179Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati

ABSTRACT

Pharmaceutical products are relevant for their contribution to the medicine progress and in health peoples im-
provement, altough this evidence goes back to the forthy years with the reduction in mortality, morbidity and
hospitalisation rates. The ambivalence of drugs, both remedy and poison, needs a careful assessment of risks
and benefits. Primitive estimates of health treatments evaluation occurred in the human history but the modern
concept of  evaluation in health care derived from cost-benefit analysis (welfare economics) and technology
assessment. Then a new discipline, pharmacoeconomics and  outcomes research, developed with the contribu-
tion of  health economics, clinical medicine, pharmacology, statistics and epidemiology.

Pharmaceutical products are also relevant because of their responsability of health expenditure growth. From
1992, in Italy, several legislative actions were made to face up the pharmaceutical expenditure. The most impor-
tant one (L. 537/1993) achieved  the maximum  decrease of 16,8%, in 1994, and modified radically the pharma-
ceutical policy. Nevertheless, in the following six years the pharmaceutical expenditure grew more than 93%.
New actions were made fixing the pharmaceutical expenditure to 13% of  health expenditure, any excess being
charged to  Regions. In the new version for the current year, the excesses will be paid-back by pharmaceutical
companies (60%) and Regions (40%). Furtherly, the creation of Agenzia Italiana del Farmaco increases the rel-
evance of cost-effectiveness analyses for drugs reimbursement.

However, pharmacoeconomic evaluations have still many methodological problems. Economic variables should
be treated in the same manner of biomedical or epidemiological data, that is, by confidence intervals and
sample sizes. There would be an “economic significance” besides to clinical and statistical ones. In this way,
pharmacoeconomics and outcomes research would be able to add  rationality to health care expenditure.

Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3): 179-187

Farmacoeconomia e outcomes
research
Ermanno Attanasio*

METODI

*Dipartimento di
Medicina Sperimentale
e Patologia,
Facoltà di Medicina e
Chirurgia, Università di
Roma “La Sapienza”

* SIFEIT, Società
Italiana per Studi
di Economia ed Etica
sul Farmaco e sugli
Interventi Terapeutici

INTRODUZIONE

Fin dagli albori della civiltà l’homo sapiens
si è servito dei medicamenti sia per curare sia
per alleviare il dolore. Da Ippocrate a Galeno a
Paracelso, la scienza del farmaco (pharmacon
logos) è stata sempre strettamente legata al-
l’arte medica quale suo efficacissimo aiuto,
come asseriva, già dal I secolo, Dioscoride
Pedanio nel De Materia Medica. Per altro,
questo delicato legame “medico-farmaco-pa-
ziente” non poteva resistere immune dalle con-
taminazioni mercantili che indussero a decre-
tare il divieto di associazione tra medici e far-
macisti (il moderno comparaggio) prima Fede-
rico II, nelle Costitutiones di Melfi del 1231, e
poi lo  Statuto dell’Arte de’ Medici e degli
Speziali, nella Firenze del 1349.

Nella nostra epoca, esistono almeno tre
buone ragioni per le quali i farmaci assumono
un grande rilievo nel contesto sociale ed eco-
nomico di una collettività:

(a) per il contributo al miglioramento dello
stato di salute della popolazione;

(b) per lo sviluppo di un settore produttivo
di indubbio interesse economico;

(c) per  la responsabilità nella crescita dei
costi nel sistema  sanitario.

Deve essere riconosciuto, però, che il mi-
glioramento dello stato di salute è dovuto in
massima parte alle mutate condizioni igienico-
sanitarie e socio-economiche della popolazio-
ne e alla capacità della medicina di intervenire
mediante la prevenzione e la diagnosi precoce.



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Soltanto in misura minore esso è attribuibile
all’uso dei farmaci ed è a partire dagli anni ’40
che il contributo dei farmaci alla riduzione dei
tassi di mortalità, di morbosità e di spedaliz-
zazione s’è fatto più evidente. Ciò è avvenuto
soprattutto nel campo della prevenzione e del-
la cura delle malattie infettive (con vaccini e
antibiotici) e di altre patologie, quali l’ulcera
peptica (che oggi difficilmente necessita del
trattamento chirurgico), l’ipertensione, il dia-
bete, etc. Spesso, la terapia farmacologica rie-
sce a contenere l’evoluzione naturale della
malattia conseguendo un’accettabile qualità
di vita.

Ai farmaci, dunque, va riconosciuto un ruo-
lo importante nel progresso della medicina,
valutato su tre elementi fondamentali:

1. risoluzione di una patologia acuta o dei
suoi sintomi (es. malattia infettiva, febbre);

2. aumento della sopravvivenza o del pe-
riodo libero da eventi/sintomi per quelle
malattie a lungo decorso (diabete, neo-
plasie);

3. miglioramento della qualità della vita
(inteso anche come minore tossicità col-
laterale: si ricordino alcuni casi di tossicità
anche gravissima, come quello verificatosi
con la talidomide negli anni ’60).

