Verso i diritti degli animali. Riflessioni e dibattiti nella storia del pensiero 5 Is sn 2 2 8 0 -9 9 5 3 beyond anthropocentrism 1 • January 2013 Inside the Emotional Lives of Non-human Animals A Minding Animals International Utrecht 2012 Pre-conference Event Special Issue (Genoa, Italy, 12-13 May, 2012) Edited by M. Andreozzi, R. Bennison, A. Massaro, S. Tonutti Capabilities Approach and Animal Bioethics • Michele Panzera Animals and our Emotions. How to Approach the Study of an Interspecific Community? • Sabrina Tonutti Advocacy and Animal Rights • Kim Stallwood The Emotional Lives of Animals: a Christian Perspective • Alma Massaro – Gianfranco Nicora Animalia: Ontology and Ethics in Weak Antispeciesism • Leonardo Caffo The Contemporary Debate on Experimentation • Susanna Penco – Rosagemma Ciliberti Non-human Animals and Genetic Engineering • Arianna Ferrari The Relationship between Humans and Other Animals in European Animal Welfare Legislation • Paola Sobbrio Human’s Best Friends? • Matteo Andreozzi elationsRE L A T IO N S . B E Y O N D A N T H R O P O C E N T R IS M 1 • 2 0 1 3 R 7.1-2 November 2019 The Respect Extended to Animals: Studies in Honor and in Memory of Tom Regan Conference Event Special Issue (Florence, Italy, February 20, 2018) Edited by Francesco Allegri Editorial Exploring Non-Anthropocentric Paradigms 7 Francesco Allegri introduction The Importance of Tom Regan for Animal Ethics 13 Francesco Allegri StudiES and rESEarch contributionS Verso i diritti degli animali. Riflessioni e dibattiti nella storia 19 del pensiero Vilma Baricalla Respect, Inherent Value, Subjects-of-a-Life: Some Reflections 41 on the Key Concepts of Tom Regan’s Animal Ethics Francesco Allegri Animalismo e non violenza. L’incidenza della lezione gandhiana 61 sul pensiero di Tom Regan Luisella Battaglia Almost Like Waging War: Tom Regan and the Conditions 77 for Using Violence for the Sake of Animals Federico Zuolo Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 http://www.ledonline.it/Relations/ https://www.ledonline.it/Relations/ Relations. Beyond Anthropocentrism 6 commEntS, dEbatES, rEportS and intErviEwS Ricordo di Tom Regan. Intervista con Luigi Lombardi Vallauri 95 Francesco Allegri Author Guidelines 99 Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ 19 Verso i diritti degli animali Riflessioni e dibattiti nella storia del pensiero Vilma Baricalla Istituto Italiano di Bioetica doi: https://dx.doi.org/10.7358/rela-2019-0102-bari vilmabaricalla@virgilio.it AbstrAct In our cultural tradition, a conception has prevailed that has supported the inferiority of animals, justifying their exploitation and their exclusion from the moral sphere. This vision, however, at various moments in history has been the subject of criticism and dis- putes. There are alternative voices and strands that departed from the traditional anthro- pocentric paradigm, rehabilitating animals and elaborating different models of interpreta- tion of the world. This paper presents an overview of authors who – from the ancient world to the modern age up to almost the present day – made their voice heard in defence of animals, to whom they recognized value and dignity. The picture that emerges is varied and articulated and represents the rich background of contemporary theories of respect for animals and animal rights. Keywords: animal machines; animal mind; anthropocentric vision; ethics; indi- viduality; non-anthropocentric viewpoints; querelle des bêtes; sentience; soul; suffering. L’idea dei diritti degli animali e il riconoscimento di un loro valore intrin- seco ha un retroscena storico-filosofico che – seppur non di rado misco- nosciuto – è tuttavia di grande spessore, in quanto ricco di una pluralità di prospettive. In quest’ottica si avverte l’esigenza di rinnovare la tradiziona- le lettura storico-filosofica, per considerare non solo quelle voci che hanno esaltato il cammino trionfale dell’uomo verso il “progresso” e la sottomis- sione del mondo naturale, ma anche visioni diverse che a quel percorso, in vari momenti della storia, hanno rappresentato una nutrita opposizione. La polemica inizia già nel mondo antico, di cui saranno brevemente evi- denziate alcune voci, per concentrare poi l’attenzione intorno a quel dibat- tito che – svoltosi nell’età moderna – assumerà il nome di querelle des bêtes. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://dx.doi.org/10.7358/rela-2019-0102-bari mailto:vilmabaricalla@virgilio.it https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 20 1. LA poLemicA neL mondo Antico 1.1. Critiche alla visione antropocentrica e riconoscimenti delle qualità animali Nel mondo antico bersaglio centrale della polemica a favore degli animali è la filosofia stoica di Crisippo, che sviluppa una visione radicalmente antropocentrica. Tale concezione emerge con chiarezza da un brano di Cicerone, che di tale filosofia fu seguace e divulgatore. “Tutto ciò che esi- ste in questo mondo e di cui l’uomo si serve è stato appositamente creato e preparato per lui”, scrive nel De natura deorum (2, 154). E, dopo aver considerato i movimenti degli astri – che stimolano l’attività razionale umana – e tutto ciò che esiste, passa in rassegna gli animali, che esistono “per servire alle necessità dell’uomo”. Infatti: Che funzione hanno le pecore se non quella di permettere agli uomini di rivestirsi dei loro velli lavorati ed intessuti? Basti considerare che questi animali senza una sollecita cura da parte dell’uomo non avrebbero potuto né alimentarsi, né sostenersi, né produrre alcunché di utile. E non parlia- mo dei cani […] che significa tutto ciò se non che il cane è stato creato per soddisfare le necessità dell’uomo? E che dire dei buoi? La stessa con- formazione del dorso risulta inadatta a sostenere pesi, ma il collo appare nato proprio per reggere il giogo e gli omeri ampi e vigorosi per trascinare l’aratro […]. Sarebbe troppo lungo passare in rassegna le benemerenze degli asini e dei muli certamente creati per servire l’uomo. Quanto al ma- iale non serve ad altro che a fornir carne da mangiare, tanto che Crisippo afferma che gli fu data persino un’anima come di sale per impedirne la putrefazione. Proprio per queste straordinarie doti alimentari la natura ha fatto di questo animale il più prolifico di tutti. (Ditadi 1994, I, 322-323) 1 E, dopo aver menzionato altri animali, conclude infine: Si scorrano pure con gli occhi tutte le terre e tutti i mari: non si scorge- ranno altro che immense estensioni di campi ricchi di messi, monti rico- perti di densissime selve, pascoli per gli allevamenti, rotte marine per le navi rapidissime da percorrersi. E non solo sulla superficie della terra, ma anche nelle sue profondità tenebrose vi sono innumerevoli sostanze utili all’uomo che sono state create perché egli possa farne uso e che lui solo è riuscito a scoprire. (ibid., 323) 1 Per le considerazioni sul maiale merita di essere citato il commento ironico di Leo pardi, per cui “se Crisippo avesse avuto nel cervello un poco di sale in vece dell’ani- ma, non avrebbe immaginato uno sproposito simile” (Leopardi 1961, 56). Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 21 Secondo Crisippo, l’uomo è l’unico essere dotato di ragione; l’animale, invece, è privo di capacità razionale e di libertà, incapace di scegliere mo- ralmente tra il bene e il male, in quanto necessitato e dominato dall’istin- to, da cui non si può discostare. Anche quelle azioni che apparentemente sembrano frutto di intelligenza sono in realtà opera della natura, che agi- sce provvidenzialmente per la conservazione della specie. In tale visione, l’uomo è al vertice di quello che, per Crisippo, è l’ordinamento gerarchi- co del cosmo; gli animali esistono per i suoi bisogni e per il suo benessere. Contro questa concezione e contro l’idea che gli animali esistono per il benessere dell’uomo si levarono molte voci significative. Autori come Celso, Plutarco, Porfirio si opposero alla visione antropocentrica e alla svalutazione del mondo animale. Contro tale visione obietta Celso: “Il mondo visibile non è stato con- cesso all’uomo, ma ogni cosa nasce e muore per la conservazione del tut- to” (Celso 1987, 101). E ancora: Dunque l’universo non è stato fatto per l’uomo, e d’altronde nemmeno per il leone o per l’aquila o per il delfino, ma perché questo mondo, in quanto opera di Dio, risultasse compiuto e perfetto in tutte le sue parti; a questo fine tutto è stato commisurato. (ibid., 106) Gli uomini dunque non sono così importanti, poiché lo sguardo divino è volto alla totalità: “questo complesso è il solo di cui Dio si preoccupa […]; e nemmeno accade che […] Dio lo richiami a sé o si adiri per via degli uomini più di quanto non faccia per via delle scimmie o dei topi” (ibidem). Negata da Celso è anche l’unicità dell’uomo. Le stesse qualità, che l’uomo considera sue esclusive, sono presenti anche negli animali. L’ana- lisi prende in considerazione vari aspetti della vita, estendendosi a quella sociale e politica. In quest’ambito, se l’uomo si considera superiore per aver costruito le città e le strutture politiche, altrettanto fanno le formiche e le api. Le api hanno una regina, con il suo seguito e la sua servitù, fanno guerre e riportano vittorie e sterminano le nemiche sconfitte e hanno città e sobborghi e suddivisione del lavoro e castighi per le pigre e le malvagie. (ibid., 103-104) Inoltre – prosegue Celso – le formiche venerano anche i loro morti; e quando si incontrano, comunicano tra loro, dimostrando di possedere ragioni e nozioni generali. Tra le qualità presenti negli animali, Celso giunge a menzionare anche la religiosità e la conoscenza di Dio, da lui attribuite agli uccelli e agli elefanti (ibid., 105-106). Altri autori si pronunciarono contro la svalutazione degli animali, ri- conoscendo ad essi qualità considerate, di solito, esclusivamente umane. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 22 Traendo spunto dalle opere zoologiche di Aristotele, già Teofrasto aveva sostenuto che non v’è differenza sostanziale tra l’uomo e gli animali né da un punto di vista fisico né psichico, poiché la struttura di tutti gli esseri viventi è la stessa: noi poniamo che tutti gli uomini e anche tutti gli animali appartengono alla stessa stirpe originaria, giacché i principi dei loro corpi sono per natu- ra gli stessi: mi riferisco […] alla pelle, alla carne e a quegli umori che gli esseri viventi hanno in comune per natura; ma più ancora perché in essi l’anima non è diversa per natura, intendo dire quanto ai desideri, e agli impulsi, e anche alle facoltà razionali; ma soprattutto quanto alla capacità di sentire. (Santese 1999, 76) Anche Plutarco – che, tra gli autori del mondo antico, è forse il più im- pegnato nella difesa degli animali – sostiene le loro qualità, osservando nel De sollertia animalium che essi sono in grado di percepire, di provare passioni e sono dotati di intelligenza. Il pensiero, infatti, scaturisce dalla natura e la differenza tra animali e uomo è solo di grado e non strutturale e sostanziale. In questi autori il riconoscimento di una comunanza tra uomini e animali si traduce in considerazioni etiche e diviene motivo di condanna della loro uccisione. 1.2. Parentela con gli animali ed etica vegetariana Già Teofrasto, riconoscendo l’esistenza di un legame originario tra uomi- ni e animali, aveva sostenuto il dovere di rispetto degli animali e condan- nato i sacrifici cruenti, definiti “illegittimi” e sgraditi agli dei. La condanna di tali sacrifici si riscontra anche in autori di età più tarda ed è un filone presente in tutto il mondo antico. Contro i sacrifici di sangue si pronuncia anche Lucrezio, che li consi- dera espressione di una falsa idea di religiosità e insiste, con accenti parti- colarmente toccanti, sull’orrore di tali pratiche, sul dolore e sull’angoscia che esse provocano. Istituendo un parallelismo tra il sacrificio umano di Ifigenia e quello di un vitello, Lucrezio non si pone dal punto di vista di chi compie il rito, ma di chi lo subisce: la fanciulla, strappata alla vita nel cuore degli anni, e la madre del vitello, che cerca disperatamente il proprio figlio ucciso: Spesso, infatti, un vitello immolato dinanzi agli splendidi templi / degli dei, si accascia presso le are fumanti d’incenso, / spirando dal petto caldi fiotti di sangue. / Ma desolata la madre, errando per le verdi pasture, / cerca in terra le orme segnate dai piedi bisulci, / con lo sguardo scrutando Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 23 dovunque, se possa in un luogo / scorgere il figlio perduto, ed empie di tristi muggiti / immobile il bosco frondoso, e spesso torna a cercare / nel- la stalla, angosciata dal rimpianto del suo caro giovenco. (Lucrezio Caro 1994, 183-185) Anche Plutarco, che