate negli studi di economia sanitaria quando si confrontano alternative diverse sulla base dei relativi costi e benefici: a) minimizzazione dei costi; b) analisi costo- efficacia; c) analisi costo-utilità; d) analisi co- sto-beneficio. La valutazione dei costi è analoga in tutte questi tecniche, ma la valutazione degli effetti ottenibili con la terapia è differente. L’analisi minimizzazione dei costi si applica quando vi sia la dimostrazione o la presunzione che le alternative terapeutiche confrontate sono equivalenti. In tal caso il confronto viene attua- to unicamente sulla base dei costi e l’opzione terapeutica meno costosa risulta ovviamente quella più conveniente. Partendo dalla consi- derazione che tutti i farmaci antipertensivi, quan- do utilizzati singolarmente a dosi adeguate, pro- ducono una riduzione dei valori pressori diffi- cilmente differenziabile in termini quantitativi, alcuni decisori sono tentati di adottare la tecni- ca “minimizzazione dei costi” per decidere qua- le farmaco antipertensivo sia più conveniente. Questa tecnica, tuttavia, non è adatta per una corretta e robusta valutazione farmacoecono- mica dei farmaci antipertensivi attualmente di- sponibili, dotati di diverso meccanismo d’azio- ne, differente tollerabilità e compliance, e so- prattutto di differente potenzialità nel ridurre il rischio cardiovascolare. L’analisi costo-efficacia e l’analisi costo- utilità, che molti autori considerano una va- riante della prima, si applicano quando le alter- native confrontate producono risultati terapeutici equivalenti sul piano qualitativo, ma differenti sul piano quantitativo (ad esem- pio una diversa percentuale di successi terapeutici indicati come normalizzazione della pressione arteriosa o come anni di vita guada- gnati o come anni di vita ponderati per la qua- lità di vita cioè come QALY). In questo caso l’alternativa più conveniente è quella che pre- senta un rapporto costo-efficacia o costo-uti- lità più basso. Poiché spesso nuove terapie sono contemporaneamente più efficaci ma an- Figura 1 Percentuale di pazienti in trattamento che raggiunge un buon controllo pressorio (PA < 140/90 mmHg). Dati dal Brisighella Heart Study [2] Farmaci antipertensivi a confronto: costi e benefici per il paziente e la collettività 195Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati che più costose di quelle standard di riferi- mento, l’analisi costo-efficacia utilizza il rap- porto costo-efficacia incrementale (ICER) come parametro in base al quale decidere se sia ac- cettabile l’innovazione proposta in relazione alle limitate risorse disponibili. L’analisi costo-utilità, a differenza dell’ana- lisi costo-efficacia, include nella valutazione dei benefici indotti dal trattamento anche le modificazioni della qualità di vita dei pazienti integrandole con gli eventuali guadagni in quantità di vita. L’unità QALY è diventato uno standard sempre più utilizzato come indicatore di efficacia e utilità nelle valutazioni farmacoeconomiche di terapie croniche dove i benefici sanitari sono complessi e comporta- no modificazioni della durata della vita e della qualità di vita dei soggetti trattati. È questo il caso delle varie terapie antipertensive dispo- nibili che, oltre a ridurre o normalizzare la pres- sione arteriosa, possono comportare risultati sanitari differenti, far guadagnare un numero di anni di vita differente alla popolazione trat- tata, essere più o meno efficaci nel ridurre il danno d’organo nel prevenire le gravi complicanze cardiovascolari (infarti, ictus, rivascolarizzazioni) e produrre un livello qualitativo di vita più o meno elevato in rela- zione alla ridotta morbilità e al profilo di tollerabilità dei farmaci usati. L’analisi costo-beneficio si applica quando le alternative che si intende confrontare produ- cono effetti quantitativi e qualitativi differenti, sicché si rende necessario esprimere gli effetti in unità monetarie piuttosto che in unità fisiche. Questo tipo di analisi non viene normalmente applicata negli studi