I potenziali benefici e rischi associati al-
l’uso dei farmaci impongono una loro rigorosa
valutazione che prenda in considerazione l’ef-
ficacia da un lato, come conseguimento di al-
meno uno degli obiettivi sopra descritti, e il
costo dall’altro, inteso come sacrificio compiuto
dal paziente, dai suoi familiari o da chi lo assi-
ste. Il sacrificio, nel suo senso più ampio, non
può essere limitato ai soli  aspetti monetari.
Pertanto, anche l’assunzione di un rischio rien-
tra tra le diverse modalità che un costo può
assumere.

L’ambivalenza degli effetti di un farmaco è
una conoscenza antica, riscontrabile fin dai
poemi omerici: il termine greco pharmacon (al
pari dell’equivalente latino medicamentum)
contiene una forte ambiguità, perché esprime
sia il significato positivo di rimedio, medicina,
filtro magico, sia quello negativo di veleno,
tossico, droga. Nella lingua italiana si è perdu-
ta questa doppia connotazione, mentre in quel-
la inglese è rimasta nel termine drug, riferibile
sia ai farmaci sia alle droghe [1].

È proprio la relazione che tiene insieme i
rischi e i benefici che deve essere fatta ogget-
to della valutazione di un farmaco.
Per il traffico stradale non vale forse la medesi-
ma considerazione? Le strade sarebbero più
sicure se fossero interdette al traffico auto-

mobilistico. Lo stesso principio può essere
riproposto per qualsiasi settore, da quello della
salute a quello dell’energia nucleare, da quello
dell’ambiente a quello dei trasporti: alla stessa
stregua, una riduzione acritica dell’uso dei far-
maci o una loro irragionevole limitazione non li
renderebbe automaticamente più sicuri, né ver-
rebbe annullato il rischio di malattia e di morte.

LA FARMACOECONOMIA: ORIGINI E
DEFINIZIONE

L’esigenza di valutare i rischi e i benefici
dei farmaci ha contribuito alla nascita di una
nuova disciplina, la farmacoeconomia, termi-
ne apparso per la prima volta [2] nel 1987 e che
in un decennio ha costituito il  titolo di oltre
sessanta articoli internazionali, mentre dal 1992
è diventato il nome di una già prestigiosa rivi-
sta (PharmacoEconomics) con una sua auto-
noma sezione italiana (PharmacoEconomics-
Italian Research Articles). In Italia, sulla
farmacoeconomia sono stati creati corsi di for-
mazione (il primo dall’Università di Roma La
Sapienza, nel 1996-97), riviste specifiche
(Farmeconomia e percorsi terapeutici,
FarmacoEconomia News, Giornale di
Farmacoeconomia), società scientifiche
(SIFEIT) e gruppi di lavoro (GISF) o movimenti
di interesse anche nell’ambito di società scien-
tifiche già esistenti (SIF, SIFO, SSFA).

In precedenza, l’argomento era trattato nel-
l’ambito dell’analisi costi-efficacia, a sua volta
un sottoinsieme del Medical Technology
Assessment (valutazione delle tecnologie me-
diche), disciplina divulgata nella seconda metà
degli anni ’70 dall’Office of Technology
Assessment del Congresso degli USA, soppres-
so dopo aver collezionato oltre 650 studi di
valutazione dei trattamenti in medicina e dopo
aver dato le prime indicazioni sui principi che
tali studi dovevano seguire [3].

Eppure, la valutazione dell’efficacia dei trat-
tamenti terapeutici è antica quanto la medicina
stessa ed è fortemente intrecciata con il valore
economico che in ogni epoca storica è stato
attribuito all’essere umano. La più antica do-
cumentazione della valutazione dell’attività
medica risale ad un reperto babilonese del 1792
a.C. (Codice di Hammurabi) in cui si prescrive-
va, tra l’altro, il taglio della mano al medico che
avesse procurato la perdita dell’occhio del
paziente [4].

Presso i Romani il danno fisico procurato a
un uomo libero era un delitto che richiedeva la
punizione del colpevole senza alcuna possibi-
lità di risarcimento [5].

Nel 643, il longobardo Rotari istituì una ta-
riffa che teneva conto delle menomazioni subi-

Farmacoeconomia e outcomes research



181Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati

te dalla persona lesa, con maggiorazioni o di-
minuzioni a seconda del  suo rango sociale
(Editto di Rotari) [6].

Nel 1699 William Petty introdusse il con-
cetto di capitale umano basato sulla capitaliz-
zazione della capacità di guadagno di ciascun
lavoratore, che costituiva anche il contributo
del singolo al reddito nazionale [7].

