2005 6(1) 305Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati L. Pradelli Gli antagonisti del recettore GPIIb/IIIa: farmacologia, clinica ed economia nelle sindromi coronariche acute NSTEMI e nelle rivascolarizzazioni per via percutanea Lorenzo Pradelli* ABSTRACT Inhibition of platelet glycoprotein IIb/IIIa (GP IIb/IIIa) receptor prevents platelet aggregation by controlling its final common pathway, the cross-binding of fibrinogen, bridging across adjacent platelets. Three pharmacological agents capable of inhibiting GP IIb/IIIa are available for use in Italy: abciximab, eptifibatide and tirofiban. In this paper, some relevant studies on the pharmacology of GP IIb/IIIa inhibitors are summarized, as well as the main clinical trials assessing their use in the management of unstable angina (UA) and during percutaneous coronary interventions (PCI). Furthermore, the recommendations on their appropriate use in UA and PCI issued by authoritative scientific societies are presented. Finally, some of the pharmacoeconomic evidence published in the international literature is reviewed and implications in the Italian health care setting are discussed. Keywords: GP IIb/IIIa inhibitors, unstable angina, percutaneous coronary interventions Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4): 305-316 REVIEW * Centro di ricerche farmacoeconomiche - Advanced Research Srl INTRODUZIONE L’aggregazione piastrinica rappresenta la tappa finale del processo che porta alla forma- zione del tappo piastrinico e pone le premesse per l’attivazione del sistema della coagulazione, con attivazione della trombina e formazione del coagulo di fibrina. Il meccanismo biochimico che permette alle piastrine attivate di legarsi fra loro è rappresentato dall’esposizione dei complessi glicoproteici GPIIb-IIIa, che si com- portano da recettori del fibrinogeno. Il fibrinogeno legato ai recettori di piastrine adia- centi forma dei veri e propri ponti tra piastrina e piastrina e permette la formazione degli ag- gregati piastrinici. Nelle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST (angina insta- bile e NSTEMI o infarti non-Q) e negli inter- venti di angioplastica per via percutanea (PCI), l’inibizione farmacologica del legame tra GPIIb- IIIa e fibrinogeno (ma anche fattore von Willebrand e altri ligandi molecolari), associa- ta all’azione antitrombotica dell’acido acetilsalicilico e dell’eparina, è in grado di ri- durre il rischio di occlusione dei vasi interes- sati e, di conseguenza, di ridurre l’incidenza di morte, infarto e di re-intervento di rivasco- larizzazione. I tre agenti farmacologici in grado di inibire i recettori GPIIb-IIIa attualmente di- sponibili sono abciximab, eptifibatide e tirofiban, ma il loro utilizzo, a dispetto della comprovata efficacia, è ancora piuttosto limi- tato, come evidenziato dai risultati dei Registri Europei e Americani. FARMACOLOGIA Gli antagonisti del recettore glicoproteico (GP), per quanto differenti dal punto di vista strutturale e farmacologico, inibiscono in modo selettivo la via finale comune dell’aggregazio- ne piastrinica, cioè il legame del fibrinogeno alla superficie della piastrina del recettore GP. Per ottenere una rapida e duratura inibizione dell’aggregazione piastrinica (il livello di inibi- zione dell’attività piastrinica necessario per avere una efficace risposta clinica deve essere superiore all’80%), gli antagonisti GP IIb/IIIa sono somministrati sotto forma di uno o due boli endovenosi, seguiti da una somministra- zione in infusione endovenosa lenta. Abciximab è un anticorpo monoclonale chimerico (regione costante umana – Fab mu- 306 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati Gli antagonisti del recettore GPIIb/IIIa: farmacologia, clinica