251Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati ABSTRACT The scarcity of economic resources today is a fundamental problem in public healthcare. The importance of making well-founded choices for optimal resources allocation concerns also pharmacological treatments and is justified also on ethical grounds, besides the economic, political and/or medical considerations. In fact, a better management, also in economic sense, of the patient and sickness involves the possibility of offering an efficient treatment to all the sick, or at least to as many of them as possible. However, these considerations should always be subordinated to the ethical centrality of the patient, to the protection of his life, his health and his personal dignity, to the extent that life and health are priceless. The goal of ethics in pharmacoeconomics can be summarised in respect for the person, which must remain the end and reference of every therapeutic choice as well as every healthcare policy. The indispensable instruments for the realisation of the above objectives are, amongst others, those already highlighted but which demand further explanation: a) a suitable standard background/training and a multidisciplinary approach for optimising the evaluation procedures and increasing accuracy and verifiableness of the data; b) measures to contrast and disclose the conflict of interest for more transparency and credibility; c) a coherent evaluation of the ethical quality and humanness of the pharmacoeconomic analysis which requires a correct consideration of quality of life and a real respect for persons. Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4): 251-263 Farmacoeconomia ed etica: cure sostenibili e rispetto della persona Antonio G. Spagnolo*§, Roberta Minacori* METODI *Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli” Roma §SIFEIT, Società Italiana per Studi di Economia ed Etica sul Farmaco e sugli Interventi Terapeutici INTRODUZIONE Scarsità o limitatezza delle risorse – che si tratti di personale, di tempo, di strutture, di finanziamenti – costituiscono, a fronte delle grandi prospettive di sviluppo della ricerca e della disponibilità di tecnologie medico-scien- tifiche sempre più all’avanguardia, la questio- ne fondamentale, anzi il vero, grande, proble- ma della sanità. Ciò comporta, e sarà così an- che in futuro, per i “decision makers”, a li- vello sia di macro-allocazione sia di micro- allocazione, il confronto con scelte operative relative alla distribuzione e alla migliore ge- stione possibile delle risorse disponibili. Fino a pochi anni fa, tali decisioni erano soprat- tutto il frutto di esperienze precedenti o di pareri raccolti da esperti, se non di puro istin- to. La responsabilità di un’adeguata distri- buzione delle limitate risorse di cui si dispo- ne richiama, dunque, la necessità di analisi strutturate e sistematiche delle alternative e delle opzioni, prima di assumere decisioni operative in sanità. L’importanza di operare tali scelte riguarda anche – e costituisce uno degli ambiti princi- pali nella “razionalizzazione delle risorse in sa- nità” – i trattamenti farmacologici: gli esperti già da qualche tempo ammoniscono su tale esigenza di razionalizzazione, prevedendo per il futuro che non sarà possibile garantire a tutti ogni tipo di farmaco, soprattutto nel caso di farmaci che offrono benefici generici. Tale necessità di una migliore distribuzio- ne di risorse, quindi anche di un eventuale ripensamento nell’erogazione di determinati farmaci o nell’iter terapeutico, soprattutto per le patologie più frequenti e diffuse, trova giu- stificazione dal punto di vista sia medico, sia etico-deontologico e medico-legale, nel dirit- to/dovere di accertare l’efficacia e l’appropriatezza di una terapia prima di soste- nerne, da parte del Servizio Sanitario Naziona- le, l’accesso gratuito o a costi contenuti, e so- prattutto nell’obiettivo di non sottrarre o dimi- nuire opportunità diagnostico-terapeutiche per altri pazienti. Effettuare scelte di priorità d’im- piego di farmaci, come stabilire delle priorità nella assegnazione di risorse sanitarie, potreb- be apparire in contrasto con l’imperativo eti- co-deontologico di tutelare la vita e la salute del singolo paziente; in realtà una migliore ge- stione, anche in senso economico, del malato 252 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati e della malattia presume l’obiettivo di arrivare ad offrire la possibilità di un trattamento effi- ciente a tutti i malati, o almeno al maggior nu- mero possibile. Queste considerazioni, associate alle ne- cessità di ordine economico delle politiche sa- nitarie, dovrebbero, però, sempre subordinar- si alla centralità etica del paziente, alle priorità correlate alla tutela della sua vita, della sua salute e della sua dignità personale. QUESTIONI EMERGENTI Finora, nell’ambito della valutazione com- plessiva dei farmaci, la rilevazione delle impres- sioni o delle preferenze del paziente-consuma- tore riguardo la gestione della propria salute non è stata tra le prerogative principali degli studi. D’altra parte, l’esclusione o il non pieno coinvolgimento nelle valutazioni, cliniche ed economiche, di tutti i soggetti coinvolti e inte- ressati dalle scelte allocative possono rende- re, non infrequentemente, queste stesse scel- te mal sopportate, e fonte di ulteriori fratture comunicative tra i cittadini-pazienti, le istitu- zioni e la stessa classe medica. Senza contare il fatto che effettivamente potrebbero essere at- tuati interventi sanitari economicamente più convenienti ma penalizzanti, almeno per certi aspetti, poco o nulla indagati ma ritenuti im- portanti dai pazienti. Tali esigenze, non solo di ordine economi- co-politico ma anche medico ed etico, giustifi- cano una rivisitazione del profilo di valutazio- ne dei farmaci. Nuovi e già conosciuti prodotti sono oggetto di più approfondite revisioni: ai tradizionali criteri di efficacia e di sicurezza si affiancano parametri relativi alla convenienza economica e alla qualità della vita. Difatti, gli studi di farmacoeconomia pos- sono avere, proprio per l’imprinting di natura economica che li connota, lo svantaggio di fornire soprattutto dati quantitativi, con molta probabilità insufficienti, perciò, a delineare l’im- patto qualitativo sulla singola persona (cioè tutti quegli aspetti importanti nella vita, perso- nale, familiare, lavorativa, nella