farmacoeconomici, mentre viene utilizzata prevalentemente dai grandi decisori istituzionali (governi centrali e regionali) per scegliere l’allocazione delle risorse a livello di macrosistemi economici, quando si desideri con- frontare programmi di interventi che possono afferire al campo sanitario e a campi extrasanitari (ad esempio una campagna di vaccinazione con un programma di educazione civica). Valutazione dei costi Una valutazione accurata dei costi deve innanzitutto esaminare i costi che non produ- cono alcun beneficio, per poterli eliminare. Una diagnosi corretta di ipertensione è il pri- mo presupposto per evitare terapie in soggetti che non ne hanno bisogno e che quindi consu- mano risorse senza trarne beneficio alcuno. Il controllo pressorio insufficiente comporta spese con vantaggi solo parziali. L’insufficiente controllo della pressione può dipendere dalla scelta non adeguata dei farmaci, da una inaccurata individualizzazione della terapia e soprattutto da una bassa compliance del pazien- te. La cattiva compliance influisce contempora- neamente sui benefici e sui costi e può essere intesa come un’importante fonte di spesa senza benefici o senza tutti i benefici potenziali attesi. Vedremo in seguito come tale parametro sia particolarmente rilevante, dato che proprio nel campo della compliance i nuovi farmaci risul- tano nettamente superiori ai vecchi. Il costo della terapia si compone di molte voci il cui peso relativo può variare anche di molto da un farmaco ad un altro. Inoltre, alcu- ne voci di costo (ad esempio ospedalizzazioni, perdita di ore di lavoro, perdita di anni di vita) possono diminuire come conseguenza positi- va del trattamento e costituire, quindi, un ri- sparmio (costo negativo) che si somma algebricamente agli altri fattori di costo per de- terminare un costo globale netto. Bisogna sottolineare che il prezzo d’acqui- sto dei farmaci, spesso utilizzato come unico parametro per valutare il costo della terapia, è solo una delle voci che compongono i costi globali del trattamento (Tabella 1). Occorre quindi considerare, oltre al prezzo d’acquisto, il costo delle visite mediche e degli esami di laboratorio, gli eventuali ricoveri in ospedale (una giornata di ricovero può costa- re come un intero anno di terapia), il tempo perduto dai pazienti, i costi del trasporto per recarsi ai controlli e la perdita d’attività lavora- tiva e più in generale di produttività. Altre voci che influiscono pesantemente sui costi, come ricordato in precedenza, sono la compliance e la persistenza al trattamento. I farmaci che garantiscono elevati livelli di compliance e di persistenza (i più nuovi) influ- iscono meno sui costi finali. Farmaci dal prez- zo più basso, ma che richiedono esami o visite mediche più frequenti, o che si associano ad una compliance più bassa e/o a necessità di cambiamenti di terapia, possono alla fine risul- tare molto più costosi di altri dal prezzo d’ac- quisto più alto. L’analisi eseguita qualche anno fa da Hilleman e collaboratori [3], in uno dei pochi studi di confronto del costo di varie classi di Tabella 1 Fattori che determina- no il costo globale della terapia nella prospetti- va della società F. V. Costa iratinasitteriditsoC - - - - - - - - otsiuqca'dozzerP ailgimafidocidemladetisiV ehcitsilaicepseznelusnoC icimihcotameimasE ilatnemurtsimasE inoizazziladepsO ecnailpmocassaB atsopsirrepaiparetalledinoizairaV ataugedani iratinasnonitteriditsoC - )sub,ixat,otua(itropsartiedotsoC itteridniitsoC - - orovalideroidatidreP atividinnaidatidreP 196 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati farmaci antipertensivi, ha evidenziato che i co- sti complessivi, assai differenti quando si va- luti solo il prezzo d’acquisto, divengono molto più simili quando si considerino tutti costi ac- cessori. Lo studio mostrò che mentre il prezzo d’acquisto delle varie classi di farmaci differi- sce fino a oltre il 200% (da 260 dollari/anno per i diuretici a 540 per il calcio-antagonisti), quan- do vengono calcolati i