ed economia rino) specifico per i recettori GP IIb-IIIa. L’ini- bizione della funzionalità piastrinica è in gene- re evidente poco dopo la somministrazione e non più rilevabile dopo 48 ore dalla sua so- spensione, per quanto abciximab rimanga nel- la circolazione sanguigna anche per 10 giorni, legato alle piastrine [1, 2]. Tirofiban è un derivato della tirosina che agisce da antagonista selettivo dei recettori IIb/IIIa; la funzionalità piastrinica è rapidamente e significativamente ridotta dopo iniezione endovenosa e tale inibizione è mantenuta per 3-8 ore dal termine dell’infusione [3,4]. Eptifibatide è un eptapeptide ciclico che antagonizza i recettori GP IIb/IIIa in maniera selettiva, reversibile e dose- e concentrazione- dipendente. La funzionalità piastrinica è signi- ficativamente ridotta entro 10 minuti dalla som- ministrazione e ritorna a valori normali entro 2- 4 ore dalla sua sospensione [2,5-8]. Il profilo farmacodinamico di questi tre agenti è stato direttamente confrontato in uno studio randomizzato in doppio cieco [5], con- dotto su 30 pazienti sottoposti a rivascolariz- zazione per via percutanea (PCI), in cui il livel- lo e l’andamento temporale dell’inibizione dell’aggregabilità piastrinica è stata valutata ex vivo con due differenti metodiche, l’aggregometria ottica e un kit per la valutazio- ne rapida della funzionalità piastrinica. I pa- zienti hanno ricevuto uno dei 3 farmaci secon- do la posologia approvata: abciximab 0,25 mg/ kg come bolo ev, seguito da infusione ev con- tinua di 0,125 µg/kg/min per 12 ore; tirofiban 0,4 µg/kg per 30 minuti come bolo, seguito da infusione continua di 0,1 µg/kg/min per 20-24 ore; eptifibatide 180 µg/kg come bolo ev, se- guita da infusione continua di 2,0 µg/kg/min per 20-24 ore. Le due metodologie hanno for- nito risultati sostanzialmente concordanti, che si possono così sintetizzare: - l’intensità desiderata di inibizione della fun- zionalità piastrinica (> 80% secondo il test del kit rapido) viene raggiunta rapidamen- te (entro 10 minuti) dopo il bolo di abciximab ed eptifibatide, mentre per tirofiban la latenza tra inizio della sommini- strazione e il raggiungimento di un’effica- ce inibizione dell’aggregabilità è maggiore, probabilmente a causa della differente strategia utilizzata per il bolo “di carico”; - l’inibizione dell’aggregazione piastrinica raggiunta è stata minore con il tirofiban ri- spetto a abciximab o eptifibatide: tirofiban ha mostrato una riduzione media >80% all’aggregometria a trasmissione ottica solo alla misurazione effettuata a 18 ore, mentre questo livello di attività è stato sempre rag- giunto dagli altri due farmaci; - l’intensità dell’attività antiaggregante piastrinica di abciximab diventa meno uni- forme e costante prima della sospensione della somministrazione, probabilmente a causa dei bassi livelli plasmatici di farmaco libero, che potrebbero non essere sufficien- ti a bloccare tutti i recettori GPIIb/IIIa libera- ti dai granuli alfa delle piastrine attivate [5]. La farmacodinamica delle tre molecole è stata inoltre valutata in studi specifici di con- fronto. Nello studio TAM1 l’attività piastrinica è stata valutata in 40 pazienti sottoposti a PCI e trattati con tirofiban, somministrato con lo schema posologico degli studi TARGET e RESTORE (bolo di 10 µg/kg seguito da infu- sione continua di 0,15 µg/kg/min per 18-24 ore) o con eptifibatide somministrata secondo lo schema posologico del trial ESPRIT (bolo di 180 µg/kg, seguito da infusione continua di 2 µg/kg/min per 18-24 ore e da un ulteriore bolo di 180 µg/kg 10 minuti dopo il primo). I risultati dello studio TAM1 indicano che l’inibizione dell’aggregazione piastrinica è raggiunta più precocemente con eptifibatide (p=0,003) e che il