prospettiva dei pazienti). Rispetto alle valutazioni operate in ambito farmacoeconomico, assume una rilevanza fon- damentale la prospettiva, l’angolo di visuale utilizzata: ogni categoria interessata (il pazien- te, il medico, il farmacologo, l’economista, l’am- ministratore, il politico) ha un suo approccio e cerca di sottolineare alcuni aspetti. Ciò può comportare due conseguenze operative, una negativa, l’altra positiva, a seconda di quanto tutte le parti interessate riescano ad interagire e collaborare per cercare di raggiungere obiet- tivi comuni: l’affermazione o la predominanza di una prospettiva o di alcune e l’esclusione di altre, con la probabile deriva di tensioni, con- trasti e scarsa compliance o, seppure più diffi- cile e impegnativo nell’attuazione, il reale coinvolgimento di tutte le parti, l’accoglienza di tutti gli apporti, la scelta di metodologie e obiettivi condivisi. La farmacoeconomia, anche per la recente elaborazione come disciplina, si trova ancora in una fase di definizione dei suoi fondamenti teorici e di una metodologia o di metodologie che rispondano appieno ai criteri di rigorosità, precisione e riproducibilità scientifica, e attuabilità pratica, in un settore estremamente delicato e complesso qual è quello sanitario. La dimostrazione della “utilità” e della con- venienza di un trattamento farmacoterapeutico è diventata, dunque, un necessario completamento dell’efficacia clinica che, nella valutazione economica del farmaco, viene espressa generalmente dagli anni di vita gua- dagnati e dal miglioramento della qualità della vita. Gli studi di farmacoeconomia cercano, quindi, di rispondere ad alcuni specifici quesi- ti: quali farmaci devono essere inseriti in un prontuario terapeutico nazionale e quali in un prontuario terapeutico ospedaliero? Quale far- maco è più indicato, dal punto di vista medico ed economico, per un determinato paziente? Quale sostanza è la migliore candidata allo svi- luppo per una industria farmaceutica? A tali quesiti, se l’obiettivo è la ricerca del bene globale del paziente, dovrebbero, però, esserne aggiunti altri, inerenti la prospettiva dei pazienti: come l’uso di un farmaco piutto- sto che un altro può influenzare la vita perso- nale e familiare, o l’attività lavorativa? Ci sono dei casi in cui l’accettabilità “etica” di un far- maco, da parte del paziente o anche del medico “prescrittore”, dovrebbe essere considerata in- sieme all’aspetto economico? Il medico “prescrittore” dovrebbe essere sollecitato, ol- tre che a contribuire efficacemente – come in- vitano a fare in questo periodo le Regioni – nel determinismo della spesa farmaceutica, anche a rilevare il grado di soddisfazione dei propri pazienti rispetto a modifiche terapeutiche “ob- bligate”? E la farmacogenetica e la farmacogenomica, che attraverso lo studio della variabilità dei caratteri genetici si pongono l’obiettivo della personalizzazione della terapia farmacologica, o almeno di ottenere farmaci di cui si possa prevedere, per specifici gruppi genetici, il gra- Farmacoeconomia ed etica: cure sostenibili e rispetto della persona 253Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati do di efficacia (o la non efficacia) o l’insorgen- za di effetti indesiderati, che tipo di correlazio- ne potranno avere con le valutazioni farmacoeconomiche nella scelta terapeutica? Almeno in ipotesi, sembrano prospettarsi fi- nalità divergenti tra queste due aree: la farmacoeconomia tesa a integrare esigenze e a massificare costi e bisogni, la farmacogenetica a individualizzare la terapia, raggruppando i pazienti in base a determinati polimorfismi ge- netici. Anche se la farmacogenetica potrebbe consentire di risparmiare risorse, evitando l’uti- lizzo di farmaci di cui si può prevedere scarsità o assenza di efficacia terapeutica o insorgenza di pericolosi effetti collaterali. Nell’ambito degli interventi, dei programmi e dei servizi sanitari l’identificazione e la misu- razione dei costi, anche rispetto alle alternati- ve, sono simili in tutte le analisi economiche. Più complessa è, invece, l’identificazione e la misurazione delle conseguenze, in termini di effetti, benefici e utilità, che possono risultare sostanzialmente differenti, considerata l’am- piezza e la varietà della materia [1] (fig. 1). LIVELLI DELLA DIMENSIONE ETICA IN FARMACOECONOMIA Anche per gli studi di farmacoeconomia, come per altri ambiti medico-scientifici, la va- lutazione etica investe sia l’ambito interno, metodologico, della disciplina stessa, sia quello esterno, con i risvolti e le possibili applicazioni dei dati ottenuti. Occorre considerare, cioè, che l’aspetto etico non può riguardare solo il mo- mento applicativo, cioè il passaggio dai risul- tati degli studi alle decisioni allocative di prio- rità o di esclusione rispetto ai bisogni di salu- te delle persone, ma concerne anche quello della ricerca in farmacoeconomia. E non ci si riferisce solo alla cosiddetta etica intrinseca, relativa allo scrupolo metodologico, all’esat- tezza e veridicità dei dati, alla trasparenza dei procedimenti in modo che siano credibili e controllabili. Piuttosto, l’attenzione all’aspet- to etico, dunque ai valori e ai principi in gioco, dovrebbe costituire un substrato senza solu- zioni di continuità, anzi coerente, in tutte le fasi, nella progettualità, nella metodologia e negli obiettivi di uno studio di farmacoeconomia. Si è detto della necessità e della giustificabilità etica di approntare delle scelte in sanità, fondate su valutazioni scienti- ficamente valide ed eticamente giustificate, per un’ottimizzazione dell’uso delle risorse e una loro equa e appropriata distribuzione, ma l’ap- plicazione dei dati presuppone che essi siano validi scientificamente e rispecchino realmente tutti gli aspetti fondamentali necessari per espri- mere decisioni che rispettino e tutelino tutte le persone coinvolte. Da quanto emerge dal dibat- Figura 1 Tipologie di conseguenze da interventi di economia sanitaria (modificata da Drummond MF et al., 1993) A.G. Spagnolo, R. Minacori 254 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati tito presente nella letteratura internazionale, vi sono, nell’ambito degli studi di farmacoeconomia, alcuni aspetti critici, rilevan- ti per le conseguenze negative che potrebbero derivarne, e che meritano una riflessione etica. LA QUESTIONE DELL’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE IN FARMA- COECONOMIA E LA NECESSITÀ DI UN ADEGUATO TRAINING Data la crescente richiesta di studi di farmacoeconomia, da più parti è stata solleci- tata una particolare attenzione all’aspetto formativo riguardante questa disciplina. Re- centi survey hanno evidenziato il problema della mancanza di adeguate conoscenze in questo ambito [2], addirittura di inadeguata competenza anche tra professionisti del setto- re farmaceutico e farmacologico [3], persino in paesi dove la farmacoeconomia si è affermata da più tempo come strumento di politica sani- taria [4]. In Giappone alcuni Autori hanno indi- viduato nella limitata conoscenza e nella rarità di esperti l’ostacolo maggiore all’utilizzo delle valutazioni economiche in sanità [5]. Anche il tema della globalizzazione delle questioni relative ai servizi sanitari ha una cre- scente rilevanza a questo proposito. Molte in- dustrie farmaceutiche di diverse nazioni si stan- no fondendo, si moltiplicano le conferenze e le riviste specializzate che, nella partecipazione e nelle finalità, affermano interessi di respiro in- ternazionale, sorgono anche gruppi interna- zionali per la difesa dei diritti di pazienti [6]. Sebbene una standardizzazione internazionale del training educativo-formativo e della ricer- ca in farmacoeconomia possa essere un obiet- tivo utile e raggiungibile, le differenze e speci- ficità delle singole nazioni non dovrebbero essere ignorate, anzi a volte dovrebbero esse- re attentamente considerate e tutelate. Dun- que, nonostante l’opportunità di elaborare obiettivi formativi comuni, teorie e metodologie dovrebbero essere utilizzate come una base, un core fondamentale di conoscenze, a cui associare elementi applicativi specifici e fatto- ri integrativi, variabili secondo le differenze lo- cali, relativi a costi, risorse, particolarità demografiche e culturali, condizioni di sviluppo economico, modelli di assistenza, sistemi sani- tari, assicurazioni e aspettative dei pazienti. Comunque, a differenza di altri ambiti scien- tifici, non esistono attualmente standard background/training in farmacoeconomia; ciò perché l’area della farmacoeconomia compren- de alcuni ambiti dell’economia sanitaria ma uti- lizza valutazioni di carattere clinico, farmacologico e umanistico [7,8] (fig. 2). La farmacoeconomia, infatti, può anche comprendere ricerche non economiche, come le valutazioni di risultati di studi clinici o psico- sociali o di altri ambiti umanistici, quali quelli sulla qualità della vita [9]. I ricercatori nell’am- bito della farmacoeconomia possono, inoltre, provenire da diverse aree formative. È stata anche evidenziata, a questo proposito, la pos- sibilità di attribuire più qualifiche a chi studia la farmacoeconomia (farmacoeconomista, eco- nomista sanitario, socioeconomista, ricercato- re di risultati) [10]. Dunque, poiché la ricerca in farmacoeconomia comprende competenze de- rivanti da diverse discipline, sarebbe essen- ziale un team di ricerca multidisciplinare. Tra le discipline con un ruolo-chiave vi sarebbero l’economia, la medicina, la farmacia, l’etica, l’epidemiologia, l’organizzazione dei servizi sanitari, la sociologia, la psicometria, la stati- stica [11, 12]. Nel 1998 un panel di membri dell’International Society for Pharmacoeconomics and Outcomes Research (ISPOR), convenuti per discutere sul tipo di formazione e sulle competenze necessarie per condurre, interpretare e utilizzare le valutazio- ni economiche in sanità, aveva individuato tre livelli di competenza in farmacoeconomia: · “consapevolezza”, vale a dire piena padronanza della disciplina, in senso teorico e pratico; obiettivo raggiungibile attraverso un training continuo o con corsi di breve durata; Figura 2 Rappresentazione schematica della sovrapposizione tra farmacoeconomia, economia sanitaria e risultati della clinica, della farmacologia e di altre scienze umane (psicologia, sociologia, bioetica,...) (da:Rascati KL, Drummond MF, Annemans L and Davey PG, 2004) Farmacoeconomia ed etica: cure sostenibili e rispetto della persona 255Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati · “applicazione”, intesa come la capa- cità di confrontare in modo critico, valutare e prendere decisioni basate sulla ricerca eco- nomica; raggiungibile tramite esperienza di- retta e formazione di livello superiore; · “concettualizzazione”, vale a dire ca- pacità di realizzare nuove metodologie di ana- lisi e di sviluppare teorie, assimilando da altre discipline; tale obiettivo sarebbe ottenibile attraverso specifici corsi post-lauream [13]. È stata anche evidenziata una certa pre- occupazione sulla capacità di istituzioni ac- cademiche e industrie farmaceutiche di sod- disfare la crescente richiesta di qualificati pro- fessionisti in farmacoeconomia. Paltiel e Neumann hanno raccomandato che, finché non si raggiunga un numero soddisfacente di specialisti di farmacoeconomia laureati, do- vrebbe essere richiesto un avanzato curriculum da integrare con formazione e ag- giornamento continui [14]. Una task force formata nell’ambito dell’ISPOR nel 2001, seguendo un documento definito nel 1996, ha tracciato una lista di obiet- tivi e di risultati per il training in farmacoeconomia arrivando ad approvare nel 2002 una lista di 18 obiettivi formativi [15], elen- cati in tabella 1. Nonostante tale definizione di obiettivi, di fon- damentale importanza, non esiste ancora uno standard formativo condiviso che un “farmacoeconomista” dovrebbe possedere: è ovvia la difficoltà di essere esperti in tutte le di- scipline coinvolte in questo campo. Perciò, si rac- comanda che nell’ambito di progetti di ricerca in farmacoeconomia vi sia un team multidisciplinare, in cui coesistano, nei vari membri, diversi livelli di competenza (tra consapevolezza, applicazione e concettualizzazione). Una previsione di reale ef- ficacia necessita, comunque, che ogni elemento del team abbia sufficiente conoscenza delle altre discipline affinché sia possibile una reale interazione tra le diverse competenze. Tabella 1 Obiettivi formativi in farmacoeconomia proposti dalla task force dell’International Society for outcomes research (ISPOR) (Marsh, 2002) - idutsilgenatazzilituaigolonimretalledacifirevidàticapaC - ididutsilgedàtilibidnetta'lledeàtidilavalled,ongesidledenoizatulaveacifirevidàticapaC aimonoceocamraf - aimonoceocamrafididutsilgenetazzilituisetopielledenoizatulaveacifirevidàticapaC - eoicifeneb-otsoc,àtilitu-otsoc,itsociedenoizazziminim,aicaciffe-otsocisilanaeracitirceeratnorfnoC itsociedazneugesnoc - itsocieditadiditnofeudonemlaerevircsedrepaS - icitsinamueicinilcitadiditatlusirerenettoemocerevircsedrepaS - otnevretninueralledomrepicitsitatsidotemieacitilanaenoisicedaleracitirceeratnorfnocidàticapaC aittalamanuus - elanoisicedoreblanuodnazzilituisettaitatlusireitsoceraloclacidàticapaC - itatlusirieraterpretnieelatnemercniisilana'nuerrudnocrepaS - nienoizatulavidipitirtlailgadacimonoceenoizatulavidilatnemadnofilledomiereugnitsididàticapaC àtinas - icinilcslairteairatinasaimonoceidinoizatulavartinoizalerelerevircsedrepaS - ativalledàtilauqallederusimeleetulasidirotacidniisrevidieracitirceeramaihciridàticapaC )LOQ-RH(etulasallaetalerroc - eoiratenomerolavledotnocodnenetocimonoceocamrafoloclacidemrofeiraveramitsidàticapaC otnocsidossatled - la,icamrafiedozzilitu'llusinoisiveraitalerroconosaimonoceocamrafidipicnirpiemoceratulavrepaS àtilauqidaiznaragallaeoirautnorp - aittalamalledenoizaicossaeazneuqerfiderusimeleratulavrepaS - oiratinasotacremlaaimonoceocamrafalledinoizacilppaeleratulavrepaS - aimonoceocamrafniirtsigeriedeesabatadiedozzilitu'leossecca'leratulavrepaS - ilatnemirepsidutsilgedisilanaeranimessideeratneserpidàticapaC A.G. Spagnolo, R. Minacori 256 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati LA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA VITA, L’INFORMAZIONE E IL C O N S E N S O N E G L I S T U D I D I FARMACOECONOMIA: LA PROSPET- TIVA ETICA Il primo quesito da porsi, riflettendo su tale ambito della ricerca biomedica, riguarda la giustificazione della conduzione di questa ulteriore valutazione. Nella comunità scientifica e nella società vi è generale consenso sull’esigenza di una ricerca biomedica che sia sempre giustificata sufficientemente sul piano scientifico ed eti- co. Negli Stati Uniti, dopo la denuncia di vari, gravissimi, abusi perpetrati su persone parte- cipanti a sperimentazioni cliniche, la National Commission for the Protection of Human Subjects of Biomedical and Behavioral Research affermava tale consenso con que- ste parole: “I soggetti non dovrebbero esse- re esposti a rischi in sperimentazioni disegnate in modo così inadeguato che gli obiettivi pre- fissati non possano essere comunque otte- nuti (nostra la traduzione)” [16]. Lo scopo della ricerca clinica è l’innova- zione terapeutica – che è un bene per la so- cietà e per le singole persone –, vale a dire ottenere nuove terapie in grado di guarire, curare o prevenire le malattie o migliorarne il loro controllo. Tale finalità medico-scientifica è la traduzione di un principio etico fonda- mentale, il principio della beneficità (beneficence) che ha contraddistinto da sem- pre la medicina e la figura stessa del medico. Negli USA la già citata National Commission, in un famosissimo documento, spiegava tale principio in due regole generali: “non arreca- re danno, massimizzare i possibili benefici e minimizzare i possibili danni” [17]. Nel conte- sto della medicina tale principio è stato espresso dalla massima “primum non nocere” e da un’espressione presente nel Giuramento di Ippocrate (“porrò in essere trattamenti per aiutare il malato secondo la mia capacità e il mio giudizio“). Nella ricerca biomedica, prima del Belmont Report, è stata la Dichiarazione di Helsinki, emanata dall’Assemblea della World Medical Association a raccomandare che il medico-ricercatore non solo sia garante del benessere degli individui (soggetti di ri- cerca e pazienti) ma anche si adoperi affinché tale compito sia svolto in modo sempre mi- gliore. In precedenza, nel Codice di Norimberga si era affermato che i rischi deri- vanti dalla sperimentazione devono essere giustificati “dall’importanza umanitaria del problema che dovrebbe essere risolto dalla sperimentazione” [18]. La ricerca nell’ambito dell’innovazione terapeutica si focalizza su “misure di risultati o endpoints che sono considerati obiettivi per quanto essi siano basati su osservazioni ester- ne del paziente” [19, p. 115]. In oncologia, ad esempio, misure importanti del risultato sono costituiti dalla riduzione della massa tumorale e dalla persistenza delle remissioni, mentre nella sperimentazione sugli anti-ipertensivi il dato più importante è la riduzione della pressione diastolica. Altri dati quantitativi importanti sono quelli relativi agli eventi avversi sofferti dai pazienti-soggetti di sperimentazione. Tali dati sono fondamentali, ma non esau- riscono tutta l’importanza della medicina, so- prattutto nella prospettiva dei pazienti. Essi hanno un punto di vista del proprio benesse- re, presente e futuro, più ampio, con aspettati- ve che vanno al di là dei dati, così importanti per i medici. I pazienti si possono porre do- mande ben diverse dai quesiti dei medici: “Come cambierà la mia vita se prenderò que- sto farmaco? Cosa sarò in grado di fare duran- te l’assunzione? Come mi sentirò? E se non lo prendessi?”. Si tratta di dubbi, quesiti, dun- que, che riguardano non dati quantitativi ma la “qualità della vita” dei soggetti. Tali quesiti conducono ad un altro principio basilare nel- l’etica della ricerca clinica: il rispetto per le per- sone. Tale principio, secondo l’interpretazio- ne data dalla statunitense National Commission, si materializza nel riconoscimen- to e nel rispetto dell’autonomia delle persone e nella protezione dei soggetti incapaci [18]. Il consenso informato rappresenta lo stru- mento, per l’ambito etico-deontologico e del diritto, attraverso cui il medico-ricercatore evidenzia tale rispetto per le persone, per la loro autonomia. Tale strumento, prima della deliberazione del paziente-soggetto, prevede la presentazione delle informazioni relative, tra le altre cose, ad eventuali rischi, benefici e al- ternative. Ciò che è importante perché vi sia reale riconoscimento e rispetto per l’autono- mia, o, come enunciato nella bioetica personalista, la libertà-responsabilità delle per- sone, è che non solo tale informazione com- prenda tutti gli aspetti rilevanti della sperimentazione e che sia comunicata in modo idoneo e perciò compresa, ma che trasmetta significati, fornisca chiarimenti che sono rile- vanti rispetto alle preoccupazioni dei pazienti. L’informazione, in pratica, dovrebbe cercare di corrispondere a quelle domande, prima citate, forse poco significative per il medico, ma mol- to importanti per le