costi complessivi delle varie opzioni terapeutiche, le differenze si ri- ducono di molto. Il costo oscilla quindi tra i 900 dollari/anno per i diuretici e i 1.350 dollari/ anno per i calcio-antagonisti (Figura 2). Ed è importante rilevare che in questa analisi non si valutano per nulla i benefici della terapia, che pure sono l’aspetto fondamentale di ogni in- tervento terapeutico. In Italia abbiamo calcolato che il prezzo dei farmaci costituisce meno del 60% del costo to- tale della terapia (Figura 3), nonostante non sia, nel costo totale, incluso il medico di famiglia, dato che il computo dei costi delle sue visite è difficilissimo da attuare (nel nostro paese i me- dici vengono rimborsati a quota capitaria) [4]. In ogni caso, nei pazienti italiani, la terapia antipertensiva costa una cifra modesta: meno di 500 euro all’anno. Dati identici sono stati rilevati in un paese a noi molto simile come la Francia. È evidente che qualsiasi terapia, per pro- durre al meglio i suoi effetti positivi, deve es- sere assunta con regolarità (compliance) e co- stanza. La costanza nel tempo (persistenza) è uno dei fattori che differenzia maggiormente i farmaci antipertensivi e assume anche rilevanza economica, poiché è stato evidenziato come i soggetti che cambiano la terapia prescritta af- frontino costi annui del 20% superiori a coloro che non debbono cambiarla [5]. Diviene così importante, sia clinicamente che economica- mente, prescrivere farmaci che garantiscono una buona persistenza. Gli ACE-inibitori e soprattutto gli ATII-anta- gonisti sono i farmaci che, in tutti gli studi finora pubblicati, si associano ai livelli più elevati di persistenza. Al contrario, i tiazidici, che secondo le conclusioni dello studio ALLHAT [6] dovreb- bero essere considerati la prima scelta perché efficaci come gli altri farmaci e più economici, si associano a livelli di persistenza bassissimi. Conlin [7], in una popolazione di pazienti segui- ta per quattro anni dai medici di famiglia, e che quindi riproduce la realtà clinica di tutti i giorni e non quella artificiale degli studi clinici controlla- ti, ha dimostrato come già dopo sei mesi il 75% dei pazienti cui era stato prescritto un diuretico l’ha sospeso, e dopo 4 anni solo il 16% continua la terapia, mentre con ACE-inibitori e, soprattut- to, ATII-antagonisti le percentuali di soggetti persistenti sono molto più elevate (Figura 4). Questa osservazione è stata confermata da altri studi e anche nei nostri pazienti si è visto che, a due anni dall’inizio della terapia, poco più del 40% di pazienti continua il diuretico, mentre la terapia con ATII-antago- nisti viene proseguita da oltre il 70% dei pa- zienti (Figura 5). Queste osservazioni assumono un parti- colare rilievo quando si consideri che la prima terapia assunta da un paziente ne condiziona la compliance futura. Un paziente che sia sod- disfatto del trattamento sarà un paziente compliante e persistente; al contrario, se la pri- ma terapia ha causato problemi, quel paziente sarà sempre restio a eseguire correttamente e costantemente il trattamento [8]. Ciò dimostra ancora una volta come i dati ricavati dagli studi clinici controllati non siano esportabili in toto alla pratica medica quotidia- na, e che farmaci equivalenti quando testati in ambiente sperimentale, alla prova pratica dei fatti diventano del tutto diversi. Il farmaco migliore del mondo può divenire il peggiore se i pazienti non sono in grado di assumerlo regolarmente. In pratica il medico deve sempre operare in modo che il paziente sia in grado di assumere regolarmente il tratta- mento, che lo continui nel tempo e che da esso tragga i maggiori vantaggi ottenibili e, se pos- sibile, al prezzo più basso. Figura 3 Fattori che contribui- scono al costo del- l’ipertensione in Italia – Lo studio GREAT [4] (da FV Costa et al, 1999) Figura 2 Costo medio di diverse classi di farmaci usati nell’ipertensione lieve [3] (da Hilleman DE et al, Clin Ther 16, 1994) Farmaci antipertensivi a confronto: costi e benefici per il