livello medio di inibizione è significativamen- te superiore a quello ottenuto con tirofiban per tutta la durata dell’infusione (p<0,0001). Inoltre, pressoché tutti i pazienti assegnati a eptifibatide hanno mostrato livelli di inibizione target (cioè superiore all’80%) per l’intera du- rata dell’infusione, mentre i pazienti trattati con tirofiban hanno raggiunto un livello medio di inibizione inferiore all’80% a 15 e 30 minuti dal bolo, e una quota non trascurabile di pazienti ha mostrato livelli di inibizione ≤ 80% per tutta la durata dell’infusione [8]. Nello studio TAM2, eptifibatide sommini- strata con lo schema posologico utilizzato nel- lo studio PURSUIT (bolo di 180 µg/kg, seguito da infusione continua di 2 µg/kg/min per alme- no 24 ore) è stata confrontata con abciximab, somministrato con lo schema posologico del trial GUSTO IV (bolo di 0,25 mg/kg, seguito da infusione continua di 0,125 µg/kg/min per al- meno 24 ore) in 40 pazienti con sindrome coronarica acuta. Il livello medio di inibizione dell’aggregazione piastrinica è stato costante- mente superiore all’80% con eptifibatide per l’intera durata dell’infusione e significativa- mente maggiore di quello ottenuto con abciximab (p <0,0001). L’attività di abciximab, come in altri studi di farmacodinamica, è dimi- nuita e ha mostrato un elevato grado di varia- bilità interindividuale dopo qualche ora dal- l’inizio dell’infusione: il livello medio di inibi- zione è risultato < 80% a 6, 8, 12, 18 e 24 ore [2]. COLLOCAZIONE TERAPEUTICA DEGLI INIBITORI GPIIB/IIIA Trattamento upstream Eptifibatide Nel trial PURSUIT (Platelet Glycoprotein IIb-IIIa in Unstable Angina: Receptor 307Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati L. Pradelli Suppression Using Integrilin Therapy) (n=10.948), eptifibatide (bolo di 180 µg/kg se- guito da un’infusione di 2 µ/kg/minuto) ha si- gnificativamente ridotto l’incidenza dell’endpoint composito (morte o infarto miocardico non letale) rispetto al placebo, cioè la terapia standard (14,2% versus 15,7%; p=0,04; riduzione assoluta d’incidenza 1,5%). La maggioranza dei pazienti ha ricevuto inoltre acido acetilsalicilico (ASA) 75 - 325 mg uid ed eparina a discrezione del ricercatore, più co- munemente come bolo endovenoso di 5000 unità seguito da infusione continua di 12 uni- tà/kg/ora. Nei pazienti trattati con eptifibatide e sottoposti a PCI entro 72 ore dalla randomiz- zazione si è ottenuta una riduzione del 31% dell’endpoint composito a 30 giorni, rispetto a quelli trattati con placebo (11,6% versus 16,7%, p=0,01). La riduzione di incidenza degli eventi è stata ottenuta a 96 ore e mantenuta a 7, 30 e 180 giorni di follow-up [9-12]. In ragione del diverso accesso alle risorse, in particolare all’utilizzo più estensivo della coronarografia diagnostica e della rivascola- rizzazione sia meccanica sia chirurgica, era sta- to pre-identificato il gruppo dei pazienti arruo- lati negli USA. L’analisi condotta su questo gruppo di pazienti, conosciuto come PURSUIT- US, ha rivelato che l’incidenza dell’endpoint primario costituito da infarto e morte a 30 gior- ni è risultata ridotta dal 15,4% del gruppo placebo (n=1766) all’11,9% del gruppo eptifibatide (n=1756) (riduzione assoluta del 3,5%; p = 0,0025) e tale effetto è stato mante- nuto per un periodo di 6 mesi (18,9% versus 15,2%; p=0,004) [13]. Sempre nel PURSUIT, l’esecuzione preco- ce (entro 24 ore dalla randomizzazione) di una PCI associata a concomitante trattamento con eptifibatide è risultata in esiti clinici significati- vamente migliori rispetto a PCI eseguite suc- cessivamente o senza inibitore GPIIb/IIIa. L’in- cidenza cumulativa di infarto o morte a 30 gior- ni è stata del 9,2% nei pazienti rivascolarizzati per via percutanea nel primo