179Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati ABSTRACT Pharmaceutical products are relevant for their contribution to the medicine progress and in health peoples im- provement, altough this evidence goes back to the forthy years with the reduction in mortality, morbidity and hospitalisation rates. The ambivalence of drugs, both remedy and poison, needs a careful assessment of risks and benefits. Primitive estimates of health treatments evaluation occurred in the human history but the modern concept of evaluation in health care derived from cost-benefit analysis (welfare economics) and technology assessment. Then a new discipline, pharmacoeconomics and outcomes research, developed with the contribu- tion of health economics, clinical medicine, pharmacology, statistics and epidemiology. Pharmaceutical products are also relevant because of their responsability of health expenditure growth. From 1992, in Italy, several legislative actions were made to face up the pharmaceutical expenditure. The most impor- tant one (L. 537/1993) achieved the maximum decrease of 16,8%, in 1994, and modified radically the pharma- ceutical policy. Nevertheless, in the following six years the pharmaceutical expenditure grew more than 93%. New actions were made fixing the pharmaceutical expenditure to 13% of health expenditure, any excess being charged to Regions. In the new version for the current year, the excesses will be paid-back by pharmaceutical companies (60%) and Regions (40%). Furtherly, the creation of Agenzia Italiana del Farmaco increases the rel- evance of cost-effectiveness analyses for drugs reimbursement. However, pharmacoeconomic evaluations have still many methodological problems. Economic variables should be treated in the same manner of biomedical or epidemiological data, that is, by confidence intervals and sample sizes. There would be an “economic significance” besides to clinical and statistical ones. In this way, pharmacoeconomics and outcomes research would be able to add rationality to health care expenditure. Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3): 179-187 Farmacoeconomia e outcomes research Ermanno Attanasio* METODI *Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza” * SIFEIT, Società Italiana per Studi di Economia ed Etica sul Farmaco e sugli Interventi Terapeutici INTRODUZIONE Fin dagli albori della civiltà l’homo sapiens si è servito dei medicamenti sia per curare sia per alleviare il dolore. Da Ippocrate a Galeno a Paracelso, la scienza del farmaco (pharmacon logos) è stata sempre strettamente legata al- l’arte medica quale suo efficacissimo aiuto, come asseriva, già dal I secolo, Dioscoride Pedanio nel De Materia Medica. Per altro, questo delicato legame “medico-farmaco-pa- ziente” non poteva resistere immune dalle con- taminazioni mercantili che indussero a decre- tare il divieto di associazione tra medici e far- macisti (il moderno comparaggio) prima Fede- rico II, nelle Costitutiones di Melfi del 1231, e poi lo Statuto dell’Arte de’ Medici e degli Speziali, nella Firenze del 1349. Nella nostra epoca, esistono almeno tre buone ragioni per le quali i farmaci assumono un grande rilievo nel contesto sociale ed eco- nomico di una collettività: (a) per il contributo al miglioramento dello stato di salute della popolazione; (b) per lo sviluppo di un settore produttivo di indubbio interesse economico; (c) per la responsabilità nella crescita dei costi nel sistema sanitario. Deve essere riconosciuto, però, che il mi- glioramento dello stato di salute è dovuto in massima parte alle mutate condizioni igienico- sanitarie e socio-economiche della popolazio- ne e alla capacità della medicina di intervenire mediante la prevenzione e la diagnosi precoce. 180 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati Soltanto in misura minore esso è attribuibile all’uso dei farmaci ed è a partire dagli anni ’40 che il contributo dei farmaci alla riduzione dei tassi di mortalità, di morbosità e di spedaliz- zazione s’è fatto più evidente. Ciò è avvenuto soprattutto nel campo della prevenzione e del- la cura delle malattie infettive (con vaccini e antibiotici) e di altre patologie, quali l’ulcera peptica (che oggi difficilmente necessita del trattamento chirurgico), l’ipertensione, il dia- bete, etc. Spesso, la terapia farmacologica rie- sce a contenere l’evoluzione naturale della malattia conseguendo un’accettabile qualità di vita. Ai farmaci, dunque, va riconosciuto un ruo- lo importante nel progresso della medicina, valutato su tre elementi fondamentali: 1. risoluzione di una patologia