paziente e la collettività 197Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati Valutazione dei benefici La valutazione dei benefici che qui viene esposta si basa esclusivamente sui risultati degli studi clinici controllati. A tale proposito occorre ribadire che essi rappresentano una realtà molto diversa dalla pratica clinica. Innanzitutto la durata di tali stu- di risulta troppo breve, specie nei pazienti ap- partenenti a classi di rischio lieve o interme- dio, per poter evidenziare eventuali differenze tra terapie egualmente capaci di ridurre la pres- sione [9]. Un follow-up di 4-5 anni è nulla rispetto agli anni di terapia di solito utilizzati in questi pazienti (spesso più di 20 anni). È quindi pro- babile che eventuali differenze tra terapie non possano essere evidenziate in un periodo di tempo così limitato. Per utilizzare un paragone un po’ semplicistico, potremmo dire che se vogliamo sapere qual è il maratoneta più forte, non possiamo basarci sui risultati di una corsa di 5.000 metri. Non solo potremmo non vedere differenze significative, ma addirittura potreb- be avvenire che chi vince la corsa sia in realtà il maratoneta più debole. La prova di ciò sta nel fatto che quasi tutti gli studi di confronto condotti negli ultimi anni han- no fornito risultati di sostanziale parità. Parità che dipende sostanzialmente dal calo pressorio analogo, mentre eventuali effetti accessori dei farmaci non hanno il tempo di manifestarsi. Lo studio LIFE [10] è l’unico in cui, in un tempo relativamente breve, sono emerse diffe- renze nella capacità di prevenire gli eventi tra farmaci che abbiano prodotto un’eguale ridu- zione della PA. Tale studio ha evidenziato che, a parità di riduzione pressoria, i benefici erano maggiori in pazienti che ricevevano una tera- pia basata su un antagonista dell’angiotensina II (losartan) rispetto a coloro che ricevevano una terapia basata su un beta-bloccante. Se tutto ciò è emerso in un breve periodo di os- servazione, dobbiamo supporre che tali diffe- renze potrebbero essere persino più evidenti nel lungo e lunghissimo termine. Altri parametri (ad esempio glicemia, colesterolemia, uricemia, etc.) dovrebbero es- sere sempre tenuti in conto. Nello studio ALLHAT, il profilo metabolico dei soggetti trat- tati con diuretico risultava peggiore di quelli trattati con altri farmaci, ma a ciò è stato dato poco rilievo perché tali alterazioni non sono esitate in eventi. Ciò è del tutto ovvio se si tiene conto della relativamente breve durata dello studio, ma è ragionevole pensare che au- menti di glicemia e colesterolo, nel corso degli anni, comportino necessariamente un incre- mento di complicanze. Lo stesso studio LIFE ha mostrato come la comparsa di nuovi casi di diabete fosse mino- re nei pazienti trattati con l’antagonista dell’angiotensina II rispetto a coloro che rice- vevano il beta-bloccante. E il diabete, proprio per il sostanziale incremento di rischio che in- duce nei pazienti che ne sono affetti, è una patologia che produce un inevitabile incremen- to dei costi. Negli anni più recenti si è, per fortuna, mag- giormente analizzato l’impatto economico delle terapie antipertensive e le analisi economiche dello studio HOPE rappresentano un esempio di come, oltre agli aspetti clinici, anche le que- stioni economiche debbano contribuire alle scel- te del medico. Dai risultati di tale studio si rileva che la terapia con un ACE-inibitore costa quan- to il placebo (Tabella 2), mentre, se si calcolano i costi degli eventi risparmiati, produce un gua- dagno economico per il SSN e la società oltreché un guadagno in salute per i pazienti [11]. L’analisi ha infatti evidenziato che il costo di un anno di vita guadagnato con un tratta- mento a base di ACE-inibitore è pari a 1.940 euro, cifra che è circa la metà di quella ottenuta con una terapia a base di simvastatina nello studio 4S. È opportuno qui ricordare che viene generalmente considerato come economica- mente vantaggioso un trattamento che produ- ca un costo per anno di