giorno (n=620), del 14% in quelli con PCI eseguita in seconda e terza giornata (n=624), del 15% tra 4 e 7 giorni (n=614) e 17,4% tra 8 e 30 giorni (n=561). Nei pazienti con PCI eseguita nelle prime 24 ore, ma senza concomitante eptifibatide, l’inciden- za è stata del 15,9% (p=0,011 versus eptifibatide con PCI). Gli autori di quest’analisi sottolinea- no che i loro risultati suggeriscono che una strategia conservativa di “vigile attesa” delle sindromi coronariche acute sia inferiore a un atteggiamento più aggressivo [14]. Un’analisi retrospettiva ha mostrato che tra i pazienti sottoposti a chirurgia coronarica en- tro due ore dalla sospensione di eptifibatide la frequenza di eventi emorragici non è risultata significativamente diversa da quella osserva- ta nei pazienti randomizzati a placebo, mentre i risultati clinici sono migliorati: l’incidenza di infarto del miocardio a 30 giorni è risultata di- mezzata (46% versus 22%, p = 0,035). La trombocitopenia e la riduzione assoluta della conta piastrinica sono state minori nel gruppo eptifibatide (p = 0,04), suggerendo la presenza un effetto di risparmio sul consumo di trombociti. Il 98% e il 96% dei pazienti dei grup- pi placebo ed eptifibatide, rispettivamente, hanno ricevuto eparina; tutti i pazienti erano anche in terapia con ASA [15]. La dose di eptifibatide utilizzata nel PURSUIT è stata maggiore di quella adottata in studi precedenti, in quanto inizialmente la capacità disaggregante del farmaco era stata sovrastimata perché il metodo di analisi utiliz- zato per la determinazione della dose efficace non era appropriato [16]. Di conseguenza i ri- sultati clinici del PURSUIT sono migliori di quelli osservati precedentemente [17]. Tirofiban Nello studio PRISM-PLUS (Platelet Receptor Inhibition in Ischemia Syndrome Management in Patients Limited by Unstable Signs and symptoms), condotto su pazienti con sindrome coronarica acuta, l’associazio- ne di tirofiban ed eparina è risultata più effica- ce nel prevenire eventi ischemici rispetto all’eparina in monoterapia; entrambi i tratta- menti sono stati associati a ASA 325 mg/die. Inizialmente i pazienti erano stati suddivisi in tre gruppi di trattamento: tirofiban in monoterapia (0,6 µg/kg/min per 30 minuti, se- guiti dall’infusione di 0,15 µg/kg/min + placebo simil-eparina), tirofiban ed eparina in associa- zione (tirofiban 0,4 µg/kg/min per 30 minuti seguiti da 0,1µg/kg/min; eparina bolo 5000 UI seguiti da 1000 UI/ora, aggiustate a 6, 12, 24, 36 e 48 ore per raggiungere un APTT 2 volte superiore al valore di controllo) ed eparina in monoterapia (stessa dose del gruppo prece- dente + placebo simil-tirofiban). L’infusione dei farmaci in studio è stata mantenuta per almeno 48 ore e ogni intervento è stato posticipato oltre tale limite, se possibile. L’angiografia e/o l’angioplastica coronariche sono state effet- tuate, quando indicate, dopo 48 -96 ore di in- fusione, mantenuta anche durante la procedu- ra di rivascolarizzazione. Tirofiban in mono- terapia è stato sospeso per inefficacia, in se- guito all’osservazione di un eccesso di morta- lità nell’analisi a 7 giorni (4,6% - 16 di 345 - vs 1,1% - 4 di 350 - del gruppo eparina in monoterapia e 1,5% - 5 di 336 - del gruppo tirofiban + eparina). L’incidenza dell’endpoint composito (morte, re-infarto, ischemia refrat- taria, riospedalizzazione per angina instabile) nei gruppi eparina in monoterapia e tirofiban più eparina è stata di 7,8% e 5,7% a 48 ore (p = 0,08), 17,9% e 12,9% a 7 giorni (p = 0,004), 22,3% 308 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati Gli antagonisti del recettore GPIIb/IIIa: farmacologia, clinica ed economia e 18,5% a 30 giorni (p = 0,03 NS), e di 32,1% e 27,7% a 6 mesi (p = 0,02), rispettivamente [19]. Lo