acuta o dei suoi sintomi (es. malattia infettiva, febbre); 2. aumento della sopravvivenza o del pe- riodo libero da eventi/sintomi per quelle malattie a lungo decorso (diabete, neo- plasie); 3. miglioramento della qualità della vita (inteso anche come minore tossicità col- laterale: si ricordino alcuni casi di tossicità anche gravissima, come quello verificatosi con la talidomide negli anni ’60). I potenziali benefici e rischi associati al- l’uso dei farmaci impongono una loro rigorosa valutazione che prenda in considerazione l’ef- ficacia da un lato, come conseguimento di al- meno uno degli obiettivi sopra descritti, e il costo dall’altro, inteso come sacrificio compiuto dal paziente, dai suoi familiari o da chi lo assi- ste. Il sacrificio, nel suo senso più ampio, non può essere limitato ai soli aspetti monetari. Pertanto, anche l’assunzione di un rischio rien- tra tra le diverse modalità che un costo può assumere. L’ambivalenza degli effetti di un farmaco è una conoscenza antica, riscontrabile fin dai poemi omerici: il termine greco pharmacon (al pari dell’equivalente latino medicamentum) contiene una forte ambiguità, perché esprime sia il significato positivo di rimedio, medicina, filtro magico, sia quello negativo di veleno, tossico, droga. Nella lingua italiana si è perdu- ta questa doppia connotazione, mentre in quel- la inglese è rimasta nel termine drug, riferibile sia ai farmaci sia alle droghe [1]. È proprio la relazione che tiene insieme i rischi e i benefici che deve essere fatta ogget- to della valutazione di un farmaco. Per il traffico stradale non vale forse la medesi- ma considerazione? Le strade sarebbero più sicure se fossero interdette al traffico auto- mobilistico. Lo stesso principio può essere riproposto per qualsiasi settore, da quello della salute a quello dell’energia nucleare, da quello dell’ambiente a quello dei trasporti: alla stessa stregua, una riduzione acritica dell’uso dei far- maci o una loro irragionevole limitazione non li renderebbe automaticamente più sicuri, né ver- rebbe annullato il rischio di malattia e di morte. LA FARMACOECONOMIA: ORIGINI E DEFINIZIONE L’esigenza di valutare i rischi e i benefici dei farmaci ha contribuito alla nascita di una nuova disciplina, la farmacoeconomia, termi- ne apparso per la prima volta [2] nel 1987 e che in un decennio ha costituito il titolo di oltre sessanta articoli internazionali, mentre dal 1992 è diventato il nome di una già prestigiosa rivi- sta (PharmacoEconomics) con una sua auto- noma sezione italiana (PharmacoEconomics- Italian Research Articles). In Italia, sulla farmacoeconomia sono stati creati corsi di for- mazione (il primo dall’Università di Roma La Sapienza, nel 1996-97), riviste specifiche (Farmeconomia e percorsi terapeutici, FarmacoEconomia News, Giornale di Farmacoeconomia), società scientifiche (SIFEIT) e gruppi di lavoro (GISF) o movimenti di interesse anche nell’ambito di società scien- tifiche già esistenti (SIF, SIFO, SSFA). In precedenza, l’argomento era trattato nel- l’ambito dell’analisi costi-efficacia, a sua volta un sottoinsieme del Medical Technology Assessment (valutazione delle tecnologie me- diche), disciplina divulgata nella seconda metà degli anni ’70 dall’Office of Technology Assessment del Congresso degli USA, soppres- so dopo aver collezionato oltre 650 studi di valutazione dei trattamenti in medicina e dopo aver dato le prime indicazioni sui principi che tali studi dovevano seguire [3]. Eppure, la valutazione dell’efficacia dei trat- tamenti terapeutici è antica quanto la medicina stessa ed è fortemente intrecciata con il valore economico che in ogni epoca storica è stato attribuito all’essere umano. La più antica do- cumentazione della valutazione dell’attività medica risale ad un reperto babilonese del 1792 a.C. (Codice di Hammurabi) in cui si prescrive- va, tra l’altro, il taglio della mano al medico che avesse procurato la perdita dell’occhio del paziente [4]. Presso i Romani il danno fisico procurato a un uomo libero era un delitto che richiedeva la punizione del colpevole senza alcuna possibi- lità di risarcimento [5]. Nel 643, il longobardo Rotari istituì una ta- riffa che teneva conto delle menomazioni subi- Farmacoeconomia e outcomes research 181Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati te dalla persona lesa, con maggiorazioni o di- minuzioni a seconda del suo rango sociale (Editto di Rotari) [6]. Nel 1699 William Petty introdusse il con- cetto di capitale umano basato sulla capitaliz- zazione della capacità di guadagno di ciascun lavoratore, che costituiva anche il