vita salvato non supe- riore ai 20.000 euro. Figura 5 Persistenza al tratta- mento antipertensivo con differenti monoterapie. Pazienti seguiti presso il Centro per l’Ipertensione Arteriosa dell’Univer- sità degli Studi di Bologna (301 pazienti) (Costa FV data on file) Figura 4 Persistenza al tratta- mento antipertensivo con differenti monoterapie [7] (PR Conlin et al, Clin Ther, 2001) F. V. Costa 198 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati Una delle complicanze più costose del- l’ipertensione e del diabete è l’insufficienza renale (dialisi, trapianto renale). In questo cam- po, il ruolo svolto dagli inibitori dell’angio- tensina è fondamentale. Questi farmaci sono dotati di un effetto nefroprotettivo che pare prescindere dai loro effetti sulla pressione [12] e il fatto che molecole diverse abbiano prodot- to effetti praticamente identici fa supporre che si tratti di un effetto di classe [13]. È stato calcolato [14], sulla base dei risul- tati dello studio RENAAL, che l’impiego di questi farmaci è in grado di produrre in quattro anni un risparmio netto di cinque miliardi e mezzo di euro e che l’entità del risparmio cre- sce all’aumentare degli anni di trattamento (ol- tre ai vantaggi per la vita dei pazienti). L’analisi dei dati ci evidenzia però che se l’analisi venis- se limitata al primo anno di trattamento, tale vantaggio non emergerebbe. Politici e amministratori sono abituati a pen- sare a bilanci annuali, e questo rappresenta uno dei principali ostacoli tra quanto è dimostrato scientificamente e la sua applicazione pratica. L’insieme di questi studi clinici ci insegna che è necessario valutare costi e benefici in maniera corretta e che la terapia di patologie croniche, quali l’ipertensione, deve essere vi- sta come un investimento a lungo termine e non semplicemente come un calcolo economi- co da effettuarsi in sei mesi o un anno. Quando le valutazioni sono corrette e ten- gono conto di tutti i fattori coinvolti, anche far- maci dal prezzo elevato, come gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II, divengono assai convenienti dal punto di vista economico [15]. OTTIMIZZAZIONE DEL COSTO/BENEFI- CIO DI UN TRATTAMENTO Ottenere un miglioramento del rapporto costo-beneficio di un trattamento è possibile in diversi modi: riducendo i costi, aumentan- do i benefici o attuando entrambe le strategie. Il ruolo del medico in questa situazione è fon- damentale. Una diagnosi corretta è il primo passo ed evita di sottoporre a terapia pazienti che non ne necessitano, meccanismo questo che produce un incremento dei costi senza nessun beneficio. La riduzione dei prezzi dei farmaci è un pro- blema politico, che non compete ai medici, ma deve essere comunque attentamente valutato nei suoi pro e contro. Se l’industria farmaceutica produce meno utili calano inevitabilmente an- che le risorse destinate alla ricerca. Ciò avrebbe conseguenze gravi per lo sviluppo di nuovi far- maci e, in ultima analisi, per la salute dei pazienti. La scelta del farmaco con cui iniziare il trattamento è un altro punto essenziale. Abbiamo visto come il prezzo d’acquisto non sia il solo parametro da valutare. Sono molto più importanti le garanzie che il pa- ziente possa avere una buona compliance e proseguire nel tempo il trattamento senza modificarlo. Da questo punto di vista, gli ATII-antagonisti forniscono le garanzie di gran lunga migliori seguiti da ACE-inibitori e calcio-antagonisti. Suggerire, come si tende ora a fare, di ini- ziare sempre la terapia con il diuretico, che se- condo alcuni costerebbe di meno e sarebbe efficace come gli altri farmaci, è privo di fonda- mento per almeno due buone ragioni: - la stragrande maggioranza dei pazienti so- spende di fatto il diuretico entro pochi mesi dall’inizio della terapia - quasi sempre, per ottenere un buon con- trollo della pressione, bisogna ricorrere a terapie d’associazione (spesso più di tre farmaci per paziente). Diventa, quindi, vel- leitario suggerire di usare farmaci a basso costo, quando nella