studio PRISM (Platelet Receptor Inhibition in Ischemic Syndrome Manage- ment) ha confrontato tirofiban (0,6 µg/kg/min per 30 minuti seguiti da 0,15µg/kg/min) ed eparina entrambi somministrati per via endo- venosa, in 3.232 pazienti con segni di ischemia miocardica. L’incidenza dell’endpoint composito (mor- te, infarto, ischemia refrattaria) è risultata si- gnificativamente ridotta a 48 ore (3,8 versus 5,6 %, p=0,01), ma non a 7 e 30 giorni, nono- stante la riduzione della mortalità complessi- va con tirofiban abbia mostrato un trend al limite della significatività (2,3 vs 3,6%, p=0,02) [19]. Alcune differenze tra i due studi posso- no spiegare la notevole discrepanza tra i loro risultati: nel PRISM-PLUS, rispetto al PRISM, le alterazioni dei tratti ST o ST-T all’ECG era- no molto più frequenti (90% vs 39%), la du- rata dell’infusione di tirofiban maggiore (71 vs 48 ore), l’angiografia o angioplastica du- rante l’infusione di tirofiban non era scorag- giata dal protocollo di studio e i pazienti han- no ricevuto eparina prima della randomizza- zione [20]. Abciximab Nello studio GUSTO-IV ACS (n=7800), c o n d o t t o s u p a z i e n t i c o n s i n d r o m e coronarica acuta non rivascolarizzati preco- cemente, la somministrazione di abciximab in upstream non è risultata associata a bene- fici clinici maggiori del placebo. I criteri di inclusione dello studio preve- devano la presenza di uno o più episodi di angina di durata maggiore di 5 minuti nelle 24 ore precedenti e un altro segno di ischemia miocardica (test positivo per la troponina o depressione del tratto ST di almeno 5 mm); i soggetti sono stati suddivisi in tre gruppi di trattamento: abciximab per 24 ore (0,25 mg/ kg in bolo, seguito da 0,125 µg/kg/min, fino a un massimo di 10 µg/min, per 24 ore) (n=2590), abciximab 48 ore (stesse dosi pre- cedenti, ma infusione mantenuta per 48 ore) (n=2612) e placebo (n=2598); tutti i pazienti h a n n o r i c e v u t o A S A e d e p a r i n a o dalteparina. L’endpoint primario di morte o infarto a 30 giorni si è verificato con frequenza simile nei tre gruppi (8,2%, 9,1%, 8% per abciximab 24 ore, abciximab 48 ore e placebo, rispetti- vamente; rischio relativo 1,0 per abciximab 24 ore vs placebo e di 1,1 per abciximab 48 ore vs placebo). Si è inoltre osservato un aumento della mortalità nel gruppo di pazienti trattati con abciximab per 48 ore rispetto al placebo. La valutazione dell’endpoint di morte o infarto miocardico a 30 giorni nei sottogruppi (per sesso, età, presenza di diabete, troponine elevate, depressione ST) non ha evidenziato alcun vantaggio della somministrazione di abciximab in upstream rispetto al placebo [21]. Efficacia nelle PCI Eptifibatide Lo studio ESPRIT (Enhanced Suppression of the Platelet IIb/IIIa Receptor with Integrilin Therapy) ha dimostrato che eptifibatide, som- ministrato come bolo endovenoso di 180 µg/ kg, seguito immediatamente da infusione con- tinua di 2 µg/kg/min e da un secondo bolo di 180 µg/kg con infusione mantenuta per 18-24 ore, migliora significativamente gli esiti dopo stenting coronarico d’elezione. Questo studio randomizzato in doppio cieco e multicentrico (n=2064) è stato interrotto precocemente per dimostrata efficacia di eptifibatide: l’endpoint primario composito (morte, infarto, rivascola- rizzazione del vaso trattato o terapia antitrom- botica bailout entro 48 ore) è stato ridotto dal 10,5% (108 di 1024) dei pazienti trattati con placebo al 6,6% (69 di 1040) di quelli che han- no ricevuto il farmaco (RR 0,63; p=0,0015). A 30 giorni dall’intervento, l’endpoint seconda- rio di morte, infarto o rivascolarizzazione del vaso trattato ha dimostrato una simile riduzio- ne di incidenza (10,5% placebo versus 6,8% eptifibatide; RR 0,65; p=0,0034).Oltre