Nel 1760 Daniel Bernoulli confrontò rischi
e benefici derivanti dall’inoculazione di mate-
riale infetto come immunizzazione permanente
contro il vaiolo [8]. Il metodo di induzione
immunitario era già conosciuto, anche se fu
testato e divulgato da Edward Jenner. Infatti,
già durante l’epidemia di vaiolo di Boston
(1721), la vaccinazione fu praticata dal dottor
Zabdiel Boylston con esiti decisamente fa-
vorevoli (mortalità di 1 su 47 tra i vaccinati,
contro 1 su  7 tra i non vaccinati) [9].

L’idea di misurare i benefici derivanti da un
investimento pubblico risale a Jules Dupuit che
in un saggio del 1844, nel sottolineare l’ap-
prossimazione con cui venivano valutate le
opere pubbliche, anticipò il concetto di “di-
sponibilità a pagare” (willingness to pay),
incardinato poi nella teoria economica da Alfred
Marshall.

Nel 1873, fu un igienista, Max von Pet-
tenkofer, a calcolare la convenienza dell’inve-
stimento in salute da parte dello Stato (sistema
idrico e fognario della città di Monaco) in circa
7 milioni di fiorini, oltre i quali l’investimento
avrebbe perso la sua redditività [10].

Non di meno, la valutazione degli interven-
ti pubblici, in particolare mediante lo sviluppo
dell’analisi costi-benefici, che pure deve le sue
radici intellettuali a Vilfredo Pareto e ai britan-
nici Nicholas Kaldor e John Hicks, costituisce
un fenomeno proprio del ventesimo secolo,
sorto con la legge del governo americano sulla
valutazione dei progetti per i fiumi e i porti  del
1902 (River and Harbor Act), ribadito poi con
la legge sul controllo delle acque del 1936
(Flood Control Act), nella quale veniva affer-
mato il principio che “i benefici federali, chiun-
que ne usufruisse, dovevano eccedere i costi”
[11,12].

La dizione “valutazione economica”, usata
sovente nel campo dell’assistenza sanitaria,
comprende l’analisi costi-benefici e le altre tec-
niche ad essa correlate, quali l’analisi costi-
efficacia e l’analisi costi-utilità [13].

Per l’esattezza, l’analisi costi-efficacia fu
sviluppata durante l’ultima guerra mondiale,
quando, fissato un determinato obiettivo mili-
tare, si avvertì la necessità di ottimizzare le pro-
cedure per raggiungerlo al minor costo possi-
bile [14].

Dopo il 1960, questi tipi di valutazione fu-
rono estesi a diversi settori (trasporti, educa-
zione, urbanistica e sanità), dando luogo a con-
tinue elaborazioni concettuali e a nuove di-
stinzioni terminologiche (analisi costi-utilità,
analisi multi-attributi, etc.).

Relativamente al settore sanitario, senza far
distinzioni tra le due sponde dell’Atlantico, de-
vono essere citati i lavori di quei pionieri che
hanno contribuito alla nascita e alla diffusione
della nuova disciplina [15-21].

La farmacoeconomia è un’applicazione del-
l’economia (sanitaria) ai prodotti farmaceutici,
anche se i suoi fondamenti teorici sono stati
mutuati da altre discipline, quali la medicina e
le specialità mediche, la farmacologia, l’epide-
miologia e la statistica.

Il suo compito è quello di individuare, mi-
surare e confrontare gli effetti terapeutici di un
trattamento rispetto ad un altro, nonché i costi
(risorse consumate) con i risultati derivanti
dalla somministrazione di farmaci.

In una visione più ampia, la farma-
coeconomia può essere definita come la disci-
plina che descrive e analizza i costi e gli effetti
della terapia farmacologica nell’ambito dei si-
stemi sanitari e della società e che, di conse-
guenza, individua e spiega le componenti del-
la spesa farmaceutica come parte della spesa
sanitaria [22].

La farmacoeconomia risponde, pertanto, al-
l’esigenza di allocare in modo ottimale le “ri-
sorse scarse” nei programmi terapeutici basati
sull’uso di farmaci. Concetto questo non nuo-
vissimo, dato che si deve a Platone il primo
esempio di uso discreto di un farmaco-veleno,
nella descrizione della morte di Socrate nel
Fedone (117c): all’uomo che gli portava la pol-
vere di cicuta pestata dentro una tazza, Socrate
chiese: “... Di questa bevanda è lecito far
libagione a qualcuno, o no?”.  L’uomo rispose:
“Noi ne pestiamo soltanto quel tanto che cre-
diamo basti per bere...”. Del farmaco fornito
dallo Stato, anche sotto forma di veleno, biso-
gnava farne un uso corretto, senza sprechi.