realtà si dovrà far co- munque ricorso a più farmaci associati. Iniziare con un farmaco che non crei pro- blemi al paziente e abbia ottime probabilità non solo di essere efficace, ma anche di ga- rantire una buona compliance è un requisito essenziale per il successo di ogni terapia. In questo ambito, il diuretico continua a ricopri- re un ruolo fondamentale, essendo il compo- nente più frequentemente utilizzato nelle te- rapie di associazione. Le combinazioni precostituite tra basse dosi di diuretico tiazidico, ACE-inibitori e ATII-antagonisti, sono non solo estremamente efficaci, ma an- che molto ben tollerate in quanto gli effetti avversi dei tiazidici vengono contrastati da questi farmaci. Oltretutto, il prezzo di queste associazioni è identico a quello del farmaco non associato, per cui è auspicabile inoltre che aumenti il numero disponibile di associa- zioni precostituite. Un buon rapporto medico paziente è l’altro punto essenziale per il successo della terapia. Un aumento dei benefici è ottenibile infatti solo aumentando i soggetti in cui si ottiene un effi- cace controllo pressorio. Ciò è possibile mi- gliorando compliance e persistenza, Tabella 2 Costo medio per paziente per 4,5 anni in soggetti trattati con ramipril e con placebo [11] itsoC lirpimaR obecalP isongaiD 7892$ 6063$ erudecorP 0993$ 0474$ icamraF 3456$ 0925$ ilatotitsoC 136.31$ 136.31$ Farmaci antipertensivi a confronto: costi e benefici per il paziente e la collettività 199Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati minimizzando il rischio di reazioni indesiderate e utilizzando schemi terapeutici che minimizzino il numero di assunzioni giornaliere. Tutti fatto- ri in cui il ruolo del medico è primario. Possibili ulteriori vantaggi sono ottenibili scegliendo terapie che correggano eventuali patologie associate. Esempi in tal senso sono forniti da antagonisti dell’angiotensina II e ACE-inibitori nei soggetti diabetici con e sen- za nefropatia, nei pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra e nei pazienti con scompenso cardiaco. Parimenti utili possono essere gli alfa-bloccanti nei soggetti prostatici, o i beta-bloccanti negli anginosi e negli scompensati. Curare i pazienti ipertesi è un costo o un guadagno per la società? Ovviamente, curare al meglio tutti i pazien- ti è per il medico un obbligo deontologico prio- ritario rispetto ad ogni considerazione econo- mica. Ma la domanda posta può anche essere intesa come semplice quesito economico. I dati disponibili ci consentono di afferma- re che curare bene l’ipertensione significhe- rebbe anche risparmiare risorse economiche. L’ipertensione infatti è una patologia che, se non curata, causa complicanze non solo gravi clinicamente, ma anche assai costose per la società e gli individui. Uno studio recente ha evidenziato come in Italia, nella situazione attuale di controllo del- l’ipertensione, gli eventi acuti cardiovascolari siano molto frequenti e come essi potrebbero essere drasticamente ridotti se si raggiunges- sero valori pressori normali nella totalità dei pazienti (Figura 6) [16]. Questo tipo di calcolo è stato fatto sulla base dei risultati ottenuti dallo Studio HOT. È stato anche calcolato quale sarebbe l’im- patto economico di tale intervento aggressivo ed estensivo (Figura 7): solo riducendo i costi relativi alla fase acuta degli eventi (infarto, scompenso cardiaco ed ictus), la spesa scen- derebbe da 2.045 a 263 milioni di euro per anno. Ora, se si considera che circa due terzi dei soggetti colpiti da ictus sopravvivono all’epi- sodio acuto e che la gestione dei sopravvissu- ti è molto costosa (da 20.000 a oltre 100.000 euro/anno a seconda dei casi e delle strutture in cui i pazienti vengono seguiti), si possono tentare alcuni calcoli (Tabella 3). Sulla base dei dati di spesa per paziente per anno e di spesa farmaceutica totale annua per i farmaci antipertensivi (circa 1,5-1,7 miliar- di di euro nel luglio 2003) possiamo valutare che oggi, in Italia, non più di 3-4 milioni di ipertesi ricevono