l’88% di tutti gli eventi (157 di 178) si sono verificati nelle prime 48 ore. Tutti i pazienti erano stati pre-trattati con ASA, una tienopiridina (princi- palmente clopidogrel) ed eparina. Si è osser- vato un leggero aumento di incidenza di emor- ragie (1,3% vs 0,4 p=0,027) in particolare nei pazienti con APTT elevato e trattati con eptifibatide [22]. I risultati dei follow-up di ESPRIT a 6 e 12 mesi confermano che nei pazienti sottoposti a stenting coronarico programmato la terapia con eptifibatide è associata a benefici clinicamente significativi anche nel lungo termine. A 180 gior- ni, l’endpoint composito di morte, infarto o rivascolarizzazione del vaso trattato è stato osservato nel 18,3% dei pazienti placebo ri- spetto al 14,2% dei trattati con eptifibatide (p=0,008, RR 0,75); l’incidenza di infarto o mor- te è stata dell’11,5% nel gruppo placebo e del 7,5% nel gruppo eptifibatide (p=0,002, RR 0,63) [23]. A 1 anno dall’intervento (n= 976 placebo, 988 eptifibatide), l’endpoint triplo si è verifica- to nel 17,5% e nel 22,1% (RR 0,76; p=0,007) dei pazienti eptifibatide e placebo, rispettivamen- te, mentre l’incidenza di infarto o morte è stata del 8,0% e del 12,4% (RR 0,63; p=0,001). Que- sta riduzione è da attribuire verosimilmente alla riduzione degli infarti nelle prime 48 ore (IMA a 48 ore 9,0% vs 5,4%, p=0,0015), e il beneficio acquisito si è mantenuto per almeno un anno (Tabella I). 309Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4) © SEEd Tutti i diritti riservati L. Pradelli Come accennato in precedenza, in studi precedenti all’ESPRIT, l’effetto antiaggregante di eptifibatide era stato sovrastimato per l’uti- lizzo di una metodica inadeguata di determina- zione dell’effetto antiaggregante [16,17], per cui sono stati utilizzati dosaggi inferiori, con corrispondente riduzione dell’ampiezza del be- neficio clinico ottenuto. Nell’IMPACT II (Integrilin to Minimize Platelet Aggregation and Coronary Thrombosis) (n=4010), ad esempio, la somministrazione di un bolo di 135 µg/kg, seguito da un’infusione di 0,5 µg/kg/min, in pazienti assegnati a PCI è risultata associata a una riduzione minore, benché statisticamente significativa (11,6% versus 9,1%, p=0.035), dell’endpoint primario, costituito dal tasso complessivo di mortalità, infarto miocardico o intervento coronarico non programmato [24]. Tirofiban Lo studio RESTORE (Randomized Efficacy Study of Tirofiban for Outcomes and REstenosis) [25] è stato condotto con l’obiet- tivo di dimostrare che tirofiban, somministrato come bolo di 10 µg/kg seguito da un’infusione continua di 0,15 µg/kg/min per 36 ore, è in gra- do di ridurre significativamente gli eventi car- diovascolari (morte, IMA, CABG, re-interven- to di coronoplastica o stenting) a 30 giorni ri- spetto al placebo in pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti a PCI entro 72 ore dall’esordio dei sintomi. Benché l’incidenza dell’endpoint a 30 giorni sia risultata ridotta del 1,9% (12,2% vs 10,3%) nei pazienti trattati con tirofiban, tale differenza non ha raggiunto la significatività statistica (p = 0,16). In uno studio di fase II, randomizzato in doppio cieco e controllato versus placebo (ADVANCE, n=202), tirofiban somministrato con un regime posologico comprendente un bolo ad alto dosaggio (25 µg/kg) e un’infusio- ne di 0,15 µg/kg/min della durata di 24-48 ore, ha ridotto significativamente la mortalità e gli eventi ischemici in pazienti ad elevato rischio sottoposti a PCI (con stenting nel 98% dei casi). L’endpoint primario (morte, infarto, rivascola- rizzazione del vaso trattato o terapia bailout) valutato a 180 giorni, si è verificato nel 20% dei pazienti trattati con tirofiban e nel 35% dei pazienti assegnati al placebo (RR 0,51; p=0,01). La