L’AVVENTO DELL’OUTCOMES
RESEARCH

L’attuale outcomes movement è nato negli
USA negli 1950-60 come risposta alla rapida
crescita di ospedali, medici e tecnologie [23].

 Nei due decenni che seguirono la creazio-
ne di Medicare (programma di assistenza sa-
nitaria per gli ultra sessantacinquenni) la spe-
sa sanitaria crebbe dal 4% all’11% del Prodot-
to Interno Lordo (PIL).

E. Attanasio



182 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati

In quel periodo ci fu un crescente interes-
se per la qualità e i risultati dell’assistenza sa-
nitaria, inspiegabilmente differenziati all’inter-
no del territorio americano. Ad esempio, risul-
tavano molto dissimili l’uso e la frequenza di
procedure mediche e di trattamenti sanitari. In
poche parole, nel settore sanitario, all’aumen-
to dei costi non corrispondeva un migliora-
mento della qualità o dei risultati dei tratta-
menti.

Ci si rese conto che un aspetto fondamen-
tale di tale difformità era costituito dalla man-
canza di consenso della comunità medica sulle
procedure sanitarie ma soprattutto che, il più
delle volte, i trattamenti sanitari venivano in-
trapresi senza nessuna conoscenza del possi-
bile risultato.

Così l’outcomes research (ricerca di esiti o
ricerca di risultati) divenne il centro della valu-
tazione sanitaria grazie anche al crescente so-
stegno dell’economia sanitaria che comincia-
va a sviluppare i modelli per rendere più razio-
nale l’uso dei farmaci e delle nuove procedure
terapeutiche.

Tra i mezzi adottati per il contenimento dei
costi sanitari vanno ricordati l’uso dei farmaci
generici, lo sviluppo di protocolli, l’abbattimen-
to dei costi fissi, la riduzione delle giornate di
degenza in ospedale e la ricerca di procedure
terapeutiche meno costose. In sostanza, i prin-
cipali fattori che contribuirono alla crescita
dell’outcomes research possono essere così
identificati: una variazione non spiegata nelle
procedure mediche dovuta ad una scarsa in-
formazione sull’efficacia delle stesse; l’esigenza
di tenere sotto controllo la crescita dei costi
sanitari; la preoccupazione che una riduzione
dei costi potesse ripercuotersi sulla qualità
dell’assistenza.

L’outcomes research può essere definita
lo studio degli eventi sanitari finali che si veri-
ficano come conseguenza di una condizione
patologica o del suo trattamento. In altre paro-
le, può essere considerata come un processo
di valutazione degli interventi sanitari con lo
scopo di misurare l’estensione o la meta finale
che può essere raggiunta da una determinata
terapia [22].

Più che una nuova disciplina deve essere
considerata una maggiorata attenzione ai già
noti studi di metodologia medico-scientifica. I
risultati dell’outcomes research vanno ben ol-
tre quelli della medicina tradizionale, compren-
dendo quelli umanistici (qualità della vita, con-
trollo dei sintomi, soddisfazione, etc.) e quelli
economico-finanziari (uso delle risorse), così
che essi possono essere studiati a seconda
del loro ambito di riferimento: alla clinica, al

paziente, ai costi. Infatti, il valore vero degli
interventi sanitari, dei programmi o delle politi-
che, può essere calcolato soltanto se tutte e
tre le dimensioni sono incluse nei risultati.

LA NUOVA POLITICA DEL FARMACO
E LA DINAMICA DELLA SPESA
FARMACEUTICA

In Italia, prima del 1992, la spesa farmaceu-
tica cresceva a ritmi ben superiori al 10% an-
nuo, assorbendo, in quanto parte della spesa
sanitaria, quote crescenti del PIL. L’esigenza
di contenere la spesa pubblica portò ad una
serie di provvedimenti legislativi (noti come
“leggi finanziarie”), che a partire dal 1992 e fino
al 1995 ne hanno invertito la tendenza con con-
tinue e significative diminuzioni. Il decremen-
to massimo (16,8%) venne raggiunto nel 1994,
in conseguenza della legge finanziaria per il
1994 (L. 537/1993).