persone. Le persone, infat- ti, normalmente hanno dei progetti per la pro- pria vita, il proprio lavoro, la propria famiglia: si tratta della personale, unica, prospettiva di Farmacoeconomia ed etica: cure sostenibili e rispetto della persona 257Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati ciò che è importante portare a termine o inco- minciare a fare, del come condurre una vita sod- disfacente. La contingenza negativa della ma- lattia viene inesorabilmente ad alterare, in varia misura, tale prospettiva, richiamando ad una riconsiderazione e rivalutazione dei propri pro- getti. I pazienti, dunque, hanno bisogno di rap- portare queste esigenze, questi significati, alla malattia, alle terapie che verranno proposte, al percorso che saranno invitati a fare. Un reale rispetto per le persone chiama, dunque, il medi- co e tutti coloro che sono coinvolti nella finalità di ottenere la miglior cura a rispondere anche a questi quesiti, a sforzarsi di raggiungere, cioè, l’obiettivo più ampio, e anche più complesso, di curare tutta la persona, nella sua globalità, e a non soffermarsi solo sulla malattia. In genere, nel corso dello sviluppo di una nuova terapia è possibile prevedere quando la sua somministrazione comporterà un condizionamento o un’influenza che potrebbe essere qualitativamente rilevante sulle attivi- tà quotidiane o sulla vita delle persone. Una sperimentazione che trascurasse a priori di considerare tale aspetto, quando la rilevanza di tale questione può essere prevedibile, do- vrebbe essere considerata inadeguata rispet- to alla finalità propria della ricerca di ottenere una migliore cura. E dal punto di vista etico – se non anche scientifico – da ritenere poco o per nulla giustificabile. Infatti, verrebbero ad essere messi in discussione due capisaldi etici rilevanti: l’obiettivo del raggiungimento del maggior benessere dei pazienti e la possibilità di mettere a loro disposizione informazioni utili a rendere più consapevole e libera la scelta di assumere determinati trattamenti. Schipper e Clinch hanno così espresso le loro simili riflessioni in proposito: “in definiti- va, un trial clinico randomizzato disegnato in modo accurato, ben condotto, può fornire una evidenza statistica di una differenza di risulta- to. Ma tale evidenza è matematica. Rimane il dovere per il ricercatore di assicurare che la ‘significatività’ abbia importanza biologica e umana” [20, p. 116]. QUALE RIFERIMENTO ETICO PER LA “QUALITÀ DELLA VITA” ? Quando si fa riferimento all’espressione “qualità della vita” occorre, innanzitutto, evidenziare che tale locuzione sottende una varietà di significati ed interpretazioni. Le prospettive etiche interpretative sono sostanzialmente quattro. La prospettiva libertaria individualistica, il cui valore di riferi- mento è la libertà dell’individuo, colto nella sua inviolabile autodeterminazione, e che è ri- conducibile alla teoria della “soddisfazione delle preferenze (preference satisfaction)”: in questa prospettiva una vita piacevole (good life) consiste nella soddisfazione di desideri e preferenze delle persone. La prospettiva dell’utilitarismo che tenta di ricercare l’uguale considerazione degli inte- ressi soggettivi, le cosiddette utilità, e secon- do la quale occorre massimizzare la felicità e minimizzare il dolore (the edonist) per le perso- ne che possono essere consapevoli di deter- minate esperienze [20]. Si tratta della ricerca del miglior saldo attivo della bilancia benesse- re/dolore e della qualità della vita attraverso analisi costo-utilità, la cui stima è espressa generalmente in anni di vita guadagnati o in anni caratterizzati da determinati indici di qua- lità rispetto ad un ventaglio di aree funzionali (fisica, psichica, interazione sociale, condizio- ne economica, …) o di attività quotidiane (ali- mentazione, relazionalità, lavoro, …) o di fatto- ri ritenuti indispensabili per la realizzazione di aspirazioni personali e del benessere psico- fisico e socio-relazionale. Un’altra interpretazione teorica sostiene che, almeno in parte, una vita piacevole non consiste né in esperienze consapevoli di edonismo né nella soddisfazione di preferenze o desideri, ma nella realizzazione di specifici ideali normativi. Ad esempio, alcuni hanno sostenuto che una componente di una vita pia- cevole consiste nell’essere un agente autono- mo e che si auto-determina, e che ciò può tra- dursi in una vita piacevole anche se il sogget- to non è più felice grazie a questo e non ha il desiderio di essere autonomo [21]. La prospettiva etica a cui vogliamo, inve- ce, riferirci pone al centro la persona umana nella sua uni-totalità di corpo e intelletto, di soggettività e di coscienza morale, di unicità e di irripetibilità, di relazione e di interpretazione della realtà, radicalmente nel suo esistere, nel suo esserci [21,22]. Ciò detto per chiarire che l’aspetto della qualità della vita rappresenta un elemento rilevante dal punto di vista etico, ma che non può e non deve esaurire tutto il valore della persona umana, della sua vita e della sua dignità. Dunque, se è importante, in certi contesti anche determinante, compiere delle valutazio- ni che concernono le conseguenze di orienta- menti clinici o di analisi farmacoeconomiche sulla qualità della vita degli interessati, è im- prescindibile però che la valutazione sulla qua- lità della vita è da ritenere secondaria al valore della vita dell’individuo. Attraverso tali valu- tazioni, infatti, possiamo operare un giudizio A.G. Spagnolo, R. Minacori 258 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati di qualificazione delle funzionalità, della capa- cità, ma la qualità non può sostituire o essere sovrapponibile all’essenza valoriale, all’ontologia dell’individuo umano. Le misure della qualità della vita nel contesto sanitario e nello specifico della farmacoeconomia rappre- sentano utili strumenti che possono contribu- ire in modo determinante a raggiungere l’obiet- tivo del miglioramento della cura e di una mag- giore corrispondenza alle aspettative dei pa- zienti, ma nessun algoritmo che registri funzio- nalità o produttività, desideri e preferenze dei soggetti o utilità sociali può indurre a legitti- mare arbitrarie discriminazioni tra malati. Inoltre, è anche da considerare che le valu- tazioni sulla qualità della vita derivanti da espressioni di preferenza o di aspettative dei pazienti, della loro