dedica più opere alla difesa degli animali, sostiene doveri di rispetto nei loro confronti. Esiste infatti – egli sostiene – un vincolo di parentela, una communio iuris, che obbliga l’uomo ad agire moralmente verso gli animali. In base a tali argomenti, Plutarco condan- na con forza l’uccisione degli animali e il consumo delle loro carni, sof- fermandosi a descrivere la crudeltà e le sevizie a cui, per tale pratica, essi sono sottoposti. Nel De esu carnium esalta la purezza degli animali e la feroce brutalità dell’uomo, che solo per golosità e per i piaceri del palato provoca morte e tanta sofferenza: “Chiamate selvaggi i serpenti, le pante- re, i leoni, ma voi stessi uccidete con ferocia non cedendo a essi in niente quanto a crudeltà: per essi infatti l’animale ucciso è nutrimento, per voi solo un manicaretto!” (Plutarco 1999, 137). E ancora: nulla ci confonde, non l’aspetto fiorente delle sembianze, non la forza persuasiva della voce, non l’accortezza dell’anima, non la purezza della condotta né la ricchezza di giudizio degli sventurati; ma per il piacere di un piccolo pezzo di carne strappiamo a un’anima la luce del sole, il tempo della vita, cose per cui nacque e fu generata. (ibid., 139-141) Tra gli argomenti contro l’alimentazione carnea è addotta anche una maggiore virtù verso la stessa umanità, frutto di una docilità d’animo raf- forzata dalla pratica vegetariana: “non vi sembra meravigliosa la consue- tudine alla filantropia? Chi mai, infatti, potrebbe commettere ingiustizia nei confronti di un essere umano se costantemente ha professato dolcez- za e umanità verso esseri estranei e di diversa specie?” (ibid., 149). Anche Porfirio, alcuni secoli dopo, si pronuncerà a favore di un’etica vegetariana. Egli addita il vegetarismo di Pitagora quale esempio di sag- gezza e di virtù; e nel De abstinentia fornisce una interessante panoramica di popoli e religioni che praticarono il vegetarianesimo, illustrandone i costumi (Ditadi 1994, I, 379-400). Tali voci purtroppo furono dimenticate. Nel percorso culturale dei secoli successivi, la visione gerarchica e antropocentrica fece sentire mag- giormente il proprio peso e la propria influenza. E questa linea fu seguita anche dalla maggioranza della teologia cristiana. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 24 2. L’età modernA e iL dibAttito suLL’AnimA degLi AnimALi Nell’età moderna contro la tradizionale visione antropocentrica e la svalutazione del mondo animale vi fu una ricca e nutrita opposizione. Sull’argomento si sviluppò un dibattito che prese il nome di querelle des bêtes o “dibattito sull’anima degli animali”. Le voci in difesa degli ani- mali erano indirizzate principalmente contro due dottrine: la scolastica aristotelico-tomista, che considera gli animali privi di ragione, e – a parti- re dal Seicento – la filosofia cartesiana, che nega loro anche la sensibilità, cioè la capacità di sentire. Una breve presentazione di tali visioni vale ad introdurre le ragioni degli oppositori. 2.1. La visione gerarchica della creazione e gli animali-automi Bisogna credere che le piante sono fatte per gli animali e gli animali per l’uomo, quelli domestici perché ne usi e se ne nutra, quelli selvatici, se non tutti, almeno la maggior parte, perché se ne nutra e se ne serva per gli altri bisogni, ne tragga vesti e altri arnesi. (Aristotele 1966, 26) Così aveva scritto Aristotele nella Politica 2. Riprendendo tale visione, Tommaso d’Aquino fornisce una descrizione gerarchica e antropocentrica della creazione. In questa prospettiva l’uomo è fine dell’intero creato e vertice della struttura gerarchica del cosmo. Egli è l’unico essere dotato di facoltà razionale, dovuta alla presenza di un’anima immateriale e immortale; ciò a differenza degli animali, a cui viene ricono- sciuta solo l’anima sensitiva, che è materiale e muore quindi con il corpo. Pur riconoscendo negli animali sensibilità e sentimenti, Tommaso li considera finalizzati al servizio e all’utilità dell’uomo. E nella Summa con- tra Gentiles precisa: “Così viene eliminato l’errore di chi ammette essere peccato per l’uomo l’uccidere gli animali” (Ditadi 1994, I, 425). Infatti, leggiamo altresì nella Summa Theologiae: nessuno pecca per il fatto che si serve di un essere per lo scopo per cui è stato creato. Ora, nella gerarchia degli esseri quelli meno perfetti son fatti per quelli più perfetti […] così le piante son fatte ordinariamente per gli animali; e gli animali son fatti per l’uomo. (ibid., 427) 2 Duplice fu l’influenza di Aristotele nella storia del pensiero: mentre negli scritti sulla natura è osservatore attento dei caratteri animali e sostiene la continuità tra le spe- cie – anche tra animali e uomo – nelle opere pedagogiche e dedicate alle attività umane prevalgono affermazioni che hanno rafforzato visioni gerarchiche e antropocentriche. L’argomento è evidenziato da Lovejoy 1981, 63. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 25 Nella dottrina di Tommaso l’inesistenza di doveri morali verso gli animali non si fonda solo sulla visione gerarchica. Per Tommaso infatti gli ani- mali, dominati dall’istinto e privi di libera scelta, sono incapaci di cono- scenza del bene e del male. Pertanto, essi sono estranei alla sfera morale e moralmente irrilevante, di conseguenza, è il comportamento umano verso di loro. La svalutazione degli animali e la loro esclusione dall’orizzonte mora- le diviene ancor più radicale con la filosofia di Cartesio. In questa duali- stica suddivisione della realtà, l’uomo è l’unico soggetto in un mondo di macchine. Netta è la separazione tra la res cogitans – il pensiero e l’anima immateriale dell’uomo – e il mondo naturale, qualificato come res extensa e caratterizzato da movimenti puramente meccanici (Cartesio 1967, V, 160-171). In questo quadro, gli animali sono automi, incapaci non solo di pensare, ma privi anche di sentimenti e sensibilità, della capacità cioè di provar piacere e dolore. Tale teoria incontrò critici, ma anche seguaci. Ad alcuni teologi, ad esempio, essa apparve come una soluzione ai gravi problemi di teodi- cea legati alla capacità animale di soffrire. Inoltre, la filosofia cartesiana rappresentava una spiegazione razionale della natura, che appagava la mentalità scientifica del tempo e con la tesi degli animali-automi rendeva possibile l’indagine diretta sul funzionamento dei viventi, senza residui di pietà ed eventuali scrupoli di carattere morale. Contro la visione antropocentrica e contro la radicale svalutazione degli animali varia e articolata è la panoramica degli oppositori. 