Questo provvedimento ha modificato ra-
dicalmente la politica del farmaco, abolendo il
Prontuario terapeutico del Servizio Sanitario
Nazionale (SSN) ed attribuendo alla Commis-
sione Unica del Farmaco (CUF) il compito di
razionalizzare l’uso dei farmaci secondo la loro
efficacia sino a concorrere alla spesa
prefissata di 10.000 miliardi di lire su base an-
nua. Quindi, fu disposta una riclassificazione
delle specialità medicinali in relazione alla loro
efficacia per le patologie ritenute più rilevanti
(infezioni, malattie cardiovascolari, diabete,
tumori, asma, etc.), nonché sulla base del rap-
porto costo-efficacia dei diversi prodotti com-
merciali. L’analisi dell’efficacia clinica venne
applicata per classe o sottoclasse di farmaci,
secondo il sistema ATC (Anatomico, Tera-
peutico, Chimico) composto da combinazioni
alfanumeriche, adottato dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità (WHO). Ad esempio, la
combinazione A02BA01 individua l’appara-
to gastroenterico A, il gruppo terapeutico de-
gli antiacidi 02, quello relativo agli antagoni-
sti degli H2 recettori BA e quindi il principio
attivo della cimetidina 01.

La riclassificazione fu attuata mediante la
collocazione delle specialità medicinali in una
delle seguenti classi [24]:

- Fascia A, farmaci essenziali. In questa
fascia, a completo carico del SSN salvo un
ticket per ricetta, erano compresi i farmaci
rivolti al trattamento di patologie gravi o cro-
niche per i quali esisteva una documenata
efficacia, in termini di aumento della speran-
za e della qualità della vita o di riduzione
delle complicanze; a parità di condizioni era
incluso in questa fascia il farmaco con un
minor rapporto costo-efficacia;

Farmacoeconomia e outcomes research



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- Fascia B, farmaci di rilevante interes-
se terapeutico. In questa fascia erano com
presi farmaci rivolti alla cura di patologie
meno gravi delle precedenti per i quali la
documentazione esistente mostrava dati cli-
nici e funzionali favorevoli, anche se non
correlati con un aumento della speranza di
vita o con la riduzione delle complicanze
invalidanti. L’onere finanziario di questi far-
maci era diviso al 50% tra SSN e paziente;

- Fascia C, altri farmaci. Questa fascia,
di natura residuale, comprendeva quei far-
maci che non possedevano le caratteristi-
che delle due fasce precedenti. Include-
va, quindi, farmaci di minore efficacia cli-
nica oppure quelli indicati per una patolo-
gia minore o ancora quelli di costo mag-
giore benché di  pari efficacia ed il cui
onere finanziario ricadeva interamente sul
paziente.

In tal modo, fu introdotto un principio di
razionalità in un settore della medicina che, in
precedenza, permetteva il consumo di prodotti
medicinali di dubbia efficacia per un 20% (al
pari di quanto accadeva in Francia), contro un
12% della Germania e contro lo 0% del Regno
Unito [25].

In aggiunta, la stessa legge finanziaria at-
tribuì al Comitato Interministeriale per la Pro-
grammazione Economica (CIPE) il compito di
stabilire il prezzo dei farmaci attraverso la me-
dia calcolata sui primi cinque prodotti venduti,
compresi i generici, di quattro paesi europei
(Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna).

Il calcolo dei prezzi non teneva conto della
parità valutaria delle rispettive monete, ma del-
la parità del potere di acquisto delle stesse,
espresso in dollari USA [26]. Il nuovo sistema
dei prezzi fu poi reso più equo grazie ad alcuni
correttivi: il prezzo veniva calcolato sulla me-
dia di tutti i paesi europei e in base al cambio
monetario di ciascun paese (dal 1 gennaio 1999
fissato nella parità tra monete nazionali ed euro.
Per l’Italia, 1 euro = 1.936,27 Lit.).

La delibera n.109 del CIPE (G.U. n.24 del 30
Gennaio 1997) introdusse la “negoziazione del
prezzo” per i farmaci innovativi, autorizzati con
procedimento europeo centralizzato dall’EMEA
(The European Agency for the Evaluation of
Medicinal Products).

Tale delibera fu di una certa rilevanza per-
ché impegnava ad una valutazione economi-
co-finanziaria nell’ambito delle procedure di
contrattazione del prezzo tra industria e go-
verno.

La valutazione doveva basarsi sul rappor-
to costo-efficacia dei farmaci, sul riferimento ai
prezzi esteri delle specialità medicinali, sulle

previsioni del mercato interno e sugli eventua-
li effetti che l’introduzione del nuovo farmaco
aveva su farmaci analoghi già disponibili.

Con la legge finanziaria per il 2001 (L. 388/
2000) venne abolita la fascia B (dal 1 Luglio
2001) e i farmaci vennero inseriti dalla CUF in
fascia A o in fascia C, sulla base della loro effi-
cacia terapeutica e delle loro caratteristiche
prevalenti [27].

Ancora il CIPE, con la deliberazione n.3 del
21.4.2001 (G.U. n.73 del 28 Marzo 2001) fissò i
nuovi criteri per la contrattazione del prezzo
dei farmaci rimborsabili dal SSN, imponendo
alle aziende farmaceutiche l’obbligo di docu-
mentare la loro richiesta di prezzo del farmaco
in base al rapporto costo-efficacia e rischio-
beneficio (punti 3-3.1.3). Inoltre, nell’allegato
1 della stessa deliberazione, venivano richiesti
gli studi farmacoeconomici disponibili per quei
farmaci che fossero  fortemente innovativi op-
pure rivolti alla cura di malattie orfane [28].