libertà-responsabilità, della loro capacità e volontà di auto-determinarsi, lascia esclusi tutti quei soggetti “deboli” in quanto incapaci di esprimere volontà, libertà o preferenze, quali i bambini, gli adulti incapaci per patologie mentali, le persone in stato vegetativo o comatose: chi potrebbe legitti- mamente, in loro vece, esprimere preferenze sulla loro qualità della vita? CRITERI PER DETERMINARE LA NE- CESSITÀ DI VALUTAZIONI SULLA QUALITÀ DELLA VITA Le valutazioni sulla qualità della vita ven- gono richieste per alcune ma non per tutte le sperimentazioni di nuovi farmaci. In genera- le, tali valutazioni sarebbero necessarie quan- do si può ragionevolmente prevedere che i risultati forniranno informazioni che saran- no di “utilità pratica” a medici e pazienti nel- la scelta di utilizzare il nuovo farmaco e quan- do l’importanza di tale dato giustifica i costi e i rischi della sperimentazione. Levine indi- ca l’opportunità di compiere tali valutazioni come un dovere prima facie, cioè un’azione obbligatoria a meno che vi sia un conflitto con altri doveri più importanti o a meno che vi sia una giustificazione etica a soprasse- dere a tale dovere [19]. L’esigenza di con- durre valutazioni sulla qualità della vita ver- rebbe meno se le condizioni previe e quanto è già conosciuto non giustificano né i costi da sostenere né i rischi per i soggetti. La previsione dell’insorgenza di effetti collaterali verosimilmente in grado di influi- re negativamente sulla qualità della vita dei soggetti è una delle condizioni che esige ne- cessariamente delle valutazioni sulla qualità della vita nell’ambito della sperimentazione clinica, tanto più se si tratta di patologie cro- niche o di effetti a lungo termine [23]. Il criterio dell’“utilità pratica” è stretta- mente correlato al concetto di “rischio mate- riale”, utilizzato nel diritto nell’ambito della dottrina sul consenso informato. Negli Stati Uniti, in una sentenza storica per quanto concerne il consenso informato (Canterbury vs Spence [24], la corte aveva affermato che un rischio è “materiale” se l’informazione che lo riguarda ha un’utilità pratica nell’elabora- zione della decisione di assumere o rifiutare una terapia proposta. Anche dal punto di vista etico, tale concetto necessita di una riflessione. Alcuni esempi di situazioni in cui l’informazione relativa alla qualità della vita potrebbe risultare di grande utilità possono aiutare a esplicitare l’esigenza di tale speci- fica valutazione: · il caso della terapia anti-ipertensiva nell’ipertensione lieve, quando i pazienti de- vono ben recepire l’importanza di ottenere una piccola riduzione nella probabilità di insorgen- za di eventi morbosi seri [25]; · la somministrazione di chemioterapia a forte tossicità che può offrire una piccola chance di remissione a pazienti con neoplasie altamente refrattarie ma che può diminuire la qualità (o anche la quantità) di vita; · un ultimo esempio è quello della pos- sibilità di attuare due opzioni terapeutiche che possono condurre allo stesso risultato in ter- mini di sopravvivenza, ma che comportano sostanziali differenze nella qualità di vita (ad es. intervento chirurgico radicale vs. interven- to chirurgico conservativo associato a chemioterapia) [26]. Secondo altri autori le valutazioni sulla qualità della vita sarebbero generalmente non necessarie nel caso di somministrazione far- maci salva-vita o in grado di ripristinare le con- dizioni di vita normale come prima della malat- tia [27]. Molto interessante, al riguardo, uno studio di McNeil e coll. su 49 volontari sani (37 manager e 12 vigili del fuoco con un età media di 40 anni), cui era stato chiesto di immaginarsi affetti da cancro al laringe e di dover prendere delle decisioni sulla terapia di tipo conservativo (per preservare la voce) o più radicale (per au- mentare le probabilità di sopravvivenza). Eb- bene, nonostante la maggior parte di essi avrebbe accettato una lieve riduzione nella sopravvivenza a lungo termine pur di mante- nere la propria voce, nessuno avrebbe virtual- mente accettato una diminuzione della soprav- vivenza sotto i 5 anni. Sulla base di altri dati concordanti con questo, gli autori conclude- vano che le scelte sui trattamenti da parte dei pazienti erano basati non solo sulla qualità ma anche sulla quantità di vita prospettata [28]. Farmacoeconomia ed etica: cure sostenibili e rispetto della persona 259Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati Un criterio supplementare per determinare la necessità di studi sulla qualità della vita è quello economico, teso a individuare tratta- menti troppo onerosi per la società e al contempo per i pazienti stessi, per quanto con- cerne la qualità della vita, e a selezionare tera- pie che assicurino la maggiore e migliore aspet- tativa di vita possibile rispetto alla risorse in- vestite [29]. La finalità di tale criterio è giustificabile nell’ottica di una migliore allocazione delle risorse, soprattutto nel con- testo di una spesa sanitaria crescente e di bi- sogni sanitari non sempre coperti. Il criterio economico, però, per preservare tale giustifi- cazione applicativa – in una sanità che consi- dera realmente come sua finalità principale e superiore la cura dell’individuo umano, soprat- tutto quello più debole, malato e bisognoso di protezione – non dovrà condizionare tout court una scelta terapeutica, nel caso questa fosse ritenuta efficace dal medico e accettata dal pa- ziente. CONFLITTO DI INTERESSI, TRASPA- RENZA E CREDIBILITÀ DEGLI STUDI DI FARMACOECONOMIA La validità e credibilità delle valutazioni di farmacoeconomia è attualmente argomento di grande dibattito. Lo scenario che fa da sfondo a tale situazione è alquanto complesso: da una parte la necessità di contenere i costi per la spesa sanitaria, per i continui tagli alle risorse disponibili, dall’altra bisogni sanitari che au- mentano e costano sempre più; a ciò si ag- giungano anche gli interessi commerciali (le- gittimi) delle industrie farmaceutiche che cer- cano di non perdere quota in un “mercato” sempre più difficile. È, perciò, ovvio che que- ste ultime si adoperino per evidenziare i bene- fici clinici ed economici dei propri prodotti, anche attraverso specifiche valutazioni quali quelle farmacoeconomiche per fare pressione, come successo nel Regno Unito, in Canada e in Australia [30,31,32 ], sulle istituzioni respon- sabili dell’elaborazione dei prontuari