una qualche terapia. Alla luce dei dati epidemiologici più recenti, i pazienti ipertesi in Italia non sono meno di 15 milioni. Se pensassimo di trattarli tutti, sulla base di quanto spendiamo oggi per ciascuno di essi (circa 500 euro/anno), dovremmo spendere cir- ca 7,2 miliardi di euro per anno. Se li trattassimo in maniera aggressiva, spendendo il doppio, la cifra salirebbe a 14,4 miliardi di euro/anno. Attualmente, solo per gli ictus, spendiamo da un minimo di 6,5 ad un massimo di 16,2 mi- liardi di euro ogni anno. Tale cifra scendereb- be a 1,0-2,9 miliardi di euro se la pressione di questi pazienti venisse normalizzata. Si può così vedere come i costi di una tera- pia estesa a tutti e di intensità doppia verreb- bero già pareggiati considerando solo la ridu- zione dell’ictus. E da tale calcolo sono escluse altre complicanze gravi e costose come l’infar- to miocardico, lo scompenso cardiaco, l’insuf- ficienza renale. Se anche questo tipo di complicanze venisse incluso nel conto, il van- taggio economico di un trattamento esteso e intensivo diverrebbe ancora più evidente. È ovvio, che alla luce di queste considera- zioni, il costo di una monoterapia rispetto ad un altra diventa irrilevante dato che, per rag- giungere gli obiettivi pressori ottimali, si deve ricorrere sempre a terapie d’associazione. All’interno di queste ultime convivono ne- cessariamente molecole ad alto e a basso co- sto. Non si tratta quindi di demonizzare i vec- Figura 7 Costo annuo degli eventi cardiovascolari acuti in Italia in relazione al controllo pressorio [16] Figura 6 Eventi cardiovascolari acuti in Italia in relazione al controllo pressorio [16] F. V. Costa 200 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2003; 4 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati chi farmaci quali i diuretici, che restano uno dei cardini irrinunciabili della terapia, ma di sot- tolineare che il loro utilizzo deve essere attua- to in modo da far sì che i pazienti siano in gra- do di assumerli senza problemi. Ciò diventa possibile quando i diuretici vengono somministrati a dosi basse, in asso- ciazione a farmaci come gli antagonisti dell’angiotensina II e gli ACE-inibitori, che ne contrastano gli effetti metabolici avversi, e dopo che la terapia è stata avviata con le mole- cole più moderne, che garantiscono nel tempo i massimi livelli di persistenza. La terapia antipertensiva deve, quindi, es- sere vista non come una gara tra singoli indivi- dui, ma come una competizione a squadre in cui ogni farmaco gioca un ruolo importante e diverso. Si deve, inoltre, cambiare radicalmente men- talità e passare da una visione che ritiene la terapia antipertensiva solo un costo a quella che considera l’ipertensione come una malat- tia che produce complicanze e costi evitabili, sicché la sua terapia è un investimento van- taggioso che a lungo termine può ridurre gli attuali costi sanitari e potrebbe addirittura in- durre risparmi netti per la società. Il costo per anno di vita guadagnato o per QALY aggiuntivo, stimato per le moderne te- rapie antipertensive basate sull’uso di farmaci capaci di prolungare la vita, ridurre le complicanze cardiovascolari e migliorare la qualità di vita, è paragonabile o inferiore a quelli delle statine e nettamente inferiore al tetto mas- simo convenzionalmente ritenuto oggi ammis- sibile dai paesi industrializzati dell’occidente. Si può quindi concludere che la terapia antipertensiva moderna, a fronte di un incre- mento della spesa farmaceutica, riduce signifi- cativamente gli altri costi sanitari e i costi indi- retti correlabili all’ipertensione, aumenta il nu- mero di anni di vita guadagnati dalla popola- zione e migliora complessivamente la qualità di vita dei pazienti e dei loro famigliari. BIBLIOGRAFIA 1) Wolf-Maier K,Cooper RS, Banegas JR et al. Hypertension prevalence and blood pressure levels in 6 European countries, Canada and the United States. Jama,2003;289:2363-2369 2) Dormi A, Gaddi A. 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