contributo del singolo al reddito nazionale [7]. Nel 1760 Daniel Bernoulli confrontò rischi e benefici derivanti dall’inoculazione di mate- riale infetto come immunizzazione permanente contro il vaiolo [8]. Il metodo di induzione immunitario era già conosciuto, anche se fu testato e divulgato da Edward Jenner. Infatti, già durante l’epidemia di vaiolo di Boston (1721), la vaccinazione fu praticata dal dottor Zabdiel Boylston con esiti decisamente fa- vorevoli (mortalità di 1 su 47 tra i vaccinati, contro 1 su 7 tra i non vaccinati) [9]. L’idea di misurare i benefici derivanti da un investimento pubblico risale a Jules Dupuit che in un saggio del 1844, nel sottolineare l’ap- prossimazione con cui venivano valutate le opere pubbliche, anticipò il concetto di “di- sponibilità a pagare” (willingness to pay), incardinato poi nella teoria economica da Alfred Marshall. Nel 1873, fu un igienista, Max von Pet- tenkofer, a calcolare la convenienza dell’inve- stimento in salute da parte dello Stato (sistema idrico e fognario della città di Monaco) in circa 7 milioni di fiorini, oltre i quali l’investimento avrebbe perso la sua redditività [10]. Non di meno, la valutazione degli interven- ti pubblici, in particolare mediante lo sviluppo dell’analisi costi-benefici, che pure deve le sue radici intellettuali a Vilfredo Pareto e ai britan- nici Nicholas Kaldor e John Hicks, costituisce un fenomeno proprio del ventesimo secolo, sorto con la legge del governo americano sulla valutazione dei progetti per i fiumi e i porti del 1902 (River and Harbor Act), ribadito poi con la legge sul controllo delle acque del 1936 (Flood Control Act), nella quale veniva affer- mato il principio che “i benefici federali, chiun- que ne usufruisse, dovevano eccedere i costi” [11,12]. La dizione “valutazione economica”, usata sovente nel campo dell’assistenza sanitaria, comprende l’analisi costi-benefici e le altre tec- niche ad essa correlate, quali l’analisi costi- efficacia e l’analisi costi-utilità [13]. Per l’esattezza, l’analisi costi-efficacia fu sviluppata durante l’ultima guerra mondiale, quando, fissato un determinato obiettivo mili- tare, si avvertì la necessità di ottimizzare le pro- cedure per raggiungerlo al minor costo possi- bile [14]. Dopo il 1960, questi tipi di valutazione fu- rono estesi a diversi settori (trasporti, educa- zione, urbanistica e sanità), dando luogo a con- tinue elaborazioni concettuali e a nuove di- stinzioni terminologiche (analisi costi-utilità, analisi multi-attributi, etc.). Relativamente al settore sanitario, senza far distinzioni tra le due sponde dell’Atlantico, de- vono essere citati i lavori di quei pionieri che hanno contribuito alla nascita e alla diffusione della nuova disciplina [15-21]. La farmacoeconomia è un’applicazione del- l’economia (sanitaria) ai prodotti farmaceutici, anche se i suoi fondamenti teorici sono stati mutuati da altre discipline, quali la medicina e le specialità mediche, la farmacologia, l’epide- miologia e la statistica. Il suo compito è quello di individuare, mi- surare e confrontare gli effetti terapeutici di un trattamento rispetto ad un altro, nonché i costi (risorse consumate) con i risultati derivanti dalla somministrazione di farmaci. In una visione più ampia, la farma- coeconomia può essere definita come la disci- plina che descrive e analizza i costi e gli effetti della terapia farmacologica nell’ambito dei si- stemi sanitari e della società e che, di conse- guenza, individua e spiega le componenti del- la spesa farmaceutica come parte della spesa sanitaria [22]. La farmacoeconomia risponde, pertanto, al- l’esigenza di allocare in modo ottimale le “ri- sorse scarse” nei programmi terapeutici basati sull’uso di farmaci. Concetto questo non nuo- vissimo, dato che si deve a Platone il primo esempio di uso discreto di un farmaco-veleno, nella descrizione della morte di Socrate nel Fedone (117c): all’uomo che gli portava la pol- vere di cicuta pestata dentro una tazza, Socrate chiese: “... Di questa bevanda è lecito far libagione a qualcuno, o no?”. L’uomo rispose: “Noi ne pestiamo soltanto quel tanto che cre- diamo basti per bere...”