farmaceu- tici. Da ciò si può comprendere il peso che potrebbe essere attribuito ai risultati degli stu- di di farmacoeconomia e quanto sia importan- te dirimere la questione del conflitto di interes- se, che pure è un problema chiave della ricerca biomedica. Qualche anno fa, Friedberg et al., attraver- so una revisione di articoli pubblicati su anali- si di costi e costo-efficacia di 3 classi di farma- ci oncologici (fattori di stimolazione ematopoietica, antiemetici antagonisti della serotonina e taxani), hanno evidenziato come gli studi condotti con finanziamento delle in- dustrie farmaceutiche abbiano ottenuto dati qualitativi conclusivi non favorevoli con una proporzione quasi 8 volte minore (1/20 – 5% vs. 9/24 – 38%) rispetto a studi analoghi non sponsorizzati, mentre i risultati favorevoli, sem- pre da studi finanziati dalle industrie, sono stati di 1,4 volte maggiore rispetto agli studi indi- pendenti. Gli Autori hanno formulato una serie di ipotesi per spiegare i risultati della loro inda- gine: la possibilità per gli sponsor di indivi- duare e selezionare, dopo i primi risultati clini- ci, le sperimentazioni che hanno maggiori pos- sibilità di ottenere dati favorevoli e di decidere di sostenere, anche attraverso gli studi di farmacoeconomia, questi trials piuttosto che altri verosimilmente destinati a fornire risultati sfavorevoli; la presenza di evidenti bias nella ricerca farmacoeconomica che mostrava di pre- ferire la pubblicazione di studi con dati “posi- tivi”; le influenze multiformi delle industrie far- maceutiche sulla sperimentazione, attraverso l’erogazione di fondi, aiuti, benefits di vario tipo o di accordi con i ricercatori per la pubbli- cazione dei risultati; la possibilità per le indu- strie farmaceutiche di collaborare direttamente con i ricercatori nell’elaborazione dei proto- colli di analisi economiche e di influenzare in- direttamente la scelta dei criteri di valutazione economica [33]. Tale strana contingenza favo- revole tra sponsorizzazione e risultati positivi ha, d’altronde, sollevato dubbi e incertezze nell’opinione pubblica [34,35]. In uno studio pubblicato nel 2000, Hill et al., dell’Università di Newcastle nel New South Galles, Australia e del Pharmaceutical Evaluation Section of the Australian Pharmaceutical Benefits Scheme, aggiunge- vano a questo già fosco quadro altri contributi attraverso la revisione di 326 studi effettuati tra il 1994 e il 1997. In quella nazione vengono inseriti nel prontuario e pagati dalla sanità pubblica solo nuovi farmaci le cui analisi farmacoeconomiche indicano che sono costo- efficaci per alcuni pazienti. Tra queste analisi, in ben il 67% (218) degli studi erano stati indi- viduati “seri problemi di interpretazione”. In alcuni casi non erano disponibili dati da sperimentazioni controllate e randomizzate o queste erano di scarso rilievo statistico o qualitativo, o i calcoli dei costi e dei risultati non erano “trasparenti” [36]. Altri Autori in precedenza avevano già ri- levato diversi bias nelle analisi costo-efficacia dei farmaci: Udvarhelyi et al. nel 1992 avevano evidenziato che le regole per tali valutazioni, da tempo conosciute nella letteratura medica, erano ampiamente contravvenute e i principi fondamentali ignorati [37]; Hillman et al., attra- verso la loro esperienza di conduzione di 33 A.G. Spagnolo, R. Minacori 260 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati analisi economiche per 15 industrie farmaceu- tiche per 13 anni, erano stati i primi a presenta- re i problemi dei bias nelle analisi costo-effica- cia finanziati dai produttori di farmaci. Essi notarono che le industrie farmaceutiche spon- sorizzavano la maggior parte di tali studi, che di frequente erano senza regolamenti né standard e inclini a bias soggettivi. In quegli studi, inoltre, i ricercatori, ricevevano dallo sponsor il protocollo praticamente già defini- to: erano già scelti il disegno e la metodologia, il farmaco di confronto, i dati confidenziali visionabili. Le industrie, rilevavano ancora gli Autori, disponevano di apposite marketing divisions che non si ponevano alcun proble- ma a selezionare come confronto un farmaco non efficace, o a fare concludere precocemen- te e non pubblicare studi non favorevoli, o a mettere pressione sullo sperimentatore per pro- durre risultati favorevoli [38]. Inoltre, nonostante le sperimentazioni controllate e randomizzate siano considerate il “gold standard” per la ricerca clinica, esse hanno anche il limite di misurare l’efficacia in una parte deliberatamente ristretta della po- polazione, e di non rispecchiare, quindi, ade- guatamente l’effettiva applicabilità nella pra- tica clinica, che è l’area di interesse della farmacoeconomia [39]. Dunque, vi potrebbe essere un problema di inadeguatezza progettuale e metodologica, celata da una conduzione corretta, anch’essa derivante da motivi e influenze commerciali. Comunque, anche se sono necessarie al- tre sorgenti finanziarie per gli studi di farmacoeconomia, limitare la pubblicazione degli studi sponsorizzati non è, probabilmen- te, né realizzabile né utile, dato che l’industria farmaceutica fornisce fondamentali risorse a molte aree della ricerca medica ed è oggi la principale risorsa per gli studi di farmacoeconomia. Per migliorare la credibilità delle analisi eco- nomiche, dovrebbero essere perseguite politi- che che promuovano una completa rivelazio- ne di tutti gli eventuali interessi finanziari. Anche la scelta di condurre un maggior numero di analisi prospettiche di farmacoeconomia (congiuntamente a sperimentazioni di fase III) potrebbe aumen- tare la credibilità degli studi stessi e dei dati ottenuti, poiché si eliminerebbe l’opportuni- tà dei finanziamenti “selettivi” basati sulla “convenienza ” dei risultati. Soprattutto tali analisi dovrebbero essere previste sin dalla prima elaborazione del disegno del trial, piut- tosto che aggiungere successivamente delle variabili economiche alla struttura iniziale del protocollo (il cosiddetto “ piggyback arrangement”) [40]. Infatti, le valutazioni di ordine clinico ed economico comportano sostanziali differenze nel disegno, nella significatività statistica del campione (per le valutazioni economiche sa- rebbero, infatti, necessari campioni molto più ampi di popolazione) e nei costi da sostenere. Bower et al., riportando i risultati del loro stu- dio, controllato e randomizzato, sulle psico- terapie