riduzione endpoint combinato è stata in gran parte dovuta alla riduzione della componente degli infarti miocardici; non è stato osservato alcun effetto significativo sulla mortalità o sulla necessità di re-intervenire sul vaso target [26]. Si attendono ulteriori studi che confermino l'ef- ficacia di questo dosaggio in una popolazione più numerosa, tali da consentire una corretta valutazione farmacoeconomica. Abciximab L’utilizzo di abciximab in associazione allo stenting è stato valutato in numerosi studi; in generale, appare che il trattamento con abciximab sia in grado di ridurre significativa- mente gli eventi ischemici nei pazienti ad alto rischio, mentre in soggetti con un profilo di rischio più moderato la sua utilità è risultata meno evidente. In EPILOG, uno studio randomizzato con- dotto su 2792 pazienti sottoposti a PCI d’ur- genza o programmata, i pazienti inclusi nei due bracci di trattamento (abciximab + eparina a basse dosi e abciximab + eparina a dosi standard) hanno mostrato esisti clinici signifi- cativamente superiori a quelli del gruppo di controllo: l’incidenza a 30 giorni endpoint com- binato (morte, infarto, rivascolarizzazione non programmata) è stata dell’11,7%, 5,2% e 5,4% nei gruppi placebo, abciximab + eparina a bas- se dosi e abciximab + eparina standard, rispet- tivamente (p< 0,05 per i due gruppi attivi vs placebo) [27]. Nel più recente degli studi condotti su abciximab in associazione alla PCI, ISAR- REACT (n=2159) la somministrazione del far- maco in pazienti a basso rischio (erano esclusi i pazienti con sindromi coronariche acute, dia- bete, infarto miocardico negli ultimi 14 giorni e quelli con trombo visibile) non è stata in grado Tabella I Risultati a breve e lungo termine osservati nello studio ESPRIT emoctuO enoizazziralocsavirootrafni,etroM ICPaotsopottososavled otrafnioetroM idopmeT enoizavresso ero84 gg03 isem6 onna1 ero84 gg03 isem6 onna1 obecalP )4201=n( 59 )%3,9( 701 )%4,01( 781 )%5,81( 222 )%1,22( 49 )%2,9( 401 )%2,01( 711 )%5,11( 621 )%4,21( 081/0,2/081editabifitpE )0401=n( 26 )%0,6( 17 )%8,6( 641 )%3,41( 871 )%5,71( 75 )%5,5( 66 )%3,6( 77 )%4,7( 38 )%0,8( atulossaenoizudiR oihcsirled %3,3 %6,3 %2,4 %6,4 %7,3 %9,3 %1,4 %4,4 ovitaleRoihcsiR %59CI p 346,0 578,0-274,0 5400,0 356,0 178,0-094,0 4300,0 447,0 995,0 429,0 267,0 626,0 929,0 6,0 028,0-534,0 3100,0 526,0 048,0-564,0 6100,0 136,0 374,0 148,0 036,0 874,0 238,0 310 Farmeconomia e percorsi terapeutici 2005; 6 (4)© SEEd Tutti i diritti riservati Gli antagonisti del recettore GPIIb/IIIa: farmacologia, clinica ed economia di migliorare gli esiti rispetto al placebo (endpoint triplo è stato raggiunto dal 4,0% dei pazienti placebo e nel 4,2% dei pazienti placebo) [28]. Nello studio TARGET, il profilo di efficacia e sicurezza dell’abciximab (bolo 0,25 mg/kg + infusione 0,125 µg/kg/min per 12 ore) nelle PCI è stato confrontato con quello di tirofiban (bolo 10 µg/kg + infusione 0,15 µg/kg/min per 18-24 ore) in 2398 pazienti. Nonostante lo studio fos- se stato disegnato per dimostrare la non infe- riorità di tirofiban, questo obiettivo non è sta- to raggiunto: endpoint triplo di infarto morte o rivascolarizzazione del vaso target è stato rag- giunto dal 7,6% dei pazienti tirofiban contro il 6,0% dei pazienti abciximab (RR 1,26, p=0,038 per la superiorità di abciximab) [29]. Profilo di tollerabilità e sicurezza I principali effetti avversi degli inibitori GP IIb/IIIa sono strettamente legati al meccani- smo d’azione e sono rappresentanti da emor- ragie e trombocitopenia. Nei due grandi trial PURSUIT e IMPACT II, con un totale di oltre 14.000 pazienti arruola- ti, l’incidenza di emorragie maggiori è risultata leggermente aumentata nei pazienti trattati con eptifibatide, a basse (135/0,5 o 0,75) o