. Del farmaco fornito dallo Stato, anche sotto forma di veleno, biso- gnava farne un uso corretto, senza sprechi. L’AVVENTO DELL’OUTCOMES RESEARCH L’attuale outcomes movement è nato negli USA negli 1950-60 come risposta alla rapida crescita di ospedali, medici e tecnologie [23]. Nei due decenni che seguirono la creazio- ne di Medicare (programma di assistenza sa- nitaria per gli ultra sessantacinquenni) la spe- sa sanitaria crebbe dal 4% all’11% del Prodot- to Interno Lordo (PIL). E. Attanasio 182 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati In quel periodo ci fu un crescente interes- se per la qualità e i risultati dell’assistenza sa- nitaria, inspiegabilmente differenziati all’inter- no del territorio americano. Ad esempio, risul- tavano molto dissimili l’uso e la frequenza di procedure mediche e di trattamenti sanitari. In poche parole, nel settore sanitario, all’aumen- to dei costi non corrispondeva un migliora- mento della qualità o dei risultati dei tratta- menti. Ci si rese conto che un aspetto fondamen- tale di tale difformità era costituito dalla man- canza di consenso della comunità medica sulle procedure sanitarie ma soprattutto che, il più delle volte, i trattamenti sanitari venivano in- trapresi senza nessuna conoscenza del possi- bile risultato. Così l’outcomes research (ricerca di esiti o ricerca di risultati) divenne il centro della valu- tazione sanitaria grazie anche al crescente so- stegno dell’economia sanitaria che comincia- va a sviluppare i modelli per rendere più razio- nale l’uso dei farmaci e delle nuove procedure terapeutiche. Tra i mezzi adottati per il contenimento dei costi sanitari vanno ricordati l’uso dei farmaci generici, lo sviluppo di protocolli, l’abbattimen- to dei costi fissi, la riduzione delle giornate di degenza in ospedale e la ricerca di procedure terapeutiche meno costose. In sostanza, i prin- cipali fattori che contribuirono alla crescita dell’outcomes research possono essere così identificati: una variazione non spiegata nelle procedure mediche dovuta ad una scarsa in- formazione sull’efficacia delle stesse; l’esigenza di tenere sotto controllo la crescita dei costi sanitari; la preoccupazione che una riduzione dei costi potesse ripercuotersi sulla qualità dell’assistenza. L’outcomes research può essere definita lo studio degli eventi sanitari finali che si veri- ficano come conseguenza di una condizione patologica o del suo trattamento. In altre paro- le, può essere considerata come un processo di valutazione degli interventi sanitari con lo scopo di misurare l’estensione o la meta finale che può essere raggiunta da una determinata terapia [22]. Più che una nuova disciplina deve essere considerata una maggiorata attenzione ai già noti studi di metodologia medico-scientifica. I risultati dell’outcomes research vanno ben ol- tre quelli della medicina tradizionale, compren- dendo quelli umanistici (qualità della vita, con- trollo dei sintomi, soddisfazione, etc.) e quelli economico-finanziari (uso delle risorse), così che essi possono essere studiati a seconda del loro ambito di riferimento: alla clinica, al paziente, ai costi. Infatti, il valore vero degli interventi sanitari, dei programmi o delle politi- che, può essere calcolato soltanto se tutte e tre le dimensioni sono incluse nei risultati. LA NUOVA POLITICA DEL FARMACO E LA DINAMICA DELLA SPESA FARMACEUTICA In Italia, prima del 1992, la spesa farmaceu- tica cresceva a ritmi ben superiori al 10% an- nuo, assorbendo, in quanto parte della spesa sanitaria, quote crescenti del PIL. L’esigenza di contenere la spesa pubblica portò ad una serie di provvedimenti legislativi (noti come “leggi finanziarie”), che a partire dal 1992 e fino al 1995 ne hanno invertito la tendenza con con- tinue e significative diminuzioni. Il decremen- to massimo (16,8%) venne raggiunto nel 1994, in conseguenza della legge finanziaria per il 1994 (L. 537/1993). Questo provvedimento ha modificato ra- dicalmente la politica del farmaco, abolendo il Prontuario terapeutico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ed attribuendo alla Commis- sione Unica del Farmaco (CUF) il compito di razionalizzare l’uso dei farmaci secondo la loro efficacia sino a concorrere alla spesa prefissata di 10.000 miliardi di lire su base an- nua. Quindi, fu disposta una riclassificazione delle specialità medicinali in relazione alla loro efficacia per le patologie ritenute più rilevanti (infezioni, malattie cardiovascolari, diabete, tumori, asma, etc.), nonché sulla base del rap- porto costo-efficacia dei diversi prodotti com- merciali. L’analisi dell’efficacia clinica venne applicata per classe o sottoclasse di farmaci, secondo il sistema ATC (Anatomico, Tera- peutico, Chimico) composto da combinazioni alfanumeriche, adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). Ad esempio, la combinazione A02BA01 individua l’appara- to gastroenterico A, il gruppo terapeutico de- gli antiacidi 02, quello relativo agli antagoni- sti degli H2 recettori BA e quindi il principio attivo della