2.2. Rorario, i libertini e la relatività dei punti di vista Nei primi decenni del Cinquecento, probabilmente nel 1539, un eccle- siastico, Gerolamo Rorario, scrisse un’opera dal titolo significativo Gli animali spesso usano la ragione meglio degli uomini. Nell’opera Rorario adduce vari esempi per sostenere l’intelligenza degli animali, le cui azioni non sono spiegabili unicamente con l’istinto. Api, ragni, formiche sono additati come modelli di saggezza. Le formi- che, ad esempio, mostrano comportamenti sociali e anche senso di giu- stizia; “insomma questa sorta di pulviscolo animato in niente è inferiore all’uomo” (Rorario 1982, 61). Abilità, intelligenza, comportamenti sociali e senso di giustizia sono dunque qualità degli animali, che per Rorario possiedono anche il timore di Dio. Rimasto inedito, il manoscritto venne trovato dal libertino Gabriel Naudé che nel 1648 lo diede alle stampe, omettendo dal titolo l’avverbio Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 26 “spesso” per accentuare il tono di rottura. Così, in pieno clima di dibat- tito, Gli animali usano la ragione meglio degli uomini divenne, grazie ai libertini, un simbolo, una sorta di vessillo di quanti si schieravano contro la negazione della ragione animale. Sicuramente, nel quadro complessivo della disputa, la corrente dei libertini è una delle più interessanti. Essi riprendono e sviluppano il pen- siero di Montaigne, la cui critica alla visione antropocentrica è particolar- mente acuta e approfondita: di tutte le vanità la più vana è l’uomo […]. Che egli mi faccia capire con la forza del suo ragionamento su quali basi ha fondato quei grandi privilegi che pensa di avere sulle altre creature. Chi gli ha fatto credere che quel mirabile movimento della volta celeste, la luce eterna di quelle fiaccole ruotanti così arditamente sul suo capo, i movimenti spaventosi di quel mare infinito siano stati determinati e perdurino per tanti secoli per la sua utilità e per il suo servizio? È possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa miserabile e meschina crea- tura […] si dica padrona e signora dell’universo? (Montaigne 1970, 580) Così è scritto in uno dei più significativi capitoli degli Essais. Per Mon- taigne, l’uomo è incapace di comprendere l’anima degli animali: Vediamo […] nelle nostre, più grossolane, [azioni] le facoltà che vi impie- ghiamo, e che la nostra anima vi si applica con tutte le sue forze; perché non pensiamo lo stesso di loro? Perché attribuiamo a non so quale inclina- zione naturale e bassa le opere che superano tutto quello che noi possiamo per natura e per arte? (ibid., 588-589) In realtà – osserva Montaigne – il criterio con cui vanno giudicati gli ani- mali è quello dell’analogia. Essi sono intelligenti, la loro capacità di ap- prendere dimostra che “hanno internamente un raziocinio”; possiedono essi pure un linguaggio e comunicano tra di loro e con noi: che altro è, se non parlare, la facoltà che vediamo in essi di lamentarsi, di rallegrarsi, di chiamarsi a vicenda in aiuto, di invitarsi all’amore, come fanno con l’uso della loro voce? Come potrebbero non parlare tra loro? Parlano pure a noi e noi a loro. In quante maniere parliamo ai nostri cani? Ed essi ci rispondono. (ibid., 593-594) Questa nutrita difesa degli animali s’inquadra, nel pensiero di Montaigne, nella più generale critica del pregiudizio. L’uomo considera universal- mente vero e giusto solo ciò che è una sua abitudine mentale. È l’epoca delle conquiste delle Americhe e del colonialismo e Mon- taigne istituisce un parallelismo tra il pregiudizio verso gli animali e la discriminazione e subordinazione dei popoli “selvaggi”: Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 27 Un tempo ho visto fra noi degli uomini condotti per mare da lontani paesi; poiché non comprendevamo affatto la loro lingua e, quanto al resto, il loro modo di fare e il loro contegno e i loro vestiti, erano quanto mai diversi dai nostri, chi di noi non li riteneva selvaggi e bruti? Chi non attribuiva a stupidità e bestialità il fatto di vederli muti, ignoranti della lingua francese, ignoranti dei nostri baciamano e dei nostri inchini serpentini, del nostro portamento e del nostro contegno che, senza fallo, la natura umana do- vrebbe prendere a modello? Tutto quello che ci sembra strano lo con- danniamo, e così tutto quello che non comprendiamo: come accade nel giudizio che diamo sulle bestie. (ibid., 606) Razzismo e antropocentrismo sono pertanto riconducibili ad un’identica matrice: quella visione gerarchica che, rapportando tutto ciò che esiste ad un unico modello, istituisce disparità e differenze di valore, rendendo in- capaci di comprendere la diversità. Contro l’unilateralità di tale visione, Montaigne sostiene la parità del diverso: ogni popolo ha la sua cultura; e ogni animale ha il suo sguardo sul mondo, il suo linguaggio, il suo modo di pensare. Queste considerazioni introducono ad un tema che diverrà centrale nella corrente dei libertini: la relatività dei punti di vista. Non esiste un’u- nica verità: pluralità dei modelli, relatività dei punti di vista, parità della diversità – sia biologica che culturale – saranno temi basilari di questo movimento. Libertino è anche Charron che, amico di Montaigne, ne riprende le argomentazioni a favore degli animali. E, dopo averne sostenuto le qua- lità, estende le sue considerazioni alla sfera dell’etica: “bisogna ricordare che tra le bestie e noi vi è qualche rapporto, qualche relazione ed ob- bligazione reciproca, non foss’altro perché esse appartengono allo stesso nostro padrone e alla stessa nostra famiglia. È quindi indegno esser cru- deli verso di esse” (Charron 1982, 90). Ulteriori argomenti di critica dell’antropocentrismo sono forniti dal- la rivoluzione astronomica. La perdita di centralità della terra induce al ridimensionamento dell’uomo e stimola a riflessioni sulla sua piccolezza. Nelle fantasie fantascientifiche di Cyrano de Bergerac la nuova visio- ne astronomica diviene uno spunto per sottolineare la relatività dei punti di vista e l’ingiusto rapporto dell’uomo con gli animali. Nei suoi fantastici viaggi sulla Luna e sul Sole, una lezione all’essere umano giunge, infatti, dagli abitanti di altri mondi. Così, se dagli “uomi- ni-bestie” della Luna Cyrano è giudicato inferiore, privo di ragione e trat- tato come gli uomini fanno con gli animali (Cyrano de Bergerac 1982), gli uccelli abitanti del Sole – fuggiti dalla Terra per sottrarsi alla crudeltà degli uomini – istruiscono un processo contro la specie umana, per i cri- Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 28 mini di cui si macchia nel suo comportamento verso gli altri esseri viventi (Cyrano de Bergerac 1928). Pluralità dei punti di vista ma anche senso di giustizia emergono da queste opere. L’uomo deve superare l’unilateralità del suo modo di pen- sare, non istituire differenze di valore ma aprirsi al “diverso”, all’altro vivente, che non è inferiore ma va compreso e rispettato in un’ottica di parità. 