alte dosi (180/1,3 o 2): l’emorragia, principalmente a ca- rico dell’accesso vascolare femorale, si è veri- ficata nel 5-11% dei casi con eptifibatide, con- tro il 5-9% del placebo [13,24,30]. Nell’ESPRIT l’incidenza di emorragie maggiori e minori è stata del 1,3% e 3%, rispettivamente, nel grup- po eptifibatide, contro lo 0,4% e 2% dei pa- zienti assegnati al placebo [22]. Con tirofiban, l’incidenza di emorragie mi- nori e maggiori osservata nei trial clinici in cui è stato utilizzato in associazione ad aspirina ed eparina è stata del 10,5-12% e 1,4-2,2%, rispet- tivamente [31]. Episodi emorragici maggiori si verificano fino nel 14% dei pazienti sottoposti a PCI che ricevono un’iniezione di abciximab immedia- tamente prima dell’intervento, mentre il sanguinamento non rappresenta un seria com- plicazione se il farmaco viene somministrato 18-24 ore prima [32]. Nell’EPIC, episodi emorragici maggiori si sono verificati nel 10,6% dei pazienti trattati con abciximab con- tro il 3,3% di quelli che hanno ricevuto placebo [33]. L’utilizzo degli inibitori GP IIb/IIIa nelle sin- dromi coronariche acute o nelle PCI non è as- sociato in maniera statisticamente significati- va ad un aumento delle emorragie intracrani- che, secondo i risultati di una meta-analisi di 12 grandi trial (abciximab 4, eptifibatide 3, lamifiban 1, tirofiban 4): il tasso è risultato si- mile tra i 15. 850 pazienti trattati con eparina e GP IIb/IIIa inibitori e i 12.039 soggetti che han- no ricevuto eparina e placebo (0,12% versus 0,09%; RR 1,3; p=0,59). L’incidenza di emorra- gia intracranica è comunque risultata superio- re nei pazienti trattati, il che non permette di escludere che esista una debole associazione con l’evento; analisi per sottogruppi hanno anche indicato che non è possibile escludere un eccesso di rischio nei pazienti con sindromi coronariche acute e in quelli trattati con abciximab [34]. L’associazione della terapia a base di GPIIb/ IIIa con lo sviluppo di trombocitopenia è stato analizzato da Dasgupta et al. in un’analisi ag- gregata dei risultati di 8 grandi trial, rivelando che l’utilizzo di abciximab è associato a un maggior rischio di sviluppare questa compli- cazione rispetto a eptifibatide o tirofiban (Ta- bella II) [35]. Linee guida: inibitori GPIIb/IIIa e PCI Data la complessità della materia e la ric- chezza dei dati disponibili in letteratura, pre- sentata solo in piccola parte nelle sezioni pre- cedenti, società scientifiche internazionali (ESC, ACC, AHA) hanno indicato delle linee guida per la gestione dell’angina instabile, de- gli infarti non-Q e per l’esecuzione delle PCI [36-38]. Questi documenti, aggiornati periodi- camente, raccomandano i comportamenti da tenere sulla base dei risultati dei trial clinici randomizzati e riportano i pareri degli esperti su argomenti ancora controversi. Le raccoman- dazioni che riguardano gli inibitori GPIIb/IIIa sono contenute nelle linee guida ACCP (American College of Chest Physicians) ed ESC (European Society of Cardiology) sulle PCI. Le linee guida ACCP raccomandano l’uti- lizzo di un inibitore GPIIb/IIIa (abciximab o eptifibatide) in tutti i pazienti sottoposti a PCI, particolarmente per quelli a rischio elevato; nelle PCI eseguite per infarti con sopraslivellamento del tratto ST, abciximab è da preferirsi a eptifibatide. Tirofiban non è con- sigliato nelle PCI [36]. Nelle PCI eseguite nei pazienti con angina stabile, le linee guida ESC raccomandano di valutare l’opportunità di somministrare un inibitore GPIIb/IIIa caso per caso, riservando- la ai pazienti a rischio più elevato (depressione ST, elevati livelli enzimatici, instabilità emodinamica). ocamraF svbamixicbA obecalP nabiforiToeditabifitpE obecalPsv ataredomainepoticobmorT )Lµ/000,05