cimetidina 01. La riclassificazione fu attuata mediante la collocazione delle specialità medicinali in una delle seguenti classi [24]: - Fascia A, farmaci essenziali. In questa fascia, a completo carico del SSN salvo un ticket per ricetta, erano compresi i farmaci rivolti al trattamento di patologie gravi o cro- niche per i quali esisteva una documenata efficacia, in termini di aumento della speran- za e della qualità della vita o di riduzione delle complicanze; a parità di condizioni era incluso in questa fascia il farmaco con un minor rapporto costo-efficacia; Farmacoeconomia e outcomes research 183Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati - Fascia B, farmaci di rilevante interes- se terapeutico. In questa fascia erano com presi farmaci rivolti alla cura di patologie meno gravi delle precedenti per i quali la documentazione esistente mostrava dati cli- nici e funzionali favorevoli, anche se non correlati con un aumento della speranza di vita o con la riduzione delle complicanze invalidanti. L’onere finanziario di questi far- maci era diviso al 50% tra SSN e paziente; - Fascia C, altri farmaci. Questa fascia, di natura residuale, comprendeva quei far- maci che non possedevano le caratteristi- che delle due fasce precedenti. Include- va, quindi, farmaci di minore efficacia cli- nica oppure quelli indicati per una patolo- gia minore o ancora quelli di costo mag- giore benché di pari efficacia ed il cui onere finanziario ricadeva interamente sul paziente. In tal modo, fu introdotto un principio di razionalità in un settore della medicina che, in precedenza, permetteva il consumo di prodotti medicinali di dubbia efficacia per un 20% (al pari di quanto accadeva in Francia), contro un 12% della Germania e contro lo 0% del Regno Unito [25]. In aggiunta, la stessa legge finanziaria at- tribuì al Comitato Interministeriale per la Pro- grammazione Economica (CIPE) il compito di stabilire il prezzo dei farmaci attraverso la me- dia calcolata sui primi cinque prodotti venduti, compresi i generici, di quattro paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna). Il calcolo dei prezzi non teneva conto della parità valutaria delle rispettive monete, ma del- la parità del potere di acquisto delle stesse, espresso in dollari USA [26]. Il nuovo sistema dei prezzi fu poi reso più equo grazie ad alcuni correttivi: il prezzo veniva calcolato sulla me- dia di tutti i paesi europei e in base al cambio monetario di ciascun paese (dal 1 gennaio 1999 fissato nella parità tra monete nazionali ed euro. Per l’Italia, 1 euro = 1.936,27 Lit.). La delibera n.109 del CIPE (G.U. n.24 del 30 Gennaio 1997) introdusse la “negoziazione del prezzo” per i farmaci innovativi, autorizzati con procedimento europeo centralizzato dall’EMEA (The European Agency for the Evaluation of Medicinal Products). Tale delibera fu di una certa rilevanza per- ché impegnava ad una valutazione economi- co-finanziaria nell’ambito delle procedure di contrattazione del prezzo tra industria e go- verno. La valutazione doveva basarsi sul rappor- to costo-efficacia dei farmaci, sul riferimento ai prezzi esteri delle specialità medicinali, sulle previsioni del mercato interno e sugli eventua- li effetti che l’introduzione del nuovo farmaco aveva su farmaci analoghi già disponibili. Con la legge finanziaria per il 2001 (L. 388/ 2000) venne abolita la fascia B (dal 1 Luglio 2001) e i farmaci vennero inseriti dalla CUF in fascia A o in fascia C, sulla base della loro effi- cacia terapeutica e delle loro caratteristiche prevalenti [27]. Ancora il CIPE, con la deliberazione n.3 del 21.4.2001 (G.U. n.73 del 28 Marzo 2001) fissò i nuovi criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci rimborsabili dal SSN, imponendo alle aziende farmaceutiche l’obbligo di docu- mentare la loro richiesta di prezzo del farmaco in base al rapporto costo-efficacia e rischio- beneficio (punti 3-3.1.3). Inoltre, nell’allegato 1 della stessa deliberazione, venivano richiesti gli studi farmacoeconomici disponibili per quei farmaci che fossero fortemente innovativi op- pure rivolti alla cura di malattie orfane [28]. Ma la spesa farmaceutica, a parte il perio- do 1992-1995, ebbe una crescita continua. Nel quinquennio successivo, la variazione della spesa farmaceutica [29] di poco non toccò il 60%, valore al quale si aggiunse l’incremento del 33,4% relativo al 2001. Ciò avvenne, nono- stante l’introduzione dei farmaci generici, an- che in seguito all’abolizione del ticket sull’in- tero territorio nazionale e all’estensione delle esenzioni. Per arginare il fenomeno, la L. 405/ 