Ma la spesa farmaceutica, a parte il perio-
do 1992-1995, ebbe una crescita continua. Nel
quinquennio successivo, la variazione della
spesa farmaceutica [29] di poco non toccò il
60%, valore al quale si aggiunse l’incremento
del 33,4% relativo al 2001. Ciò avvenne, nono-
stante l’introduzione dei farmaci generici, an-
che in seguito all’abolizione del ticket sull’in-
tero territorio nazionale e all’estensione delle
esenzioni. Per arginare il fenomeno, la L. 405/
2001 (Interventi urgenti in materia di spesa sa-
nitaria) allargò alle politiche regionali gli sce-
nari della spesa farmaceutica. L’indicazione
primaria fu quella di dare un limite alla spesa
farmaceutica (13% della spesa sanitaria com-
plessiva), affidando alle Regioni la copertura
degli eventuali disavanzi, mediante aumenti
della compartecipazione dei cittadini alla spe-
sa (ticket), della distribuzione diretta dei far-
maci, dell’addizionale regionale sull’imposta
delle persone fisiche (IRPEF). Ciò nonostante
il 2002 fece registrare un leggero incremento
(circa l’1%) dell’incidenza della spesa farma-
ceutica netta su quella sanitaria. Dal 2003, con
11.095 milioni di euro, comincia ad evidenziarsi
una diminuzione della spesa (-5,4% sull’anno
precedente) nonostante lo sfondamento del
tetto fissato (13,8% della spesa sanitaria) [30].
Le Regioni che in misura maggiore si sono al-
lontanate dal tetto di legge sono state la Sicilia
(4,6%), la Basilicata (4,4%), la Calabria (3,9%) e
il Lazio (3,7%).  Più recentemente, la legge fi-
nanziaria per il 2004 (L. 326/2003) ha alzato il
tetto al 16% includendovi anche la farmaceuti-
ca ospedaliera e imponendo il ripiano di even-
tuali superamenti (in prima applicazione oltre il
13%) per il 40% all’industria e per il 60% alle
Regioni.

E. Attanasio



184 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati

Difficile dare una spiegazione precisa alla
variabilità regionale della spesa farmaceutica
che, più che a differenti patologie o a differenti
bisogni sanitari, sembra legata a diverse mo-
dalità d’interpretazione dell’utilizzo dei farma-
ci, non sempre sorrette da una adeguata cono-
scenza della loro efficacia e ancor meno, quin-
di, del rapporto costo-efficacia.

Esistono numerosi farmaci che favorisco-
no quest’ambiguità interpretativa (ricostituen-
ti, integratori per la memoria, antiossidanti, vi-
tamine, etc.) che, pur in assenza di un’efficacia
riconosciuta con metodologia scientifica, sono
in grado di alimentare il consumismo farma-
ceutico.

Va aggiunto che, a differenza del resto d’Eu-
ropa, in Italia la scarsa diffusione dei farmaci
generici, non generando concorrenza tra le im-
prese, non favorisce il contenimento dei prez-
zi. Illuminante, a questo riguardo, è l’esempio
del nimesulide, il cui prezzo scese dalle oltre
20.000 a circa 9.000 lire appena fu messo in
commercio un farmaco generico concorrente a
quello con marchio commerciale.

Con la creazione, dal 1.1.2004, dell’Agen-
zia del farmaco, molti problemi dovrebbero tro-
vare una più idonea soluzione. Essa, infatti,
attua la volontà di riportare in un’unica istitu-
zione gran parte dei poteri riguardanti la ge-
stione del settore farmaceutico. Tra i suoi mol-
teplici compiti, i seguenti  meritano di essere
rimarcati in questa sede:

- redazione dell’elenco dei farmaci
rimborsabili dal SSN, in base ai criteri di
costo-efficacia, in modo da assicurare il
rspetto del tetto di spesa programmata;

- immissione nel prontuario di nuovi far-
maci con “vantaggio terapeutico aggiunti-
vo” tramite valutazione del costo-efficacia
ed il confronto  con il  prezzo di riferimento
della relativa categoria terapeutica omoge-
nea;

- individuazione delle confezioni ottimali.

VALUTAZIONI ECONOMICHE E
SPERIMENTAZIONI CLINICHE

Oggi, gran parte delle valutazioni farma-
coeconomiche sono svolte nell’ambito di
sperimentazioni cliniche controllate, che co-
stituiscono la più attendibile fonte d’infor-
mazione sull’efficacia terapeutica di un trat-
tamento.