2.3. Le problematiche del dibattito e la posizione di Bayle Una illuminata sintesi delle problematiche del dibattito è fornita da Pier- re Bayle alla voce “Rorario” del suo Dictionnaire historique et critique: “I  fatti che riguardano l’abilità degli animali mettono in imbarazzo sia i seguaci di Descartes che quelli di Aristotele” (Bayle 1976, I, 145). Infat- ti – osserva Bayle – se la tesi degli animali-automi manca di verosimiglian- za, gli scolastici – pur riconoscendo alcune facoltà agli animali – preten- dono poi di fissarne i confini, per sostenere ad ogni costo una differenza di natura tra la loro anima e quella dell’uomo. In realtà, anima dell’animale e anima dell’uomo sono della stessa na- tura, c’è solo una differenza di grado. Riferendosi all’anima umana, così osserva: C’è un’infinità di pensieri, di sensazioni, di passioni di cui quest’anima è perfettamente capace […]; se fosse unita a organi diversi dai nostri, pense- rebbe diversamente da come pensa ora, e le sue modificazioni potrebbero essere molto più nobili di quelle che proviamo. (ibid., 170) L’anima dell’animale ha sostanzialmente le stesse potenzialità dell’anima umana: Si ammette che essa sente i corpi, che li distingue, che ne desidera alcuni e ne rifugge altri. Ce n’è abbastanza: essa è dunque una sostanza che pensa, capace cioè del pensiero in generale. Può dunque accogliere qualsiasi tipo di pensieri, può ragionare, conoscere ciò che è onesto, gli universali, gli assiomi della metafisica, le regole della morale, eccetera. (ibidem) L’anima dell’animale, in sostanza, è come quella di un bambino: Aristotele e Cicerone, all’età di un anno, non avevano pensieri più sublimi di quelli di un cane, e se la loro infanzia si fosse prolungata per trenta o quaranta anni, i pensieri della loro anima sarebbero rimasti allo stadio di sensazioni e di passioncelle rivolte al gioco o per le ghiottonerie. È dun- que un fatto puramente accidentale che essi abbiano superato gli animali. (ibid., 171) Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 29 Nel suo scritto Bayle mette in luce anche i problemi morali e religiosi le- gati al riconoscimento della capacità animale di soffrire. Se il dolore uma- no, infatti, è spiegabile con il peccato originale, gli animali sono innocenti e soffrono per una colpa non loro. La dottrina della sensibilità animale suscita, pertanto, inquietanti interrogativi, che potrebbero far vacillare la fede religiosa nella bontà e nella giustizia di Dio: L’anima delle bestie non ha peccato, e tuttavia essa è soggetta al dolore e alla miseria, sottoposta a tutti i desideri sregolati della creatura che ha pec- cato. In che modo trattiamo le bestie? Le facciamo sbranare fra di loro per procurarci piacere, le scanniamo per nutrirci; frughiamo nelle loro viscere, quando sono ancora in vita, per soddisfare la nostra curiosità, e facciamo tutto questo grazie al dominio che Dio ci ha dato su di esse. Che confu- sione! La creatura innocente è sottoposta a tutti i capricci della creatura colpevole! Non c’è casuista il quale sostenga che si commette peccato a far combattere dei tori contro degli alani eccetera, o a uccidere, cacciare e pescare, ricorrendo a mille astuzie e violenze […], oppure a divertirsi ad ammazzare le mosche, come faceva Domiziano. Non è forse crudele e ingiusto sottoporre un’anima innocente a tanti tormenti? (ibid., 155) Ovviamente, con la teoria cartesiana questi interrogativi vengono a cade- re. Tuttavia, per Bayle, né la teoria cartesiana né la dottrina degli scolasti- ci rendono conto dell’anima e delle capacità animali. Egli addita pertanto un altro sistema filosofico, quello di Leibniz, che giudica possa aprire interessanti prospettive. 2.4. L’individualismo biocentrico di Leibniz Nel quadro della disputa, Leibniz merita un’attenzione particolare, poi- ché elaborò una profonda visione cosmologica, non solo in grado di op- porsi efficacemente al cartesianesimo, ma anche ricca di spunti e suscetti- bile di interessanti sviluppi 3. Se Cartesio ha interpretato la natura come inerte e popolata da au- tomi, la concezione di Leibniz è dinamica ed energetica. Egli si avvale anche delle ricerche di microbiologia a lui contemporanee e considera la natura come brulicante di vita: “Ogni parte di materia può essere conce- pita come un giardino pieno di piante o come uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo delle piante, ciascun membro dell’animale, ciascuna goccia dei suoi umori è ancora un giardino o uno stagno” (Leibniz 1967d, 3 Gli argomenti, appena accennati in questo paragrafo, sono esposti in Baricalla 1995. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 30 294). Così scrive nella Monadologia. Si tratta di una visione panvitalista e, al tempo stesso, panpsichista. Ogni vivente infatti è dotato di percezione, rappresenta il mondo e lo rispecchia con una sua singolare e originale prospettiva. Leibniz paragona questa pluralità di punti di vista alle varie rappresentazioni di una stessa città, che appare in modi diversi secondo la diversa posizione in cui si trova colui che la guarda. Queste molteplici percezioni del mondo sono, per lo più, rappresen- tazioni confuse, “piccole percezioni” che rimangono allo stato inconscio. L’errore dei cartesiani – sottolinea Leibniz – è stato proprio quello di aver confuso percezione e coscienza: “Per l’assenza di questa distinzione, i Cartesiani sono caduti nell’errore […]. Ed è stato ciò che ha fatto cre- dere anche ai medesimi cartesiani […] che le bestie non hanno anime, e tanto meno Principi di vita” (Leibniz 1967c, 276). Questa visione, che si potrebbe definire “biocentrica”, valorizza al massimo ogni individualità vivente. Ogni essere infatti – e non solo l’uomo – è uno “specchio del- l’uni verso”, ogni singolo individuo è unico e irripetibile. In questa estre- ma varietà di prospettive consiste la bellezza e la ricchezza del mondo e la stessa gloria di Dio è moltiplicata dalle diverse rappresentazioni della sua opera. Nella visione cosmologica di Leibniz, la valorizzazione dell’indivi- dualità si accompagna ad un’ottica che si potrebbe definire pre-ecologi- ca. Tutte le cose infatti respirano insieme. Sýmpnoia pànta: quest’espres- sione  – che il medico greco Ippocrate usava per definire l’organismo vivente – è adoperata da Leibniz per descrivere l’universo. Come in un organismo, tutte le cose sono correlate. La natura è un sistema di rela- zioni e la modifica di una parte – anche se minima – si ripercuote inevi- tabilmente su tutte le altre e sul sistema generale. Infatti: “tutte [le cose] cospirano tra loro e simpatizzano e nulla avviene in una creatura di cui non giunga un qualche effetto corrispondente a tutte le altre” (Leibniz 1967a, 250). Questa visione si estende anche al piano teologico. Come evidenzia Leibniz nella Teodicea, anche Dio non ha un’ottica antropocentrica. Egli è attento ad ogni creatura e bada, soprattutto, all’equilibrio generale. Pensare diversamente sarebbe “una sopravvivenza dell’antica massima, molto screditata, che tutto è fatto unicamente per l’uomo” (Leibniz 1967b, 529). Partecipando al dibattito, Leibniz riconosce agli animali qualità co- me sentimenti, memoria, capacità di associazioni empiriche e sentimenti morali. Tuttavia, è soprattutto importante l’impostazione generale del suo sistema, che rende questo pensatore unico non solo nell’ambito della querelle, ma dello stesso panorama storico-filosofico. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 31 2.5. Gli sviluppi del meccanicismo e la parità tra l’uomo e gli animali Nel quadro della considerazione degli animali, fondamentale è il contri- buto di quegli studiosi – filosofi e spesso scienziati – che abbracciano il meccanicismo senza tuttavia aderire al dualismo metafisico di Cartesio, di cui rifiutano l’isolamento del pensiero dalla sostanza estesa. Secondo questi autori, ogni manifestazione mentale non va riportata ad un prin- cipio spirituale, come sostenuto da Cartesio, ma dipende dal “meccani- smo” cerebrale ed è riconducibile pertanto alla corporeità. Attraverso l’interpretazione meccanicistica dell’uomo, questa corrente approda così a una visione sostanzialmente paritaria di uomini e animali, soluzione che Cartesio aveva inteso invece scongiurare 4. Con questa impostazione Guillaume Lamy – che unisce la formazio- ne filosofica all’esperienza di medico – introduce i suoi Discours Anato- miques criticando la visione antropocentrica e la tesi del posto privile- giato dell’uomo nella creazione. Il confronto anatomico rivela affinità di struttura tra l’uomo e gli animali e analogia del meccanismo corporeo: nella struttura del corpo umano non vi è niente di più sorprendente di quanto non vi sia in quello di una bestia […]; d’altronde la differenza che si riscontra tra la disposizione e il numero delle parti dell’uomo e la di- sposizione e il numero delle parti dell’animale, non sempre è a vantaggio dell’uomo. (Lamy 1982, 151) È l’epoca in cui ci si apre all’ipotesi della “materia pensante”, che rico- nosce nella corporeità l’origine del pensiero. Lo scrive esplicitamente, a metà del Settecento, Offroy de La Mettrie nell’opera dal titolo significa- tivo L’homme machine. Nella sua opera La Mettrie tenta di sfatare i numerosi pregiudizi con cui si vuol tracciare una linea di demarcazione a tutti i costi. Anche nell’uomo, infatti, ogni manifestazione è riconducibile a una concatena- zione di moti meccanici, di stimoli e reazioni. Con questa parificazione di uomini e animali La Mettrie riconosce a questi ultimi qualità, che la tradizione aveva considerato esclusivamente umane: tra queste, anche la coscienza morale. Essa è opera della natura. Riconoscere ciò è necessario – precisa La Mettrie – se si vuole ammettere l’esistenza di una moralità nello stesso essere umano, che al regno anima- le appartiene integralmente. Infatti: 4 Cartesio si preoccupò degli sviluppi materialistici della sua dottrina, tanto che sconfessò un suo discepolo, l’olandese Henry De Roy, che considerava il pensiero una modalità della sostanza estesa. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 32 la natura ha usato una sola e medesima pasta, di cui ha variato soltanto i lieviti. Se dunque l’animale non si pente di aver violato il sentimento in- terno di cui parlo, o meglio, se di tale sentimento è assolutamente privo, è necessario che l’uomo sia nella stessa situazione e allora addio alla legge naturale e a tutti quei trattati che si sono pubblicati intorno ad essa! […] Ma, viceversa, se l’uomo non può fare a meno di distinguere sempre […] coloro che hanno onestà, umanità, virtù, da quelli che non sono né umani, né virtuosi, né onesti; se è convinto che è facile distinguere ciò che è vizio e ciò che è virtù […] ne segue che gli animali, fatti della stessa materia, alla quale forse non è mancato altro che un grado di fermentazione perché fos- sero in tutto uguali agli uomini, devono partecipare alle stesse prerogative dell’animalità, e quindi non c’è anima o sostanza sensitiva senza rimorsi. (La Mettrie 1990, 44) 2.6. Critiche degli animali automi La tesi del distacco radicale tra l’uomo e gli animali, la riduzione di questi ultimi ad automi e la loro svalutazione furono oggetto di aspre contesta- zioni. Significativa è protesta di Voltaire alla voce “Bestie” del suo Diziona- rio filosofico: Che vergogna, che miseria aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e sentimento, che fanno sempre tutto ciò che fanno nella stessa maniera, non imparano niente, non si perfezionano ecc. Come? Quell’uc- cello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca ad un muro, che lo fa a quarto di cerchio se lo mette in un angolo, e a cerchio intero intorno a un ramo, quell’uccello compie i suoi atti sempre allo stesso modo? […] E il canarino al quale insegni un’arietta, la ripete forse immediatamente? […] Non ti sei accorto che sbaglia e si corregge? (Voltaire 1989, 63) Anche se non parlano, osserva Voltaire, gli animali possiedono sentimen- ti, memoria, idee e sono in grado di