2001 (Interventi urgenti in materia di spesa sa- nitaria) allargò alle politiche regionali gli sce- nari della spesa farmaceutica. L’indicazione primaria fu quella di dare un limite alla spesa farmaceutica (13% della spesa sanitaria com- plessiva), affidando alle Regioni la copertura degli eventuali disavanzi, mediante aumenti della compartecipazione dei cittadini alla spe- sa (ticket), della distribuzione diretta dei far- maci, dell’addizionale regionale sull’imposta delle persone fisiche (IRPEF). Ciò nonostante il 2002 fece registrare un leggero incremento (circa l’1%) dell’incidenza della spesa farma- ceutica netta su quella sanitaria. Dal 2003, con 11.095 milioni di euro, comincia ad evidenziarsi una diminuzione della spesa (-5,4% sull’anno precedente) nonostante lo sfondamento del tetto fissato (13,8% della spesa sanitaria) [30]. Le Regioni che in misura maggiore si sono al- lontanate dal tetto di legge sono state la Sicilia (4,6%), la Basilicata (4,4%), la Calabria (3,9%) e il Lazio (3,7%). Più recentemente, la legge fi- nanziaria per il 2004 (L. 326/2003) ha alzato il tetto al 16% includendovi anche la farmaceuti- ca ospedaliera e imponendo il ripiano di even- tuali superamenti (in prima applicazione oltre il 13%) per il 40% all’industria e per il 60% alle Regioni. E. Attanasio 184 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati Difficile dare una spiegazione precisa alla variabilità regionale della spesa farmaceutica che, più che a differenti patologie o a differenti bisogni sanitari, sembra legata a diverse mo- dalità d’interpretazione dell’utilizzo dei farma- ci, non sempre sorrette da una adeguata cono- scenza della loro efficacia e ancor meno, quin- di, del rapporto costo-efficacia. Esistono numerosi farmaci che favorisco- no quest’ambiguità interpretativa (ricostituen- ti, integratori per la memoria, antiossidanti, vi- tamine, etc.) che, pur in assenza di un’efficacia riconosciuta con metodologia scientifica, sono in grado di alimentare il consumismo farma- ceutico. Va aggiunto che, a differenza del resto d’Eu- ropa, in Italia la scarsa diffusione dei farmaci generici, non generando concorrenza tra le im- prese, non favorisce il contenimento dei prez- zi. Illuminante, a questo riguardo, è l’esempio del nimesulide, il cui prezzo scese dalle oltre 20.000 a circa 9.000 lire appena fu messo in commercio un farmaco generico concorrente a quello con marchio commerciale. Con la creazione, dal 1.1.2004, dell’Agen- zia del farmaco, molti problemi dovrebbero tro- vare una più idonea soluzione. Essa, infatti, attua la volontà di riportare in un’unica istitu- zione gran parte dei poteri riguardanti la ge- stione del settore farmaceutico. Tra i suoi mol- teplici compiti, i seguenti meritano di essere rimarcati in questa sede: - redazione dell’elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN, in base ai criteri di costo-efficacia, in modo da assicurare il rspetto del tetto di spesa programmata; - immissione nel prontuario di nuovi far- maci con “vantaggio terapeutico aggiunti- vo” tramite valutazione del costo-efficacia ed il confronto con il prezzo di riferimento della relativa categoria terapeutica omoge- nea; - individuazione delle confezioni ottimali. VALUTAZIONI ECONOMICHE E SPERIMENTAZIONI CLINICHE Oggi, gran parte delle valutazioni farma- coeconomiche sono svolte nell’ambito di sperimentazioni cliniche controllate, che co- stituiscono la più attendibile fonte d’infor- mazione sull’efficacia terapeutica di un trat- tamento. Gli studi di valutazione farmacoeconomica, in genere, raccolgono i propri dati sia dalle sperimentazioni cliniche, sia dalle stime di esperti, sia dalla letteratura (in particolare, mediante la meta-analisi è possibile valutare raccolte di studi clinici controllati su uno stes- so farmaco). I costi, invece, vengono ricavati da fonti promiscue, quali ad esempio fatture, scontrini, note di spesa e voci di bilancio. Tan- ta varietà conferisce ai dati economici una gran- de incertezza, molto simile a quanta ne avreb- be una qualsiasi stima soggettiva. Proprio il diverso modo di considerare l’in- certezza costituisce un divario profondo tra il metodo della sperimentazione clinica e quello della valutazione economica. Nella sperimentazione clinica, si fa uso dei test statistici per spiegare la variabilità dovuta al caso. Nella valutazione economica si fa uso della “analisi di sensitività”. Questa proce- dura consente di valutare la robustezza di un modello economico attraverso la variazione dei parametri fondamentali dello studio farma- coeconomico, all’interno di uno specifico