Gli studi di valutazione farmacoeconomica,
in genere, raccolgono i propri dati sia dalle
sperimentazioni cliniche, sia dalle stime di
esperti, sia dalla letteratura (in particolare,

mediante la meta-analisi è possibile valutare
raccolte di studi clinici controllati su uno stes-
so farmaco). I costi, invece, vengono ricavati
da fonti promiscue, quali ad esempio fatture,
scontrini, note di spesa e voci di bilancio. Tan-
ta varietà conferisce ai dati economici una gran-
de incertezza, molto simile a quanta ne avreb-
be una qualsiasi stima soggettiva.

Proprio il diverso modo di considerare l’in-
certezza costituisce un divario profondo tra il
metodo della sperimentazione clinica e quello
della valutazione economica.

Nella sperimentazione clinica, si fa uso dei
test statistici per spiegare la variabilità dovuta
al caso. Nella valutazione economica si fa uso
della “analisi di sensitività”. Questa proce-
dura consente di valutare la robustezza di un
modello economico attraverso la variazione dei
parametri fondamentali dello studio farma-
coeconomico, all’interno di uno specifico
range. La procedura è chiamata anche “anali-
si di sensibilità”.  Entrambe le dizioni deriva-
no dall’inglese sensitivity analysis. In italiano
“sensibilità” e “sensitività” sono equivalenti,
al pari dei corrispondenti termini inglesi
sensibility e sensitivity. Tuttavia è preferibile
il termine “sensitività” a quello di “sensibili-
tà” poiché quest’ultimo è già stato incamerato
nel patrimonio culturale dell’epidemiologia per
indicare la percentuale delle persone malate
individuate da un test diagnostico . Le
interazioni tra epidemiologia e
farmacoeconomia sono piuttosto frequenti e
l’uso di termini uguali per indicare concetti di-
versi porterebbe a imbarazzanti confusioni [31].

L’applicazione dei principi statistici usati
nei clinical trials anche ai dati di costo o di
costo-efficacia trova sempre maggiori soste-
nitori. La valutazione delle variabili socio-eco-
nomiche sotto forma di medie e varianze ren-
derebbe compatibili i confronti basati sugli in-
tervalli di confidenza, alla stessa stregua di
quanto avviene per le variabili cliniche. Anche
le variabili socio-economiche, infatti, risento-
no dell’errore di campionamento e, quindi, an-
drebbero trattate alla stessa maniera dei dati
epidemiologici.

L’uso dei test di significatività statistica per
l’interpretazione dei risultati delle analisi eco-
nomiche ha portato alla definizione di nuovi
concetti quali la “significatività economica” e
la “differenza economica significativa”.

È stato tuttavia osservato che la variabilità
dei costi è di gran lunga superiore a quella
degli effetti biologici, così che diventa difficile
dar prova di differenze economiche “statisti-
camente significative”.

Farmacoeconomia e outcomes research



185Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati

Se, come nel caso del vaccino antipneumo-
cocco, l’efficacia del trattamento ha una varia-
bilità che oscilla tra il 40% e il 100% (quindi di
1,5 volte), il costo per paziente varia da 3,45 a
11,37 dollari, mostrando quindi un’incertezza
di 3,3 volte, che è tipica dell’analisi economica
ma poco omogenea con l’analisi clinica. Un
altro esempio riguarda la differenza media, per
un identico caso di malattia, tra costi
ospedalieri e ambulatoriali, calcolata pari a
12.000 $, con p = 0,17. Alla pratica statistica
non basterebbe un risultato simile (perché è
maggiore del fatidico p < 0,05 cercato) per
asserire l’esistenza di una significatività, non
casuale, nella differenza media tra i due tipi di
costo. Ma quale amministratore d’ospedale re-
spingerebbe questo risultato [32]?

Ormai il dibattito è orientato comunque a
presentare le analisi economiche con il mede-
simo rigore statistico riservato ai dati clinici
[22, 33-38], con dimensioni campionarie ben
calcolate e all’interno di intervalli di confiden-
za altrettanto  ben calcolati.

Va comunque sottolineato che anche la
significatività clinica non ha la stessa rilevanza
di quella statistica, dato che può essere riferita
a variazioni di efficacia sostanzialmente diver-
se in relazione allo specifico settore di interes-
se. In alcuni settori della medicina può essere
significativa una variazione nell’efficacia del
5%, in altri, variazioni non inferiori al 20%. Ad
esempio, un farmaco antipertensivo che ab-
bassi la pressione arteriosa dell’1%, con p
<0,001, ha una sua significatività statistica, ma
nessuna significatività clinica. Che importan-
za può avere, dal punto di vista clinico, il
passaggio della pressione da 210 a 207,9
mmHg? In sostanza, significatività clinica, sta-
tistica ed economica costituiscono tre concet-
ti autonomi, la cui ricerca non è una
sovrapposizione ridondante ma un’aggiunta
di razionalità alle scelte del medico.