nella depressione, che comprendeva- no nel disegno un’analisi costo-efficacia, han- no affermato che il campione di popolazione incluso per ottenere il principale obiettivo cli- nico non era statisticamente adeguato per va- lutare i costi, che, non sorprendentemente, ri- sultavano essere senza differenze significati- ve nei trattamenti in studio nel follow up sia a 4 sia a 12 mesi. Perciò occorre molta competen- za e rigore nella interpretazione di questi risul- tati [41]. D’altronde, non è una soluzione giustificabile, né dal punto di vista scientifico né dal punto di vista etico, puntare sulle valu- tazioni economiche piggyback, più economi- che e semplici, ma statisticamente meno po- tenti, né accontentarsi della supposizione (er- rata) che “assenza di evidenza è evidenza di assenza” [42]. Dal punto di vista etico, inoltre, avendo rag- giunto un risultato clinico significativo di supe- riorità di un trattamento rispetto ad un altro, non vi sarebbero elementi per giustificare la randomizzazione e la continuazione del trial (im- pedendo a tutti i pazienti di accedere alla miglio- re terapia), fino al raggiungimento della significatività statistica anche per l’analisi eco- nomica. Tali esigenze supplementari necessarie per la valutazione farmacoeconomica verrebbe- ro a porsi in contrasto con codici etici e linee- guida per la sperimentazione e per i comitati di etica, attualmente in vigore, e con il consenso informato dei pazienti partecipanti agli studi [43]. Per migliorare gli standard nelle analisi eco- nomiche sono state selezionate anche delle task force che hanno emanato linee guida già qual- che anno fa [44] e più recentemente anche un codice etico [45]: una questione fondamentale al centro di tali documenti è l’indipendenza del ricercatore e la rivelazione del conflitto di inte- ressi. R.G. Evans, riferendosi alle precedenti li- nee guida, aveva disprezzato i risultati di tali sforzi arrivando a definire la farmacoeconomia come una “pseudodisciplina impegnata a fare giochi di prestigio dentro l’esistenza della ma- gia dei soldi” e denunciando l’inconsistenza di tali misure verso il problema strutturale degli studi: i forti interessi economici che lo sponsor e il ricercatore hanno nel cercare di ottenere gli stessi risultati [46]. Farmacoeconomia ed etica: cure sostenibili e rispetto della persona 261Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati BIBLIOGRAFIA 1. Drummond MF, Stoddart GL e Torrance GW. Metodi per la valutazione economica dei programmi sanitari. Franco Angeli. Milano 1993 2. Mazor KM, Campbell EG, Field T et al. Managed care education what medical students are telling us. Acad Med 2002;77:1128-33. 3. Anell A, Svarvar P. 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È stato, perciò, proposto di utilizzare standard analoghi a quelli adottati per la revisione di un articolo [47], per evitare soprattutto la citazio- ne selettiva. Dovrebbe fondamentalmente essere richie- sto che conclusioni, modelli e possibili bias siano ben descritti, trasparenti e completamen- te supportati da evidenze scientifiche, condivisibili facilmente da chi è chiamato a valutare la qualità dello studio [48]. Inoltre, gli Editor dovrebbero richiedere che gli Autori rivelino tutti i possibili legami com- merciali (impieghi, consulenze, viaggi pagati, proprietà di azioni, e altro ...). Le sponsorizzazioni economiche dovrebbero es- sere dirette all’istituzione di appartenenza e non dovrebbero dipendere dal fatto che il risultato sia favorevole al prodotto dello sponsor. CONCLUSIONI Come per altri ambiti della medicina, anche nella farmacoeconomia la dimensione etica, oltre che guardare ai tre diversi livelli, applicativo (dai risultati degli studi alle deci- sioni allocative), progettuale (“per ottenere quale risparmio per chi? Per aumentare il pro- fitto di chi? Quale rischio prevedibile per chi?”) e intrinseco (veridicità dei dati, trasparenza e rigore scientifico dei procedimenti e delle va- lutazioni), dovrebbe caratterizzare in modo in- tegrativo tutti questi aspetti: ciò vuol dire far sì che a ogni livello di attività vi sia consape- volezza che vita e salute non sono monetizzabili. L’obiettivo dell’etica in farmacoeconomia si può condensare nel rispet- to per la persona, che deve rimanere il fine e il confine di ogni scelta terapeutica come di ogni politica sanitaria. Un altro elemento rilevante è che la valutazione farmacoeconomica costituisce an- che una necessità, una obbligazione etica nel- l’ottica di un ottimale utilizzo e distribuzione di risorse limitate e di crescenti bisogni sanitari (principio di giustizia e di solidarietà). Questi due aspetti, che sono anche due finalità eticamente rilevanti, sono reciproca- mente confluenti e compatibili e sono entram- bi necessari affinché le valutazioni di farmacoeconomia possano pervenire a un fon- damentale e unico risultato, realmente ottenibile: offrire la miglior cura possibile al minor costo, nel pieno rispetto della persona e di tutte le persone, per un equo utilizzo delle risorse per tutti i cittadini. È l’obiettivo più alto, il più arduo da rag- giungere, ma esso stesso può essere, a nostro avviso, il filo conduttore ideale per lo svilup- po, l’affermazione accademica, una maggiore e migliore definizione dei processi di valutazio- ne della farmacoeconomia. Gli strumenti indi- spensabili sono, dunque, già individuati, ma esigono maggiore definizione e sviluppo: un adeguato standard background/training e un approccio multidisciplinare per ottimizzare le procedure di valutazione e aumentare la veri- dicità e controllabilità dei risultati; le misure atte a contrastare e rivelare il conflitto di inte- ressi perché vi sia trasparenza e credibilità; uno sguardo coerente alla qualità etica e all’umanizzazione dell’analisi farma- coeconomica che non può prescindere da una corretta valutazione della qualità della vita e di un reale rispetto delle persone. A.G. Spagnolo, R. Minacori 262 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2004; 5 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati 7. Drummond MF. The future of pharmacoeconomics: bridging science and practice. Clin Ther 1996;18:969-78. 8. Rascati KL, Drummond MF, Annemans L and Davey PG. Education in Pharmacoeconomics. An International Multidisciplinary View. Pharmacoeconomics 2004; 22:139-147. 9. 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