range. La procedura è chiamata anche “anali- si di sensibilità”. Entrambe le dizioni deriva- no dall’inglese sensitivity analysis. In italiano “sensibilità” e “sensitività” sono equivalenti, al pari dei corrispondenti termini inglesi sensibility e sensitivity. Tuttavia è preferibile il termine “sensitività” a quello di “sensibili- tà” poiché quest’ultimo è già stato incamerato nel patrimonio culturale dell’epidemiologia per indicare la percentuale delle persone malate individuate da un test diagnostico . Le interazioni tra epidemiologia e farmacoeconomia sono piuttosto frequenti e l’uso di termini uguali per indicare concetti di- versi porterebbe a imbarazzanti confusioni [31]. L’applicazione dei principi statistici usati nei clinical trials anche ai dati di costo o di costo-efficacia trova sempre maggiori soste- nitori. La valutazione delle variabili socio-eco- nomiche sotto forma di medie e varianze ren- derebbe compatibili i confronti basati sugli in- tervalli di confidenza, alla stessa stregua di quanto avviene per le variabili cliniche. Anche le variabili socio-economiche, infatti, risento- no dell’errore di campionamento e, quindi, an- drebbero trattate alla stessa maniera dei dati epidemiologici. L’uso dei test di significatività statistica per l’interpretazione dei risultati delle analisi eco- nomiche ha portato alla definizione di nuovi concetti quali la “significatività economica” e la “differenza economica significativa”. È stato tuttavia osservato che la variabilità dei costi è di gran lunga superiore a quella degli effetti biologici, così che diventa difficile dar prova di differenze economiche “statisti- camente significative”. Farmacoeconomia e outcomes research 185Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati Se, come nel caso del vaccino antipneumo- cocco, l’efficacia del trattamento ha una varia- bilità che oscilla tra il 40% e il 100% (quindi di 1,5 volte), il costo per paziente varia da 3,45 a 11,37 dollari, mostrando quindi un’incertezza di 3,3 volte, che è tipica dell’analisi economica ma poco omogenea con l’analisi clinica. Un altro esempio riguarda la differenza media, per un identico caso di malattia, tra costi ospedalieri e ambulatoriali, calcolata pari a 12.000 $, con p = 0,17. Alla pratica statistica non basterebbe un risultato simile (perché è maggiore del fatidico p < 0,05 cercato) per asserire l’esistenza di una significatività, non casuale, nella differenza media tra i due tipi di costo. Ma quale amministratore d’ospedale re- spingerebbe questo risultato [32]? Ormai il dibattito è orientato comunque a presentare le analisi economiche con il mede- simo rigore statistico riservato ai dati clinici [22, 33-38], con dimensioni campionarie ben calcolate e all’interno di intervalli di confiden- za altrettanto ben calcolati. Va comunque sottolineato che anche la significatività clinica non ha la stessa rilevanza di quella statistica, dato che può essere riferita a variazioni di efficacia sostanzialmente diver- se in relazione allo specifico settore di interes- se. In alcuni settori della medicina può essere significativa una variazione nell’efficacia del 5%, in altri, variazioni non inferiori al 20%. Ad esempio, un farmaco antipertensivo che ab- bassi la pressione arteriosa dell’1%, con p <0,001, ha una sua significatività statistica, ma nessuna significatività clinica. Che importan- za può avere, dal punto di vista clinico, il passaggio della pressione da 210 a 207,9 mmHg? In sostanza, significatività clinica, sta- tistica ed economica costituiscono tre concet- ti autonomi, la cui ricerca non è una sovrapposizione ridondante ma un’aggiunta di razionalità alle scelte del medico. Non necessariamente, inoltre, le speri- mentazioni cliniche debbono essere compati- bili con le valutazioni economiche. Molte sono le differenze con le situazioni reali. In una sperimentazione, sia l’équipe medica sia i pa- zienti vengono selezionati; il disegno speri- mentale viene definito in precedenza e la per- centuale dei non rispondenti è minore. Di con- seguenza, una sperimentazione tende a distor- cere i risultati economici anche a causa degli stessi protocolli terapeutici che generano co- sti aggiuntivi per l’ospedalizzazione, per le ana- lisi diagnostiche e per i controlli medici che non verrebbero affrontati nella routine quoti- diana. D’altra parte, la stessa valutazione eco- nomica influenza i costi degli studi sperimen- tali perché richiede una serie di dati che non sono raccolti nei trials (costo del personale, tempo necessario per le procedure sanitarie, diete speciali, etc.). La