manifestare tutto ciò. La sensibilità, il sentimento e le numerose qualità degli animali sono dimostrati anche dalla scienza, che evidenzia in essi gli stessi organi dell’uomo. Ma questo riferimento contiene anche un tono di condanna morale per la sofferenza inflitta agli animali dall’indagine sui loro corpi vivi: Dei barbari uomini afferrano quel cane, tanto prodigiosamente superiore all’uomo nell’amicizia; lo inchiodano su di una tavola, lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesaraiche. Tu scopri in lui gli stessi organi di senti- mento che sono in te. E rispondimi macchinista: la natura ha forse disposto tutti gli organi del sentimento in quell’animale affinché esso non senta? Ha esso dei nervi per essere impassibile? Non supporre questa impertinente contraddizione nella natura. (ibid., 64) Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 33 Tra le fila dei più agguerriti anticartesiani v’è anche un personaggio cu- rioso, il fiorentino monsignor Guarnacci che – sotto lo pseudonimo di “Zelalgo Arassiano, Pastore Arcade” – pubblicò un volume di poesie che contiene un canto dedicato agli animali: Sente il Bruto […] / […] / Sente, e pensa ogni belva, e veggio il Cane  / […] Ragione in lui scorgo, e pensiero, / E ragiona ogni Bruto in sua bi- sogna; / Fugge il periglio, esamina il sentiero, / E al fin proposto indu- stremente agogna; / Lascia il cibo fallace, e cerca il vero, / E par, che in qualche caso abbia vergogna. (Guarnacci 2001, LII) La difesa degli animali è accompagnata da un’accesa polemica contro Cartesio, definito “Filosofo meschin” e considerato responsabile non so- lo della riduzione degli animali ad automi ma anche della dottrina che riduce ogni loro azione all’istinto: Filosofo meschin; sogni, o sei desto, / Che delle cose a noi confondi il no- me? / Dunque istinto è anco in me, se lieto, o mesto / Di mia sorte infedel stringo la chioma; / Dunque istinto è l’onor, la fe, la speme, / […] / Dun- que istinto è ogni cosa! è un sol desio / Che ogni vivente incoraggisce, e muove; / è un’alma, che nell’uomo ha posta Iddio: / E ancor nei Bruti, e non l’ha posta altrove. (ibid., LIII) 2.7. Soggettività degli animali e critiche all’antropocentrismo nel pensiero di Leopardi Al dibattito sull’anima degli animali partecipa anche Giacomo Leopardi 5. Dopo aver affrontato i temi della querelle già nella giovanile Disser- tazione sopra l’anima delle bestie, negli anni successivi torna più volte sull’argomento per sostenere l’intelligenza, la razionalità e le numerose qualità animali: “Anche gli animali hanno un uso sufficientissimo di ra- gione, hanno il principio toù logismoù, il principio di conoscenza innato in tutti gli esseri viventi, non già nel solo uomo”. Così scrive in un pen- siero dello Zibaldone del 2 dicembre 1820 (Leopardi 1983, I, 240-241). Anche gli animali, sottolinea Leopardi, comunicano e sono dotati di linguaggio. Come l’uomo, essi si associano per far fronte ai bisogni co- muni e si prestano aiuto reciproco, come mostra l’esempio di numerose specie tra cui le formiche, le api, le gru ed i cavalli. Le qualità degli animali e le analogie con l’uomo, riconosciute in vari pensieri dello Zibaldone, sono sostenute con ancora maggior forza 5 Sulla visione della natura e del mondo vivente in Leopardi, si segnala Polizzi 2008. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 34 nei Paralipomeni della Batracomiomachia. Chiunque non voglia chiudere gli occhi o essere in malafede – afferma Leopardi – deve convenire che la differenza tra gli animali e l’uomo è solo di grado per cui, se si nega all’uno una qualità, non la si può riconoscere nell’altro. Anche gli animali sono dotati di sentimenti e di pensieri. Essi hanno una loro soggettività; svalutarla equivale a svalutare lo stesso essere umano. Infatti: s’estimar materia frale dalla retta ragion mi si consente l’io del topo, del can, d’altro mortale, che senta e pensi manifestamente, perché non possa il nostro esser cotale non veggo: e se non pensa in ver né sente il topo o il can, di dubitar concesso m’è del sentire e del pensar mio stesso. (Leopardi 1956, 425) Sostenitore delle qualità animali, Leopardi è altresì un acuto critico della visione antropocentrica. Come altri autori prima di lui egli adduce, tra gli argomenti contro l’antropocentrismo, la rivoluzione astronomica che  – sottraendo alla Terra la sua posizione di centralità – ha detronizzato l’uo- mo dal posto più importante dell’universo (Leopardi 1961, 200-212). Oltre alla critica fondata sui riferimenti astronomici, particolarmente interessante è una confutazione dell’antropocentrismo che si potrebbe definire, in un certo senso, bio-epistemologica. Essa emerge dal Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo nelle Operette Morali. Nell’opera s’immagina che la specie umana sia scomparsa; eppure – osservano i due personag- gi – il mondo va avanti ugualmente: “la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi” (Leopardi 1961, 57). Concordi nel criticare l’uomo, il folletto e lo gnomo si sono trovati tuttavia in disaccordo quando si è trattato di stabilire per quale fine è stato creato il mondo, essendo ciascuno dei due convinto che tutto esista in funzione della propria specie. La disputa non ha soluzione per cui, osserva infine il folletto: “Lasciamo stare questa contesa, che io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie” (ibid., 55). L’antropocentrismo – se ne deduce – null’altro è che un errore epi- stemologico, frutto di una falsa, ma specifica, prospettiva che porta ogni vivente a credere il mondo creato per lui. Su tal punto però l’ostinazione è inevitabile per cui “ciascuno si rimanga col suo parere, chè niuno glielo caverebbe di capo” (ibidem). Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 35 3. Verso i diritti degLi AnimALi Nel 1791 John Oswald scrive The Cry of Nature, in cui lancia un “ap- pello alla compassione e alla giustizia” nei confronti degli “animali per- seguitati” (Oswald 1994). Riflessioni di carattere etico, attente ai temi della sofferenza animale e della giustizia compaiono verso la fine del Settecento. Nell’Introduction to the Principles of Morals and Legislation  Jeremy Bentham, facendo riferimento a una diversità corporea che non deve essere motivo di schiavitù, prospetta l’estensione della considerazione morale agli animali aggiungendo, ai temi classici della razionalità e del linguaggio, la più importante e fondamentale capacità animale di soffri- re. Sulla scia delle dottrine del diritto naturale e delle dichiarazioni dei diritti, fa la sua comparsa l’idea di un riconoscimento di “diritti” agli animali: Può arrivare il giorno in cui il resto degli animali del creato potrà acquisire quei diritti di cui non si sarebbe mai potuto privarli, se non per mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il nero della pelle non è una ragione per cui un essere umano debba essere abbandonato senza rimedio al capriccio di un carnefice. Può arrivare il giorno in cui si riconoscerà che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell’os sacrum sono ragioni altrettanto insufficienti per abbandonare un essere senziente allo stesso destino? Quale attributo dovrebbe tracciare l’insupe- rabile confine? La facoltà della ragione, o, forse, quella del discorso? Ma un cavallo o un cane adulto è un animale incomparabilmente più raziona- le, e più socievole, di un neonato di un giorno o di una settimana, o anche di un mese. Ma anche ponendo che le cose stiano diversamente: a che ser- virebbe? La domanda da porre non è: “Possono ragionare?”, né “Possono parlare?”, ma: “Possono soffrire?”. (Bentham 2013, 353-354) La questione etica – che durante il dibattito era rimasta, in un certo sen- so, sottintesa o appena accennata – diviene ora esplicitamente dichiarata. Nell’Ottocento, se diminuisce in genere la partecipazione alla que- relle des bêtes, si registrano tuttavia alcune voci di rilievo, sensibili alla causa animale e particolarmente attente al problema etico. Interessanti pagine ne I fondamenti della morale scrive, ad esempio, Schopenhauer, per cui la sensibilità verso gli animali è garanzia di un comportamento morale verso gli stessi esseri umani: La sconfinata pietà per tutti gli esseri viventi è la più salda garanzia del buon comportamento morale. Chi ne è compreso non offenderà certo nes- suno, non farà del male a nessuno, avrà invece indulgenza con tutti, per- donerà, aiuterà, fin dove può, e tutte le sue azioni recheranno l’impronta della giustizia e della filantropia. (Ditadi 1994, II, 785) Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Vilma Baricalla 36 E ancora: “La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del ca- rattere da consentire di affermare fiduciosamente che l’uomo crudele con gli animali non può essere buono. Questa compassione proviene dalla medesima fonte donde viene la pietà verso gli uomini” (ibid., 788). In alcuni autori le istanze di giustizia verso gli animali e le conside- razioni di carattere etico si sposano con ideali umanitari, appaiono come una naturale conseguenza degli ideali di giustizia sociale, nell’ottica di una progressiva estensione dei diritti ad una sfera sempre più ampia di soggetti. Impegnato sul piano sociale è, ad esempio, Henry Stephens Salt, che lotta per migliorare la condizione degli esseri umani 6 e si prodiga, al tempo stesso, per i diritti degli animali giungendo a promuovere un’e- tica vegetariana, come attesta la pubblicazione di Plea for Vegetarianism e Animals’ Rights: Considered in Relation to Social Progress (Salt 2015). Tra i sostenitori della causa animale, non mancano coloro che fanno appello alla teoria dell’evoluzionismo biologico, per sottolineare che un vincolo di parentela lega l’uomo alle altre specie con la conseguenza di una loro doverosa considerazione morale. In questo senso si pronuncerà, nei primi anni del Novecento, un autore particolarmente sensibile alla causa animale, Thomas Hardy, che in una lettera del 1910 individua nell’esten- sione dell’etica la principale conseguenza della teoria darwiniana: la conseguenza più vasta della stabilita origine comune di tutte le specie riguarda l’etica […]. Forse lo stesso Darwin non se n’era reso conto com- pletamente, anche se vi aveva alluso. Fin tanto che l’uomo era considerato una creazione separata da tutte le altre creazioni si credeva che verso le specie “inferiori” andasse bene una moralità di secondo o di terz’ordine; oggi però nessuna persona ragionevole può sottrarsi alla conclusione che questo non può essere sostenuto. (La Vergata 1990, 597) Nel Novecento – prima della nascita dei movimenti per i diritti degli ani- mali e di una diffusa coscienza animalista, sorta a seguito delle opere di Singer e Regan – alcuni autori, già nella prima metà del secolo, mostraro- no una spiccata sensibilità verso il problema animale. Mi limiterò a citare due figure significative: Piero Martinetti – che in un bel saggio su La psi- che degli animali riprende lo storico dibattito sulla mente animale (Marti- netti 1973) – e Albert Schweitzer, che affianca la cura dedicata all’umani- tà sofferente a un’etica di rispetto per tutti gli esseri viventi. Questo tema 6 Fondatore della Humanitarian League, Salt si impegnò sul piano sociale, lottan- do contro le disuguaglianze e adoperandosi anche per l’abolizione della pena di morte e la riforma del sistema carcerario. Relations – 7.1-2 - November 2019 https://www.ledonline.it/Relations/ - Online ISSN 2280-9643 - Print ISSN 2283-3196 https://www.ledonline.it/Relations/ Verso i diritti degli animali 37 emerge ripetutamente nei suoi scritti e nella sua stessa autobiografia, in cui scrive: Il grande errore di ogni etica è stato finora quello di credere di dover oc- cuparsi soltanto del rapporto dell’uomo con l’uomo. In realtà invece è in gioco il suo atteggiamento verso il mondo e verso tutta la vita che entra nel suo raggio d’azione. Egli è morale soltanto quando considera sacra la vita in quanto tale, quella della pianta e dell’animale come quella dell’uomo, e dà il suo aiuto alla vita che ne ha bisogno. Soltanto l’etica universale basata sul senso della responsabilità, allargata all’infinito, verso tutto ciò che vive, trova giustificazione nel pensiero. L’etica del rapporto fra uomo e uomo non è qualcosa a se stante, ma solo un aspetto particolare che deriva da quell’atteggiamento generale. (Schweitzer 1965, 143) A conclusione di questa pur breve e lacunosa panoramica, viene sponta- neo osservare che – se tante voci si sono adoperate nel corso della storia per contrastare pregiudizi, discriminazioni, ingiustizie ai danni degli ani- mali – è lecito auspicare che questa volta tali sforzi giungano a buon fine. riferimenti bibLiogrAfici Aristotele. 1966. 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