Non necessariamente, inoltre, le speri-
mentazioni cliniche debbono essere compati-
bili con le valutazioni economiche. Molte sono
le differenze con le situazioni reali. In una
sperimentazione, sia l’équipe medica sia i pa-
zienti vengono selezionati; il disegno speri-
mentale viene definito in precedenza e la per-
centuale dei non rispondenti è minore. Di con-
seguenza, una sperimentazione tende a distor-
cere i risultati economici anche a causa degli
stessi protocolli terapeutici che generano co-
sti aggiuntivi per l’ospedalizzazione, per le ana-
lisi diagnostiche e per i controlli medici che
non verrebbero affrontati nella routine quoti-
diana. D’altra parte, la stessa valutazione eco-
nomica influenza i costi degli studi sperimen-
tali perché richiede una serie di dati che non

sono raccolti nei trials (costo del personale,
tempo necessario per le procedure sanitarie,
diete speciali, etc.).

La diversità tra sperimentazione clinica e
valutazione economica riguarda le condizioni
in cui sicurezza, efficacia e costi vengono ri-
levati. Per la sperimentazione vengono create
condizioni “asettiche” o ideali, di alta com-
plessità nei controlli, mentre per la valutazio-
ne economica sono date per sufficienti le con-
dizioni normali, quelle della pratica di tutti i
giorni. Per di più, le valutazioni economiche
eseguite nell’ambito dei trials comportano una
minore potenza statistica rispetto alle sole
comparazioni cliniche basate sullo stesso
numero di pazienti [38].

Un’ultima annotazione riguarda la presun-
ta indipendenza tra il numeratore e il denomi-
natore del rapporto costi-efficacia per la co-
struzione del relativo intervallo di confidenza.
È molto più verosimile, invece, che essi siano
legati da un rapporto di dipendenza, a causa
della maggior frequenza con cui una maggiore
efficacia dei trattamenti si accompagna ad un
maggior costo degli stessi.

I metodi statistici e l’analisi di sensitività,
come calcolata negli studi economici, non ri-
spondono ai medesimi modelli teorici: i primi
inseriscono l’incertezza in un modello pro-
babilistico distribuito, per lo più, normalmen-
te; la seconda, invece, tratta l’incertezza con
criteri soggettivi seppur orientati dall’esperien-
za e dal buon senso.

CONCLUSIONI

Numerosi sono i risultati di un trattamento
sanitario che possono rientrare nell’ampio ter-
mine di outcomes research (minore mortalità e
morbilità, migliore qualità della vita, minori co-
sti, etc.).

In questo ambito, la farmacoeconomia do-
vrebbe limitarsi, secondo alcune teorie corren-
ti, a un sottoinsieme più ristretto di risultati,
orientati agli aspetti economici e umanistici
della terapia farmacologica. Ne consegue che
la farmacoeconomia, nella sua accezione più
ampia, include l’outcomes research (in quanto
riguarda tutti gli effetti della terapia farma-
cologica), mentre nella sua accezione più limi-
tata viene inclusa nell’outcomes research (in
quanto riguarda soltanto gli effetti economici
ed umanistici e non quelli clinici). Invece, var-
rebbe la pena operare una sintesi nel termine
farmacoeconomia e outcomes research (farma-
coeconomia e ricerca di esiti) che escludereb-
be qualsiasi confusione. Ad ogni modo, la va-
lutazione farmacoeconomica è ancora sogget-
ta a numerosi problemi d’ordine metodologico,

E. Attanasio



186 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati

che ne consigliano un impiego prudente. Non
a caso, con una certa cadenza, la comunità
scientifica internazionale elabora linee-guida
per incanalare gli studi in ambiti di sempre mag-
giore rigore scientifico. Il farmaco, infatti,  è un
prodotto sui generis, poiché interagisce con
la società in più modi, sia come risultato di
un’attività industriale, sia come strumento ido-
neo a modificare lo stato di salute degli indivi-
dui, sia infine, come determinante della spesa
sanitaria.

Farmacoeconomia e outcomes research

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Il futuro dei sistemi sanitari vede sempre
maggiori spazi destinati all’assistenza ammini-
strata o guidata (managed care), soprattutto
per mantenere sotto controllo i costi della
corrispettiva  organizzazione inevitabilmente
in espansione. In un tale contesto, la farmaco-
economia e l’outcomes research, grazie al loro
bagaglio di più nuove e adeguate competenze,
potranno offrire un valido contributo alla so-
luzione dei crescenti problemi di una realtà che
si fa sempre più complessa.



187Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati

E. Attanasio

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