diversità tra sperimentazione clinica e valutazione economica riguarda le condizioni in cui sicurezza, efficacia e costi vengono ri- levati. Per la sperimentazione vengono create condizioni “asettiche” o ideali, di alta com- plessità nei controlli, mentre per la valutazio- ne economica sono date per sufficienti le con- dizioni normali, quelle della pratica di tutti i giorni. Per di più, le valutazioni economiche eseguite nell’ambito dei trials comportano una minore potenza statistica rispetto alle sole comparazioni cliniche basate sullo stesso numero di pazienti [38]. Un’ultima annotazione riguarda la presun- ta indipendenza tra il numeratore e il denomi- natore del rapporto costi-efficacia per la co- struzione del relativo intervallo di confidenza. È molto più verosimile, invece, che essi siano legati da un rapporto di dipendenza, a causa della maggior frequenza con cui una maggiore efficacia dei trattamenti si accompagna ad un maggior costo degli stessi. I metodi statistici e l’analisi di sensitività, come calcolata negli studi economici, non ri- spondono ai medesimi modelli teorici: i primi inseriscono l’incertezza in un modello pro- babilistico distribuito, per lo più, normalmen- te; la seconda, invece, tratta l’incertezza con criteri soggettivi seppur orientati dall’esperien- za e dal buon senso. CONCLUSIONI Numerosi sono i risultati di un trattamento sanitario che possono rientrare nell’ampio ter- mine di outcomes research (minore mortalità e morbilità, migliore qualità della vita, minori co- sti, etc.). In questo ambito, la farmacoeconomia do- vrebbe limitarsi, secondo alcune teorie corren- ti, a un sottoinsieme più ristretto di risultati, orientati agli aspetti economici e umanistici della terapia farmacologica. Ne consegue che la farmacoeconomia, nella sua accezione più ampia, include l’outcomes research (in quanto riguarda tutti gli effetti della terapia farma- cologica), mentre nella sua accezione più limi- tata viene inclusa nell’outcomes research (in quanto riguarda soltanto gli effetti economici ed umanistici e non quelli clinici). Invece, var- rebbe la pena operare una sintesi nel termine farmacoeconomia e outcomes research (farma- coeconomia e ricerca di esiti) che escludereb- be qualsiasi confusione. Ad ogni modo, la va- lutazione farmacoeconomica è ancora sogget- ta a numerosi problemi d’ordine metodologico, E. Attanasio 186 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3)© SEEd Tutti i diritti riservati che ne consigliano un impiego prudente. Non a caso, con una certa cadenza, la comunità scientifica internazionale elabora linee-guida per incanalare gli studi in ambiti di sempre mag- giore rigore scientifico. Il farmaco, infatti, è un prodotto sui generis, poiché interagisce con la società in più modi, sia come risultato di un’attività industriale, sia come strumento ido- neo a modificare lo stato di salute degli indivi- dui, sia infine, come determinante della spesa sanitaria. Farmacoeconomia e outcomes research BIBLIOGRAFIA 1. Frezza L. Farmaci e imprese. Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 1994. 2. Townsend RJ. Postmarketing drug research and development. Drug Intelligence and Clinical Pharmacy, 1987; 21:134-6. 3. OTA (Office of Technology Assessment). The implication of cost-effectiveness analysis of medical technology. Washington, 1980. 4. Rosser R. A history of the development of health indicators. In Measuring the social benefits of medicine (edited by G. Teeling Smith). White Crescent Press Ltd, Luton, 1983. 5. Irolli V. 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Il futuro dei sistemi sanitari vede sempre maggiori spazi destinati all’assistenza ammini- strata o guidata (managed care), soprattutto per mantenere sotto controllo i costi della corrispettiva organizzazione inevitabilmente in espansione. In un tale contesto, la farmaco- economia e l’outcomes research, grazie al loro bagaglio di più nuove e adeguate competenze, potranno offrire un valido contributo alla so- luzione dei crescenti problemi di una realtà che si fa sempre più complessa. 187Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (3) © SEEd Tutti i diritti riservati E. Attanasio 21. Drummond MF. La valutazione economica dei sistemi sanitari. Franco Angeli, Milano, 1981. 22. Sacristan JA, Day JS, Navarro O, Ramos J, Hernandez JM. Use of confidence intervals and sample size calculations in health economic studies. The Annals of Pharmacotherapy, 1995; 29: 719-25. 23. Grizzle A, Armstrong EP. The role and use of outcomes and assessments. 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